Domeniche e Solennità – Anno C

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Domeniche e Solennità – Anno C

 

I Domenica di Avvento
“Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene”. In questa parola pronunciata dal profeta Geremia trova risposta l’attesa che percorre la storia: quella di un Salvatore. Ora, quell’attesa è compiuta, perché il Salvatore è con noi. siamo invitati a rinnovare la gioia per il dono inestimabile del Figlio di Dio fatto uomo per noi uomini e per la nostra salvezza.
Rinnoviamo, dunque, con sant’Ireneo, la gioia della nostra fede: “Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come ‘segno’ della nostra salvezza colui che è nato dalla Vergine, è l’Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza. Questo indica che non da noi, ma da Dio, che ci aiuta, abbiamo la salvezza”.
Non dimentichiamo, però, il terribile dramma di coloro che, ancora privi dell’incontro con Dio in Gesù, potrebbero fare proprie le parole amarissime di Kafka: “Un’immagine della mia esistenza sarebbe una pertica inutile, incrostata di brina e di neve, infilata obliquamente nel terreno, in un campo profondamente sconvolto, al margine di una grande pianura, in una buia notte invernale”. Il tempo di Avvento rinnovi in noi il desiderio ardente di annunciare a tutti e sempre Gesù, il Salvatore.

II Domenica di Avvento
“Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”, proclama il profeta Isaia al popolo lungamente e duramente provato. Il tempo della consolazione pare avvicinarsi. Come è bello pensare che per noi il tempo della consolazione si è fatto presente, è compiuto! Gesù è la nostra grande Consolazione!
Entriamo dentro l’esperienza beatificante della consolazione, con la stupenda preghiera di Santa Gertrude di Helfta: “O vita della mia vita, possano gli affetti del mio cuore accesi dalla fiamma del tuo amore, unirmi intimamente a Te. Possa la mia anima essere come morta riguardo a tutto ciò che potrebbe cercare all’infuori di Te. Tu sei lo splendore di tutti i colori, la dolcezza di tutti i sapori, la fragranza di tutti i profumi, l’incanto di tutte le melodie, la tenerezza dolcissima dei più intimi amplessi. In Te si trova ogni delizia, da Te scaturiscono acque copiose di vita, a Te attira un fascino dolcissimo, per Te l’anima si riempie degli affetti più santi. Tu unisci in Te tutti gli incanti di un’intima dolcezza. Tu accarezzi con soavità, ami con dolcezza, prediligi con ardore, o Sposo dolcissimo e gelosissimo. Tu sei un fiore primaverile di pura bellezza, o Fratello mio amabilissimo. Io preferisco Te ad ogni creatura, per Te rinuncio ad ogni piacere, per Te sopporto ogni avversità, non cercando in ogni cosa che la tua lode. Col cuore e con la bocca confesso che Tu sei il Principio di ogni bene”.

III Domenica di Avvento
“Giovanni evangelizzava il popolo”, afferma il vangelo di san Luca. Noi siamo chiamati alla sua stessa missione. Ma come realizzarla nella quotidianità della nostra vita?
Ascoltiamo Madeleine Delbrel: “Inizia un altro giorno. Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato. Ha camminato in mezzo agli uomini. Con me cammina tra gli uomini di oggi. Incontrerà ciascuno di quelli che incrocerò per la strada, altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri, altri eruditi e altri ignoranti, altri bimbi e altri vegliardi, altri santi e altri peccatori, altri sani e altri infermi. Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare. Ciascuno, colui che è venuto a salvare. A coloro che mi parleranno, egli avrà qualcosa da dire. A coloro che verranno meno, egli avrà qualcosa da dare. Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo. Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere. Nel tumulto, la sua pace da portare”
La nostra missione nel mondo possa essere come l’eco delle parole dell’antico profeta. E sia un invito alla gioia della salvezza: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”.

IV Domenica di Avvento
Maria, che in fretta raggiunge la cugina Elisabetta, portando nel proprio grembo il Signore Gesù, è per tutti noi anche l’esempio nell’annuncio del Vangelo. La vita di Maria, santificata dalla presenza del Verbo fatto carne in lei, ci ricorda la necessità della santità personale nella missione della trasmissione della fede.
Scrive il beato Paolo VI nell’Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”: “Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza, ci domandano: Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino a un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo… Il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia loro familiare, come se vedessero l’Invisibile. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda”.

25 dicembre. Natale del Signore
“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Ascoltando queste parole angeliche rivolte ai pastori, torna alla mente ciò che scriveva Angelo Silesio, nella sua opera, “Il Pellegrino cherubico”: “Dipende solo da te: Ah, potesse il tuo cuore diventare una mangiatoia! Dio nascerebbe bambino di nuovo sulla terra”. Solo a questa condizione il Natale è veramente Natale!
Ascoltiamo una riflessione natalizia di Papa Francesco: “Il Natale è la festa della fede nei cuori che si trasformano in mangiatoia per ricevere Lui, nelle anime che permettono a Dio di far germogliare, dal tronco della loro povertà, il virgulto di speranza, di carità e di fede. Il Natale ci ricorda però che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede sulla quale dobbiamo interrogarci; una fede che non ci anima è una fede che deve essere animata; una fede che non ci sconvolge è una fede che deve essere sconvolta. In realtà, una fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede, che potrebbe realizzarsi quando arriverà a coinvolgere il cuore, l’anima, lo spirito e tutto il nostro essere, quando si permette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore, quando permettiamo alla stella di Betlemme di guidarci verso il luogo dove giace il Figlio di Dio, non tra i re e il lusso, ma tra i poveri e gli umili”.

Domenica fra l’Ottava di Natale. Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
In questa Domenica la Chiesa celebra la festa della Santa Famiglia. In tal modo, guardando a Maria e a Giuseppe, gli occhi di tutti noi indugiano ancora, con meraviglia e gioia, sul volto divino del Bambino Gesù, che oggi troviamo tra i dottori nel Tempio di Gerusalemme.
Prolunghiamo la nostra contemplazione con una splendida preghiera del beato Paolo VI: “Cristo Gesù, la tua venuta nel mondo è sorgente di vera e di grande gioia. La felicità, la pienezza di vita, la certezza della verità, la rivelazione della bontà e dell’amore, la speranza che non delude, la salvezza, finalmente, a cui ogni uomo aspira, è a noi concessa, è a nostra disposizione e ha un nome, un nome solo, il tuo: Cristo Gesù. Tu sei il profeta delle beatitudini, tu sei il consolatore di ogni umana afflizione, tu sei la nostra pace, perché tu, tu solo sei la via, la verità, la vita. Noi proclamiamo che il tuo avvento fra noi, o Cristo, è la nostra fortuna, è la nostra felicità. Solo il tuo Natale può rendere il mondo felice. Chi segue te, Cristo, come tu stesso ci hai assicurato, non cammina nelle tenebre. Tu sei la luce del mondo. E chi guarda te vede rischiararsi i sentieri della vita; sono sentieri aspri e stretti, alle volte; ma sono sentieri sicuri, che non smarriscono la meta, la meta della vera felicità. Tu sei, Cristo, la nostra felicità e la nostra pace, perché tu sei il nostro Salvatore”.

II Domenica dopo Natale
Nel Prologo del suo vangelo, San Giovanni contempla il mistero dell’Incarnazione: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.
Quale notizia può essere più bella per la nostra vita? Dio si fa uno di noi e viene ad abitare la nostra terra; viene a mostrarci lo splendore del Suo infinito amore, viene per poter essere amato da noi. In una sua celebre Romanza, san Giovanni della Croce si esprime così:
“Svela la tua presenza, e mi uccida il veder la tua bellezza;
guarda che sofferenza
d’amor, non la si cura se non con la presenza e la figura”.
Il Verbo fatto carne, Dio divenuto uomo, cura con la sua “presenza e figura” la nostra “sofferenza d’amor”.
Nella solennità dell’Epifania, a proposito dei Magi, si dice che, dopo aver visto e adorato il Bambino Gesù, “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Anche per noi l’incontro rinnovato con Gesù, nel suo Natale, non può che farci cambiare strada nella vita, aiutandoci a vivere con crescente conformità al Vangelo. Nulla può essere come prima quando si è incontrato il Signore! Come dice san Giovanni della Croce: “La proprietà dell’amore è rendere Colui che ama uguale alla cosa amata”.

6 gennaio. Epifania del Signore
L’Epifania è da noi celta come la solennità liturgica nella quale ricordiamo anche tre sostanze ricche di significato simbolico: l’oro, l’incenso e la mirra. Ascoltiamo, infatti, nella pagina evangelica: “Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2, 11). Al di là del significato individuale di questi doni, qual è il messaggio che scaturisce da una loro visione d’insieme? Quei doni rappresentavano ciò che di più prezioso e importante potevano donare al Bambino Gesù gli uomini venuti dall’oriente, i Magi. Entrare nella logica del testo sacro significa allora disporci a donare al Signore, quest’oggi, ciò che abbiamo di più prezioso. Ciascuno è capace di riconoscere nella propria vita ciò che ha di prezioso, a cui è legato, e che magari ancora non ha avuto il coraggio di donare al Signore, per viverlo del tutto nella sua volontà. Oggi è il giorno indicato per fare questo atto di coraggio, di fede e di amore. Tutto è di Dio e tutto deve tornare a Dio. Forse ciò che di più prezioso in questo momento abbiamo nelle mani è il nostro “io”; e forse non lo vogliamo offrire senza riserve al Signore. Prendiamo esempio dai Magi e facciamo dono di questo tesoro prezioso al santo Bambino di Betlemme, ricordando che siamo opera sua.

Battesimo del Signore
Riascoltiamo oggi, nel vangelo di san Luca, le parole che il Padre, presso il Giordano, rivolge a Gesù: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Queste stesse parole vengono rivolte anche a noi, nella misura in cui la vita di Gesù diviene la nostra vita. Infatti, se viviamo in grazia, in comunione di amore con Gesù, Dio Padre vede in noi i lineamenti del proprio Figlio, ci apre le porte del Suo cuore e anche a noi dice: “Tu sei il figlio mio, l’amato”. Ecco perché, come afferma il Vangelo, i cieli si aprì: in Gesù si riapre per noi la porta del Paradiso. La festa del Battesimo di Gesù, pertanto, ci aiuta a considerare la nostra identità di salvati, in virtù di Colui che è il nostro Salvatore. Preghiamo insieme a san Bernardo di Chiaravalle: “Signore Gesù, Tu sei nato per noi, ti sei fatto bambino per noi, sei venuto per noi. La tua venuta è per noi necessaria, o Salvatore nostro: è necessaria la tua presenza. Vieni nella tua immensa bontà, abita in noi per la fede e illumina la nostra cecità! Rimani con noi e difendi la nostra fragilità! Se Tu sei con noi, chi ci potrà ingannare? Se Tu sei con noi, che cosa non potremo in Te, che ci dai forza? Se Tu sei per noi, chi sarà contro di noi? Tu sei venuto nel mondo, Gesù, per abitare in noi, con noi e per noi, per schierarti dalla nostra parte, per essere il nostro Salvatore”.

II Domenica del Tempo Ordinario
“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”. In questa parola che l’apostolo Paolo rivolge ai cristiani di Corinto, ci è data l’opportunità di considerare, nella preghiera, la realtà bella della vocazione che il Signore ci ha riservato, qualunque essa sia. Ecco, al riguardo, parole ispirate di un autore contemporaneo: “Vocazione. È la parola che dovresti amare di più. Perché è il segno di quanto sei importante agli occhi di Dio. È l’indice di gradimento, presso di Lui, della tua fragile vita. Sì, perché, se ti chiama, vuol dire che ti ama. Gli stai a cuore, non c’è dubbio. In una turba sterminata di gente risuona un nome: il tuo. Stupore generale. A te non aveva pensato nessuno. Lui sì! Più che “vocazione”, sembra una “evocazione”. Evocazione dal nulla. Puoi dire a tutti: si è ricordato di me. E davanti ai microfoni della storia (a te sembra nel segreto del tuo cuore) ti affida un compito che solo tu puoi svolgere. Tu e non altri. Un compito su misura… per Lui. Sì, per Lui, non per te. Più che una missione, sembra una scommessa. Una scommessa sulla tua povertà. Ha scritto “T’amo” sulla roccia, sulla roccia, non sulla sabbia come nelle vecchie canzoni. E accanto ci ha messo il tuo nome. Forse l’ha sognato di notte. Nella tua notte. Alleluia. Puoi dire a tutti: non si è vergognato di me”.

III Domenica del Tempo Ordinario
“Le tue parole, Signore, sono spirito e vita”. Il ritornello del salmo responsoriale della santa Messa domenicale da preghiera diviene orientamento per il nostro cammino, in virtù di quanto ci viene suggerito da Madeleine Delbrel: “Ma il Vangelo non è un libro fra i libri. Non è una parola di uomo fra parole di uomo: è la Parola del Verbo di Dio, è il Verbo di Dio fatto vita umana da contemplare e da raccontare. In esso c’è una virtù che illumina e che trasforma, un dono di Dio permanente e potente. Ma ogni dono di Dio non si riversa che nelle mani della fede; ogni dono di Dio non si riceve che nelle profondità vertiginose della speranza. Il Vangelo, perché apra il mistero che è in lui, non chiede né scenario né erudizione, né tecnica speciali. Chiede un’anima prosternata nell’adorazione e un cuore spoglio da ogni affidamento umano. La luce del Vangelo non è un’illuminazione che ci rimanga esterna: è un fuoco che esige di penetrare in noi per operarvi una devastazione e una trasformazione. E’ fatto per discepoli che vogliono obbedire. Non ci dobbiamo quindi meravigliare dei cammini interminabili e dolorosi, dei rivolgimenti intimi che ciascuna di quelle parole induce in noi. Non bisogna arrestare questa sorta di caduta della parola in fondo a noi stessi. Ci è necessario il coraggio passivo di lasciarla agire, in noi”.

IV Domenica del Tempo Ordinario
Geremia vive una duplice esperienza spirituale (1, 4-5.17-19). Il profeta, anzitutto, percepisce l’amore di Dio come una realtà splendida che lo precede. Egli si sente abbracciato dal Signore prima ancora del suo ingresso nel mondo. Questa esperienza spirituale è anche la nostra. L’amore di Dio, infatti, è qualcosa che ci precede sempre: prima di ogni nostra azione, parola, decisione sta l’amore del Signore che ci previene con fedeltà. In questa esperienza mette radice l’atteggiamento della gratitudine, colma di meraviglia, che caratterizza la vita di fede.
Geremia, in secondo luogo, è inviato ad annunziare la Parola di Dio. L’invio non ammette ritardi ed è accompagnato dall’assicurazione del sostegno del Signore. Il profeta avverte che non gli è possibile tirarsi indietro. Ma al timore per l’alta missione affidatagli si accompagna la fiducia che deriva dalla promessa di aiuto che gli è assicurata. La stessa esperienza spirituale si rinnova anche per noi. Avvertiamo, infatti, che il dono della fede chiede la passione per l’annuncio coraggioso e fedele della salvezza. Non è possibile farsi da parte, senza tradire l’amore con il quale il Signore ci ha chiamato. Ma nel cuore si fa strada anche la consolante certezza, che deriva dalla voce stessa di Dio: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.

V Domenica del Tempo Ordinario
“Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. In queste parole bellissime si rispecchia la consapevolezza di Pietro al cospetto di Gesù. Chi di noi è senza peccato davanti a Dio? Per questo è sempre importante rinnovare il senso del peccato in vista del pentimento e della conversione. Scrive sant’Agostino: “Sospiravo, ma mi teneva legato, non la catena altrui, bensì quella della mia volontà. Il nemico era padrone del mio volere e aveva, di questa padronanza, costruita una catena, con cui mi teneva avvinto. Quando la volontà trasgredisce, ecco formata la passione, e mentre si serve alla passione, ecco formata l’abitudine, e mentre non si resiste all’abitudine, ecco formata la necessità”. “Che cosa importa se ti schiaccia il piombo oppure la sabbia? Il piombo è una massa compatta, la sabbia sono tanti piccolissimi granelli, ma il loro numero ti schiaccia! Anche i peccati possono essere come gocce. Ma non vedi come con tante piccole gocce possono gonfiarsi i fiumi e inondare le campagne? Gocce sottili, ma sono tante!”. “Dove fuggi, schiavo del peccato? Dovunque tu vada, porti te stesso. Hai commesso un peccato per procurarti un piacere. Cattivo commercio! Il piacere è passato ed è rimasto il rimorso. Non ti rimane che gridare alto nell’aria la tua voglia di libertà e colui che è libero ti libererà”.

VI Domenica del Tempo Ordinario
“Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. San Paolo, riafferma con forza e con gioia questo annuncio che a Corinto qualcuno metteva in dubbio. Nel giorno del Signore, Pasqua settimanale, partecipiamo alla gioia di questo annuncio che sta al cuore della fede.
Sant’Agostino si rivolgeva così alla sua gente, a proposito dell’Alleluia della risurrezione: “Giacché piacque al Signore Dio nostro che qui cantassimo l’Alleluia, espressione che significa “Lodate il Signore”, lodiamo dunque il Signore, fratelli, con la vita e con la voce, con il cuore e con le labbra, con le parole con le azioni. Qui sulla terra, mentre siamo ancora travagliati, cantiamo dunque l’Alleluia, perché un giorno in cielo possiamo cantarlo pacificati. O felice Alleluia in cielo! Senza inquietudini! Senza contrasti! Dove non c’è alcun nemico, non perdiamo nessun amico. Là risuonano le lodi a Dio; e anche qui si levano le lodi a Dio, ma qui dal cuore di chi è nella tribolazione, là dal cuore di chi è nella pace. Qui da chi dovrà morire, là da chi vivrà in eterno. Qui nella speranza, là nella realtà. Qui avanzando nel cammino, là giunti in patria. E dunque fratelli miei ora canteremo l’Alleluia, non per rallegrare il nostro riposo, ma per alleviare il nostro sforzo. Così come cantano i pellegrini: canta e cammina, consola col canto la fatica, non assecondare la pigrizia. Canta e cammina. Che cosa vuol dire: cammina? Progredisci, progredisci nel bene”.

VII Domenica del Tempo Ordinario
La pagina del vangelo ci lascia un po’ sconcertati. In effetti le parole di Gesù appaiono tremendamente esigenti. “A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Come è possibile amare così? E’ la naturale osservazione che sorge dal nostro cuore. Eppure, se da una parte questa è la nostra immediata reazione, sappiamo anche che il Vangelo è “buona notizia” in quanto, per grazia, siamo introdotti in una vita nuova, nella vita stessa di Dio. Gesù non è venuto a dirmi. “Tu devi”. E’ venuto, prima ancora, a dirmi: “Tu puoi”. Perché sei salvato e il tuo cuore è rinnovato dall’amore di Dio.
Questa è la grande novità che il cristiano è chiamato a portare con sé nella vita di tutti i giorni: il fascino dell’amore di Dio di cui egli è stato reso capace. E questa è la carità. Proprio in virtù della carità, nella nostra vita e nelle nostre parole è possibile contemplare e toccare la bellezza della misericordia del Signore. Custodiamo questo dono inestimabile con la preghiera. Custodiamolo con la vita di grazia. Custodiamolo con la nostra partecipazione fedele alla Messa: cibarsi del corpo e del sangue del Signore, infatti, è la sorgente principale di quella straordinaria trasformazione del cuore, che da umano diventa in qualche modo divino.

VIII Domenica del Tempo Ordinario
“E’ bello rendere grazie al Signore”, ripetiamo con il ritornello del Salmo responsoriale in questa Domenica, ormai prossima all’inizio del percorso quaresimale. Tutta la nostra vita è chiamata a essere un rendimento di grazie a Dio, a motivo dei tanti doni con i quali egli la arricchisce ogni giorno, dall’inizio alla fine del nostro pellegrinaggio.
Centro e cuore del nostro “grazie” è sempre la celebrazione eucaristica, nella quale facciamo memoria delle meraviglie operate da Dio a nostro favore e, in particolare, della “meraviglia delle meraviglie” che è il mistero della nostra salvezza in Gesù risorto da morte per noi.
Oggi, l’apostolo Paolo ci aiuta a individuare un motivo particolare del nostro rendimento di grazie, un motivo che ci porta al cuore dell’opera della redenzione: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!”. In Gesù vinta è la morte perché vinto una volta per sempre è il peccato. Ciò che sarebbe stato impossibile agli uomini è divenuto possibile per la grazia di Dio e il suo amore per noi. Davvero “è bello rendere grazie al Signore”.

I Domenica di Quaresima
La Chiesa definisce la Quaresima “segno sacramentale della nostra conversione”. In quale modo viverla con frutto? Dice, al riguardo, san Bernardo: “Stai attento con cura a ciò che ami, a ciò che temi, di che cosa ti rallegri o ti rattristi e troverai sotto l’abito religioso un abito mondano, sotto i panni della conversione un animo perverso. Tutto il cuore infatti è in questi quattro affetti, e credo che a questi si riferisca quello che si dice, di convertirsi con tutto il cuore al Signore. Si converta allora il tuo amore, in modo che non ami nulla, se non Lui, o certamente a causa di Lui. Si converta anche a Lui il tuo timore, perché è ingiusto ogni timore per il quale tu temi qualcosa oltre Lui, o non a causa Sua. E così anche la tua gioia, e ugualmente la tua tristezza si convertano a Lui.
E questo avverrà se non ti rattristerai o ti rallegrerai se non secondo Lui”.
A vivere la nostra personale e mai definitiva conversione ci aiuta anche il ricordo dell’esperienza di un celebre convertito: Gilbert K. Chesterton. Il geniale letterato inglese, nel 1922, dopo la sua conversione e la prima confessione, esclamò: “Quando mi inginocchiai davanti al sacerdote e confessai le mie colpe, il mondo si rovesciò davanti a me… e divenne dritto”.

II Domenica di Quaresima
Raccontando l’episodio della Trasfigurazione, san Luca è attento ad annotare, alla conclusione della visione luminosa che riempie di stupore gli apostoli presenti, le parole che il Padre rivolge loro: “Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo!”. La voce del Padre era già risuonata, con simili accenti, sulle rive del Giordano, al momento del Battesimo. E già allora per sottolineare l’identità di Gesù e invitare all’ascolto della Sua parola. Ora, questo rinnovato invito all’ascolto avviene quando il Signore sta per incamminarsi verso Gerusalemme, luogo della Sua Morte e Risurrezione. Il significato è chiaro e non si presta a fraintendimenti: tutta la vita del discepolo è ascolto di Gesù che parla e sequela di Gesù nella logica di un amore traboccante fiducia. Con Gesù, il discepolo percorre qualunque strada, anche quella che conduce alla morte e alla risurrezione. In questa condivisione incondizionata della vita del Signore sta la salvezza del discepolo, la nostra salvezza. Oggi, riascoltando la voce del Padre, vogliamo affermare ancora una volta: “Dove sei Tu voglio essere anch’io! Dove vai Tu voglio andare anch’io!”.

III Domenica di Quaresima
“Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Con queste parola Dio si rivolge a Mosè, presso il roveto ardente. L’identità di Dio, che si rivela quale protagonista delle vicende della storia del suo popolo, ci conduce a rinnovare il senso del primato di Dio nella nostra vita. Ricordiamo, al riguardo, tre importanti inviti.
Anzitutto, fermarsi: per trovare spazio e tempo per Dio in un più prolungato silenzio e in un più intenso raccoglimento. Per noi, che siamo sempre “in fuga nel tempo”, è quanto mai prezioso riscoprire la gioia e la bellezza del “tempo per Dio”, della sosta orante alla presenza del Signore del tempo. Poi, guardare: per avere quella profondità di sguardo, in virtù della quale diveniamo capaci di andare oltre le apparenze, scoprendo in tutto la presenza amante e provvidente del Signore. Tutto è grazia, per chi sa guardare con gli occhi della fede. E’ importante abituarsi a questo “vedere” contemplativo. Infine, ritornare: al fine di riconoscere di aver smarrito la strada che porta alla meta. Tutti abbiamo peccato, tutti siamo caduti, tutti ci siamo adagiati in una vita spirituale mediocre, tutti abbiamo tradito, in qualche modo, l’amore del Signore. Dobbiamo fare ritorno alla casa di Dio, dobbiamo ritrovare.

IV Domenica di Quaresima
Il salmo responsoriale di questa Domenica ci esorta a ripetere e a cantare: “ Gustate e vedete com’è buono il Signore”. La sua bontà è il suo infinito amore per noi. Lo ricorda il bellissimo racconto della parabola del figlio perduto e poi ritrovato: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Così è l’amore di Dio.
Non finiremo mai di sostare, con gratitudine ed esultanza, su questa parola di Gesù che ci rivela il Cuore di Dio. Gesù è il segno e la realtà di questo amore che ci dona tutto, perché ci porta la salvezza, che è liberazione dal peccato, dal male e dalla morte, pienezza di vita e promessa di eternità. La Quaresima è il tempo del “ritorno a Dio”. Questa è la conversione che ci è richiesta e che, ancor prima, ci è donata. Perché convertirsi è un dono inestimabile. E ritornare a Dio significa ritornare a quell’Amore che dona senso alla nostra vita, a quel che abbiamo e siamo. Significa ritornare a Gesù! Gesù, dunque, torni a risplendere nella nostra intelligenza, perché il nostro pensare sia sempre illuminato dalla luce della sua Parola. Gesù torni a risuonare sulle nostre labbra, perché il nostro linguaggio sia comunicazione del Vangelo che salva. Gesù torni ad abitare nel nostro cuore, perché la nostra vita sia un riflesso della bellezza della fede.

V Domenica di Quaresima
“Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui”. Queste parole dell’apostolo Paolo segnano la nostra Domenica e il nostro itinerario quaresimale. E ci interpellano.
Sorge in noi spontaneo l’interrogativo. La mia vita cristiana è animata da una vera passione di amore per Gesù? Dedico ogni giorno, parte del mio tempo, all’incontro con Gesù, nell’ascolto della sua parola e rimanendo a lungo davanti alla sua presenza eucaristica? Proviamo a formulare questa preghiera: “Signore, tieni acceso in me il desidero ardente di guadagnare te!”.
Lasciamoci ancora interrogare. Con la mia vita e con la mia parola, permetto agli altri di vedere Gesù? Sono un riflesso fedele della Sua presenza d’amore nel mondo, facendone vedere la luminosità del volto? La mia vita porta in sé i segni della bellezza della vita di Gesù? Proviamo a formulare una seconda preghiera: “Signore, aiutami a fare in modo che, attraverso di me, ti si possa vedere e incontrare”.
Questo tempi di grazia e di conversione ci conduca a lasciare tutto quello che impedisce a Gesù di essere il centro e il cuore della nostra vita e di ogni nostra giornata.

Domenica delle Palme e della Passione del Signore
La settimana che ha inizio è caratterizzata da un unico, grande desiderio: “Rimanere con Gesù”. Per rivivere passo dopo passo il mistero della nostra salvezza; per contemplare sul suo volto la luce di un Amore infinito che trionfa sul male, sul peccato e sulla morte; per entrare nel suo Cuore, innamorato di noi e piagato per noi, e finalmente deciderci di stare dalla sua parte ogni giorno della vita.
In questa Domenica abbiamo la grazia di riascoltare per intero il racconto della Passione. Sarebbe bello, nel segreto della nostra preghiera personale, riprendere in mano quel racconto, per gustarlo, meditarlo; e commuoverci al pensiero che tutto è avvenuto per noi, per me. E trarne, poi, alcune conseguenze. Ognuno potrà trovare le sue.
Eccone alcune possibili. Scrive G.K. Chesterton: “Gli uomini segnati dalla Croce di Cristo vanno lieti nel buio”. Ecco una conseguenza: rimanere segnati dalla Croce di Gesù e scoprirvi le ragioni della speranza, della gioia, del coraggio. In una parola, della salvezza. Ripeteva spesso il beato Charles de Foucauld: “Gridare il Vangelo con la vita”. Ecco un’altra conseguenza: se siamo rimasti con Gesù nei giorni della Sua passione, morte e risurrezione non è più possibile tenere il Vangelo per sé. Diviene necessario gridarlo al mondo in tutti i modi, a cominciare dalla vita.

Pasqua. Risurrezione del Signore
Oggi ci scambiamo il saluto più bello e straordinario, il saluto della nostra fede che salva la vita e fa nuove tutte le cose: “Buona e santa Pasqua. Il Signore è risorto!”. In questo saluto sia un’esplosione di gioia! In questo saluto sia un canto travolgente di gratitudine! In questo saluto sia un grido commosso di amore! In questo saluto sia tutta la bellezza della nostra speranza: siamo i figli della Risurrezione di Gesù! Come racconta con emozione il vangelo di San Giovanni, Pietro e lo stesso Giovanni si recarono al sepolcro e “correvano insieme, tutti e due”.
Correvano. Sembra di vederli, con il cuore in gola, correre a perdifiato verso il luogo, teatro dell’avvenimento che avrebbe cambiato per sempre la loro vita e la storia del mondo. Pietro e Giovanni rappresentano tutti noi, perché il senso della nostra vita è correre verso il Signore. Ogni giorno corriamo verso di Lui, per trovarlo risorto e vivo. E, dopo averlo incontrato, corriamo in mezzo al mondo, senza fermarci mai: con il cuore traboccante di fede, speranza e amore, con la voce che annuncia il Vangelo di salvezza, con una vita che manifesta in sé i segni evidenti della nuova vita in Cristo, ormai libera dai legami del peccato, del male, della morte, della solitudine, della paura, della tristezza, del non senso. Corriamo, insieme, salutando tutti e annunciando a tutti: “Buona e santa Pasqua. Il Signore è Risorto!”.

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia
Protagonista, nel vangelo che ascoltiamo oggi, è l’apostolo Tommaso. L’’evangelista Giovanni ci ricorda che era detto anche Dìdimo. Dìdimo, però, non è una specie di soprannome; è la traduzione greca del nome Tommaso, e significa “gemello”. Da questo punto di vista siamo tutti chiamati a rispecchiarci in Tommaso, nostro gemello nel cammino della fede. Come lui, infatti, anche noi spesso dubitiamo; come lui, anche noi spesso siamo poveri nella fede; come lui, anche noi spesso non riconosciamo Gesù risorto presente e vivo in mezzo a noi. Ecco perché siamo tutti gemelli dell’apostolo. Ma il gemellaggio che ci unisce a Tommaso riguarda anche, in positivo, l’approdo a una fede viva e gioiosa e la crescita nella fede. Con lui, anche noi riconosciamo Gesù risorto; con lui, anche noi sperimentiamo la gioia per la sua presenza d’amore; con lui, anche noi siamo nella meraviglia davanti al volto vivo di Gesù. A san Tommaso oggi chiediamo di poter esclamare, dal cuore e con convinzione di fede: “Mio Signore e mio Dio!”. A cominciare dalla Messa, nella quale il Signore risorto fa a noi dono della sua presenza d’amore in molteplici forme, a cominciare da quella specialissima, l’eucaristica. E poi nella vita, dove con fedeltà sorprendente, Gesù, il Vivente, è sempre con noi.

III Domenica di Pasqua
Oggi ripetiamo con il ritornello del Salmo responsoriale: “Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato”. La gioia esultante della Pasqua di risurrezione trova espressione nel canto della Chiesa.
Ascoltiamo una bella testimonianza proveniente da Aleppo, in Siria, la terra tanto martoriata dalla guerra in questi anni: “Questa mattina abbiamo visitato una scuola, ricostruita dai Frati Francescani e ora frequentata da 300 bambini dell’asilo e delle scuole elementari. Le suore che animano questa scuola appartengono alla Congregazione del Rosario e sono di Aleppo. Qualche tempo fa hanno dovuto abbandonare la loro casa e la loro scuola, perché distrutte dalla guerra e dai bombardamenti. Così i Frati hanno preso in affitto una scuola cattolica abbandonata e l’hanno affidata a queste suore, che sono rimaste in due. Visitando la scuola, in una classe un frate ha chiesto ai bambini: Siete contenti? E la risposta di tutti è stata: Sì! Allora il frate ha aggiunto: Siete contenti perché sta finendo la lezione e andate a casa? E un bambino è intervenuto dicendo: No, siamo contenti perché Cristo è risorto!”.
Questa testimonianza, davvero bella e commovente, ci ricorda il motivo di ogni vera gioia nella nostra vita. Cristo è risorto! In Lui siamo risollevati, liberati, salvati.

IV Domenica di Pasqua
Un maestro di tiro con l’arco organizzò una gara tra i suoi allievi. Nel giorno fissato, un bersaglio di legno, con al centro un cerchio rosso, fu inchiodato a un albero. Un giovane avanzò, impaziente di dimostrare la sua abilità. Afferrò l’arco e una delle frecce, poi si sistemò in posizione di tiro. “Posso tirare, maestro?”, chiese. Il maestro gli domandò: “Vedi i grandi alberi che ci circondano?”. “Sì, maestro, li vedo benissimo”. “Bene”, rispose il maestro, “torna con gli altri perché non sei ancora pronto”. Ai molti altri allievi accadde la stessa cosa. Si fece avanti il più giovane degli allievi. Tese l’arco, poi restò perfettamente immobile, gli occhi fissi davanti a lui. “Vedi gli uccelli che sorvolano il bosco?”, gli chiese il maestro. “No, maestro, non li vedo”. “Vedi l’albero sul quale è inchiodato il bersaglio di legno?”. “No, maestro, non lo vedo”. “Vedi almeno il bersaglio?”. “No, maestro, non lo vedo”. Il maestro domandò all’allievo: “Allora, dimmi: che cosa vedi?”. “Io vedo il cerchio rosso”, ripose il giovane. “Perfetto” replicò il maestro. “Tu puoi tirare”. La freccia solcò l’aria, sibilando leggera, e si piantò, vibrando nel centro del cerchio rosso disegnato sul bersaglio di legno.
Il Signore è il cerchio rosso, il nostro Buon Pastore. Per fare centro nella vita dobbiamo sempre tenere fisso lo sguardo su di lui.

V Domenica di Pasqua
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola”. Gesù ci fa intendere che la nostra relazione con lui, quando è vera, trasforma in profondità la vita.
Ascoltiamo, al riguardo, una pagina molto bella di san Giovanni Crisostomo: “Dovreste uscire di qua (dalla chiesa, dopo aver partecipato alla celebrazione eucaristica) come dei sacri penetrali di un tempio, come se foste discesi dai cieli stessi, dopo essere diventati persone tranquille, sapienti, che fanno e dicono tutto con misura; e la moglie vedendo il marito ritornare dalla sinassi, e il padre il figlio, e il figlio il padre, e il servo il padrone, e l’amico, e il nemico il nemico, tutti si accorgano del beneficio che qua dentro abbiamo ottenuto! Ma se ne accorgeranno, se avvertiranno che siamo diventati più miti, più sapienti, più rispettosi. Se ci comportiamo così, quando usciremo non avremo bisogno di rivolgere alcuna parola agli assenti, ma dal beneficio che noi abbiamo tratto si renderanno conto di che cosa essi stessi hanno perduto, e accorreranno in fretta, per poter godere degli stessi beni. Vedendo infatti con i propri stessi sensi risplendere la bellezza della vostra anima, anche se fossero le persone più tarde di questo mondo, saranno sedotti dal desiderio del vostro nobile contegno”.

VI Domenica di Pasqua
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Gesù ci invita ad amarci ed amarci come Lui ci ha amato e ci ama. Prima ancora, però, ci dona la capacità per vivere questa straordinaria realtà. Questa è la bella notizia del Vangelo! Siamo salvi perché la vita di Dio è in noi! Siamo salvi perché possiamo vivere e amare alla maniera di Dio!
Gesù non assomiglia al grande pittore che realizza una magnifica opera d’arte e poi mi dice: ora falla anche tu! Come farei? Gesù non assomiglia al campione sportivo che realizza un’impresa e poi mi dice: ora falla anche tu! Come farei? Gesù mi indica la via della Vita, che è quella dell’amare alla maniera di Dio, ma prima mi dona la capacità di amare così, condividendo con me la Sua vita, trapiantando in me il Suo Cuore, facendosi Carne della mia carne, Sangue del mio sangue. Donandomi Sé stesso al punto che io posso dire: “Per me vivere è Cristo”. E invitandomi a rimanere in Lui e nel Suo Amore: con l’ascolto della Sua parola, la partecipazione all’Eucaristia e ai sacramenti, la confessione, la preghiera e la vita secondo lo Spirito. Se rimaniamo nell’amore che Egli ci dona, allora possiamo amare come Egli ci chiede.

Ascensione del Signore
“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.
Nella solennità dell’Ascensione siamo invitati ad alzare lo sguardo verso il Cielo per non dimenticare la nostra destinazione finale, sorgente di ogni nostra speranza e di vera gioia: Cristo, nostro capo, che vive con il Padre per l’eternità. E’ Lui, infatti, il nostro Paradiso, la Terra benedetta in cui trovano approdo, in modo sorprendente, tutte le nostre attese. L’Ascensione del Signore, però, ci ricorda anche un’altra fondamentale dimensione della vita cristiana. Il tempo che segue l’Ascensione è il tempo nostro, il tempo della Chiesa, che rende testimonianza al Suo Signore e lo annuncia senza stancarsi. E’ proprio nella Chiesa, infatti, che Egli continua a rendersi presente; è nella Chiesa che Egli è il Risorto e il Vivente Salvatore; è nella Chiesa che Egli parla e riscalda i cuori perché si aprano alla fede; è nella Chiesa che Egli, per il tramite dei sacramenti, alimenta la carità e realizza storie straordinarie di santità. E ciascuno di noi, in quanto membro della Chiesa, è chiamato a essere la visibilità del Signore nel tempo e nella storia.

VII Domenica di Pasqua
Il racconto che gli Atti degli Apostoli fanno del martirio di Stefano è commovente. Ascoltiamolo attraverso le parole del primo martire della Chiesa e i sentimenti di Saulo di Tarso: “E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito».
Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì. Saulo approvava la sua uccisione”.
Fa sempre una certa impressione la menzione di Saulo all’uccisione di Stefano. Anche perché, di lì a poco, Saulo si convertirà sulla via di Damasco, divenendo il grande San Paolo, evangelizzatore appassionato del mondo pagano. Forse, proprio la vita donata da Stefano è stata alla radice della nuova vita in Cristo ricevuta da Paolo. Come diceva Tertulliano: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”. Anche oggi! E, comunque, ogni nostra piccola e grande offerta d’amore è misteriosamente ma realmente sorgente di grazia per il mondo. Da quando la croce è divenuta sorgente di salvezza e di vita in Gesù, anche ogni nostro dolore partecipa di quella misteriosa fecondità nella via della grazia.

Domenica di Pentecoste
“Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra”.
Il ritornello del Salmo responsoriale ci aiuta a ricordare che lo Spirito Santo viene a noi per rinnovare la nostra vita, sia personale che in vista della missione.
Per quanto riguarda la vita personale, infatti, in noi vive una doppia legge: quella della carne e quella dello Spirito. La prima è un’inclinazione al male che conduce al peccato. La seconda è l’opera di Dio in noi che ci permette di camminare nella vita bella del Vangelo. Lo Spirito Santo ci aiuta a vincere la legge della carne Ed è sostegno saldo al nostro desiderio di una vita secondo Dio. Con la forza dello Spirito è possibile la vita nuova, la santità.
Per quanto riguarda la nostra missione, lo Spirito dona il coraggio e l’ardore della testimonianza di Gesù. Non vi è più spazio per la paura, la timidezza, il rispetto umano. Il cuore arde a motivo di quello Spirito che viene, come vento impetuoso e fuoco, ad accendere di amore per il Signore e per la salvezza del mondo. Con la forza dello Spirito Santo è possibile essere testimoni audaci del Vangelo.
Vita secondo il Vangelo e coraggio apostolico sono il frutto dell’ opera dello Spirito Santo in noi.

Santissima Trinità
“O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!”. Il ritornello del Salmo responsoriale ci introduce alla contemplazione, gioiosa e stupita, del mistero della Santissima Trinità.
Il grande convertito inglese G.K. Chesterton affermava: “Il mondo non perirà certo per mancanza di meraviglie, piuttosto per mancanza di meraviglia”. Abbiamo urgente bisogno della meraviglia di Dio, della meraviglia che è Dio nel Suo luminoso mistero trinitario. In quel mistero ritroviamo la nostra origine felice: l’Amore. In quel mistero ritroviamo il nostro destino sperato: l’Amore. In quel mistero ritroviamo il modello e il senso pieno della nostra vita: l’Amore. Santa Elisabetta della Trinità lo aveva ben capito. Per questo pregava così: “O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per stabilirmi in te, immobile e serena come se la mia anima fosse già nell’eternità; nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni minuto mi porti più addentro nella profondità del tuo Mistero! Pacifica la mia anima; fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che io non ti lasci mai sola, ma che sia lì, con tutta me stessa, tutta vigile nella mia fede, tutta adorante, tutta offerta alla tua azione creatrice”.

Corpo e Sangue di Cristo
“Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Facendo memoria delle parole dell’istituzione dell’Eucaristia, riportate da san Paolo nella sua prima Lettera ai Corinzi, ascoltiamo un brano da una bellissima omelia di san Giovanni Crisostomo: “Quando torniamo dalla mensa eucaristica, siamo come leoni spiranti fuoco, capaci di atterrire il demonio. Sappiamo bene, infatti, chi è il nostro capo e quale amore ci ha offerto. Gesù potrebbe dirci: ‘Ho voluto essere vostro fratello e ho condiviso la vostra condizione di carne e di sangue. Ora, vi ridò questa carne e questo sangue per cui sono divenuto simile a voi’. Questo sangue sprigiona in noi Il fulgore dell’immagine regale, veste la nostra anima d’una bellezza incomparabile, la nutre e la irrora per conservarla nobile e gagliarda. Se è ricevuto degnamente, il sangue di Cristo scaccia i demoni, chiama gli angeli, anzi fa venire in noi lo stesso Signore degli angeli. Il sangue di Cristo è la salvezza delle nostre anime, le rende pure, le fa belle, le trasforma in fiamma: sì, il nostro spirito acquista bagliori più accesi del fuoco, la nostra anima diventa più splendente dell’oro. Questo sangue effuso ci spalanca il cielo”.

IX Domenica del Tempo Ordinario
“Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto…; ma di’ una parola e i mio servo sarà guarito”. Sono, queste, le splendide parole che un centurione romano rivolge a Gesù, richiedendo la guarigione si un suo serve gravemente malato. Queste stesse parole sono entrate nella celebrazione della Messa. E tutti le ripetiamo ogni volta che ci accingiamo a ricevere la santa Comunione.
Sant’Agostino così commenta: “In questo vangelo noi udiamo lodare l’umile fede. Infatti, quando il Signore Gesù promise di recarsi in casa dal centurione per guarirne il servo, quello rispose: Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto. Proclamandosi indegno si rese degno che Cristo entrasse non solo nella sua casa, ma soprattutto nel suo cuore. Anzi, non avrebbe detto questo con tanta fede ed umiltà, se non avesse avuto già dentro di sé colui che non osava accogliere in casa. Non sarebbe stata una grande felicità avere il Signore in casa senza averlo nel cuore. La fede del centurione viene lodata a causa dell’umiltà, poiché disse: Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto. E il Signore replica: In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. Come a dire, in un israelita considerato secondo la carne, poiché questi era già israelita secondo lo spirito.

X Domenica del Tempo Ordinario
In questa Domenica il Vangelo ci narra un episodio molto bello della vita di Gesù. Una madre vedova piange per la morte del suo unico figlio. Il Signore si avvicina alla bara che custodisce il corpo morto del giovane e dice: “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Il ragazzo ritorna alla vita e tutti i presenti iniziano a dare gloria a Dio.
Là dove Gesù passa l’esistenza umana si rinnova, germogliano la gioia e la speranza, il mondo assume i colori di una splendida primavera. Tornano alla mente le parole di San Gregorio di Nissa: “Vedere Dio costituisce la vita eterna. Se Dio è vita, chi non vede Dio non vede la vita”.
Le parole di Sant’Ambrogio aiutino la nostra meditazione e la nostra preghiera: “Siamo tutti del Signore e Cristo è tutto per noi. Se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura della febbre, egli è fonte; se sei oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se fuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è alimento.

XI Domenica del Tempo Ordinario
Alla donna peccatrice che gli si avvicina e, piangendo, bagna i suoi piedi con le lacrime, li asciuga, li bacia e li cosparge di profumo, Gesù dice: “I tuoi peccati sono perdonati”. Come ci sentiamo ben rappresentati da quella donna, a motivo dei nostri molti peccati! E come è bella, consolante la parola di Gesù: quella parola è rivolta anche a noi e sradica dal nostro cuore ogni paura. Se grande è la nostra miseria, sempre più grande è la misericordia di Dio.
Quando si entra nella chiesa di Santa Maria Novella, vicino alla stazione di Firenze, subito sulla sinistra si trova uno splendido crocifisso del Masaccio. La particolarità interessante della raffigurazione è data dal fatto che la croce non poggia per terra; è il Padre che la tiene sollevata. Gesù è inchiodato sulla croce e la croce è sostenuta dalle braccia del Padre. L’immagine parla da sola con straordinaria eloquenza: il Signore ci ama e ci sostiene sempre; le sue braccia sicure e paterne ci avvolgono; le sue mani amorevoli e provvidenti non ci abbandonano mai nelle fatiche, nelle difficoltà, nelle prove della vita, e ci donano senza mai tancarsi il perdono che salva.

XII Domenica del Tempo Ordinario
“Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. In queste parole di Gesù ci viene illustrata, con grande immediatezza ed efficacia, la via della salvezza; che poi è la via della vera pienezza di vita, quella a cui è destinato felicemente ogni autentico discepolo del Signore. Siamo chiamati a vivere tutto e sempre per lui.
Una volta Madre Teresa di Calcutta fu invitata a parlare ai medici del Policlinico Gemelli di Roma. Era il 25 maggio 1990. Madre Teresa accettò. Il suo discorso fu brevissimo. Alzò la mano destra e disse, come sillabando: “Ricordate la regola delle cinque dita!”. Poi mostrò con calma le dita, unendo a ciascuna una parola. Al pollice: “Io”. All’indice: “Faccio”. Al medio: “Tutto”. All’anulare: “Per”. Al mignolo: “Gesù”. E la conferenza ebbe termine. Tutto quello che facciamo per Gesù, donando e perdendo la nostra vita per suo amore, costituisce il tessuto quotidiano della nostra vita di santità: quella che tutti, nessuno escluso, è
chiamato a percorrere.

XIII Domenica del Tempo Ordinario
“Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”.
Scrivendo ai Galati, l’apostolo Paolo esorta a non ricadere nella schiavitù del peccato. In questo modo ci ricorda che c’è un mistero di iniquità nell’esistenza umana. Un testo del celebre filosofo Blaise Pascal ci aiuta a considerare la realtà di questo mistero nella nostra vita: “Certamente nulla ci urta più brutalmente di questa dottrina; e intanto, senza questo mistero, che è il più incomprensibile di tutti, siamo incomprensibili noi stessi… così che l’uomo è più incomprensibile senza questo mistero di quanto questo mistero non sia inconcepibile all’uomo”.
Dalla triste realtà del peccato alla luminosa realtà del paradiso. Tale realtà ci viene suggerita nel vangelo di san Luca: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto”. Quell’«alto» verso cui si dirige il Signore è il destino felice che attende anche l’umanità salvata al termine del pellegrinaggio terreno. Sant’Ignazio di Antiochia, scrivendo ai cristiani di Roma e ormai prossimo al martirio, affermava: “E’ bello tramontare al mondo per risorgere all’aurora di Dio”. La Domenica è per noi un’aurora, bella e gioiosa, del giorno senza tramonto in Dio.

XIV Domenica del Tempo Ordinario
Oggi ripetiamo con il ritornello del Salmo responsoriale: “Acclamate Dio, voi tutti della terra”. La Chiesa risponde così alla promessa di Dio: “Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati” (Is 66, 12). Acclamiamo Dio perché, dove Egli è presente, l’esistenza riceve consolazione, fiorisce, germoglia e cresce.
Il grande filosofo e teologo Romano Guardini afferma: “Questo è il mistero della vita personale: quanto più limpidamente ho nello sguardo il tu, tanto più pienamente faccio di me stesso l’io”. In altre parole, nella misura in cui il Tu che è Dio lo accolgo in me, la mia vita si perfeziona e diviene progressivamente ciò che deve essere. E’ in Gesù, Figlio di Dio e Redentore, che l’uomo è rivelato all’uomo ed è salvato. Così possiamo con ragione dire che dove c’è Dio sboccia sempre la vita nella sua ammirabile pienezza.
Il Signore è il vero alleato della nostra umanità. Il primo discepolo di san Benedetto, san Placido, lasciò scritta questa frase: “Chi solleva se stesso, solleva il mondo”. Accogliere Dio nella propria vita significa mettere le premesse perché anche la terra possa sollevarsi alle altezze luminose del Cielo.

XV Domenica del Tempo Ordinario
Scrivendo ai Colossesi, l’apostolo Paolo ricorda il motivo vero della gioia cristiana: “Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti”. Gesù è risorto da morte! Per questo esultiamo nella speranza.
Nella Domenica, giorno del Signore, rinnoviamo la gioia a motivo della risurrezione del Signore, fondamento della nostra fede e pegno della nostra risurrezione. In verità, anche ogni volta che partecipiamo alla Messa rinnoviamo una tale gioia. Perché Gesù risorto sta in mezzo a noi! Gesù risorto ci parla, ci scalda il cuore e ci illumina la mente. Gesù risorto ci invia ai fratelli come testimoni della Sua Risurrezione.
Questo è il motivo per cui accogliamo prontamente l’invito della parola del Signore: “Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima”.
Un giorno san Francesco d’Assisi disse a santa Chiara: “Non appoggiarti all’uomo, deve morire; non appoggiarti all’albero, deve seccare; non appoggiarti al muro, deve crollare. Appoggiati a Dio soltanto. Lui rimane per sempre!”.

XVI Domenica del Tempo Ordinario
Ascoltiamo dal vangelo di san Luca: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Con questa parole il Signore intende sottolineare l’unico veramente necessario a cui siamo chiamati a rivolgere la vita: Lui!
In questa luce facciamo nostra la bella esclamazione di sant’Agostino: “O Vita che hai dato morte alla morte!”. E ricordiamo anche un’altra bella espressione del Vescovo di Ippona: “Il giorno del nostro cuore è Lui, il Signore”.
Scrive in proposito Sant’Ambrogio: “Siamo tutti del Signore e Cristo è tutto per noi: se desideri risanare le tue ferite, Egli è medico; se sei angustiato dall’arsura della febbre, Egli è la fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, Egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, Egli è potenza; se hai paura della morte, Egli è vita; se desideri il Paradiso, Egli è via; se rifuggi le tenebre, Egli è la luce; se sei in cerca di cibo, Egli è nutrimento”.
Questo è quanto sperimentiamo tutti noi se lasciamo che il Signore, l’Unico veramente necessario prenda in carico la nostra vita e a Lui ci affidiamo con fede. Perché, come afferma san Tommaso: “Gesù è la causa della salvezza di tutti”.

XVII Domenica del Tempo Ordinario
La preghiera del “Padre nostro” che in questa Domenica viene riproposta nel vangelo di san Luca, ci aiuta a entrare nel mondo di Dio, un mondo che si presenta a noi nella luce di una perenne novità.
Spesso, invece, ci pare di conoscere il Signore e di non dover scoprire più nulla di Lui. Pregando con calma il “Padre nostro” ravviviamo in noi il desiderio di lasciarci condurre da Dio nel Suo mondo, sempre sorprendente nell’amore.
E poi prolunghiamo la preghiera con le parole di un orante anonimo: “Signore Gesù, tu vieni a noi come il Vivente che sovverte e inquieta i nostri progetti e le nostre difese. Aiutaci, ti preghiamo, a non crocifiggere te sulla croce. Aiutaci a lasciarci turbare da te, perché rinnegando noi stessi, possiamo prendere la nostra croce, ogni giorno, e seguirti. Tu sai che noi non sappiamo dirti la parola dell’amore totale. E’ questo umile amore che ti offriamo: prendilo Signore e dì ancora e in modo nuovo la tua parola per noi: ‘Seguimi’. Allora la nostra vita si aprirà al futuro della tua croce, per andare dove non avremmo voluto, o sognato, o sperato ma dove tu vorrai per ciascuno di noi, abbandonandoti a te, come il discepolo dell’amore e dell’attesa, in una confidenza infinita”.

XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Scrive l’apostolo Paolo, rivolgendosi ai Colossesi: “Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù”.
L’esortazione paolina ci invita a considerare che cosa davvero cerchiamo nella nostra vita. Spesso, infatti, può accadere che siamo alla ricerca di quei beni che non sono in grado di saziare davvero il desiderio del cuore; beni che illudono e poi deludono profondamente il nostro desiderio. Un desiderio che ha sempre per orizzonte l’infinito, che chiede pienezza di verità, bellezza, amore, senso della vita. In un quadro di un celebre pittore fiammingo, al centro è ritratta la Madonna, vestita di rosso, con in braccio il Bambino. Gesù stropiccia le pagine del libro che Lei tiene sulle ginocchia. Forse, fu proprio questo geniale pittore a inventare l’iconografia in cui il Bambino – Dio, Parola in carne e ossa, stropiccia le altre parole, contenute in ogni altro libro, divenute provvisorie e insufficienti.
“Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”. Sono le parole che Dio rivolge all’uomo, impegnato ad ammassare i raccolti nei suoi magazzini. Preghiamo perché non capiti anche a noi di vivere come l’uomo del vangelo, che cerca nelle pagine sbiadite di libri ormai vecchi e superati, in cibi ormai avariati, in beni che non saziano, quella parola di verità e di salvezza, che solo Gesù, il Pane della Vita, può donarci.

XIX Domenica del Tempo Ordinario
“A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Questa parola, rivolta dal Signore ai Suoi discepoli, interroga tutti. In primo luogo, certamente, coloro che hanno ricevuto un ruolo di responsabilità nella Chiesa a servizio degli altri; ma, poi, anche ogni fedele di Cristo, in quanto arricchito del dono della fede e di tante altre grazie.
Chi ha ricevuto tanto è chiamato anche a dare tanto; il dono non è solo per chi lo riceve, ma è destinato a portare frutto a vantaggio di molti. Si legge in una biografia di san Francesco Saverio: “Forse ne usciremo e forse no – disse De Saraiva a Francesco, mentre la nave continuava a solcare le onde del mare -. Voi però non ne uscirete a meno che non smettiate di comportarvi come se foste il padre e la madre di ciascuno a bordo. Un prete – disse Francesco debolmente – è esattamente quello. Poi svenne”. Ecco che cosa significa mettere a servizio il dono ricevuto.
Diceva in una sua omelia Daniele Comboni: “Io ritorno tra voi per non cessare mai più di essere vostro. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa comune con ciascuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la mia vita per voi”.

XX Domenica del Tempo Ordinario
In questa Domenica ripetiamo con il ritornello del Salmo responsoriale: “Signore, vieni presto in mio aiuto”. In tal modo risuona sulle nostre labbra una bella preghiera di invocazione.
La preghiera ci è necessaria. Ascoltiamo, oggi, dal vangelo di san Luca: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra”. La missione del Signore è anche la nostra: quella di portare il fuoco dell’amore di Dio al mondo. Come, però, realizzare questa missione se non a partire dalla preghiera? Per questo è necessario che, prima di ogni nostro agire per il Regno di Dio, stiamo con Lui, divenendogli familiari e intimi nell’amore.
Stare e andare sono i verbi della vita cristiana. Mai l’uno senza l’altro! E’ necessario ritornare sempre a queste due realtà per capire la nostra identità. Non esiste, infatti, un andare fecondo che non trovi la propria radice nello stare contemplativo. Ciascuno di noi, pertanto, è chiamato a coltivare con grande cura la propria vita di preghiera. Nella preghiera, infatti, sperimentiamo lo stare con Gesù, alimento indispensabile della fede e segreto di vera fecondità apostolica.
Chiediamo al Signore la grazia di riuscire sempre a coniugare lo stare con l’andare, così da custodire la gioia dell’amicizia con il Signore e lo slancio audace per l’annuncio del Vangelo, vivendo in feconda armonia la contemplazione e la missione.

XXI Domenica del Tempo Ordinario
Ascoltiamo dalla lettera agli Ebrei: “E’ per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?”. E’ una parola forte che ci invita a riflettere, soprattutto riguardo al fatto che spesso siamo tentati di abbassare la bellezza e la ricchezza della parola del Signore alla nostra povertà. E, pertanto, rifugiamo la correzione.
La tentazione che si rinnova è quella di rendere meno radicale l’invito evangelico. Alla luce del Vangelo, invece, siamo chiamati ad aderire, nella fede, alla parola alta del Signore, elevando noi stessi alla Sua bellezza e ricchezza. Questo è il cammino della conversione! Questo è l’itinerario della salvezza! E questa è la strada che conduce alla vera libertà e alla pienezza della nostra umanità. La Verità di Dio, infatti, non mortifica mai l’uomo, ma lo esalta. A questa Verità, con l’aiuto della grazia, dobbiamo affidarci lasciandoci condurre nella terra splendida della Vita. A questo risulta utile e indispensabile la correzione di Dio: non si cresce senza essere corretti.
Forse, non abbiamo ancora imparato a “camminare sulle orme dell’Eterno”. Ma il dono inestimabile della fede ci impedisce di ridurre alla nostra piccola misura la Verità di Dio. E il Signore ci viene in soccorso. “Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12, 11).

XXII Domenica del Tempo Ordinario
“Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. Con queste parole termina la parabola raccontata da Gesù ai capi dei farisei che, a tavola, desideravano occupare i primi posti.. Come poter accogliere nella nostra vita l’invito del Signore? Come riuscire a fare nostra quell’umiltà, che ci pone in piena adesione ai sentimenti del Cuore del Signore?
La risposta la troviamo in ciò che viviamo partecipando alla Santa Messa, dove ci nutriamo dell’unico cibo in grado di nutrire realmente la nostra vita: il Signore risorto. Ecco perché senza la Domenica non possiamo vivere! Ecco perché la celebrazione eucaristica è il centro di ogni vita autenticamente cristiana! Nel giorno del Signore, pertanto, e all’inizio di una nuova settimana facciamo il proposito che la Sua Parola sia il nostro nutrimento quotidiano, che il Suo Corpo e il Suo Sangue siano l’alimento che accompagna i nostri passi, che la Sua presenza viva e reale nell’Eucaristia, sia la gioia di ogni nostra giornata. Facciamo in modo, in altre parole, che Gesù sia al centro della nostra esistenza. Essere umili, infatti, significa “vivere Cristo”. Ma come “vivere Cristo” se non “viviamo di Cristo” ogni giorno?

XXIII Domenica del Tempo Ordinario
“Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza”. Nell’antico libro della Sapienza viene affermata la forza salvifica della parola di Dio, che troverà pieno compimento nel Verbo fatto carne. Che cosa ne deriva per la nostra vita?
La fede nasce e cresce a partire dalla Parola, che è Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza. Ciò che, pertanto, identifica la nostra vita è il Signore! La nostra vita è Cristo! L’incontro con Lui, Risorto da morte, ci ha salvato, il Suo amore ci ha conquistato e ora viviamo per Lui.
Ecco perché la parola del Signore è da ascoltare con attenzione e da vivere con fedeltà. Non basta averla sulle labbra o teoricamente dirsene discepoli. Quella Parola deve trasformare il cuore e l’intelligenza, divenire criterio di giudizio sulla propria vita, le relazioni con gli altri, le vicende del mondo e della storia. La parola di Dio chiede di diventare carne della nostra carne. Nella misura in cui la parola del Signore prende possesso di noi, entriamo in quel giardino fiorito che è la terra di Dio. Allora l’antica promessa si compie e l’esperienza della salvezza, che è la Vita vera, si apre davanti a noi.

XXIV Domenica del Tempo Ordinario
“Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io”. In queste parole autobiografiche di san Paolo possiamo ritrovarci tranquillamente tutti. Tutti, infatti, siamo peccatori. E per tutti noi il Signore è venuto per donare misericordia e salvezza. Questa è la buona ed esaltante notizia del Vangelo: la salvezza è possibile ed è dono di Dio!
L’uomo ha sperimentato e sperimenta il fallimento inevitabile del suo tentativo di abbandonare il male e fare il bene. Dio stesso, in Gesù, si è chinato sulla miseria umana. Egli non è venuto ad appesantire le nostre spalle, piagate e stanche, aggiungendo dei doveri a quelli che già avevamo. E’ venuto per annunciare che d’ora innanzi possiamo vivere la vita nuova dei figli di Dio, la vita nuova della santità. Perché Lui la vive in noi, con noi e per noi! Perché Lui è presente nella nostra vita come il Salvatore. Non “dobbiamo” essere santi da soli: sarebbe impossibile. “Possiamo” essere santi” con il Signore, nostro Salvatore. Affermava Madeleine Delbrel: “Bisogna sapersi perduti, per poter essere salvati”. Chiediamo la grazia della vera povertà! Chiediamo la grazia di “conoscere” la nostra miseria! Chiediamo la grazia di abbandonare le nostre false e illusorie sicurezze! Accogliamo con tutto il cuore il Signore, nella nostra vita.

XXV Domenica del Tempo Ordinario
Dio, per bocca del profeta Amos, rivolge la propria parola al popolo di Israele e invita: “Ascoltate”. Sappiamo come questa parola attraversi per intero la rivelazione biblica e induca l’uomo all’atteggiamento che è più confacente davanti a Dio.
L’uomo è invitato ad ascoltare Dio che parla, accogliere Dio che viene, fare proprio il dono di amore del Signore. Si capisce come la posizione dell’uomo in rapporto a Dio sia ricettiva: vi è sempre il primato dell’amore e del dono di Dio. E’ lui che ci parla e che vuole raggiungerci con la sua parola di amore. A noi compete coltivare l’ascolto.
Anche in questo caso dobbiamo passare dall’affermazione alla vita: che cosa stiamo facendo per ascoltare Dio che parla? Quale posto ha nella nostra giornata la parola del Signore? Si dovrebbe anche ricordare che il modo nel quale Dio intende raggiungerci è molteplice. In questo senso la nostra mattina dovrebbe cominciare sempre con la richiesta al Signore di saper vivere in ascolto attento di quanto egli vorrà dirmi e farmi capire; e la nostra giornata dovrebbe sempre chiudersi con la verifica di quanto abbiamo ascoltato dal Signore. “Signore che cosa vuoi dirmi? Signore che cosa mi hai detto?”: ecco la preghiera quotidiana all’inizio e alla fine del giorno.

XXVI Domenica del Tempo Ordinario
Amos, in nome di Dio, grida a chiare lettere: “Guai agli spensierati”. La pagina del vangelo, con la vicenda del povero Lazzaro, rende più chiaro il senso dell’invettiva del profeta Nel testo di Luca, infatti, un ricco gode la propria vita senza avere neppure uno sguardo sulla vita di coloro che faticano e soffrono. Ecco, dunque, gli spensierati: coloro che guardano solo a se stessi, godono delle proprie gioie, si dimenticano di ciò che sta intorno a loro chiudendo il cuore a qualunque sollecitudine che non sia l’appagamento dei propri desideri. Apparteniamo, forse, anche noi alla categoria degli spensierati?
La parabola evangelica sottolinea anche un altro particolare dell’esistenza umana. Ciò che appare al di qua della morte è completamente diverso da ciò che si realizza al di là. Come a dire che il mondo ha uno sguardo totalmente diverso da Dio. Quello che sembra grande e vincente in questo mondo, in realtà si rivela nella propria povertà davanti al Signore. Questi due quadri contrapposti ci invitano a rimanere attenti perché il nostro sguardo sia sempre quello vero, di Dio, e non quello falso e superficiale del mondo. Vigiliamo! E chiediamo la grazia di rimanere sempre nello sguardo e nel pensiero di Dio.

XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Il profeta Abacuc si fa portavoce davanti a Dio della difficoltà che a volte l’uomo incontra nel cogliere, in fatti e situazioni difficili della vita, la traccia del passaggio del Signore e l’eco della sua voce. In effetti, soprattutto nelle circostanze dolorose e non facili della vita, facciamo tanta fatica a trovare il Signore e a leggere il suo disegno di amore su di noi. Dio ci appare distante, sordo al nostro grido e al nostro pianto, quasi indifferente alla nostra esistenza.
Eppure non è così. Ce lo ricorda il salmo responsoriale che oggi recitiamo e nel quale ripetiamo: “Ascoltate oggi la voce del Signore”. Se a volte ci pare che Dio sia distante, indifferente, sordo, muto, ciò è perché siamo incapaci di riconoscerne la presenza e di ascoltarne la parola. Per questo la nostra preghiera si innalza al Signore perché ci aiuti a essere in ascolto attento di ogni sua parola, detta anche nelle circostanze tristi e difficili della vita.
In realtà è in questione la nostra fede. Come gli apostoli nel Vangelo, anche noi rivolgiamo al Signore l’accorata invocazione: “Accresci in noi la fede!”. E’ una preghiera semplice e bellissima che va al cuore della vita cristiana. La vita cristiana, infatti, è questione di fede e di crescita nella fede. Chiediamo la grazia di crescere ogni giorno nella capacità a fidarci di Dio, a credere alla Sua parola, ad abbandonarci alla sua volontà.

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
La vicenda di Namaan il Siro, raccontata nel secondo libro dei Re ci interessa molto da vicino. E’ una vicenda di conversione, che si caratterizza per atteggiamenti.
Anzitutto c’è l’atteggiamento obbediente e fiducioso di Naaman: egli obbedisce, anche se quello che gli viene indicato di fare desta in lui una certa sorpresa e, all’inizio, anche irritazione e sconcerto. L’obbedienza a Dio, la fiducia nella sua parola sono, dunque, all’inizio di ogni vera conversione. In effetti, conversione significa passare dall’incredulità e dal sospetto alla fiducia in Dio e nel suo amore.
Naaman ha un altro atteggiamento decisivo: sulla via del ritorno verso casa chiede di prendere con sé un po’ di terra “perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore”. In questo modo Naaman indica il comportamento tipico di chi si è convertito davvero: egli abbandona ogni altro legame che non sia Dio e stabilisce nella propria vita il primato di Dio. Non ci sono più altri interessi, non più altri a cui dare davvero credito, non più altri a cui dare l’amore. La storia di conversione di Naaman ci ricorda gli elementi tipici della vera conversione anche nella nostra vita di ogni giorno: all’inizio e nelle sue conseguenze.

XXIX Domenica del Tempo Ordinario
La pagina dell’Esodo si ferma a considerare un momento particolare della vita di Israele: quello della battaglia contro Amalek. La battaglia è vinta, ma non per il valore dei membri del popolo quanto per la preghiera di intercessione rivolta da Mosè a Dio. Mosè apre le braccia e rivolge la sua invocazione al Signore: fino a tanto che questa rimane la posizione di Mosè, Israele è vittorioso; ma quando Mosè fa scendere le sue braccia Israele subisce la sconfitta. E’ per questo che Aronne e Cur gli si avvicinano e lo aiutano, sostenendo le sue braccia perché la sua preghiera non venga mai meno.
L’episodio biblico ci ricorda la forza della preghiera. Un antico autore cristiano, san Giovanni Crisostomo, ha scritto che “colui che prega ha le mani sul timone della storia”. La pagina oggi ascoltata è proprio la descrizione di questa bella verità. Non dimentichiamo mai la forza della preghiera: per noi, per gli altri, per le necessità della Chiesa e del mondo.
Chi prega, si salva. E chi prega, salva. Davvero la preghiera è al cuore delle vicende umane, personali e del mondo, perché le porta davanti a Dio. Colui che prega è sempre un vincente!

XXX Domenica del Tempo Ordinario
San Paolo, nella seconda lettera a Timoteo, apre il proprio cuore con grande confidenza, nel momento in cui vede avvicinarsi il momento della morte. E’ come se l’Apostolo guardasse indietro per considerare complessivamente il percorso della propria vita. In questo sguardo retrospettivo troviamo un vero e proprio programma di vita cristiana da assumere come nostro.
Paolo, anzitutto, afferma di aver combattuto la buona battaglia. Sta parlando di quella battaglia che ha combattuto ogni giorno nell’intimità del proprio cuore per sradicare il male e far vincere il bene, per fare spazio a Dio togliendolo al peccato e al mondo.
San Paolo fa una seconda affermazione e dice che ha terminato la corsa. Dire di aver terminato la corsa equivale a sostenere che tutta la sua vita è stata una corsa. Egli, infatti, non si è mai fermato: non ha smesso un solo attimo di seguire Gesù e di crescere nell’amore per lui.
C’è ancora un’affermazione fatta da Paolo. Egli dice di aver conservato la fede. E questo suppone che il santo abbia fatto l’esperienza della fatica di credere, del dubbio e dell’eventualità di avere una fede meno forte. La fede è un dono che non è dato una volta per tutte, ma un dono che dobbiamo rinnovare, custodire, difendere.

XXXI Domenica del Tempo Ordinario
“Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là”. L’evangelista Luca sta parlando di Zaccheo, pubblicano e peccatore che, alla notizia del passaggio di Gesù, si industria per riuscire a vederlo.
Che cos’è un sicomoro? Rispondere a questo domanda è importante, perché ci aiuta a capire meglio ciò che accade a Zaccheo. Il sicomoro è un albero che produce frutti particolari in grande quantità, ma che risultano piccoli e amari se non vengono trattati con un’incisione da dove fuoriesce un liquido. I coltivatori di sicomori incidono questi frutti quando ancora sono acerbi con un ago o altro oggetto acuminato. Così i frutti diventano grandi e dolci. Zaccheo, che sale sul sicomoro, è il frutto della nuova stagione che deve essere inciso. Gesù, con la sua parola di amore lo inciderà. Dal cuore malato di quell’uomo uscirà il succo amaro, potendo così diventare un frutto grande e dolce. Lasciamoci anche noi incidere dalla parola del Signore, così da portare frutti abbondanti nella vita nuova della fede.

XXXII Domenica del Tempo Ordinario
“Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto”. Con il ritornello del salmo responsoriale, in questa Domenica ci disponiamo a custodire nel nostro cuore, con meraviglia grata, la bellezza del volto di Dio, nella certezza di fede che un giorno, quello stesso volto, potremo contemplarlo senza più veli. E ciò costituirà la nostra eterna beatitudine, la sazietà di ogni nostra sete.
Ma già da ora, come disse Antonio Rosmini a Manzoni, dal suo letto di morte, in virtù della fede che ci apre alla relazione di amore con Dio, Creatore e Salvatore, non si può fare altro che “Tacere, adorare, godere”. Tacere, assimilando sempre più nel silenzio lo splendore che rifulge sul volto del Signore. Adorare, con il desiderio di aderire senza condizioni alla luce abbagliante e benefica che emana da quel volto divino. Godere, al pensiero che il volto di Dio è eternamente rivolto verso di noi in un atto di amore infinito.
In quel “tacere, adorare, godere” è in certo modo sintetizzato lo stile della vita cristiana, sempre contemplativa della presenza e dell’opera di Dio, che riempie l’intera realtà orientandola sempre all’eterna salvezza.

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
“Ecco: sta per venire il giorno rovente come un forno”. Nelle parole del profeta Malachia è adombrato il giorno del Signore, quello della sua venuta messianica, anticipazione del suo definitivo ritorno alla fine dei tempi.
Ormai prossimi alla conclusione dell’anno liturgico, indirizziamo la nostra meditazione al ritorno glorioso del Signore. Noi, infatti, viviamo l’attesa gioiosa e colma di speranza della vita del mondo che verrà, come si esprime la Professione della fede. In quel ritorno sarà la pienezza della nostra vita e della storia del mondo. Attendiamo, dunque, facendo nostra la bella preghiera della Chiesa che, nella sua liturgia, non si stanca di affermare: “Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore, Gesù Cristo”. Alla fine della vita ci è riservato l’incontro di amore con il Signore della vita. Così pregava san Giovanni della Croce, proprio pensando a quell’incontro: “O fiamma d’amor viva, che amorosamente ferisci della mia anima il più profondo centro! Poiché non sei più dolorosa, se vuoi, ormai finisci; squarcia il velo di questo dolce incontro”.

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. In queste commoventi parole del malfattore crocifisso accanto al Signore troviamo la risposta più bella alla domanda: in che cosa consiste la regalità di Gesù?
Il Signore è re perché dona la propria vita. Egli “governa” il suo popolo comunicando la salvezza in virtù della propria immolazione d’amore sulla Croce. E la croce diviene il trono regale da cui scaturiscono le sorgenti d’acqua viva della grazia, della misericordia, della vita nuova, dell’alleanza d’amore piena e definitiva. Contemplando la divina regalità di Gesù, siamo invitati a parteciparvi, lasciando che l’amore del Suo cuore pervada la nostra vita e divenga la nostra nuova identità. Guardando a Gesù ci accorgiamo che “servire è regnare” e che il segreto della pienezza di senso di un’esistenza consiste proprio nel dare la vita senza condizioni. Anche noi abbiamo una regalità da esercitare sul mondo. Non una regalità umana e mondana. La nostra è la regalità propria di chi ama senza misura e offre al mondo, con la propria vita, la vita stessa di Dio, unica vera salvezza e unica fonte di speranza e di gioia.