“Di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi”
Benedettine, Isola di San Giulio
11 luglio 2016
Premessa
Il titolo di questa meditazione, come d’altra parte il tema che vi è trattato, si ispira a una bella e pregnante espressione di San Gregorio di Nissa. Mi è parsa particolarmente adatta per la presente circostanza. In effetti, ogniqualvolta si ha l’opportunità di fare una sosta nel cammino della fede, lì si ha anche la grazia di ricominciare, di dare vita a un nuovo inizio. Così, oggi, è per noi, che abbiamo il dono di ritrovarci a meditare e a pregare insieme per la festa di San Benedetto. La nostra di consacrate e oblati, infatti, è quasi una “statio” nel cammino della vita. Una “statio” dalla quale ripartire con rinnovato entusiasmo, assaporando la grandezza della misericordia del Signore, che mai si stanca di regalarci nuovi inizi.
I maestri di spirito ci hanno insegnato che il segreto di un cammino che voglia approdare felicemente alla meta della santità è proprio questo: sempre ricominciare. Introducendo la Regola, San Benedetto esorta i monaci a nuovi inizi: “Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l’incitamento della Scrittura che esclama: «E’ ora di scuotersi dal sonno!»”. Il Signore, questo ricominciare, lo concede senza stancarsi mai. Ecco perché “di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi”. E partendo da Dio – “Dio prima di tutto” -. Perché solo partendo da Dio e dalla Sua infinita grazia ci è possibile vivere inizi sempre nuovi. E’ ancora San Benedetto a ricordarlo ai suoi monaci, all’inizio del loro cammino: “Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama?”.
Questa nostra giornata, pertanto, si presenta a noi come opportunità preziosa per ridare impulso al nostro cammino spirituale. In altre parole: all’inizio di un tempo nuovo deve corrispondere anche l’inizio di un nuovo fervore nella vita della fede, un rinnovato desiderio di santità.
Catherine Mectilde de Bar, fondatrice delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua nel XVII secolo, era solita incoraggiare le sue consorelle così: “La santità, costi quello che costi!”. Anche noi, in questo contesto, quello di un nuovo inizio, ripetiamo a noi stessi con convinzione, determinazione e passione: “La santità, costi quello che costi!”. Lo ripetiamo nella felice consapevolezza che, come affermava Lacordaire: “L’amore solamente ha una parola, che pur dicendola sempre non la si ripete mai”. La nostra vita è immersa nell’Amore, si giustifica per l’Amore, è sostenuta dall’Amore. Proprio per questo non può essere ripetitiva; proprio per questo avverte l’esigenza di rinnovarsi, di crescere, di trovare vie nuove per esprimersi in forme sempre più radicali.
Dice un proverbio cinese che “l’amore è come la luna: se non cresce cala”. Non si dà una terza via nell’esperienza dell’amore. Non si può rimanere stabilmente appagati di ciò che si è conseguito in una storia di amore. L’amore è vivo solo se procede “di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi”.
D’altra parte, come saggiamente ci insegnano gli amici di Dio, ai grandi desideri deve sempre far seguito una programmazione concreta e realizzabile, perché i desideri coltivati nel cuore possano prendere forma nella vita. E’ anche la saggia parola di San Benedetto che, nel Prologo della Regola, afferma: “Il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni”. Si esige, allora da noi, la capacità di volare con le ali di un rinnovato desiderio di santità e, insieme, la volontà di tradurre il desiderio in scelte di vita puntuali, rigorose e generose. E questo, mi pare di poter suggerire, tenendo conto dei tre grandi ambiti che caratterizzano il nostro percorso spirituale: Dio, il prossimo, noi stessi. Sempre a partire da Dio, perché Dio prima di tutto. Altrimenti tutto cade, perché nulla ha vere fondamenta per edificarsi con sicurezza.
1. Il nostro rapporto con il Signore
Potrebbe sembrare strano, e forse anche scontato, ricordare che il nostro rapporto con il Signore è un rapporto di amore. Mi permetto di suggerire di non dare mai per acquisito, una volta per tutte, questo dato della nostra vita.
Per quale ragione è necessaria la vigilanza del cuore intorno a questo dato? Perché nessuno di noi è del tutto salvaguardato dal cadere in quella “trappola spirituale” che è l’abitudine stanca, abitudine anche alle realtà più grandi e sublimi, anche all’amore e all’amore di Dio.
Così ciò che dovrebbe coinvolgere per intero la vita, ovvero la relazione con Dio, diventa qualcosa che quasi si affianca alla vita; ciò che dovrebbe unificare intelligenza, volontà, sentimenti, affetti…insomma tutto di noi in una logica sponsale, diventa un semplice ideale, un’astratta regola di comportamento che non riscalda più il cuore e alla quale sovente ci rivolgiamo con pesantezza e con un senso frustrante di aridità.
Dio ci ama: lasciamoci amare e amiamolo con tutto il nostro cuore! All’inizio di un nuovo tempo, pertanto, ritroviamo l’Amore! Ritroviamo la ragione vera della nostra vita e della nostra vocazione, rinnoviamo l’esperienza di quel Cuore a cuore con Dio che è il senso della nostra consacrazione, della nostra oblazione e il segreto della nostra felicità. “Cor ad cor loquitur”, affermava anche per personale esperienza il beato John Henry Newman.
A tal fine, e per tradurre in programma di vita, ci serve una decisione. La traduco così, e in preghiera: “Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi Tu; non quando lo voglio io, ma quando lo vuoi Tu”. Proviamo ad affrontare ogni nostra giornata nella luce di questo proposito, tipico di un’anima innamorata. Che cosa definisce, infatti, un’anima innamorata? La volontà ferma di identificarsi con l’Amato. Viviamo per questo, per identificarci, da amanti, con l’Amato. E i giorni che passano non sono altro che un tempo a noi donato perché ci sia possibile realizzare sempre più questa identificazione di amore.
Santo Giovanna Francesca di Chantal ripeteva spesso nel segreto della sua preghiera: “O Signore, tutto quello che Tu vuoi, io lo voglio; tutto quello che Tu fai, io lo amo; tutto quello che Tu permetti, io lo adoro”. Se la nostra vita diventa l’espressione di questo desiderio, se le nostre scelte sono illuminate da questo slancio interiore e nessun altro interesse viene a distrarci, allora siamo immersi in una storia di amore autentico e rifiorisce di bellezza il nostro rapporto con Dio.
“Mio Signore e mio Dio – diceva San Nicola di Flue – togli da me quanto mi allontana da Te; dammi tutto ciò che mi conduce a Te; toglimi a me e dammi tutto a Te”. E’ percorrendo questa strada, la strada dell’identificazione con il Signore e la Sua volontà, che si percorre la via dell’amore. E noi la vogliamo percorrere senza esitazione e con slancio, iniziando un nuovo tempo della nostra vita.
► Per amare bisogna pregare e pregare tanto, tantissimo! Anzi, forse sarebbe più giusto dire che bisogna “diventare preghiera”, come si affermava a proposito di San Francesco di Assisi.
Sì, perché la preghiera non è semplicemente l’insieme delle parole che durante la giornata rivolgiamo al Signore; neppure la si può solo identificare con il tempo che doniamo a Dio. La preghiera autentica, che certamente è anche questo, è e deve essere soprattutto un atteggiamento del cuore, che non sa vivere senza mettersi in relazione con il Suo Signore. La preghiera è un dialogo ininterrotto di amore, per il quale Dio è l’Altro da noi senza del quale non ci è possibile vivere. Fintanto che non arriviamo a dire: “Senza di te non posso vivere, non c’è vero spirito di preghiera e neppure un autentico amore.
Così facendo si diventa noi stessi preghiera, perché la vita prende la forma di quel dialogo interiore e nascosto che riempie giorni, ore, istanti. In un certo senso cade la distinzione tra la preghiera e la vita, perché la vita rimane intrisa di preghiera e diventa tutta intera un inno di lode all’Amore.
La beata Madre Teresa, che sarà proclamata santa il prossimo 4 settembre, affermava di sé: “Io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, il Signore mi ha riempito il cuore di amore e così ho potuto amare i poveri con l’amore di Dio”.
Nel considerare il nostro rapporto con il Signore, all’inizio di un nuovo tempo della vita, non possiamo fare a meno di interrogarci sulla nostra vita di preghiera, sul primato che le diamo, sulla qualità che la caratterizza.
Non si dica che manca il tempo. Può mancare il tempo per l’Amore? Siamo onesti con Dio e con noi stessi. Non è il tempo che viene a mancare, ma lo slancio del cuore, il desiderio e la gioia dello stare con Dio. Proprio perché manca questo desiderio, la nostra preghiera risulta collocata alla fine di ogni altra urgenza. Proprio perché manca lo slancio di un cuore che ama viene meno la gioia di rimanere con Dio: del rimanere con Lui nel tempo che siamo chiamati a donargli e nel segreto dell’anima che vive istante dopo istante alla Sua presenza.
Mi sono spesso domandato dove abbiano trovato il tempo per tanta preghiera i santi. Eppure quali e quanto grandi opere essi hanno realizzato! Quale intensità di azione ha caratterizzato la loro vita! Erano innamorati e non potevano fare a meno di stare con Dio, questa è l’unica risposta possibile. Allora il tempo per la preghiera, come per incanto, si dilatava, e quel tempo non distoglieva dalle opere; anzi, dava alle opere una fecondità altrimenti impensabile. Forse, o anche senza forse, se le nostre opere e il nostro darci da fare non risultano fecondi è proprio perché non sono radicati nella preghiera, nell’Amore che sta a fondamento di tutto.
Dobbiamo essere generosi e coraggiosi nel programmare la nostra vita di preghiera!
2. Il nostro rapporto con gli altri
Per tornare alla beata Madre Teresa, mi pare che un episodio della sua vita possa offrirci materia di riflessione e preghiera a proposito della nostra relazione con il prossimo.
“Un giorno nella casa di Calcutta portarono una donna raccolta dal marciapiede, che versava in condizioni disperate: aveva il corpo ricoperto di piaghe purulente. Madre Teresa la accolse con tutta la dolcezza di cui era capace, la curò e la lavò. Quella povera creatura, però, nonostante tutte quelle attenzioni continuava a imprecare. La Madre, dal canto suo, continuava ad asciugarle il sudore e a inumidirle le labbra arse. Finalmente la donna esclamò: «Suora, ma perché fai così? Non tutti fanno come te, chi te lo ha insegnato?». Madre Teresa, con il candore della sua anima, rispose: «Me l’ha insegnato il mio Dio». E quella donna chiese: «Fammelo conoscere il tuo Dio». A questo punto Madre Teresa, abbracciandola, le donò l’ultima incantevole risposta. «Il mio Dio tu adesso lo conosci. Il mio Dio si chiama Amore»”.
Perché abbiamo ricordato questo episodio, un vero proprio fioretto nella vita della beata Madre Teresa? Perché ciascuno di noi è chiamato per vocazione a rendere la propria esistenza una trasparenza dell’amore di Dio. Questa è la carità, della quale è parte la misericordia! Questa è l’unica forma possibile della nostra relazione con i fratelli e le sorelle, chiunque essi siano. A cominciare da coloro con i quali condividiamo ogni giorno le gioie e i dolori, la bellezza e la fatica della vita comune, della quotidiana convivenza.
Non è forse necessario rivedere il nostro rapporto con gli altri alla luce di questa esaltante chiamata? Essere nel mondo un riflesso dell’infinito amore misericordioso del Signore: con le nostre scelte, i nostri gesti, le nostre parole, i nostri sguardi…la nostra vita in ogni suo aspetto dal più grande al più piccolo.
Giustamente, da più parti, si denuncia che uno dei grandi mali del nostro tempo, forse il male dei mali di questa epoca, è l’eclisse di Dio dall’orizzonte dell’uomo, dei singoli come della società. Davvero il grande problema dei nostri giorni è il venire meno della fede! Domandiamoci, allora: come possiamo essere artefici e protagonisti di una riproposizione di Dio ai nostri giorni? Come i nostri fratelli e le nostre sorelle potranno ritrovare la presenza di Dio nella loro vita? La risposta è: attraverso la nostra carità, ovvero attraverso una vita che sappia farsi tramite di un amore che il mondo non conosce, ma del quale ha assolutamente bisogno, l’amore di Dio, Dio Amore e Misericordia.
La vita di carità, dunque, non è solo un’urgenza che ha a che fare con il nostro personale cammino di santità. E’ anche un’urgenza che ha a che fare con l’evangelizzazione, la missione in questo nostro tempo.
► Avendo da realizzare una vita di carità nel contesto della vita comune, della famiglia, dei rapporti quotidiani, tornano alla mente alcune pagine del beato Luigi Orione che, non molto tempo fa, ho avuto la grazia di leggere con gusto, rimanendone allo stesso tempo molto stimolato.
Ve le ripropongo, anche per la capacità che queste pagine hanno di condurci alla concretezza della nostra vita quotidiana, dove l’esercizio della carità è destinato anzitutto a realizzarsi. Penso che potranno diventare oggetto di meditazione e, forse – perché no – anche di riflessione comunitaria.
“Una prova del nostro amore verso Dio è il vedere come amiamo il nostro prossimo… Il grado di gloria che godremo in Paradiso sarà quale sarà stata la carità che avremo avuto. Il Signore non ha detto che saremo premiati per quel che avremo fatto o detto; non per essere state madri badesse o maestre. Non dirà: perché tu suonavi bene, ricamavi bene, o sapevi parlare bene, vieni in Paradiso. Niente, niente! Il Signore guarderà il grado di carità che avrà avuto un’anima…
Guai ai monasteri dove sono i partiti; meglio sprofondassero! Partiti no, no. Abbiate tanta carità, abbiate più carità…
Attente bene: la ricchezza e la discordia mandano in rovina le comunità! E a volte, guardate, chi fa piangere la Chiesa sono proprio le discordie. Per mantenere la pace e la concordia nelle case, non ci vogliono sussurrone, pettegole! Tutti abbiamo i nostri difetti, dunque dobbiamo compatirci e accettarci nella carità…
La carità fraterna fa vincere l’amor proprio, toglie le rotture, i rancori. La tua ira non deve vedere il tramonto; se avete un minuto di rancore con una consorella, non lasciate cadere il sole, senza aver fatto pace…Abbiate molta carità fra voi; non vedete sempre tutto scuro, non interpretate tutto in male…Non aggiungete esca al fuoco; cercate sempre di spegnere. Guai ai mormoratori! Dovranno rendere conto a Dio! Guai a chi semina discordie. Sentite una cosa contro una persona? Fatela morire dentro di voi. Mia madre buon’anima, che non sapeva né leggere né scrivere mi raccomandava tutti i giorni: “Getta sempre acqua sul fuoco, non aggiungere legna. Se vedi uno zolfanello acceso, spegnilo, non attizzare il fuoco, mettici il piede sopra”.
Quando parlate guardate dall’essere come le vespe che, con il loro pungiglione, punzecchiano sempre. Guardatevi dalla satira, dalla parola che ferisce. Non dite: “L’ho detto per burla”. Non, no; le burla che spiacciono, le burla che offendono la carità, lasciatele da parte. Piacerebbe a voi essere derise? Non fate dunque agli altri quel che non vorreste fosse fatto a voi. Non siate di quelle che hanno sempre bisogno di combattere, di fare guerra; fuggite le contese, non contrariate per cose da niente.
Non siate di quelle che sono graziose con i superiori, e invece con le consorelle, con quelle che sono sotto di loro sono delle vere furie, che bisogna fare il segno della croce per avvicinarle…Cercate di togliere ogni rancore, ogni ripugnanza con le consorelle, per differenza di carattere o altro; vincetevi, vincetevi!
Aiutatevi, compatitevi l’un l’altra. Se avete qualche cosa da dirvi, ditelo con carità; non fate il muso lungo, non restate imbronciate, senza parlare; non è secondo lo Spirito del Signore…Ricordatevi che sarà molto dolce in punto di morte poterci dire: non ho offeso nessuno, ho cercato sempre di scusare, di compatire; per quanto ho potuto, ho cercato sempre di fare del bene a tutti, del male mai a nessuno”.
Queste le raccomandazioni puntuali di un santo! Un programma di vita riguardo alla carità per il nostro nuovo inizio.
E facciamo attenzione a non mancare di carità, mentre ascoltiamo queste parole, identificando negli altri i difetti elencati. Quei difetti sono anzitutto i nostri e in noi dobbiamo emendarli.
3. Il nostro rapporto con noi stessi
Per vivere con frutto il nostro rapporto con noi stessi può essere di qualche utilità fare memoria attenta della seguente regola di vita spirituale: “Chi ama un bene, odia il male contrario e la misura di questo odio è la grandezza di quell’amore”.
Ne consegue: il mio amore per il Signore trionfa nella mia vita nella misura in cui odio e detesto con tutto il cuore il peccato in ogni sua forma.
E’ chiaro, non stiamo scoprendo nulla di nuovo. E, tuttavia, siamo proprio sicuri di vivere ogni giorno e in modo coerente questa “ovvietà” del cammino spirituale e dell’itinerario di santità?
Se ci osserviamo con attenzione e senza nasconderci nulla, ci accorgiamo probabilmente che nella nostra vita, per tanti motivi, siamo scesi a patto con il peccato, in maniera più o meno evidente. Una certa abitudine alla mediocrità ci impedisce ormai di essere desti di fronte al male che abita il cuore, a quel difetto piccolo o grande nel quale ci imbattiamo sovente, a quell’abitudine che è diventata compromesso con lo spirito del mondo.
Lo dico con forza: tutto questo va odiato! Va odiato, per riprendere il termine poc’anzi usato. Se non lo odiamo, vuol dire che non amiamo abbastanza, che l’amore di Dio non è così ardente come dovrebbe essere. Dio e il peccato sono due realtà che non possono convivere insieme: per questo, se davvero amiamo Dio, non è possibile che vi sia in noi un clima incline al compromesso e alla convivenza con quanto contraddice Dio in noi.
Un lavoro, dunque, ci attende: quello per il quale siamo invitati a scoprire dove e fin dove l’abitudine al compromesso si è insinuata, dove e fin dove il peccato ha messo radice nel nostro cuore senza che vi facciamo più molto caso. Ci sono, probabilmente comportamenti, modi di pensare, stili di vita che, senza che ce ne accorgiamo più, contraddicono radicalmente la ricerca della santità e la nostra appartenenza al Signore. Dobbiamo sradicare, sradicare senza pietà!
Ricordiamolo: la misura dell’odio che nutriamo verso il male è corrispondente alla grandezza dell’amore che abbiamo verso Dio. E viceversa.
► A questo riguardo desidero invitarvi a volgere l’attenzione verso quelle forme, spesso piccole, anche molto piccole, di compromesso con lo spirito del mondo che si insinuano nella nostra vita ordinaria. Se è vero quanto affermava san Giovanni della Croce che il passero non può volare fino a tanto che non si libera anche dal piccolo ultimo laccio che lo tiene prigioniero, vale davvero la pena andare alla ricerca dei tanti piccoli lacci che ci impediscono il volo nel Cielo di Dio.
Si parlava di forme di compromesso con lo spirito del mondo. Pensiamo per esempio alla pratica dei voti. Quanti piccoli compromessi con lo spirito del mondo riguardo alla povertà, o alla castità, o all’obbedienza! Ma pensiamo in generale e per tutti noi, quanti piccoli compromessi per i quali troviamo le buone ragioni e le sottili scusanti per non abbracciare fino in fondo il Vangelo. Quanti piccoli compromessi che introduciamo nelle nostre abitudini con le motivazioni più varie. Siamo sicuri che questi compromessi siano secondo lo spirito del Signore? Che siano in sintonia con quella radicalità evangelica che è richiesta alla nostra vita?
Mettiamoli a nudo, questi compromessi. E con il coraggio dell’amore eliminiamoli dalle nostre abitudini. Non si perde l’appuntamento con la santità a motivo di grandi peccati, o comunque, non sempre. Il grande peccato spesso conduce al grande pentimento. L’appuntamento con la santità lo si perde sovente a motivo di quelle piccole infedeltà, per le quali la vita si è un po’ alla volta impantanata nella mediocrità più triste e noiosa, piccole infedeltà delle quali non ci sia accorge più e per le quali non si chiede più neppure il perdono.
All’inizio di un nuovo tempo della vita è con questo intendimento che ci disponiamo. Un intendimento che ci fa dire: bando alla mediocrità, al compromesso, alle mezze misure! Sì alla radicalità del Vangelo, al tutto per il Signore, alla santità!
Perché questo divenga una quotidiana realtà mi permetto di suggerire la fedeltà nella verifica regolare della propria vita. Se perdiamo la bella abitudine di guardare davanti a Dio il nostro percorso spirituale, di osservarci alla luce della Parola del Signore, diventa inevitabile che si insinui il compromesso con lo spirito del mondo. E’ questione di vigilanza, dobbiamo essere vigilanti. Troppo prezioso è il tesoro che portiamo nei nostri vasi di creta.
Conclusione
“Di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi”. E’ tanto consolante fare memoria di questa parola di San Gregorio di Nissa! E’ una parola bella, che traduce la verità della pazienza infinita che il Signore ha con noi e con il nostro spesso zoppicante itinerario spirituale. A volte ci pare così arduo, questo itinerario! Eppure è così bello. E poi nulla è impossibile a Dio. A patto che Dio venga prima di tutto. Perché più ci affidiamo a Lui e più tutto diventa possibile. Per questo San Benedetto esortava i suoi monaci così: “Prima di tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di portare a termine tutto quanto di buono ti proponi di compiere”.
C’è, poi, un passaggio, nel libro degli Atti degli Apostoli, che ha sempre attirato la mia attenzione e sempre ha dato fondamento alla mia speranza. E’ un’annotazione che il Signore stesso fa rivolgendosi ad Anania, esortandolo a recarsi presso Saulo, all’indomani della sua conversione sulla via di Damasco: “Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo; ecco, sta pregando…”. E’ questo “ecco, sta pregando”, che mi colpisce. Come a dire: sta pregando, quindi potrà capitare di tutto. E così è stato: è capitato di tutto. Paolo, da persecutore della Chiesa, è diventato il grande protagonista dell’annunzio del Vangelo nel mondo pagano. La potenza straordinaria della preghiera. Dio prima di tutto!
Mi avvio a concludere con un racconto semplice quanto ricco di significato. Un bambino che frequentava il catechismo aveva ascoltato il suo catechista dire che Dio è grande. Tornato a casa si rivolse al papà e gli chiese. “Quanto è grande Dio?”. L’uomo prese il figlio per mano e lo portò a fare una passeggiata. A un certo momento, mentre nel cielo passava un aereo, invitò il bambino a guardare in alto e gli chiese: “Lo vedi quell’aereo? E’ grande quell’aereo?”. E il bambino con sorpresa gli rispose: “Sì, papà”. Poi il papà, continuando la passeggiata, condusse il figlio in un aeroporto e lo portò sulla pista di atterraggio vicino a un aereo in sosta. Poi chiese al bambino: “E’ grande questo aereo?”. E il bambino, ancora sorpreso, rispose: “Sì, papà, è tanto grande. “Ma – riprese il papà – è più grande questo che vedi ora sulla pista o quello che vedevi prima in cielo?”. Il figlio non ebbe esitazioni: “E’ molto più grande questo, papà!”. L’uomo concluse allora il suo insegnamento: “Tu mi hai chiesto quanto è grande Dio. Ora hai capito che Dio è tanto grande quanto noi gli siamo vicini”.
E’ proprio così. Dio è tanto grande nella vita, la Sua presenza ci avvolge nella misura in cui noi ci avviciniamo a Lui. Se teniamo le distanze, la grandezza splendida della Sua presenza non la possiamo sperimentare. Come amava affermare Santa Teresa d’Avila: “Dio non si dà del tutto se non a coloro che del tutto si danno a Lui”.
Quindi, “di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi”. E’ entusiasmante, possibile. Ma a partire da Dio. Dio prima di tutto, e la nostra vita non potrà che brillare della Sua bellezza.