Ritiro spirituale per sacerdoti e diaconi permanenti
Diocesi di Civitavecchia
Un preludio
Punto di partenza della nostra meditazione è la citazione di un testo di padre Serafino Tognetti, religioso della Comunità dei Figli di Dio, fondata da don Divo Barsotti, grande mistico del nostro tempo, di cui è iniziata la causa di beatificazione. La citazione riguarda proprio lui, don Barsotti.
È padre Serafino che scrive e ricorda: «I suoi scritti possono essere riassunti in questa frase: “L’uomo è chiamato non solo ad assumere tutto ma a essere tutto”. La parola “tutto” era da prendersi in senso letterale; nel tutto ci stava anche la creazione inanimata.
Una volta eravamo a Catania; egli stava predicando a un gruppo di sacerdoti, guardò fuori dalla finestra e disse: “Lo vedete quell’albero di limoni? Ebbene, quello verrà con me in Paradiso”. I presenti furono meravigliati, ed egli continuò: “Certo, perché io lo guardo e lo amo: guardate anche voi e ditemi se non siete rapiti dalla sua fattezza, dai colori, dall’architettura perfetta della sua struttura. Amandolo, quando io morirò il Signore lo troverà in me. Nella mia morte, Dio non separerà la mia anima dalla mia esperienza, perché io sono la somma delle cose che ho incamerato nel mio amore, di ciò che ho assunto. L’albero di limone è in me, non materialmente – perché nella sua fisicità esso rimane lì e rimarrà lì – quindi se io mi salverò verrà con me in Paradiso”.
Questo è il carattere drammatico dell’esistenza, – aggiunge a commento padre Tognetti – se si pensa che quello che il Signore non assume è solo il peccato, la grande vera unica tragedia del mondo. Il dramma non è la morte, ma il peccato, perché il peccato separa la creazione e la getta nella menzogna, non più assunta da Cristo.
Dopo la morte e la risurrezione, Cristo non assume più la creazione indipendentemente da me, questa è la grandezza dell’uomo re e sacerdote del creato. Cristo assume quello che trova in me, Dio è Salvatore, Creatore e Redentore, ma salvando l’uomo fa un tutt’uno con la creazione. “Il mio corpo è la creazione intera”, scriveva Barsotti con uno dei suoi paradossi».
In questa lunga citazione è il preludio di quanto avremo modo di meditare ora più nel dettaglio. Tutto, infatti, vi è contenuto. A cominciare dal dramma del peccato.
La regalità perduta
Tutti ben conosciamo il racconto della Genesi, in particolare laddove l’autore ispirato si sofferma a descrivere il dramma del primo peccato. Questo primo peccato, detto “originale”, segna come uno spartiacque, tra un primo e un dopo, la storia umana.
Consideriamo ciò che chiamiamo “prima”. L’uomo e la donna vivono in pace con Dio, tra di loro e con l’intera realtà creata. In pace con Dio, anzitutto: infatti, “Dio li benedisse” (Gn 1, 28) e parlava con loro. In pace tra di loro, poi: infatti, pur essendo nudi “l’uomo e sua moglie…non provavano vergogna” (Gn 2, 25). In pace con l’intera realtà creata, infine: infatti, “Dio disse loro: riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gn 1, 28).
Consideriamo, adesso, ciò che chiamiamo “dopo”. L’uomo e la donna perdono la pace con Dio: così, alla domanda di Dio “Dove sei?” (Gn 3, 9), l’uomo rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gn 3, 9). L’uomo e la donna perdono la pace tra di loro: così, “si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi” (Gn 3, 7). L’uomo e la donna perdono la pace con l’intera realtà creata: così, “Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto” (Gn 3, 23).
Nel contesto della nostra riflessione, a noi sta a cuore soprattutto mettere in rilievo un fatto: la relazione con la realtà creata viene in parte compromessa a motivo del peccato. In altre parole: dal momento che l’uomo e la donna si sono sottratti all’amore di Dio e non hanno prestato fede alla Sua parola di Vita, non solo hanno perdutola bellezza e la gioia della pace con Dio, ma hanno anche smarrito la relazione pacifica e beatificante con la creazione.
Il racconto della Genesi, pertanto, è anche il racconto di una regalità sul creato, perduta dall’uomo e dalla donna a partire dalla ferita, inferta con il peccato, alla relazione di amore con Dio. Non si può non tenere conto di questo dato ogni qualvolta riflettiamo sul nostro rapporto con la realtà creata. In verità è un dato che sperimentiamo ogni giorno della nostra vita e che non ha bisogno di dimostrazione. L’insistenza, ai nostri giorni, sulle tematiche ecologiche, non fa che avvalorare la verità di questo dato. La parola di Dio ci aiuta a non perdere di vista le radici di quella “ferita”, al fine di trovare i giusti rimedi per cercare di sanarla. Riprendiamo la citazione iniziale: “Il peccato separa la creazione e la getta nella menzogna, non più assunta da Cristo”.
Da questo punto di vista, ciò che il testo della Genesi comincia a svelare si compie in Gesù Cristo, Salvatore del mondo. In Lui, pertanto, possiamo a giusto titolo parlare di una “regalità ritrovata”, perché ridonata.
La regalità ritrovata
La salvezza a noi donata in Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo per noi, crocifisso e risorto da morte, ci consente di parlare di una “regalità ritrovata” sull’intera realtà creata. In effetti, dal momento che, in Cristo, è perdonato il peccato e restituita a un titolo nuovo la pace con Dio, anche il rapporto con la creazione viene sanato.
Ritrovare la relazione di amore con il Signore e fare della Sua parola la parola da accogliere e da vivere con fiducia, significa porre le fondamenta di una nuova alleanza che riguarda pure il creato. Anche qui riprendiamo la citazione iniziale: “Dopo la morte e la risurrezione, Cristo non assume più la creazione indipendentemente da me, questa è la grandezza dell’uomo re e sacerdote del creato”.
Quando con gioia affermiamo, insieme a sant’Ambrogio, che “Cristo è tutto per noi” (La Verginità, 99), rinnoviamo la professione della nostra fede in Colui che è Salvatore in senso universale: non solo perché salvatore di tutti, nessuno escluso, ma anche perché salvatore di tutto l’umano, spirito e corpo, nella sua relazione con Dio, con gli altri e con la creazione. È proprio così: Cristo è tutto per noi e in Cristo ritroviamo tutto nella vera pace: Dio, il prossimo, il creato.
Di conseguenza, più siamo di Cristo e in Cristo, perché raggiunti dalla Sua grazia che salva, e più diventa salda la nostra relazione con l’intera creazione. Più siamo inseriti nella vita di Cristo e più ritroviamo la bellezza del creato, nostro alleato nel conseguimento della pienezza della nostra umanità in Dio.
Chi può affermare davvero, come san Bernardo: “Si impara più nel bosco che sui libri. Gli alberi e le foreste vi insegneranno cose che non potreste capire altrimenti” (Lettera 106), se non chi è stato redento da Cristo?
Chi può dire con pienezza di senso, come il beato Charles De Foucauld: “Da lassù c’è una vista meravigliosa, addirittura fantastica: si domina su una foresta di guglie selvagge e insolite; niente impedisce lo sguardo verso Nord e verso Sud. È un bel posto per adorare il Creatore, una meraviglia… Mi dispiace staccare gli occhi da questa vista mirabile la cui bellezza e sensazione d’infinito avvicinano fortemente al Creatore” (Lettera 16 luglio 1910), se non chi ha ritrovato lo sguardo che scaturisce dall’amicizia con Dio?
Chi può gioire, come san Bonaventura, quando scrive: “Questo mondo è un bellissimo canto” (I sent., d. 4, art. 1, q. 3, arg. 2, concl.), o quando annota: “Ogni creatura è una parola divina, è il linguaggio stesso di Dio” (Commentarius in librum Ecclesiastes, I, 2.15), se non chi è stato sanato dall’amore di Cristo?
Chi – e qui termino con queste splendide citazioni – può esultare con tanta purezza di cuore, come il beato Pier Giorgio Frassati: “Ogni giorno che passa mi innamoro perdutamente della montagna; il suo fascino mi attira. Io capisco questo desiderio di sole, di salire in alto, di andare a trovare Dio in vetta. Oh! Come le opere di Dio sono grandi e meravigliose! Vorrei…passare intere giornate sui monti a contemplare in quell’aria pura la grandezza del Creatore” (in Pier Giorgio Frassati, di Carla Casalegno, ed. Piemme, p.194), se non chi vive la gioia dell’alleanza con Dio in Cristo?
Ritengo particolarmente significativa, ora, quasi a coronamento di quanto detto fino a qui, riascoltare un testo del Card. Joseph Ratzinger. È un breve passaggio da una sua omelia tenuta a Monaco di Baviera, nel 1991: “Noi uomini abbiamo imparato a utilizzare le cose in modo tale da consumarle ed esaurirle irrimediabilmente, da sottrarle al ciclo perenne del rinnovamento e della vita, così da ridurle a scorie definitivamente consumate e morte. In questo vediamo anche un’immagine del nostro modo di soggiogare il mondo e di sfigurare noi stessi. Per questo, se abbiamo molto bisogno, e molto urgentemente, di trovare strade per preservare la creazione di Dio, affinché non precipiti nella morte, in un definitivo esaurimento, abbiamo non meno bisogno anche di un mezzo per disintossicare le anime, per riconciliarle: con sé stesse, con la creazione, con gli altri. Come potremo riconciliarci con noi stessi, con gli altri, con la realtà di Dio e della sua creazione se non siamo riconciliati con Dio, se lui non ci riconcilia nel profondo?… Cos’altro può disintossicare il mondo se non l’amore redentore di Dio che è divenuto uomo, che ha assunto in sé il veleno del mondo trasformandolo nel suo amore?”.
Non dimentichiamo, pertanto: ogni nostro discorso che abbia come oggetto la realtà del creato, perché sia vero, non può che partire dal Signore Gesù; ogni nostra azione che abbia a cuore la realtà del creato, perché sia buona e feconda, non può che partire dal Signore Gesù.
La regalità della Madonna
Il nostro sguardo, ora, si rivolge alla Madonna. Per quale motivo? Perché in Maria ci è dato di contemplare Colei che è la Regina dell’universo, Colei che, in quanto redenta da Cristo e preservata da ogni macchia di peccato, ha vissuto e vive la più bella e la più vera regalità sul creato. Proprio perché è piena di grazia, tutta di Dio in Cristo Salvatore, la Madonna è per noi anche esempio del rapporto vero e buono con la creazione.
Scrive Papa Francesco, in proposito, nell’Enciclica sulla cura della casa comune: “Maria, la madre che ebbe cura di Gesù, ora si prende cura con affetto e dolore materno di questo mondo ferito. Così come pianse con il cuore trafitto la morte di Gesù, ora ha compassione della sofferenza dei poveri crocifissi e delle creature di questo mondo sterminate dal potere umano. Ella vive con Gesù completamente trasfigurata, e tutte le creature cantano la sua bellezza. È la Donna «vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo» (Ap 12,1). Elevata al cielo, è Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza. Lei non solo conserva nel suo cuore tutta la vita di Gesù, che «custodiva» con cura (cfr Lc 2,19.51), ma ora anche comprende il senso di tutte le cose. Perciò possiamo chiederle che ci aiuti a guardare questo mondo con occhi più sapienti (Laudato si’ n. 241).
Nelle parole del Santo Padre ci è possibile sottolineare due elementi importanti per la nostra riflessione. Anzitutto, il motivo per cui Maria si prende cura della creazione. Ella vi contempla, con gli occhi resi limpidissimi dalla pienezza di grazia, la bellezza infinita di Dio, la verità della Sua parola eterna che in Cristo si è rivelata. La Madonna, che è stata chiamata a prendersi cura di Gesù, non può non prendersi cura anche dell’intera realtà creata, nella quale risuona e risplende la Parola eterna di Dio, fatta carne per la nostra salvezza. La Madre di Dio, della quale spesso nei Vangeli si dice che custodiva nel cuore le parole udite dal Figlio, custodisce anche la Parola eterna per la quale e nella quale tutto è stato creato.
Nelle parole del Santo Padre, inoltre, troviamo un secondo elemento importante per la nostra riflessione. Maria, infatti, è presentata anche come la donna nel cui corpo glorificato e assunto in cielo porta in sé e con sé parte della creazione. Una creazione che, in tal modo, “ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza”. Così, in Lei, ci è dato di considerare la straordinaria dignità delle realtà create: che non sono destinate all’oblio e al nulla, ma a divenire “consorti” del destino di ogni uomo e di ogni donna, parte integrante di quei cieli nuovi e di quella terra nuova che costituiranno l’eternità felice in Dio. Non a caso la Madonna, nella visione dell’Apocalisse, è guardata come la Donna “vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo”. Nel Suo corpo assunto e glorificato, Maria ritrova quelle realtà create nelle quali Ella ha vissuto e che, ora, con Lei sono assunte e glorificate nel Cielo di Dio.
Al riguardo è, forse, opportuno, spendere una parola sulla visione che il cristianesimo ha della creazione e di tutto ciò che è materia. Esiste un “materialismo” più spinto di quello professato dai cristiani, a torto spesso accusati di non avere a cuore le realtà di questo mondo? In verità, la nostra fede ci porta ad avere una così altra considerazione delle realtà di questo mondo, di ogni realtà creata e della stessa corporeità, da credere appunto fermamente che tutta la creazione parteciperà della nostra risurrezione, che la materia, se pure trasfigurata, entrerà per sempre in Dio e nel mistero della Sua vita eterna e trinitaria.
La nostra regalità
In tal modo, dopo aver contemplato Maria, Regina di tutto il creato, eccoci giunti a riflettere più direttamente sulla nostra vita, su quale possa e debba essere la nostra relazione con l’intera realtà creata. Anche in questo caso, riprendiamo la citazione iniziale: “Una volta eravamo a Catania; egli stava predicando a un gruppo di sacerdoti, guardò fuori dalla finestra e disse: “Lo vedete quell’albero di limoni? Ebbene, quello verrà con me in Paradiso”. I presenti furono meravigliati, ed egli continuò: “Certo, perché io lo guardo e lo amo: guardate anche voi e ditemi se non siete rapiti dalla sua fattezza, dai colori, dall’architettura perfetta della sua struttura. Amandolo, quando io morirò il Signore lo troverà in me. Nella mia morte, Dio non separerà la mia anima dalla mia esperienza, perché io sono la somma delle cose che ho incamerato nel mio amore, di ciò che ho assunto. L’albero di limone è in me, non materialmente – perché nella sua fisicità esso rimane lì e rimarrà lì – quindi se io mi salverò verrà con me in Paradiso”.
È davvero bella e commovente questa testimonianza! Pensate. Come per la Madonna, così anche per noi. Nulla di ciò che abbiamo vissuto e amato in Dio andrà perduto! Nulla di ciò su cui abbiamo posato uno sguardo di amore puro conoscerà l’oblio! Nulla di ciò che ha costituito l’esperienza della nostra vita terrena, se vissuto in comunione con Cristo, lasceremo di qua! Nulla, proprio nulla, dal momento che tutto porteremo con noi nella risurrezione della carne e sarà parte della nostra eterna felicità. Nel Cielo di Dio non saremo semplicemente spiriti immortali. Saremo, invece, anche corpo risorto dalla morte, carne riportata alla vita e trasfigurata nella gloria. In questo corpo e in questa carne ritroveremo le montagne, i mari, le creature terrestri e celesti, le creature animate e inanimate. Senza considerare gli uomini e le donne che con noi di qua avranno condiviso il pellegrinaggio terreno e che di là saranno per sempre con noi, nella pienezza della loro umanità gloriosa. A motivo di Cristo, che ci ha redenti dal peccato e della morte ed è risorto per la nostra salvezza, tutto di noi sarà con noi in Paradiso e fonte di eterna beatitudine.
Dicendo questo, abbiamo considerato, in relazione alla nostra vita, quanto prima affermato della Madonna. Così ci è dato di ricordare che Maria, Assunta in Cielo in anima e corpo, è per noi figura esemplare e primizia del nostro eterno destino. D’altra parte Ella è anche aiuto e sostegno nel nostro cammino verso la pienezza della regalità.
Esempio e sostegno per noi, Maria lo è anche se riflettiamo sull’altro elemento della Sua regalità, che è, allo stesso tempo, la nostra. Mi riferisco alla capacità di prendersi cura dell’intera realtà creata, in quanto riflesso della Parola eterna di Dio.
Da questo unto di vista, rimanere accanto alla Madonna significa imparare a custodire nel cuore l’intera creazione, assumendo verso di essa uno sguardo contemplativo. Solo così ci sarà possibile dire con sant’Agostino: “Sia il tuo libro la pagina divina che devi ascoltare; sia il tuo libro l’universo che devi osservare. Nelle pagine della Scrittura possono leggere soltanto quelli che sanno leggere e scrivere, mentre tutti, anche gli analfabeti, possono leggere nel libro dell’universo” (Commento ai Salmi, 45, 7).
Alla scuola di Maria apprendiamo a stare davanti alla realtà creata custodendo e accrescendo la capacità di andare oltre il visibile, per ammirare e gustare l’invisibile. Davanti a noi, per così dire, si squaderna il libro della creazione, la prima grande lettera di Dio all’umanità, leggendo la quale ascoltiamo la Sua parola eterna, il cuore rimane toccato in profondità dalla bellezza e dalla bontà del Creatore e, ancora una volta, diventa un’esigenza affermare che Cristo è tutto per noi, in quanto appare che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1, 16).
La sorgente viva della nostra regalità
Quanto detto in merito allo sguardo contemplativo ci permette di soffermare ora la nostra attenzione su ciò che costituisce la sorgente viva della nostra regalità sul creato. In altre parole, si tratta adesso di rispondere alla domanda: che cosa, nel cammino della vita, ci garantisce una relazione vera e buona con l’intera realtà creata, fermo restando l’esemplarità e l’aiuto della Madonna? Come è possibile affermare anche noi, con verità, quanto affermava di sé don Barsotti: “Il mio corpo è la creazione intera”?
Mi pare che la risposta possa tradursi nell’indicazione di una duplice strada da percorrere: quella della conversione e quella della liturgia.
La conversione
Quando parlo di conversione, qui in questo contesto, intendo quell’itinerario interiore in virtù del quale il nostro rapporto con le realtà create è ispirato dalla capacità di vedere oltre. Per capire meglio a che cosa mi riferisco, ricorro a sant’Agostino: “Interrogai la terra… interrogai il mare… interrogai il cielo, la luna, le stelle… E tutte risposero: non siamo noi il tuo Dio. Il mio interrogare consistette nel fissare in esse la mia attenzione e la loro risposta nel mostrarmi la loro bellezza. Ecco, il cielo e la terra esistono, e gridano che sono stati creati… Tu dunque, Signore, li hai fatti; Tu che sei bello, poiché sono belli; Tu che sei buono, poiché sono buoni; Tu che sei, poiché sono. Ma non sono così belli, né così buoni, né sono come Te, loro Creatore” (Confessioni, 10, 6).
È più chiaro adesso? Il nostro cammino di conversione consiste nel passaggio dal considerare il creato fine a sé stesso al considerarlo specchio dell’infinito, dal trattare le realtà create come non avessero un Creatore a riconoscere che sono state fatte da una Ragione che è Amore, dall’usare la creazione come semplicemente nostra e a nostra completa disposizione al trattarla come dono di Dio in Cristo in vista del nostro bene autentico e soprannaturale.
Siamo nell’anno in cui ricordiamo il settimo Centenario della morte di Dante Alighieri. Il grande poeta, quando deve descrivere la realtà più intima di coloro che abitano la regione infernale, si esprime così: “Noi siamo venuti al loco ov’ i’ t’ho detto / che tu vedrai le genti dolorose / c’hanno perduto il ben dell’intelletto” (Inferno III, 16-18). Che cosa intende Dante con “il ben dell’intelletto”? Intende esattamente la capacità di guardare la realtà senza fermarsi ad essa, ma scorgendovi un oltre, l’oltre che è Dio. Spesso perdiamo “il ben dell’intelletto”, spesso guardiamo e trattiamo la realtà creata non scorgendovi la traccia di Dio.
Usando il termine conversione, risulta chiaro che il cammino che siamo chiamati a percorrere è sempre quello dal peccato alla grazia, dal bene al male, da ciò che non è secondo Dio a ciò che è da Dio. E un tale cammino ci è donato solo in Gesù Cristo, Salvatore.
Chiediamo alla Madonna, che è piena di grazia, di aiutarci a stare davanti all’intera realtà creata, ascoltando quanto intuiva C. S. Lewis, nel suo celebre testo Sorpresi dalla gioia: «Tutte le immagini e sensazioni, se idolatricamente scambiate per la gioia stessa, dovevano presto rivelarsi onestamente inadeguate. In ultima analisi dicevano tutte: “Non sono io. Io sono solo un promemoria. Guarda! Guarda! Che cosa ti ricordo?”» (p. 160).
La liturgia
Non siamo, forse, molto abituati ad avvicinare la liturgia considerandola nel suo rapporto con la creazione. Eppure, proprio la liturgia ci conduce a vivere secondo il disegno di Dio la relazione quotidiana con l’intera realtà creata. Potrebbe apparire paradossale, eppure è del tutto vero: solo chi vive in pienezza la liturgia può vivere in pienezza il proprio rapporto con la creazione; solo chi vive di liturgia vive la vera ecologia.
Per meglio capire una tale affermazione è necessario focalizzare una dimensione del rito liturgico: quella che si definisce “cosmica”. È così: la liturgia ha una dimensione cosmica. Che cosa si intende con questo? Si intende dire che, con la celebrazione liturgica, l’intera realtà creata ritorna al suo vero Principio, che il cosmo è ricondotto all’ordine che ha nel disegno dell’amore di Dio, che ogni elemento della creazione è ricapitolato in Cristo.
In virtù della liturgia, che è l’attualizzazione nel tempo presente del mistero della nostra salvezza, tutto ritrova la sua più intima verità, la sua autentica bontà e la sua eterna destinazione. In Cristo, Redentore dell’umanità, l’universo intero viene redento e salvato, reso partecipe della gloria riservata a ogni uomo e a ogni donna che vive in questo mondo. Per tornare un attimo a Dante, ascoltiamo questa bellissima terzina del Paradiso. È Beatrice che si rivolge al poeta: “e cominciò: Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante” (I, 88-90). Nella visione dell’Alighieri, il Paradiso è il luogo nel quale l’universo appare nella forma voluta da Colui che lo ha creato.
Ecco. La liturgia ha una dimensione cosmica proprio perché in essa, a motivo dell’opera di Cristo Salvatore, l’universo assume la forma che ha nel pensiero di Dio, l’ordine mirabile con il quale è stato portato alla luce dalla sapienza di Dio. Si potrebbe dire che la liturgia è la storia del cosmo radunata nell’obbedienza del Figlio di Dio. In quell’obbedienza, infatti, tutto ritrova la sua bellezza originaria e noi diventiamo capaci di relazionarci a tutto nella verità di quella bellezza.
Diceva il beato Enrico Susone: “Quando, nel canto della Messa, giungo alle parole Sursum corda, mi figuro di avere davanti a me tutti gli esseri creati da Dio in cielo e in terra: l’acqua, l’aria, il fuoco, la luce e ogni elemento, ciascuno con il proprio nome, così pure gli uccelli dell’aria, i pesci del mare e i fiori del bosco, le erbe e le piante tutte della campagna, le innumerevoli arene del mare, i pulviscoli che si vedono nei fasci di luce solare, le gocce di pioggia cadute o che stanno per cadere, le stille di rugiada che ingemmano il prato. Allora immagino di essere in mezzo a queste creature come maestro di canto in mezzo a un coro sterminato” (in La salita al monte di Sion, Raniero Cantalamessa, pp. 41-42).
Questa è la dimensione cosmica propria della liturgia, quella dimensione che noi tutti siamo chiamati a vivere e grazie alla quale ritroviamo ogni volta il rapporto vero e buono con l’intera realtà creata. Anche nella dimensione cosmica della liturgia la presenza di Maria non viene meno. E non viene meno perché Lei vi è presente proprio in quanto Regina di tutto il creato, la Donna «vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo», esempio e primizia di ciò che la liturgia vuole e può fare di noi, uomini e donne – stando ancora alla citazione iniziale di don Barsotti – chiamati “non solo ad assumere tutto ma a essere tutto”. Sempre in Cristo Gesù, nostro Signore e Redentore.