Meditazione – Capitolo elettivo Piccola Opera Regina Apostolorum

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Meditazione – Capitolo elettivo Piccola Opera Regina Apostolorum

Meditazione in preparazione elezioni del Capitolo P.O.R.A.

28 dicembre 2019

 

 

 

Questo momento che viviamo ancora insieme vuole essere, deve essere, come un prolungamento della Messa che abbiamo appena celebrato. Per questo motivo: perché noi premettiamo la Messa  a determinati atti che dobbiamo compiere, a cui siamo chiamati, non per un proforma o perché dobbiamo per forza celebrare la Messa prima di fare altre cose, ma perché gli atti della nostra vita devono scaturire dalla Messa, devono provenire da lì, cioè devono provenire, scaturire dal nostro incontro col Mistero del Signore. Allora questo momento di meditazione, che segue alla Messa , prolunga quello che abbiamo vissuto nella celebrazione, proprio perché vogliamo prolungare un momento il nostro incontro col Signore prima di compiere ciò che siamo chiamati a compiere. Anche perché mi pare che a volte il pericolo che noi corriamo a volte è questo: di compiere dei gesti come dei gesti puramente mondani. Noi possiamo anche compiere un’elezione, in un Capitolo, compiendo un gesto mondano, non religioso e di fede, perché se prendiamo un’elezione capitolare come un avvenimento che non parte dal nostro incontro col Signore, questo è un atto mondano che stiamo facendo, non espressivo della fede e del nostro rapporto con Dio.

Scenderemo poi in qualche ulteriore dettaglio, però mi pare che sia importante da subito chiarire a noi stessi  questo. Cioè entriamo nella realtà di un Capitolo, di una elezione, che sono fatti ordinari nella vita di una Comunità, ma vi  entriamo con questo animo religioso. Non siamo un’associazione umana, semplicemente; non siamo un’azienda che deve eleggere un principale; non siamo un gruppo qualunque nel quale poi si eserciteranno poi determinati compiti e funzioni. No, qui tutto parte dal nostro incontro col Signore e dal desiderio di rendere questo gesto e questo momento insieme una espressione del nostro incontro col Signore, dunque un’espressione della fede, nella quale viviamo. Ecco, il punto di partenza è questo: facciamo attenzione che non sia un atto mondano, perché avremmo perso tempo. Deve essere un atto di fede, un atto religioso, nel quale entriamo con questo animo, con questo cuore. Quindi, ripeto, la Messa celebrata e questo momento insieme di riflessione e meditazione, devono realmente aiutarci a non perdere di vista questa radice fondamentale e quindi aiutarci a fare di questo gesto che oggi dovremo fare, facendolo in modo autenticamente religioso.  Allora, vorrei per un momento ancora, prolungando appunto quello che abbiamo vissuto e anche le parole che già abbiamo un pochino detto, soffermarmi ancora un po’ sul Mistero del Natale per cogliere un po’ l’implicazione che questo ha a livello personale, però anche a livello comunitario, in parte quindi anche per quello che saremo chiamati a compiere.

Dicevamo prima, con altre parole, facendo riferimento a San Giovanni, quindi alla luce che entra nella nostra vita rendendola luminosa, alla necessità che la nostra vita sia espressione della fede, che uno degli aspetti fondamentali del Natale è che noi rimaniamo realmente coinvolti nella vita di Gesù. Perché se noi non siamo coinvolti nella vita di Gesù, il Natale non lo abbiamo vissuto. Noi rischiamo sempre di essere spettatori, spettatori un po’ disattenti, distratti … Certamente abbiamo pregato, abbiamo cantato, abbiamo vissuto il momento della festa, siamo stati anche nella gioia …

Però siamo rimasti realmente coinvolti  nella vita di questo Bambino?
Cioè la sua vita è diventata un po’ di più la nostra vita?
Perché alla fine il coinvolgimento è questo: lasciare che la vita di Gesù entri nella mia vita e che dunque, un po’ alla volta, la mia vita si perda perché possa prevalere e risplendere la Sua.  Allora domandiamocelo, se abbiamo vissuto questo coinvolgimento profondo. In questo senso, non per drammatizzare il Mistero del Natale, ma il Mistero del Natale è sempre un Mistero di vita e di morte, perché nella misura in cui realmente sono coinvolto nella vita di Gesù, io devo un po’ morire, perché se non muoio, la vita di Gesù non può risplendere nella mia vita. La poesia del Natale è tutta qui, non è un poesia superficiale, è la poesia che è scritta dentro questo Mistero, della mia morte perché la vita di Gesù possa realmente risplendere, vivere, essere nella mia vita.

Ecco, questo è un elemento importante su cui dobbiamo ritornare, che riguarda certamente la nostra vita personale, questo è indubbio, però riguarda anche la vita della nostra Comunità, perché noi come Comunità, siamo chiamati anche a vivere il Mistero del Natale e cioè a vivere questo coinvolgimento. Perché o la nostra Comunità è il luogo nel quale la vita di Gesù risplende oppure la nostra Comunità non serve a nessuno. Allora il problema è sicuramente personale, la questione è personale: io mi sono lasciato raggiungere dalla vita del Signore?
Ho la disponibilità a morire perché la vita di Gesù risplenda e viva nella mia?
Però la questione è anche comunitaria: noi come Comunità religiosa, Comunità che appartiene a Gesù, realmente ci lasciamo coinvolgere dalla vita di Gesù? Realmente siamo disposti a morire un po’ a noi stessi perché la vita di Gesù risplenda? Questo significa il modo in cui viviamo insieme, il modo in cui progettiamo la vita della nostra Comunità, il modo in cui guardiamo avanti e cerchiamo il cammino del Signore, disposti a morire alle nostre false sicurezze, ai nostri programmi, ai nostri progetti, al nostro modo gretto di guardare le cose, perché la vita del Signore possa essere presente in noi e nella nostra Comunità.

E allora, venendo anche all’elezione, un’elezione non può non tenere conto di questo e cioè, davanti a Dio, qual è il modo più idoneo perché, umanamente, con la povertà di cui siamo fatti, con i limiti che abbiamo, però nella nostra Comunità possa risplendere di più la vita del Signore, questo è il grande tema che abbiamo davanti quando dobbiamo compiere un atto come questo, perché sia un atto autenticamente religioso. Non ci sono altre motivazioni, non ci sono altri perché, altri scopi. Motivo di fondo è questo: davanti al Signore domandarsi come posso, possiamo fare in modo che anche attraverso questo gesto, questo atto che dobbiamo compiere, la vita di Gesù risplenda un po’ di più nella vita della nostra Comunità, questo dobbiamo avere davanti.

Unito un po’ a questo discorso, ritorno con la memoria a un fatto che si verificò intorno all’Alto Medioevo, quando in Francia, nella cattedrale di Reims, proprio il giorno di Natale, il Vescovo stava celebrando la Messa (il Vescovo Remigio) e ad un certo momento nella cattedrale entrarono i Barbari ( Clodoveo) e ci fu un dialogo serrato tra il Re dei Barbari e il Vescovo di Reims, un dialogo che ora non ricordiamo, ma che terminò così, con le parole che il Vescovo rivolse a questo barbaro invitandolo al cambiamento, alla conversione. Lui disse: “Adora ciò che fino adesso hai bruciato e brucia ciò che fino adesso hai adorato.”

Quel coinvolgimento di cui parlavamo consiste in questo: nel bruciare ciò che abbiamo fino adesso adorato. Ci potremmo domandare che cosa abbiamo adorato, abbiamo adorato noi stessi. Quanta parte di noi abbiamo adorato! Poi ci sono altre cose, ma l’elemento fondamentale, che è sempre oggetto della nostra adorazione è il nostro io. “Brucia ciò che fino adesso hai adorato e adora ciò che fino adesso hai bruciato”. Che cosa abbiamo bruciato? Abbiamo bruciato Dio in tanti modi. Abbiamo bruciato Dio non riconoscendolo nel Suo primato nella nostra vita; lo abbiamo bruciato non riconoscendolo nei fratelli; lo abbiamo bruciato nelle inimicizie, discordie, gelosie, invidie … in tanti modi.

Ecco il Natale, che (ritorniamo a quello che dicevamo) è l’accoglienza della vita di Gesù nella nostra vita, comporta questo atto, se davvero ci coinvolge: di adorare quello che abbiamo bruciato e di bruciare ciò che abbiamo adorato. E questo dobbiamo farlo anche in ciò che siamo chiamati a compiere oggi: devo bruciare il mio io, devo bruciare il mio egoismo, devo bruciare il mio piccolo punto di vista, devo bruciare il mio desiderio di emergere, devo bruciare il mio voler essere al centro delle cose, devo bruciare me stesso per adorare Dio presente, che voglio presente attraverso questo gesto che devo compiere. Quindi, di nuovo, qualcosa di personale, ma qualcosa che ci riguarda tutti e che ci riguarda oggi, in quello che stiamo per fare.

Uno degli aspetti che accompagnano tutto il cammino verso il Natale e poi in particolar modo la celebrazione del Mistero, è l’aspetto dello stupore. Voi sapete come nelle ferie maggiori del Tempo di Avvento, la Chiesa ci faccia cantare le antifone cosiddette “antifone O”, “antifone O” perché, soprattutto nella versione gregoriana di queste antifone, la “O” ha tutta una sottolineatura molto particolare dal punto di vista musicale del canto, proprio per mettere in rilievo lo stupore che, cantando questa stessa “O”, le labbra e il cuore di chi canta esprimono. Ecco, lo stupore è un elemento tipico del nostro incontro col Mistero di Dio.

A livello nostro, personale, mi sembra che il natale ci aiuti a risvegliare uno stupore particolare, che non è soltanto lo stupore per la presenza di Dio che si fa bambino (E questo è il primo grande stupore, che non dovremmo mai perdere di vista). Però allargando questa realtà, è lo stupore per una presenza, con la quale Dio ormai riempie ogni realtà umana, cioè lo stupore per il fatto che il Signore ormai è presente davvero dovunque, perché, dal momento in cui ha voluto entrare nella nostra umanità, e dunque nella nostra storia, tutto diventa richiamo della Sua presenza, segno della Sua presenza, rimando alla Sua presenza, allora noi siamo circondati dalla presenza di Dio, la vita di Dio batte attorno a noi, sempre, in ogni circostanza. Questo è lo stupore bello del Natale, che ci riempie la vita, perché realmente non siamo più soli e Dio è Dio-con-noi, perché è ovunque.

Trasportiamo un po’ la cosa a livello comunitario: Dio è presente nel fratello, Dio è presente nella sorella. Allora lo stupore del Natale deve diventare lo stupore per una presenza del Signore in questi volti, che mi sono così familiari e che forse non sono più capace di riconoscere come i volti del mio Signore accanto a me. Come cambierebbe la vita delle nostre Comunità se vivessimo la gioia di questo stupore, lo stupore per una presenza del Signore, che è ovunque e che è nei volti di coloro che mi stanno accanto.

Lo stupore è anche per il fatto che nella nostra Comunità, in quanto Comunità, è presente il Signore, e noi siamo una presenza del Signore in questo mondo, nell’oggi della nostra storia. Noi non siamo semplicemente un insieme di persone che vogliono perseguire uno scopo, che si trovano bene insieme, che vivono comunitariamente. Noi siamo un insieme di persone che nel loro stare insieme rendono presente il Signore nell’oggi. E questo è anche lo stupore bello che dobbiamo vivere guardando alla nostra Comunità. Noi siamo una presenza di Dio per il mondo di oggi.

E allora, anche qui, il gesto che compiamo oggi, le prospettive che abbiamo davanti, il cammino che dobbiamo percorrere, non deve guardare ad altro, deve guardare al fatto che possiamo essere sempre di più presenza di Dio nel mondo.

Se noi ci perdessimo in contese tra di noi, nell’additarci tra di noi, in quelle che Paolo chiama “gelosie, invidie, maldicenze …”, ma noi non saremmo più presenza di Dio nell’oggi, perderemmo lo stupore e la gioia di essere presenza di Dio e serviremmo a nulla, diventeremmo insignificanti, perché la nostra ragione d’essere è di essere, come Comunità, la presenza del Signore, per tanta gente che incontriamo lungo il cammino. Se non siamo questa presenza del Signore non contiamo nulla, siamo inutili, è meglio chiudere, perché non abbiamo più il senso di quello per cui siamo stati chiamati e per la missione che abbiamo ricevuto. Sarebbe triste, è sempre triste quando nelle nostre Comunità si pensa ad altro che a questo.

Ma possiamo perderci in inutili gelosie, invidie, maldicenze, egoismi, arrivismi, inimicizie? Possiamo perderci in questo noi che siamo stati chiamati ad essere presenza di Dio e a vivere noi questo stupore? Perché altri lo possano avere lo stupore di riconoscere che il Signore c’è nella vita di una Comunità.

Allora oggi, mentre siamo qui insieme, mentre pensiamo a quello che dobbiamo fare, ritorniamo su questo grande aspetto che ci riguarda. Dobbiamo tendere tutti, tutte insieme perché in noi risplenda questa presenza e smetterla di rendere opaca questa presenza o addirittura di renderla impossibile a vedersi, a motivo di ciò che viviamo non in conformità a quanto in Signore ci chiede, perdendo tempo, perdendo tempo.

Ma oggi noi possiamo permetterci di perdere tempo col mondo che chiama? Possiamo permetterci  di perderci in cose inutili per affermare noi stessi, quando il mondo urge la presenza di Dio? Perché il mondo ha solo bisogno di presenza di Dio e noi siamo chiamati a esserlo.
Ma se non lo siamo? Allora aiutiamoci anche reciprocamente a esserlo, non aiutiamoci a non esserlo.

Un altro aspetto: nei giorni precedenti al Natale, due volte siamo ritornati su quella bella pagina del Vangelo nella quale San Giuseppe ha la notizia di ciò che Maria sta vivendo. Allora dice il Vangelo, annota con attenzione:  “Giuseppe considerava tra sé quello che avrebbe dovuto fare”,  perché si confrontava con la coscienza e davanti a Dio su quello che era più giusto fare. Interviene l’angelo che parla a Giuseppe, lo rassicura, gli indica, e Giuseppe prende la decisione in conformità a quello che l’angelo suggerisce al suo cuore. E poi il Vangelo annota: “Prese con sé Maria”. Noi dovremmo dire, in altre parole, che Giuseppe prese con sé il Mistero, del quale non capiva ancora. Davvero ha preso con sé il Mistero di Dio, che per lui non era comprensibile. Lo ha preso, si è fidato, lo ha custodito in attesa che questo Mistero prendesse forma e anche lui riuscisse a capire qualcosa. Mi pare che questo elemento del Natale, che poi ritorna continuamente, perché, se ci pensate, i Vangeli legati al Natale spesso riportano questa parola “custodire”, perché la Madonna custodiva, non capiva il Mistero, ma lo accoglieva nel suo cuore; la gente vicina a Elisabetta custodiva ciò che vedeva – Giovanni nasce, gli danno questo nome che non era pensato – e custodiva nel cuore questo Mistero che non comprendeva.

La nostra vita deve essere così, il Natale ce lo insegna: noi non possiamo capire tutto, noi vorremmo capire tutto, vorremmo avere le cose chiare, la Parola di Dio ormai definita, i programmi e i progetti stabiliti, pianificata ogni cosa, ma la vita della fede non è cosi. La vita della fede è accogliere il Mistero, custodirlo nel cuore, viverlo e attendere che questo prenda forma, divenga luminoso, chiaro. Questo dobbiamo viverlo personalmente, noi siamo custodi del Mistero. Quando noi accogliamo Gesù Bambino, noi accogliamo un Mistero nella nostra vita e non sappiamo dove questo Bambino ci porterà. E ogni volta a Natale è questa esperienza: lo accogliamo dentro di noi, ma non sappiamo dove ci porterà, però lo seguiamo, ci fidiamo. Questa deve essere la nostra vita e questo deve vivere anche la nostra Comunità; noi custodiamo comunitariamente un Mistero, che è il Mistero della chiamata di Dio, è il Mistero dell’amore con il quale Dio ha guardato la Comunità, è il Mistero di un disegno che Dio ha su questa Comunità. Ma lo comprendiamo del tutto? No, non lo comprendiamo del tutto. Lo custodiamo nel cuore e attendiamo, camminando insieme al Signore, che questo Mistero possa illuminarsi completamente.

Questo ha un aspetto anche, ovvero che noi non possiamo impoverire il Mistero secondo le nostre piccole, povere categorie, dobbiamo lasciare che il Mistero ci porti verso di sé. E questo lo viviamo in rapporto alla Parola di Dio: quante volte sminuiamo la Parola del Signore per cercare di comprenderla e averla noi in mano! E invece dobbiamo lasciarci condurre fuori dalla Parola del Signore, perché ci porti là dove noi non sappiamo e magari neanche a volte vogliamo. E così è sempre con Dio: dobbiamo vincere la tentazione di ridurre Dio alla nostra portata per lasciarci condurre noi là dove il Signore vuole, ad altezze che magari sono al di fuori della nostra portata. Questo di nuovo ci riguarda personalmente, questo ci riguarda come Comunità.

La nostra Comunità, guardando alla propria vita, guardando avanti a sé, non può ridurre il Mistero, non può ridurre Dio a se stessa e alla propria misura, deve lasciarsi portare, deve lasciarsi condurre da Dio, avere questa disponibilità del cuore, perché è soprattutto una disponibilità del cuore, un’apertura dell’animo, che non pretende di imporre al Signore i propri schemi, i propri tempi, ma si lascia imporre dal Signore i Suoi schemi, i Suoi tempi, i Suoi modi.

Una delle prime antifone “O”, meglio, proprio la prima, quella che noi cantiamo il 18 dicembre, è l’antifona che inizia con l’inno alla Sapienza: “O Sapienza…”, ed è sempre bello vedere il rapporto che c’è tra l’antifona (che nella Messa poi è il versetto dell’Alleluia) e il Vangelo che è proposto quel giorno, perché è proposto in relazione all’antifona, quindi l’antifona illumina la pagina evangelica e la pagina evangelica ci aiuta a capire la stessa antifona. In questo giorno, all’antifona che inizia con l’inno alla Sapienza e quindi dà a Dio il nome di Sapienza, corrisponde il Vangelo della genealogia. Perché? Perché la genealogia esattamente ci vuol mettere di fronte a questo: la Sapienza di Dio è diversa dalla sapienza degli uomini. Qual è il cuore della genealogia? Noi sappiamo che l’evangelista vuole stabilire il rapporto che c’è tra il Messia e la sua radice davidica, perché questo i giudei si aspettavano. E allora il fatto che realmente Gesù, il Messia, ria radicato nella discendenza di Davide viene incontro alle attese del popolo.

Però il fatto che questo Messia abbia come ascendenti delle persone cattive, dei peccatori, degli stranieri, tutto questo va al di là delle attese messianiche, scombina la sapienza umana. Ecco perché leggiamo questa pagina del Vangelo il giorno in cui cantiamo l’antifona “O Sapienza”, per ricordare che la Sapienza di Dio è diversa dalla sapienza di noi uomini.

Ecco cosa vuol dire lasciarsi portare dal Mistero di Dio, lasciarsi portare dalla Sapienza di Dio e imparare sempre di più a pensare non con i nostri schemi, ma col pensiero di Gesù. Cosa ci dice San Paolo? “Abbiate in voi il pensiero di Cristo”. Questo significa custodire il Mistero, rimanere in attesa che il Mistero illumini la vita e sgombrare il nostro cuore da noi stessi per lasciare che Dio vi entri e non pretendere di abbassare il pensiero del Signore al nostro, ma lasciare entrare dentro perché sia il pensiero del Signore davvero a condurci fuori di noi.

Queste parole, riflessioni, ci hanno aiutato a non perdere di vista oggi, in questo momento, la relazione col Signore, che deve caratterizzare il nostro stare insieme oggi e il nostro vivere questo atto, che fa parte della vita di una Comunità.

Dicevo all’inizio che il pericolo, che dobbiamo avere bene di fronte, presente, e che dobbiamo cercare di allontanare da noi, è di rendere questo atto un atto di mondanità.

Allora entriamo un po’ più, adesso, nello specifico. Il nostro atto è un atto di fede, è un atto religioso, che dobbiamo vivere così. Ma allora quali sono dei criteri importanti, che discendono da tutto questo, cioè dal fatto che noi stiamo vivendo in relazione al Signore, che stiamo vivendo avendo ben presente il Mistero che abbiamo celebrato e il Mistero sul quale ci siamo ancora soffermati. Il nostro non è un atto mondano se, quando io devo decidere, mi metto davanti al Signore e decido davanti al Signore, avendo come criterio guida il Signore e non altri criteri, altri elementi. Il mio non è un atto mondano se guardo a quello che dicevamo prima e cioè, io sto vivendo un atto con il quale desidero che la mia Comunità sia sempre di più una presenza del Signore in mezzo al mondo. Il mio non è un atto mondano se compio questo gesto chiedendo al Signore che mi indichi la strada migliore perché la Sua vita possa rendersi presente oggi.

Però il mio anche non è un atto mondano se metto da parte ciò che nel cuore non è secondo Dio. Perché nel cuore di ciascuno di noi c’è qualcosa che non è secondo Dio. Non è secondo Dio a riguardo le sorelle, perché le guardo con occhi umani e con occhi mondani. Non posso guardare così le sorelle quando compio questo gesto; devo purificare il cuore dalla mondanità, quella mondanità di cui parlavamo, fatta di gelosie, invidie, maldicenze, inimicizie, protagonismi. Devo sgombrare tutto questo, altrimenti compio un atto che è mondano e non religioso.

Nel compiere questo gesto e nel viverlo insieme, devo ricordare che siamo qui non per essere protagonisti mondanamente, non per emergere mondanamente, ma per rispondere a una chiamata di Dio, altrimenti la nostra è un’azienda. Noi siamo una Comunità che appartiene al Signore, e quindi anche in quello che io devo svolgere e nel fatto che io dia da svolgere a qualcuno un compito, il criterio guida è questo: servitori del Signore, solo questo, servitori del Signore. E il mio non è un atto mondano se vivo questo in un senso di grande e profonda comunione, perché non si tratta di affermare noi stessi, si tratta di affermare il Signore e il Signore si afferma soltanto se siamo nella comunione e ci vogliamo bene, se qualunque poi sia l’esito di quello che comporta questo gesto nella nostra Comunità ci vogliamo bene davvero, perché noi affermiamo il Signore e non affermiamo la nostra vita.

Ecco, spogliamoci di ogni mondanità e rivestiamoci di Gesù. Questo lo dobbiamo fare sempre nella vita, discende dal nostro incontro col Mistero del Natale, in questo momento deve caratterizzare il modo concreto in cui vivere questo momento della nostra vita e nella vita della nostra Comunità.

Trascrizione da audio non rivista dall’autore