Lectio Divina – Giovanni 10, 11-18 (traccia)

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Lectio Divina – Giovanni 10, 11-18 (traccia)

Lectio Divina – Giovanni 10, 11-18 (traccia)

Il buon pastore
Suore Ravasco

L’approfondimento del testo

Sfondo biblico dell’immagine
– La metafora del pastore e del gregge per esprimere il legame che unisce un sovrano, umano o divino, con i suoi sudditi è frequente negli scritti dell’antico Oriente.
“Illustrator della terra, giudice dei cieli,
illuminator delle tenebre…in alto e in basso…
Le creature viventi tutte insieme tu pasci
Tu sei loro pastore in alto e in basso…
Pastore delle regioni inferne, e custode delle superne
Rettore, luce dell’universo, Shamash, tu sei”
(Inno a Shamash, XVIII a. C.)

– Nell’A.T. e nel N.T. la metafora entra nel linguaggio tradizionale.
In origine designa Israele come gregge di Dio (Ger 13, 17: “Se non ascolterete, io piangerò in segreto la vostra superbia; il mio occhio verserà lacrime, perché sarà deportato il gregge del Signore”), condotto con premura nel deserto (Sal 77, 21: “guidasti come gregge il tuo popolo per mano di Mosè e di Aronne”), e poi attraverso le vicissitudini della storia verso il compimento (Is 49, 9: “Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli”).
La relazione tra pastore e gregge è descritta sia come riferita al popolo che al singolo componente (Is 40, 11: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”).
Perché non sia come un gregge senza pastore, Dio affida ad alcuni suoi servi l’incarico di guidarlo secondo la sua volontà: Mosè, Giosuè, i Giudici.
In un tempo successivo i testi profetici risuonano di invettive contro i pastori infedeli che sfruttano le pecore e lasciano andare in rovina il gregge (Ger 22, 22: “Tutti i tuoi pastori saranno pascolo al vento…”).
L’esperienza dell’abuso suscita l’attesa che il Signore stesso torni a occuparsi delle pecore, perché gli appartengono (Ger 23, 3: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore…”).
L’intervento promesso si concretizza nell’annuncio messianico di un pastore misterioso che Dio susciterà secondo il suo cuore, come un nuovo Davide: “Ecco verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra” (Ger 23, 5).
Le diverse tematiche della metafora pastorale confluiranno in Ezechiele al capitolo 34.
Giovanni si innesta su un tale terreno biblico. Con due grandi novità: Il Pastore è unico, il Pastore dona la vita per le pecore. Si può così notare la progressività della Rivelazione

L’analisi del testo

v. 11: Io sono il buon pastore
Gesù si presenta come “il” pastore annunciato dai profeti. La qualifica però non è quella di vero, ma di bello. In greco questo termine sta a significare non la dimensione estetica della persona, ma la sua qualità, in quanto pienamente corrispondente a ciò che deve essere.
Abbiamo così una buona terra (Mt 13, 8), un buon albero che porta buoni frutti (Mt 7, 17), il vino buono (Gv 2, 10).
L’uso di “Io sono” è un richiamo al linguaggio del Sinai, rivelazione del nome di Dio.
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore
Il verbo dare che Giovanni usa in 6, 51 (“il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”) qui non è usato.
E’ usato un altro verbo – “porre” – che nei diversi contesti della parabola assume significati diversi (procedimento caro a Giovanni). Si potrebbe usare questo triplice significato: esporre, disporre, deporre.
Qui il termine indica esposizione: l’amore e il coraggio di mettere a repentaglio la propria vita, di rischiarla, per difendere le pecore dal pericolo.

vv. 12-13: Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore”.
La figura del mercenario completa, per contrasto, la presentazione del pastore.

  • Non vi è relazione personale tra il mercenario e le pecore: non è un rapporto di amore ma di interesse.
  • Dopo la seduzione vi è il momento dell’abbandono che non mantiene la promessa e che delude la speranza.
  • Il lupo nella Bibbia può rappresentare persone malefiche (Ez 22, 27: “I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni”), ma anche l’Avversario del gregge di Dio. Rapire e disperdere e azione tipica del Nemico: rapisce l’uomo alla sua verità e lo fa fuggire dalla sua vita. Il termine “disperdere” richiama il doloroso passato di Israele (dispersione dovuta all’infedeltà all’Alleanza).

vv. 14-15:Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il padre, e do la mia vita per le pecore”.

  • Riaffermando di essere il pastore atteso, indica la relazione di amore e conoscenza che caratterizza il rapporto con il gregge. Si tratta di una relazione discendente dall’alto verso il basso. Il primato dell’amore di Dio è riaffermato (1 Gv 4, 5: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”).
  • Qui il termine porre prende il significato di “disporre” in modo permanente. C’è una disposizione permanente a rischiare la vita. Ciò che si riferiva prima in modo impersonale al buon pastore ora si riferisce direttamente a Gesù, buon pastore.
  • La relazione tra il Figlio e il Padre è il fondamento della disposizione permanente a dare la vita per il gregge. E’ il mistero di Dio che è Amore e che si riflette nella vicenda terrena di Gesù. E se le pecore conoscono il pastore, anch’esse saranno nella disposizione permanente di dare la vita, riflettendo il mistero di Dio-Amore.

v. 16: E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”.

  • Il recinto è Israele. Ora quel recinto è aperto, ma non per costituirne un altro. Si parla di un solo gregge, secondo la dimensione della universalità. Il mistero della Chiesa è adombrato. Ciò che costituisce l’appartenenza al gregge è dato non dal recinto ma dalla relazione con il pastore buono: è da questa relazione che nasce il nuovo gregge universale.
    Ef 2, 15: “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva…”
    Gv 11, 51: “Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire i figli di Dio che erano dispersi”.
  • un solo gregge, un solo pastore (senza “e” e senza “con”): l’esistenza del gregge porta in sé la presenza del pastore, il pastore è la fonte di vita del gregge. Anche qui è adombrato il mistero della Chiesa, presenza del Signore lungo la storia.

vv. 17-18: Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comandamento che ho ricevuto dal Padre mio”.

  • Qui il termine assume il senso di “deporre” per poi riprendere. Viene espresso il senso di un’assoluta padronanza da parte di Gesù rispetto alla propria morte.
    Nessuno gli toglie la vita, è lui che la dona. Tema caro a Giovanni. Si pensi all’ora di Gesù, alla morte come glorificazione, al crocifisso vittorioso.
  • Sembra quasi esserci contrasto tra la padronanza di Gesù in relazione al dono della sua vita e il comandamento del Padre. In verità questo contrasto è solo apparente e intende mettere in risalto l’unità di volontà tra Padre e Figlio. Il comandamento del Padre è la volontà libera del Figlio (Gv 10, 30: “Io e il Padre siamo una cosa sola”).

L’apertura sulla vita

  1. Dimensione cosmica: nella metafora del buon pastore confluiscono le religioni del mondo e la storia di Israele. Il rapporto creazione e redenzione
  2. Il contrasto mercenario – pastore per analizzare i mistero del peccato nella nostra vita
  3. La bellezza del mistero di Dio che si riflette nel volto dell’uomo. La bontà e la bellezza quando si è ciò che si deve essere e non altro.
  4. Il contrasto libertà e obbedienza si risolve nella ricerca della sintonia con la volontà di Dio, in cui obbedienza e libertà vengono a coincidere.
  5. La dispersione come mancanza di unità è il segno dell’opera dell’Avversario nella nostra vita. Il mercenario introduce la divisione tra i cuori umani.