Esercizi Spirituali – Sacerdoti della diocesi di Sulmona

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Esercizi Spirituali – Sacerdoti della diocesi di Sulmona

 

INTRODUZIONE AGLI ESERCIZI SPIRITUALI
Iniziando queste giornate, sicuramente di grazia, vogliamo rispondere ad alcune domande:

1) che cosa sono gli esercizi spirituali?
E’ una domanda importante, perché anche se sono diversi anni che attraversiamo questo tempo bello dell’anno è importante recuperare il cuore e il senso più profondo degli Esercizi Spirituali. Rispondiamo a questa domanda anzitutto con due negazioni:

  • gli Esercizi non sono un corso di formazione permanente, non sono un corso di  Noi non ricerchiamo una settimana durante il nostro anno per ampliare le nostre conoscenze, seppure conoscenze di Dio. Noi non attraversiamo una settimana per conoscere qualche cosa di più, noi stiamo una settimana con il Signore per amarlo di più. Diceva Santa Teresa che la preghiera non consiste nel molto conoscere, ma nel molto amare. Certo il conoscere contribuisce all’amore, però è l’amore il cuore della preghiera, è dunque l’amore il cuore degli Esercizi. Non siamo qui per aumentare le nostre conoscenze, ma siamo qui perché il Signore ci trasformi il cuore e lo renda più in sintonia con il Suo.
  • è vero che il tempo degli Esercizi è anche un tempo di riposo, ma non dobbiamo intendere il riposo nel senso mondano del termine: noi non siamo qui per dormire, siamo qui per approfondire la lezione di amore con il  Non siamo qui per fare semplicemente una pausa dai tanti lavori, dalle tante incombenze, dal tanto apostolato, ma siamo qui per riposare in Dio. Avremo un tempo più tranquillo, interiormente e fisicamente più riposante, ma non fine a se stesso: sarà un riposo che ci consenta di entrare ancora di più in intimità con il Signore, dovrà essere finalizzato a questo. Ogni tanto dobbiamo anche guardarci fuori e domandarci che cosa è, per esempio, un ritiro per gli sportivi: non è un tempo di sonno prolungato, è un tempo di intensificazione di Esercizio in vista di quello che dovranno fare. Per noi riposare non è evasione, ma è riposare in Dio per meglio servirlo, per più amarlo!

Per rispondere in positivo alla domanda che ci siamo fatti, gli Esercizi sono UNA RINNOVATA ESPERIENZA DI AMORE, sono il rinnovarsi di una luna di miele, soprattutto per noi che abbiamo dato la vita per Gesù, è un rinnovarsi di una luna di miele, un cuore a cuore che risveglia sentimenti, affetti, volontà a dar tutto. E’ importante la parola TUTTO: con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore … Dobbiamo recuperare la gioia, la bellezza di questo TUTTO che è Dio per noi e che noi vogliamo consegnare a Dio. Gli Esercizi sono RITROVARE L’AMORE! L’Apocalisse direbbe: “ricordati dell’amore di un tempo”, che non è soltanto un amore cronologicamente antecedente ma un amore grande che a volte l’ordinarietà della vita ci fa smarrire, perde di intensità, di bellezza, perde il gusto, il sapore.
Noi qui vogliamo rinnovare l’amore e per questo ci può essere utile la triplice domanda che pone S. Ignazio all’inizio degli Esercizi: Che cosa hai fatto finora per Gesù? Che cosa stai facendo ora per Gesù? Che cosa intendi fare d’ora in avanti per Gesù? È una triplice domanda sull’amore: ecco gli Esercizi Spirituali!

* Agli Esercizi si può dare un titolo, affidare un tema, ma è più bello che siamo noi a scoprire quale sia il titolo che il Signore ha pensato per questi Esercizi per la vita di ciascuno di noi. Non partiamo con un tema definito, ma con l’esigenza interiore di ascoltare il Signore e cammin facendo capiremo quale tragitto il Signore ci vuol far fare. Forse al termine di questi giorni ciascuno di noi potrà dire: “ecco il titolo, questo è il titolo dei MIEI Esercizi, è quello che il Signore mi ha voluto far capire!” Il titolo con l’aiuto di Dio lo troverà ciascuno di noi cammin facendo.

2) chi ci aiuta a vivere questi giorni di esercizi?
Vorrei togliere tanta importanza a colui che predica gli Esercizi, non perché la parola del predicatore non abbia importanza, ne ha nella misura in cui il Signore si serve di lui per parlare al cuore, però è importante che tutto diventi mezzo, veicolo per orientare intelligenza, cuore, affetti al Signore. Negli Esercizi i protagonisti siamo ciascuno di noi, tutto il resto è mezzo e strumento. Il predicatore è uno strumento!

  • Alfonsoraccontava che dopo una predicazione in una chiesa un uomo lo raggiunse in sacrestia per ringraziarlo dell’omelia, che lo aveva toccato così in profondità da sentirsi cambiare la vita. Il santo era contento davanti a Dio per questo e al tempo stesso era interessato a capire da che cosa nello specifico l’uomo fosse stato colpito. L’uomo dopo tanta insistenza del santo gli rispose che furono le parole “… adesso passiamo al terzo ponte”. A S. Alfonso non veniva in mente di aver detto queste parole e riflettendo ricordò di avere detto “… adesso passiamo al terzo punto”. Da questo episodio trasse l’insegnamento che il Signore si serve di tutto!
    Non è tanto la parola del predicatore che conta, ma è l’opera che lo Spirito Santo compie attraverso quella parola. Ascoltiamo con questo animo quello che lo Spirito vuole dirci anche attraverso la povera parola di colui che vi parlerà. Abbiamo a disposizione i grandi mezzi che il Signore ci pone a disposizione:
  • la Sua Parola alla quale dobbiamo rimanere aggrappati e soprattutto fare questo sforzo di non abbassare questa Parola alla nostra povera misura, ma innalzare noi alle vette splendide che questa Parola ci  Non tiriamola giù per renderla abbordabile della nostra povertà, ma tiriamoci su noi per assaggiare la bellezza di questa parola, per intravvedere le mete grandi che essa ci indica. Aggrappiamoci per non essere portati giù ma tirati su, non per impoverirla ma per essere arricchiti e trasformati noi.
  • L’Eucaristia celebrata e adorata: gli Esercizi sono giorni in cui dobbiamo stare tanto davanti al Signore nell’Eucaristia, che è la Sua presenza qui, in mezzo a  Siamo come dei GIRASOLI e dobbiamo stare davanti a questo sole per essere illuminati. Viviamo da girasoli in questo tempo guardando Gesù Eucarestia, stando davanti a Gesù Eucarestia, rimanendo illuminati da Gesù Eucaristia. Vorrei che ciascuno potesse sperimentare quanto cambia la vita quando stiamo tanto davanti a Gesù Eucaristia, perché Lui è presente ed intanto ci cambia come il sole cambia quello che tocca.
  • L’opera dello Spirito: nel libro della Genesi all’inizio della creazione lo Spirito cominciò ad aleggiare sulle acque del caos degli inizi e progressivamente tutto divenne cosmo, cioè tutto divenne  Invochiamo lo Spirito affinché porti o riporti nel nostro cuore e nella nostra vita quell’ordine che in questo momento non abbiamo, invochiamolo perché la vita ci procura disordine interiore, negli affetti, nei punti di riferimento, disordine in generale, chiediamo allo Spirito di ripartire da Dio. Siamo disorientati, siamo tirati di qua e di là e quando entriamo negli Esercizi ce ne accorgiamo: è l’intelligenza che è distratta, il cuore e gli affetti che sono tirati di qua e di là e quindi distratti, i sentimenti, i progetti e forse anche la memoria sono distratti … Siamo disorientati e distratti dal mondo e lo Spirito ci ridona l’unità, l’ordine, il riferimento a Dio dove tutto si orienta. Chiediamogli quest’opera di grazia!
  • La compagnia dei Santi, la compagnia della loro preghiera ma anche del loro La loro vita è pregnante, è trascinante perché ci ricorda che noi non siamo fatti per altro se non per la santità e che quando ci accontentiamo di qualcosa di meno siamo già fuori strada. Incontrarli sarà un chiedere la loro preghiera, ma anche lasciarci trasportare nella bellezza della loro vita e poter riassaporare la bellezza della nostra chiamata che è ad ESSERE SANTI.

3) quali sono le condizioni per vivere bene gli esercizi spirituali?

  • Anzitutto la disponibilità a lasciare tutto. Durante gli Esercizi dobbiamo ascoltare dentro di noi quello che Gesù dice ad Abramo: “vattene dalla tua terra”. Abramo era pronto, non ha posto condizioni, ostacoli, problemi. Noi dobbiamo essere davanti a Dio così, disponibili a tutto: “Signore, io sono qui per vivere questo tempo disponibile a tutto. Non ti metto condizioni, non ti metto ostacoli, non ti metto nulla davanti, metto me stesso affinché Tu ne faccia quello che vuoi, che mi porti dove vuoi …”
  •  Gli Esercizi sono combattimento spirituale e se devo essere disponibile a tutto devo essere anche coraggioso e pronto a combattere la lotta dello Spirito. Non è uno scherzo trovarsi davanti a Dio perché Dio scarnifica, Dio entra dentro e percuote l’anima per amore, Dio è dolcissimo ma è anche avarissimo nel momento in cui si incontra con ciò che non è Suo nella nostra realtà. E’ fuoco divorante che brucia, che arde! Dobbiamo essere pronti al combattimento! Magari alla fine di questi giorni potessimo portare in noi i segni della lotta come Giacobbe, che dopo quella notte in cui lottò con Dio portò per sempre nella sua carne il segno di questa lotta, il nervo sciatico. Noi dobbiamo concludere gli Esercizi portando il segno di questa lotta che dica che è cambiato qualcosa nella nostra vita. Se dovessimo concludere questi giorni ammettendo con dolore che non è cambiato proprio nulla avremmo clamorosamente fallito. Dobbiamo concludere questo tempo segnati dal passaggio di Dio ed essere cambiati: non può essere più come era prima. Quando si incontra Dio la vita non è più come prima, se non cambiamo significa che il Signore non l’abbiamo incontrato, ci siamo illusi, lo abbiamo immaginato, non è stato un incontro vero. Se Lui è passato e ci siamo lasciati toccare la vita non può che cambiare!
  • La condizione è avere tanta fiducia e non disperare: a volte noi entriamo negli Esercizi e anche un po’ nella quotidianità della vita con il sentimento di avere fatto tanti Esercizi ma di essere ancora allo stesso punto e diciamo “dopo aver tentato e ritentato tante volte sono ancora così”… Lasciamoci condurre da due espressioni: NULLA E’ IMPOSSIBILE A DIO, nella misura in cui mi affido davvero, e RICOMINCIARE, la parola chiave che i maestri di spirito ci hanno sempre ricordato, il segreto per una vita santa. In questi Esercizi ricominciamo, perché siamo certi che nulla è impossibile a Dio, con fiducia, con slancio, non con pesantezza, non come chi parte pensando che intanto non arriverà da nessuna parte! Ricominciare come chi parte con lo slancio di voler davvero cambiare la vita!
  • Un’altra condizione è il SILENZIO vero, il silenzio che sappiamo fare è la misura, lo spazio che noi vogliamo dare a Dio. Non si tratta di farlo o non farlo, si tratta di mettere alla prova noi, la misura di quanto desideriamo Dio per noi! Come è triste vedere anime consacrate, la cui vita è il Signore, che non riescono a stare per 7 giorni in silenzio, non riescono a fare davvero spazio a Dio nella propria vita. Abbiamo 358 giorni per parlare, 7 giorni per dare tempo davvero a Dio, perché Lui si faccia sentire, perché entri dentro di me… è lo spazio di Dio questo silenzio che noi siamo tenuti a fare e per questo è SACRO perché è lo spazio di Dio per noi. Dobbiamo essere radicati a questo anche se a volte ci sembrerà difficile, ma è il momento della lotta ed è il momento in cui Dio lascia il Suo segno.

4) dove andremo, dove vogliamo andare con questa settimana di esercizi?
Vorrei semplicemente dirvi tre verbi su questo:
CANTARE: dobbiamo tornare a cantare nel cuore a Dio con gioia perché siamo tristi, abbattuti, appesantiti, perché non abbiamo speranza, perché siamo interiormente vecchi. Dobbiamo tornare a cantare con gioia a Dio nel nostro cuore perché noi siamo chiamati al canto. Se non c ntiamo noi al mondo la gioia di Dio, chi la deve cantare? Chiediamo al Signore la grazia che ci ridoni il canto del cuore.
RIMANERE: dobbiamo tornare a rimanere davanti a Dio perché noi siamo sempre in fuga. L’amore è un rimanere, è uno stare con fedeltà. Dobbiamo recuperare questa gioia dello stare con il Signore, rimanere davanti, guardarlo e fare di questo la gioia della vita.
CORRERE: dobbiamo tornare a correre perché andiamo terribilmente piano, siamo dei passisti tremendi quando dobbiamo tornare ad essere dei velocisti nella vita dello Spirito. Quanto tempo perso inutilmente … dobbiamo rimetterci a correre, rimetterci in movimento nella corsa del cuore e della vita verso Dio.
Dobbiamo tornare davvero a dire: “TU, SIGNORE, SEI IL TUTTO DELLA MIA VITA” e allora canto e allora rimango e allora corro …
A questo proposito vorrei narrarvi un racconto: un bambino rimane colpito dal suo catechista che gli dice che Dio è grande. Quando torna a casa lo racconta al papà e gli chiede quanto è grande Dio. Il padre al momento non gli risponde e lo porta fuori. Al passare di un aereo lo invita a guardare il cielo e gli chiede se per lui è grande quell’aereo. Il bambino conferma la grandezza del velivolo e il papà lo conduce presso la pista di atterraggio dell’aeroporto dove è fermo un aereo: di fronte ad esso ripete la domanda al bambino. Un po’ stupito il bambino risponde che è grandissimo e allora che il padre gli chiede quale tra i due aerei è il più grande, se quello visto in cielo o quello lì davanti a loro. Il bambino sempre stupito risponde che il più grande è quello davanti a loro. Il saggio papà gli spiega che l’aereo è delle stesse dimensioni di quello più distante perché quanto più ci si avvicina ad una realtà tanto più questa diventa grande.

Lo stesso vale per noi nella nostra relazione con Dio: quanto più gli stiamo vicini tanto più la nostra vita diventa grande. Ricordate S. Teresa: “Dio non si dà tutto all’anima perché l’anima non si dà tutta a Lui”. Noi vogliamo che gli Esercizi siano questo, un diventare ancora più grandi perché gli abbiamo dato tutto e siamo stati più vicini.
Un altro racconto: tre giovani monaci un giorno decidono di andare a trovare un monaco anziano a cui chiedere consigli spirituali. Il primo giorno due di loro fanno domande alle quali con pazienza l’anziano monaco risponde. Il secondo giorno vi ritornano e sempre gli stessi due monaci chiedono alcune cose. Il terzo giorno ritornano ed il monaco viene interrogato sempre dagli stessi due. Alla fine di quest’incontro il monaco anziano rimasto un po’ sorpreso si rivolge al terzo monaco che per tutti i tre giorni non ha mai parlato e vuole sapere come mai non gli ha chiesto nulla. Il giovane monaco gli risponde che a lui è bastato guardarlo …
Negli Esercizi dobbiamo chiedergli la grazia di cambiare così la nostra vita, che possa essere sufficiente guardarlo… Ecco ciò verso cui dobbiamo andare, siamo incamminati a quella meta per la quale possiamo dire dal cuore: “Signore tu davvero sei tutto per me” e siamo incamminati in quella meta per la quale la nostra vita è stata così toccata da Dio che lo si possa vedere e diventa luce per tutti coloro che incontriamo.
Affidiamo tutto quanto alla Madonna, oggi abbiamo ricordato la Madonna del Carmelo che ci indica la cima del monte come bella, bellissim. Lasciamoci portare da Lei! Diceva un santo che quando noi guardiamo Maria, gli occhi della Madonna ci portano verso Gesù. Guardiamola spesso e che quei suoi occhi ci portino a vivere con il CUORE queste giornate di Esercizi con il Signore.

PRIMA MEDITAZIONE

Conservare il silenzio e rinnovare la modalità dell’ascolto
Dobbiamo custodire con tanta cura questo silenzio come spazio per Dio e lo dobbiamo fare in tanti modi perché i rumori entrano attraverso gli occhi, i rumori entrano attraverso le nostre orecchie, i rumori si annidano nel nostro cuore. Il silenzio è un modo per affermare in modo molto concreto che non abbiamo occhi se non per Gesù e per guardare Lui, che non abbiamo orecchie se non per ascoltare Lui, che non abbiamo cuore se non per Gesù e per amare Lui. Anche in questi giorni possiamo rimanere distratti dagli occhi che guardano facendo entrare in noi il rumore, dalle orecchie che ascoltano facendo entrare in noi il rumore, da un cuore dissipato che fa entrare in noi il rumore. Il silenzio è unificare tutto di noi in Dio perché realmente gli occhi, le orecchie, il cuore, tutto sia in Lui, sia spazio per Lui. Con gelosia custodiamo questo spazio, con gelosia di amore.

L’ANNUNCIAZIONE
Nel libro del profeta Ezechiele al capitolo 34 versetto 13, Dio parla così rivolgendosi al suo popolo: “ li condurrò nella loro terra (parla delle pecore) e li farò pascolare sui monti di Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione”.
Questo termine PASCOLARE colpisce. Tante volte i Padri quando hanno dovuto esprimere e dare forma a che cosa significa dare ascolto a Dio che ci parla, hanno utilizzato questo termine, perché quando noi ascoltiamo il Signore che ci parla rinnoviamo l’esperienza di stare nei pascoli di Dio e di essere da Lui condotti, da Lui guidati. Noi dobbiamo pascolare nella Scrittura, rimanervi, nutrirci, starci a lungo, pascolare. Queste nostre meditazioni saranno un pascolare nella Scrittura perché attraverso questo pascolo potremo rimanere nutriti dal Signore che ci parla.

Dice san Benedetto nel prologo della Regola: “come è bella la voce del Signore che ci invita!” Come vogliamo sperimentare ancora una volta come è bella questa voce del Signore che ascoltiamo nei suoi pascoli quando stiamo con Lui, accanto a Lui. Non cercheremo brani particolari, forse meno noti, ma andremo su brani noti, su salmi noti, proprio con l’intenzione di non essere curiosi di scoprire cose nuove, ma di entrare dentro per rinnovare il cuore. Oggi riascoltiamo come fosse la prima volta l’ANNUNCIAZIONE. Come è importante che rinnoviamo la modalità dell’ascolto, non stando davanti al Signore quasi dicendo: “me lo hai già detto, lo so!”, ma stando davanti al Signore con il desiderio di chi vuole assorbire quella Parola perché è una Parola che ascolto come la prima volta e mi accarezza il cuore perché è di Dio. Con questo stato d’animo mettiamoci in ascolto del testo di Luca:

Nel sesto mese…
Rimanere in ascolto di questa pagina oggi ci dà l’opportunità di ritornare con tanta gioia, con tanta gratitudine e anche con tanta meraviglia, alla nostra annunciazione, cioè alla realtà della nostra vocazione. E’ proprio bello durante gli Esercizi ritornare a quel primo amore che ci ha cambiato, ci ha sconvolto la vita, quando siamo stati conquistati e afferrati dal Signore, quando con uno slancio del cuore preso dall’amore del Signore abbiamo deciso di dargli tutto. E’ bello perché la freschezza di quel momento è la radice di una possibile freschezza nel corso della vita ed il recuperare, il ritornare alla bellezza di quel giorno significa recuperare quella bellezza e portarla al tempo presente nella nostra vita.

 

  1. Osserviamo la struttura del racconto che è incorniciato da due espressioni: la prima ricorda l’ingresso dell’angelo dove Maria si trova, la seconda sottolinea l’allontanarsi dell’angelo. L’angelo va e viene, Maria rimane. Questa è la cornice del testo. Ciò avviene mediante tre avvenimenti successivi che descrivono come la storia che sta capitando, sia segnata da una rivelazione da parte dell’angelo. L’angelo appare a Maria rivelandole qualche cosa ed è come un crescendo di rivelazione: dall’altra parte stanno l’intervento e le osservazioni di Maria rispetto a questo progressivo rivelarsi di Dio attraverso l’angelo.
    Consideriamo questi tre tempi e questo triplice dialogo tra l’angelo e Maria. Ai versetti 27- 28-29 l’angelo dice quanto Dio ha operato in lei, segue lo stupore ed il turbamento della Madonna. Poi si annuncia la maternità introducendo anche il tema della verginità, e la Madonna che non dubita ma chiede il “come”. Infine l’annuncio che sarà madre e vergine, tutto sarà opera di Dio, l’adesione di Maria e la gioia del suo cuore.
    Perché abbiamo ricordato questi tre tempi, questa triplice rivelazione e questo triplice intervento della Madonna? Perché in lei, se pur qui sintetizzato in poche righe, la vocazione è stata una storia, cioè un progressivo rivelarsi di Dio a lei ed un progressivo suo capire ed entrare dentro questa Parola che le veniva rivolta e le illuminava la vita. In qualche modo in questa storia di vocazione c’è tutta la storia di Maria, perché la storia di Maria è stata un progressivo rivelarsi di Dio a lei ed un progressivo suo capire il disegno di Dio.
    Quante volte troviamo il rivelarsi del Signore alla Madonna e quante volte troviamo la Madonna che custodisce nel cuore perché progressivamente entra nel mistero e capisce quella Parola di rivelazione che le viene rivolta. Qui noi troviamo descritta la nostra vita, che è un progressivo mostrarsi di Dio a noi ed un progressivo nostro capire Dio nella nostra vita, un progressivo amarlo, un crescendo di esperienza di Lui e di gioia della Sua presenza nella nostra vita. Guai se non fosse così, perché questo è il modo attraverso il quale accompagna il nostro cammino: non ci dice tutto in una volta, ci dice tutto progressivamente giorno per giorno fino all’ultimo istante della nostra vita. Da parte nostra non capiamo tutto in una volta sola, ma entriamo dentro la comprensione, la visione del volto di Dio l’esperienza del Suo amore, istante per istante, giorno dopo giorno, fino all’ultimo momento della nostra vita.
    C’è un antico proverbio cinese che dice che l’amore è come la luna che se non cresce, cala. E’ così la nostra storia con Dio, se nella nostra vita il guardare Dio non è più un progressivo rivelarsi di Lui a noi, vuol dire che non lo stiamo più guardando e non lo stiamo ascoltando, non lo stiamo amando. Se il nostro modo di stare con il Signore non è un progressivo capirlo, non è un progressivo crescere nel Suo amore, vuol dire che non stiamo vivendo per Lui, la nostra vita è distratta, la nostra vita è altrove. Entriamo dentro questa pagina, a questo progressivo rivelarsi di Dio e capire di Maria, guardiamo che questa è anche la nostra vicenda spirituale, che questa è anche la nostra storia, che dobbiamo riprendere il nostro cammino vivendo questa tensione di amore, in cui c’è la tensione dell’amore di Dio che si fa scoprire e c’è la tensione dell’amore del nostro cuore che vuole scoprire, che vuole capire, che vuole sperimentare, che vuole entrare: questa è la nostra storia di amore con il Signore e che approderà al Paradiso.
    Il segno più semplice e anche più verificabile da noi che siamo vivi spiritualmente è che siamo in cammino. Se siamo vivi siamo in tensione, siamo vivi se percepiamo il desiderio di correre e di andare, siamo vivi se lo stare con il Signore è un’esperienza sempre nuova, siamo vivi se lo stare con Lui ci porta a stare fuori da noi.
    Sappiamo che nei Vangeli nulla è a caso e nulla è di troppo e quindi anche il singolo dettaglio ha qualcosa da dire, d’altronde Gesù non avrebbe detto che dalla Scrittura non sarebbe passato nemmeno uno “iota” (anche lo iota parla perché abitato dalla presenza del Signore).
  2. In questa pagina uno di questi dettagli piccoli e importanti è il numero 6 (il sesto mese) che ci richiama il giorno della creazione dell’uomo: è proprio nel sesto mese, in questo giorno dell’uomo che Dio entra.
    L’annunciazione è la notizia per cui Dio dice all’uomo: “guarda, nel tuo giorno, nella tua vita, nella tua carne ora entro Io”. E’ proprio per questo che la vita dell’uomo, la carne dell’uomo, raggiunge la sua pienezza. “Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò Suo Figlio nato da donna”. La pienezza del tempo, la pienezza del mondo, la pienezza del cuore dell’uomo è data proprio dal fatto che Dio vi entra e vi abita in un modo nuovo, unico e definitivo.
    Su questo dettaglio rimaniamo per considerare che la pienezza della vita, della nostra vita, la possiamo far realizzare soltanto quando lasciamo che il Signore vi entri totalmente. Finché non vi abbiamo lasciato uno spazio totale all’ingresso di Dio, non potremo mai sperimentare la pienezza del nostro tempo, la pienezza del nostro cuore, la pienezza della vita. Solo dove Dio entra in modo totale lì il mondo fiorisce.
    In questi giorni belli di primavera dovremmo aiutarci anche con gli elementi del creato che sono nostri alleati perché il Signore ci parla attraverso loro. Considerare cosa produce il sole sulla terra, la presenza del sole dà colore a tutto e l’assenza del sole rende tutto opaco e grigio. Questo è ciò che realizza la presenza di Dio nel cuore, tutto rende colorato e bello, ma se questa presenza si offusca si offusca tutto e tutto diventa grigio.
    Quale è il motivo per cui siamo inquieti, ci manca la pace, per cui siamo tristi, per cui non siamo gioiosi, per cui non abbiamo fiducia e speranza, per cui guardiamo al passato, al presente, al futuro con pesantezza? Perché Dio è troppo assente, perché Dio non ha preso possesso definitivamente di noi, perché c’è ancora qualcosa di noi che non Gli appartiene, non è entrato nella Sua proprietà. Il nostro male è l’assenza di Dio.
    Noi dovremmo essere esperti per capire, per dire, per annunciare che Dio è un grande alleato della nostra vita, l’alleato della nostra gioia, ma a volte non lo siamo. Dovremmo essere esperti ma purtroppo abbiamo paura di Lui, perché temiamo che lasciandogli troppo spazio possa toglierci qualche cosa, che c’è qualcosa che tratteniamo perché abbiamo paura che donandoglielo ci tolga parte della felicità che noi cerchiamo. Allora quale è il volto di Dio di fronte a cui siamo? E’ il volto di un amore o il volto di qualcuno che temiamo, il volto di qualcuno nelle cui mani ci sentiamo sicuri o è il volto di qualcuno nelle mani del quale non ci sentiamo sicuri perché abbiamo un po’ timore di Lui?
    Il mio mondo, il mio cuore, la mia vita, la mia carne, possono fiorire solo nella misura in cui sono toccata da Dio, abitata totalmente da Dio e nella misura in cui mi dono in proprietà e possesso senza conservare nulla per me. Probabilmente l’incontro che abbiamo avuto agli inizi ha portato con sé questo desiderio di dare tutto a Dio, ma non possiamo negare che lo scorrere dei giorni, purtroppo, ha portato con sé anche un risveglio di paure. Eravamo molto coraggiosi all’inizio, pronti a lasciare tutto, gli ormeggi, andare in mare aperto, poi ci siamo un po’ ritirati, impauriti, navigando vicino alla costa perché ci sentiamo più tranquilli. Questa è un’occasione per riprendere il largo!
  3. L’angelo di Dio non si dirige verso la Giud ea che è la terra della prome ssa, ma ver so la Galilea che è la regione infedele, la regione delle genti, la terra dei pagani.
    Sembra un piccolo dettaglio, ma non lo è perché ci ricorda che Dio sceglie, anzitutto, sempre i piccoli e nello stesso tempo Dio si piega sull’uomo, nelle pieghe dell’uomo fino a raggiungerlo nella propria miseria. Si è rivolto a Maria perché era piccola, è andato nella Galilea delle genti perché ha voluto chinarsi sulla miseria dell’uomo.
    Come è bello soffermarsi su tutto questo, perché ci aiuta a recuperare tutta la bellezza del volto di Dio, la bellezza di un volto che si è chinato su di me per puro amore, perché sono misero e forse proprio quando sperimento la mia miseria toccando il fondo, lì trovo questo volto innamorato di me che mi recupera, che mi riprende e mi tira su.
    Non so con quale stato d’animo siamo arrivati a questi Esercizi, ciascuno con il proprio bagaglio di vita, ma certo ciascuno di noi arriva con il peso della propria piccolezza, perché tutti la sentiamo, così come sentiamo il peso della nostra miseria che spesso sperimentiamo. Il volto di Dio si piega sul nostro essere piccoli e miseri e allora dal fondo, dal basso dove ci troviamo ritroviamo la dolcezza di quegli occhi e la bellezza di quel volto che ci ama tanto.
  4. La sottolineatura della verginità in questo brano evangelico, è importante perché vuole ricordare che l’opera di Dio non ha bisogno di grandi cose da parte dell’uomo, ha bisogno solo che l’uomo gli faccia spazio. La verginità di Maria, che viene così ripetuta nelle parole angeliche, è proprio per dire che non sei tu a fare, ma aprendo il cuore fa Dio: dagli spazio e Lui opererà meraviglie, non porgli ostacoli e vedrai la grandezza del Signore nella tua esistenza. Non per nulla il nome Giuseppe, dal punto di vista etimologico, significa “possa Dio aggiungere” e allora in questa pagina dove si parla di Maria la vergine, di Giuseppe lo sposo, si parla di una realtà umana che proprio perché si rende disponibile, fa spazio, non pone ostacoli, rende possibile la meraviglia di Dio.
    In questi giorni, ripensando alla nostra vocazione, alla nostra vita, non dobbiamo soffermarci troppo a pensare cosa dobbiamo ancora fare, ma ci dobbiamo soffermare a pensare che cosa dobbiamo togliere per fare spazio, quali ostacoli ci sono che non permettono al Signore di agire, quali muri sono ancora alzati e non consentono l’opera di Dio.
    La maturità di una vita con Dio non consiste nel fare molto, ma nel lasciar fare tutto. Quando Gesù parla a Pietro, nel Vangelo di Giovanni, con le parole gli profetizza quello che sarà la sua morte, ma gli indica anche il cammino della sua maturità spirituale: “verrà un giorno in cui un altro ti condurrà, perché non sarai più tu a condurre la vita”.
    Ecco che cosa significa qui la verginità di Maria, che cosa significa il nome e la realtà di Giuseppe: lasciarsi condurre, lasciarsi portare.
    Probabilmente quando mettiamo in relazione ciò che abbiamo vissuto nella chiamata e quello che abbiamo vissuto dopo, che stiamo vivendo adesso, troviamo una certa discrepanza tra l’aver detto a Dio di fare di me ciò che vuole e il dirgli di fare ciò che vuole sino ad un certo punto perché voglio realizzare anche ciò che è un po’ mio.
    Recuperiamo questa disponibilità a lasciar vivere Gesù in noi: quando san Paolo dice che non è più lui che vive ma Cristo in lui, afferma proprio questo, che non vuole niente lui, ma soltanto che Gesù viva in lui. Quanto dobbiamo spogliarci e lasciare dietro di noi!
  5. Questa pagina del Vangelo è un po’ tutta un invito alla gioia, sprigiona gioia: le parole dell’angelo, la meraviglia di Maria, il ricordo di alcuni elementi della storia salvifica. L’invito alla gioia, che trova un’espressione esplicita nelle parole angeliche, è un eco di una parola profetica del profeta Sofonia quando al cap. 13 dice “Rallegrati figlia di Sion”. E’ importante mettere in relazione la parola angelica con quella profetica perché quella profetica parla di una gioia legata strettamente al tempo messianico, cioè è una gioia sponsale, è un invito a rallegrarsi perché il Messia sta per venire, lo sposo sta per unirsi alla sua sposa, le nozze di Dio con l’umanità si stanno per realizzare e nell’annuncio a Maria la profezia diviene realtà e la gioia di cui si parla è proprio la gioia sponsale delle nozze tra il Signore e la Madonna, tra il Signore e l’umanità e ciascuno di noi.
    La nostra vocazione è una vicenda nuziale e tutta la nostra storia deve essere una vicenda nuziale. Consentiamoci allora una domanda: ma io sto vivendo la nuzialità, i miei occhi sono occhi, la mia parola, i miei pensieri, il mio cuore portano il segno della nuzialità?
    Chi è innamorato canta, ma se non cantiamo, se non siamo nella gioia del cuore, chi siamo? Entriamo dunque in questa gioia di cui ci parla l’angelo, verifichiamola nella vita, riscopriamola nella vita e riascoltiamo la bellezza di essere così perché noi siamo chiamati ad essere così. L’angelo, proprio per sottolineare il motivo di questa gioia che viene ad annunciare alla Madonna, aggiunge subito che il Signore è con lei: ecco il motivo della gioia sponsale, il Signore è con noi.
  6. Protagonista di questa pagina è lo Spirito Santo. L’angelo parla di questo Spirito che scende su Maria: attraverso queste immagini noi capiamo il recupero di altre immagini della storia biblica: dell’ombra, della nuvola che diventano il segno di Dio presente. Lo Spirito che si posa su Maria e le fa come ombra indica che la Madonna diventa il Tabernacolo vivente di Dio, è la nuova Arca dell’Alleanza, la nuova dimora del Signore.
    Noi siamo chiamati a questo! In questi giorni dobbiamo partire da un atteggiamento rinnovato di stupore per i doni bellissimi che abbiamo ricevuto perché il resto è una conseguenza di questo: l’andare ed il correre è una conseguenza della meraviglia che proviamo in quanto siamo chiamati ad essere l’abitazione di Dio. Siamo come uno scrigno del tesoro nel quale abita il Signore perché vuole essere nostro e attraverso di noi vuole andare nel mondo, vuole essere nostro e stare in noi.
  7. La Madonna che si definisce serva usa quella splendida parola ECCOMI: Maria è il modello, l’esempio dell’obbedienza e soprattutto della disponibilità a lasciarsi plasmare da Dio e dalla Sua Parola. Il verbo greco che viene usato per indicare la risposta della Madonna implica una disponibilità gioiosa e pronta. La Madonna si è aggrappata a quella Parola e si è lasciata trascinare in Alto perché si è abbandonata a quella Parola. Proviamo ad immaginare così la nostra vita, noi appesi alla Sua Parola che ci porta su.
    Una volta san Francesco volle chiedere a Dio il mistero del Suo nome e Dio gli disse che Lui è Colui a cui non basta. Lo ripeté per tre volte come ad indicare che non basta mai al cuore di Dio il nostro donarci, il nostro cuore.
    Il nostro essere aggrappati alla Parola del Signore deve avere queste caratteristiche: a Lui non basta mai e a me non basta mai andare da Lui e lasciarmi prendere. Questo è il modo di relazionarmi alla Parola, una Parola che è sempre più profonda, che ha sempre nuove esigenze, che mi fa scoprire sempre nuove realtà di amore e anche da parte mia ci entro dentro e mi lascio portare, non mi fermo, lascio che mi porti dentro di sé dove vuole. Questo è stato l’atteggiamento spirituale di Maria ed è ciò che vogliamo anche per noi.
    All’inizio della nostra chiamata dicevamo che c’era una grande totalità, disponibilità, il desiderio forte e intenso di una vita straordinaria (non può essere diversamente, chi non la vorrebbe?) così come due persone che si amano e che sognano una vita unica, straordinaria. Oggi noi questo lo vogliamo rinnovare perché non deve essere per noi semplicemente un sogno, un desiderio pio, deve essere una realtà. Lo dobbiamo dire a noi stessi e al Signore che non vogliamo vivere la vita di tutti, ma una vita unica, straordinaria, che non ha pari: non abbiamo timore di affermare tutto questo, di pensarlo, di sognarlo, non è superbia, non è orgoglio, è semplicemente ESSERE INNAMORATI.
    “Io non voglio vivere la vita di tutti perché voglio che la mia storia con Te sia unica”. Era ciò che dicevano i santi, santa Teresa diceva che non poteva sopportare che ci potesse essere qualcuno che Gli voleva più bene di quanto gliene voleva lei. Tante volte ci facciamo concorrenza nelle cose umane, inutili, ci guardiamo con occhio non limpido, non puro, non buono, siamo gli uni per gli altri ostacolo, possiamo invece guardarci e dire “io voglio amare il Signore più di te” e non perché ci sia concorrenza, ma perché voglio una vita UNICA e ciascuno di noi lo dirà agli altri …
    Ritorniamo alla nostra vocazione così, chiedendo aiuto alla Madonna che ci sostenga. Nei molti verbi che nei Vangeli descrivono Maria, vi è indicata una “permanenza” che significa una FEDELTA’, un permanere dentro un qualcosa di grande.Domandiamo al Signore che possa essere così per noi!

SECONDA MEDITAZIONE

La Parola di Dio cresce con chi la legge
S. Gregorio Magno ha un’immagine molto bella, perché per descrivere quello che accade quando la meditazione, la preghiera sulla Parola del Signore diventa continua e assidua, dice: “la parola di Dio cresce con chi la legge”, come a dire che più noi diventiamo assidui nella relazione con la Parola del Signore, più la leggiamo, la ascoltiamo, più entriamo nella sua familiarità e più questa parola si amplia a noi, i suoi orizzonti si estendono, ne scopriamo meraviglie sempre nuove e inattese. E’ un po’ l’esperienza che facciamo nei momenti forti della nostra vita, nel momento degli Esercizi, nel momento in cui abbiamo la possibilità di sostare con calma sulla Parola del Signore, in quei momenti, specialmente in alcuni momenti, ci sembra che in quella Parola si spalanchi un orizzonte nuovo. La Parola di Dio cresce con chi la legge! Potremmo anche un po’ ampliare quello che dice Gregorio e affermare che il volto di Dio si scopre sempre di più nella misura in cui lo fissiamo con attenzione d’amore, più rimaniamo davanti a quel volto e più quel volto si scopre in tutti i suoi dettagli, in tutta la sua bellezza e potremmo ancora dire che il cuore di Dio si svela nella misura in cui il nostro cuore rimane vicino al Suo. Questo per dire che più rimaniamo, più stiamo davanti al Signore, con il Signore e più il suo mistero si svela davanti a noi in tutta la sua bellezza. Oggi chiediamo la grazia di fare questa esperienza, che il rimanere fedeli nell’ascolto della sua Parola, il rimanere fedeli davanti al suo volto, il rimanere fedeli in ascolto del suo cuore, ci consenta di vedere orizzonti nuovi spalancarsi davanti a noi. Sant’Agostino dice, in verità in proposito dell’Eucaristia, ma noi possiamo senza tradire il suo pensiero applicarlo anche all’ascolto della Parola del Signore che, quando noi ci nutriamo dell’Eucaristia non siamo noi che la trasformiamo nel nostro corpo, ma è lei che ci trasforma in sé. Non è che l’Eucaristia la trasformiamo nella nostra miseria, ma è l’Eucaristia che ci trasforma nella sua ricchezza e nella sua bellezza. Questo pensiero dobbiamo e possiamo applicarlo anche all’ascolto della Parola del Signore, quando la ascoltiamo davvero non la trasformiamo in noi secondo la misura della nostra piccolezza, ma è lei che ci assimila a sé e ci trasforma nella misura grande della sua bellezza e della sua ricchezza.
In questi giorni usavamo l’immagine dell’essere aggrappati alla Parola, si tratta di questo, rimanere aggrappati non per tirare giù, ma rimanere aggrappati per essere tirati su. Vogliamo chiedere anche questa grazia per la giornata e in particolare per quanto mediteremo questa mattina: che la parola che ascoltiamo ci trasformi in sé.

GESU’ E LA SAMARITANA
Oggi ci soffermiamo su un altro brano che conosciamo molto bene e che ci aiuta a considerare il cammino che viviamo in tante nostre giornate, la nostra quotidianità. Ieri il brano dell’Annunciazione ci ha aiutato a ritornare al momento della nostra chiamata, che poi continua tutta la vita, oggi il brano ci aiuterà a rivedere un po’ le nostre vicende quotidiane, il nostro incontro col Signore che si rinnova ad ogni giornata. E’ il Vangelo di San Giovanni, l’incontro tra Gesù e la donna di Samaria. Rileggiamo questo bellissimo brano chiedendo quello che abbiamo cantato ovvero che il nostro cuore possa vibrare nell’ascolto di questa Parola.
Doveva perciò attraversare la Samaria…

  1. Come ieri il nostro interesse non è tanto un approfondimento, un’esegesi di questo brano, ma far riferimento ad alcuni particolari e dettagli cercando di trarre da questi linfa per la nostra vita spirituale, per la verifica del nostro cammino, per il rilancio nella logica della santità del nostro itinerario di fede. Iniziamo con un dettaglio importante in questo brano che è il dettaglio del pozzo. E’ un dettaglio importante perché nella Bibbia il pozzo ritorna tante volte come un luogo nel quale si realizza qualcosa di particolare e di speciale, ovvero è il luogo tipico degli incontri o meglio, il luogo tipico in cui si stringono i fidanzamenti, dunque è un luogo di incontro di amore. Il libro del Pentateuco ne dà una testimonianza piuttosto ampia perché è presso il pozzo, ad esempio, che avviene il fidanzamento ed il matrimonio di Rebecca con Isacco, ed è presso un altro pozzo che Giacobbe incontra Rachele che diventerà poi sua moglie, è sempre presso un pozzo che Mosé incontra Zippora che poi da lì a poco sposerà. Ecco alcuni pozzi che ci ricordano la peculiarità di questo luogo legata a storie di amore. E’ importante che teniamo presente questo quando abbiamo davanti l’incontro tra Gesù e la donna di Samaria che avviene presso un pozzo. Già questa immagine del pozzo ci suggerisce qualcosa e cioè che quell’incontro non è un incontro come un altro, è un incontro che porterà a un qualcosa di grande, ad una storia nuova, ad un amore che prima era impensato e impensabile. Come Gesù ha incontrato la donna di Samaria presso questo pozzo per stringere con lei un rapporto, un’alleanza nuova, potremmo domandarci al riguardo già qualche cosa: quali sono i pozzi della nostra vita presso i quali il Signore ci attende per stipulare sempre nuove alleanze, per ripartire sempre in una storia di amore rinnovata, per farci sentire la tenerezza e la grandezza dell’amore che ha per noi? Potremmo forse dire che i pozzi sono tanti, tanti quante le nostre giornate, tanti quante le nostre ore addirittura forse tanti quanti gli istanti della nostra vita, ma quanti di questi pozzi rimangono luoghi del non incontro, luoghi della non relazione con il Signore, luoghi di un amore mancato?
    E’ anche bello, in questo contesto, ricordare quei pozzi importanti della vita che l’hanno anche segnata e che noi ricordiamo come momenti straordinariamente belli, fondamentali del nostro percorso perché lì, in quei pozzi, in quegli incontri, la nostra vita ha avuto un segno del tutto particolare e questo segno è rimasto. Pensate come in generale nella Scrittura, nei Vangeli vengano sottolineati e ricordati nei particolari momenti di incontro che hanno segnato la vita: i primi discepoli, Giovanni che ricorda l’ora, l’ora nona, l’ora terza, l’ora del momento dell’incontro cioè il pozzo di un incontro che ha cambiato la vita. E’ bello di tanto in tanto, e forse durante il tempo di Esercizi, ripercorre la storia dei pozzi della vita e cioè la storia di quegli incontri particolari che ci hanno toccato davvero in profondità perché il Signore lo abbiamo visto, si è fatto vedere, ci ha trasformato. Ricordare così i pozzi belli è anche, purtroppo, riconoscere i pozzi che potevano esserci e che non ci sono stati. Tutto questo soltanto in vista del omani, per un’attenzione maggiore, per una delicatezza più grande nel non perdere l’appuntamento che il Signore ci dà.
  2. Sant’Agostino parlando proprio del passaggio del Signore nella nostra vita dice: “il Signore passa … e se non passasse più?” Come è importante che noi non perdiamo gli appuntamenti che il Signore ci dà. Un secondo dettaglio è dato dalla apparente casualità di ciò che accade. Apparente perché l’evangelista descrive ciò che Gesù sta facendo, ovvero uno spostamento da una regione all’altra, un viaggio come tanti altri viaggi, un momento di stanchezza e sete dovuta anche all’ora molto calda della giornata e dunque la sua sosta, il suo riposare in un luogo del tutto particolare. In questo contesto l’incontro. Però c’è da domandarsi: “è proprio casualità oppure tutto questo rientra in un disegno?”.
    Questo dettaglio della pagina evangelica ci può aiutare ad avere uno sguardo un pochino diverso sulle vicende della nostra vita, perché poi noi ci accorgiamo quando guardiamo a ritroso quello che è stato, che nulla è a caso perché tutto, soprattutto quando riusciamo a guardarlo con gli occhi della fede, è stato permesso, voluto, segnato da una volontà di amore e da una provvidenza che ha tirato i fili della nostra esistenza. Nulla è a caso, tutto è dentro un piano più grande, bello, di amore di Dio. Certo, quando ci stiamo dentro non sempre abbiamo la capacità di vederlo, però la visione che noi abbiamo avuto guardando indietro, l’esperienza che abbiamo avuto riconsiderando il percorso della vita, deve poi aiutarci a stare dentro gli avvenimenti credendo che ciò che stiamo vivendo non è un caso, ma è dentro un progetto di amore per noi, tutto! Ricordate san Paolo: “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” Tutto, non c’è nulla che sia al di fuori di questo bene che il Signore vuole per noi, desidera per noi. Anche quello che ci sembra in contraddizione con il bene, anche quello di cui non riusciamo a scorgere il perché, anche quello che ci sembra oscuro, anche quello quando ci siamo forse non vediamo ma non crediamo, anche per l’esperienza che abbiamo avuto precedentemente. Era dunque un caso che Gesù passasse di là, che avesse sete, che si fermasse presso il pozzo, che avesse un momento di ristoro? No, perché solo così avrebbe potuto incontrare la donna di Samaria … La trama degli avvenimenti della vita, una trama bella perché una trama di amore dove nulla è lasciato al caso e questo ci ricorda una verità grande, che noi realmente siamo amati, che davvero la nostra vita è nel palmo della mano di qualcuno che ci ha a cuore più di quanto noi possiamo avere a cuore noi stessi. Nessuno è solo in questo mondo, nessuno è dimenticato, nessuno è abbandonato, qualunque sia la nostra storia personale, qualunque siano le vicende della nostra vita, qualunque sia lo stato in cui viviamo adesso, noi viviamo dentro questo amore grande che ci custodisce sempre in tutto. Per questo il cristiano consacrato non ha paura mai, il grande passaggio dal mondo pagano al mondo cristiano è stato il passaggio dalla paura di tutto alla paura di nulla, è stato il passaggio di un uomo solo in questo mondo ad un uomo amato da un Dio di amore. Noi a volte un po’ viviamo da pagani, con tante paure perché abbiamo paura di tutto: dobbiamo lasciarci trasformare il cuore lasciandoci toccare dall’esperienza di questa paternità amante che in tutto dimostra questa paternità di amore, in questo dettaglio iniziale scopriamo nuovamente di essere così dentro il cuore di Dio.
  3. Gesù si ferma presso la fonte. Alcune traduzioni, sia antiche che moderne, preferiscono sottolineare un piccolo aspetto cioè che Gesù non semplicemente si siede presso il pozzo, ma si fermò a sedere sopra. Questa particolarità per sottolineare come Gesù si sostituisce alla fonte antica, all’acqua che passa si sostituisce l’acqua viva che realmente è capace di estinguere la sete del cuore dell’uomo. C’è una sostituzione: l’antica acqua non era capace di venire incontro a quell’arsura del cuore umano, l’acqua viva che è Gesù finalmente viene incontro a questa esigenza insopprimibile del cuore dell’uomo.
    Nella vita di San Filippo Neri c’è un episodio molto simpatico, tipico della spiritualità di questo grande santo toscano e romano insieme: tra i suoi ragazzi dell’oratorio ce n’era uno che era molto bravo e brillante, ma nello stesso tempo era piuttosto orgoglioso, pieno di sé. San Filippo un giorno volle aiutarlo, aiutarlo a guardarsi a ritrovare questo aspetto della vita per poi piano piano accompagnarlo in un cammino di cambiamento, di conversione. Cominciò un dialogo con questo giovane e gli chiese cosa volesse fare adesso nella sua vita. Questo giovane immediatamente rispose tantissime cose, la prima cosa terminare gli studi nel modo più brillante che sia possibile. Filippo lo ascoltò con tanta amorevolezza e gli chiese: “quando avrai finito gli studi in modo molto brillante come immagino, cosa vorresti fare?” Rispose di voler avere una grande carriera nel percorso di ciò che ha studiato e Filippo di nuovo lo ascoltò, poi continuò a dirgli: “sì sono contento, penso che potrai fare una grande carriera, e poi cosa intendi fare?” Il giovane prontamente disse: “spero proprio di incontrare una gran bella ragazza, di avere una storia bellissima di amore con lei!” Filippo ancora lo ascoltò e si congratulò per il bel progetto, ne era contento, ma poi gli chiese ancora: “e poi?” Questa domanda si ripropose ancora diverse volte mentre il giovane arricchiva l’elenco dei progetti, dei desideri con tanto entusiasmo. Venne un momento nel quale a questa domanda, che Filippo continuava a porgli, il ragazzo non seppe rispondergli più nulla perché ci fu un ultimo “e poi?” di fronte al quale questo giovane stette zitto capendo che dopo tanti poi e poi si arrivava ad un punto nel quale tutte le sue speranze, i suoi desideri si infrangevano.
    San Filippo Neri gli aveva dato una lezione per dire che alla sete che noi abbiamo nel cuore, ai desideri che portiamo nel cuore poi c’è una fine perché tutto passa, tutto se ne va. C’è qualcosa di più grande, c’è una sete più grande di questi desideri che e questo vale per la vita di ogni uomo: noi abbiamo tanti desideri, tanti progetti, proviamo un’ arsura nel cuore che qui si esprime in tanti modi diversi, a volte belli a volte anche meno belli, avvolti i limpidi a volte meno limpidi, ma dobbiamo leggere in questa molteplicità di desideri, in questa arsura grande, abbondante, che abbiamo nel cuore, l’arsura vera che è la sete di Gesù, la sete di Dio. Soltanto il Signore ha la capacità di venire incontro, di rispondere a quell’arsura vera del cuore, del nostro cuore: ecco Gesù che si siede sopra la fonte perché viene a dirmi: “quelle acque che tu desideri, in verità sono Io, quei desideri grandi che porti nel cuore e che ti rendono continuamente inquieto perché alla fine non riesci a realizzarli come vorresti sono Io perché Io sono il desiderio vero della vita”.
    Rileggiamo un po’ la nostra vita, rileggiamo la storia del cuore, rileggiamo i desideri che abbiamo dentro, rileggiamo le inquietudini nelle quali viviamo, rileggiamo le mancanze di pace nelle quali ci ritroviamo e diamogli la risposta vera: “è la mancanza di Gesù”, perché Gesù riempie, solo lui riempie il cuore dell’uomo. Noi siamo capaci di rivestire in ogni modo queste inquietudini, questi desideri e gli diamo anche una parvenza buona, ci buttiamo a capofitto dicendo a noi stessi che è una cosa buona, che è bello, che dobbiamo perseguire, che fa parte del nostro ideale, ma attenzione, andiamo a scoprire che cosa ci sta sotto soprattutto quando desideri, progetti, sete creano inquietudine perché l’inquietudine ci fa scoprire Colui che solo può metterle a tacere e che è il Signore.
  4. La donna arriva ed entra in scena l’altra protagonista. Il suo arrivo, un pochino particolare è un po’ strano, da una parte perché il pozzo è il luogo degli incontri, in un’ora nella quale probabilmente non avrebbe incontrato nessuno. Evidentemente voleva nascondersi alla gente di quel villaggio, perché la sua situazione morale era una situazione conosciuta e che le creava dell’imbarazzo, però forse aveva raggiunto un compromesso tra questa sua situazione morale disastrata ed il suo vivere nel villaggio in modo piuttosto discreto, riservato senza farsi molto vedere. E’ proprio questa situazione di convivenza con il suo male morale, col suo peccato, con la sua decadenza spirituale che ci interessa: questa donna aveva trovato un modus vivendi stava lì e continuava a vivere quella situazione.
    Quante volte noi conviviamo con situazioni disordinate che portiamo nel cuore, disordinate che hanno caratterizzato il passato e che forse caratterizzano il presente, delle quali non vogliamo e non abbiamo a volte anche la forza di liberarci completamente. Quella donna di Samaria nel suo aver ormai trovato un tran tran nel quale quasi neppure più si accorge del suo stato è un po’ la figura, l’emblema di ciò che purtroppo a volte capita anche a noi, che non ci accorgiamo più del nostro stato con quella vivezza con cui invece dovremmo accorgerci.
    Vedete, spesso non sono i grandi peccati che impediscono una storia di santità, perché i grandi peccati toccano il cuore e a volte provocano le grandi conversioni, sono le piccole infedeltà alle quali non facciamo più caso e che ci rendono aridi, che inaridiscono il cuore, che ci impediscono gli slanci, alle quali non facciamo più caso, come se fosse normale vivere in quella mediocrità, in quel compromesso che non ci brucia più, che non ci fa più male, che lo consideriamo normale nella nostra vita. E’ tristissimo per tutti, ma è ancora tanto più triste per noi consacrati vivere in questa contingenza mediocre e triste. Perché ci manca la gioia del cuore? Perché chi ci guarda a volte ci trova così appesantiti forse un po’ noiosi? Perché? Perché ormai conviviamo con la nostra mediocrità che non ci dà più fastidio, che non sentiamo più come insopportabile anzi, nella quale ci crogioliamo, nella quale stiamo perché ci fa comodo, ma che ci rende tanto tristi ed infelici. Che cos’è che impedisce alla nostra vita di essere davvero bella per noi e per chi la vede? Oso dire non la grande caduta, ma quelle piccole cadute alle quali non facciamo più caso anzi, che forse amiamo addirittura!
  5. Gesù prende l’iniziativa rompendo tra l’altro una consuetudine ben radicata negli usi di allora, anzitutto perché è Lui che parla per primo e poi è Lui che parla a una donna, tra l’altro ad una donna di Samaria, quindi appartenente ad un popolo infedele. Nella domanda che Gesù pone alla donna: “dammi da bere!” noi dobbiamo come vedere un’altra domanda, che poi è quella che Gesù pone realmente attraverso questa. Questa è come il motivo che nasconde un motivo più profondo: dammi da bere cioè dammi il tuo cuore. La donna poi lo capirà, ma non subito. La domanda è già presente, ma in questo interrogativo che precede dobbiamo cogliere due aspetti belli e importanti per noi, anzitutto l’iniziativa ed il primato di Dio che ama sempre prima, che ama sempre di più. San Bernardo che si esprime così quando commenta la relazione tra l’uomo e Dio, dice Bernardo: “Dio ama sempre prima, Dio ama di più sempre”.
    E’ molto bello perché anche quando noi ripensiamo alla nostra storia con Dio, ci accorgiamo che il Signore sempre ci ha preceduto e sempre ha fatto di più. La storia della nostra relazione con il Signore è una storia di un primato e di un di più che è sempre dalla parte di Dio. Tutte le volte, anche nelle quali noi prendiamo delle decisioni buone, il nostro cuore si muove nella direzione di una crescita spirituale. Quando avvertiamo l’esigenza che diventa nostra di un cammino più fervoroso, riassaporiamo la santità come itinerario da percorrere, in verità il primato non è stato nostro, è l’amore di Dio che ha mosso il cuore, è l’amore di Dio che ha mosso l’intelligenza, è l’amore di Dio che ha ispirato, è l’amore di Dio che ha portato dentro di noi quella nuova vitalità e quel nuovo slancio, sempre prima e sempre di più. Come è bello accorgersi di questo, probabilmente ce ne siamo accorti un giorno quando siamo stati chiamati, perché lì abbiamo avvertito un amore grande che ci ha preceduto senza nessun motivo e tutto questo ci accompagna nella vita ogni giorno, c’è questo amore grande che ci precede senza nessun motivo, che non sia l’amore per noi sempre prima e sempre di più.
    In questo approccio che Gesù ha con la donna di Samaria, strano ripeto perché non consueto, dobbiamo anche cogliere uno svelarsi del volto di Dio che è sempre un po’ inedito, sempre un po’ nuovo. Quando noi pensiamo ormai di conoscere il Signore, ormai di avere familiarità con la Sua vita, di essere entrati in intimità col suo volto, lì c’è qualcosa che non funziona bene perché la vitalità del cuore la sperimentiamo nella misura in cui ci rendiamo conto che questo volto, questo cuore di Dio, questa vita di Dio è sempre oltre ed è sempre nuova rispetto a quello che noi possiamo pensare o immaginare. Se un giorno dovessimo dire che il volto di Dio non ci sorprende più, quello sarebbe il segno più chiaro della morte del cuore. Se adesso, oggi, dovessimo dire che la parola del Signore la conosco tutta, non mi dice più nulla, passa sopra di me come su un oggetto impermeabile, sarebbe il segno più chiaro che c’è una morte del cuore: il Signore è sempre nuovo, sempre diverso da come noi lo immaginiamo e lo pensiamo, e noi abbiamo da realizzare ogni giorno questo cammino dentro la novità infinita della vita, del cuore del volto di Dio. Dio è il nuovo che si affaccia alla nostra vita e non ci lascia in pace nel senso più bello del termine perché, ci si muove sempre verso qualcosa d’altro con la nostra vita spirituale e in un cammino continuo verso il nuovo che il Signore ci propone mostrandoci il suo volto oppure il segno che sta languendo e morendo questa vita spirituale e che non siamo davanti all’autentico volto di Dio, ma all’immagine che noi ci siamo costruiti di Lui.
    La nostra conversazione passa sempre da lì, perché non è soltanto una conversione morale che non si tratta di dire che devo cambiare questo o quello, ma è la conversione difficile teologica cioè: dall’immagine che mi sono fatto al Dio vivente che sempre diverso e altro da questa immagine. In fondo l’immagine che mi faccio di Dio diventa un’immagine rassicurante perché l’immagine nella quale io metto quello che io voglio che Dio sia per me e questo mi rende più tranquillo. Il Dio vivo però è sempre diverso e dunque mi porta sempre fuori, mi costringe a percorrere itinerari sempre diversi e sempre nuovi, ecco perché ogni giorno devo fare attenzione a non adagiarmi sull’immagine che naturalmente mi sono costruito, proiettando su Dio i miei desideri, i miei progetti, quello che io penso così da essere tranquillo. Dio non mi costringe a smuovermi e a cercare orizzonti nuovi: quando Israele nel deserto dalle pendici del Sinai si è fatto il vitello, non è che si è fatto il vitello d’oro così, ha proiettato su quel vitello un’immagine di Dio rassicurante perché quel vitello poteva gestirlo come voleva, il Dio del Sinai no, non lo capiva, era un mistero che disorientava, il vitello d’oro lo aveva costruito lui uomo a sua immagine. Attenzione ai nostri vitelli d’oro cioè alle immagini di Dio che noi ci facciamo per rassicurarci in fondo per non camminare più.
  6. La donna che gli si era avvicinata adesso si allontana. Interessante questo allontanamento perché prima si è avvicinata anche perché doveva andare al pozzo, e poi rimasta incuriosita da quest’uomo, incuriosita perché le ha rivolto la parola, incuriosita perché le ha fatto domande di un certo interesse, incuriosita anche perché quest’uomo si presentava davvero un po’ particolare nel suo modo di essere e nella sua parola. Adesso però, dopo aver iniziato il dialogo e la conoscenza, la donna prende un po’ le distanze come se volesse dire: “adesso non esageriamo”, perché in fondo lei sa che il pozzo è biblicamente un luogo di incontro, un luogo in cui si stabiliscono relazioni anche profonde e nel momento in cui capisce che quest’uomo, forse vuole entrare in una relazione un po’ più profonda con lei, ecco che la donna ha paura, si allontana, prendere le distanze.
    Come è vicina a noi l’esperienza di questa donna, perché noi siamo fatti così: “ Signore fino a un certo punto va bene, però non esageriamo!” Così ci stiamo, lo ascoltiamo, rimaniamo però poi ad un certo punto, non andiamo in là perché andare troppo in là può significare tante cose. Un autore che a me piace tanto e di cui spero presto venga introdotta la causa di beatificazione, don Divo Barsotti, dice così: “Dio ti trasforma nella misura della tua libertà” cioè, se tu lasci la tua libertà nelle sue mani, se tu ti deponi completamente nella sua volontà, ma se tu ti ritrai, se tu ti difendi, se tu ti allontani, come può trasformare la tua vita? Ritorniamo un po’ a quella paura di cui si diceva ieri iniziando gli Esercizi: dobbiamo ammettere che abbiamo paura di Dio, un po’ come questa donna che ad un certo punto un po’ di Gesù ha avuto paura. Abbiamo paura anche se cantiamo, se diciamo, se professiamo che abbiamo creduto crediamo al Suo amore, non ci crediamo fino in fondo, perché c’è una parte di noi che dice: “ma sarà proprio vero? Mi amerà davvero? Se gli lascio completamente le redini della mia vita, questo Dio come mi tratterà?” La radice della nostra mediocrità, della nostra mancanza di slancio è una fede che non è totale, c’è un non credere fino in fondo in questo Volto di amore che mi si è rivelato. La radice è sempre quella: proviamo, verifichiamoci e ci accorgeremo che siamo sempre lì in questa fede che non è quella che dovrebbe essere, in questo credere a Dio amore che non è completo, non è radicale, non è totale, ci sono delle zone d’ombra.
  7. Il colloquio continua perché questa donna che si allontana è anche attratta irresistibilmente dall’uomo del pozzo. Gesù arriva a leggere nel segreto del cuore della donna: le diceva di chiamare suo marito e la donna rispondeva di non avere marito e Gesù replica che è vero, ha ragione, ha detto bene infatti ha avuto cinque mariti, ma adesso ha un altro uomo che non è suo marito. Una cosa bella, e noi sappiamo che Giovanni è un artista dell’uso della simbologia, è anche questo numero: ha avuto cinque mariti adesso ne ha un sesto. Il termine sei è un termine di completezza e questa donna che ha avuto tanti amori, più o meno amori, in verità diventa anche il segno di una donna che cerca l’amore vero della vita perché soltanto il settimo è lo sposo vero ed è quel Gesù che le è davanti e che ancora non ha scoperto. Questa donna si nascondeva un po’, si nascondeva a se stessa perché le faceva male tornare su questo disordine interiore, guardarlo nella verità di ammetterlo. Noi siamo così, molte volte ci nascondiamo a noi stessi e poi pensiamo anche di nasconderci a Dio, perché ci fa male. Fino in fondo ammettendo che c’è un disordine, riconoscendo in profondità che c’è un peccato da estirpare e c’è ancora un male che dobbiamo eliminare dalla vita eppure, il processo di conversione, di cambiamento non può non passare da questa fatica, anche da questo dolore profondo che guarda, chiama per nome e sradica. Noi a volte non chiamiamo per nome perché mascheriamo, ci nascondiamo ed in questo modo ci difendiamo da una sofferenza che noi avvertiamo grande se noi chiamassimo per nome quell’aspetto della vita, se dessimo il nome a quel peccato che portiamo dentro! Un autore contemporaneo usa questa bella immagine: “ogni ferita può diventare una feritoia”. Il peccato finché non è chiamato col suo nome, finché non è riconosciuto, finché non è accolto come tale non può essere quella ferita da cui entra poi la luce come attraverso la feritoia, rimane una ferita che sanguina e che toglie la vita. Questa donna sanguinava e perdeva la vita! Quando Gesù l’ha aiutata a riconoscere, a chiamare per nome ciò che viveva, a vedere dentro il suo peccato, il suo male, la sua vita si è arricchita di luce ed è guarita.
    Una piccola appendice mi porta a dire che maestri spirituali esortano, quando si fa un po’ la verifica sul proprio cammino, nel tempo degli Esercizi, quando abbiamo un momento di maggiore tranquillità interiore, a ricercare quello che viene definito come il difetto dominante. E’ un Esercizio importante perché spesso, questo difetto dominante che caratterizza un po’ la nostra vicenda spirituale, non lo conosciamo e non conoscendolo non riusciamo a capire il motivo ed il perché di altri aspetti della vita che derivano da lì, perché il difetto dominante è la radice di altri difetti, di altre fatiche, di altre problematiche interiori. La donna è stata portata da Gesù a scoprire il guaio dominante della sua vita ch’era questo disordine nell’amore negli affetti, nelle relazioni e da lì ha potuto iniziare il cammino di cambiamento. Noi anche abbiamo bisogno di essere condotti dalla Parola di Gesù alla scoperta di questo difetto dominante che è la radice di tanti mali che forse a volte attribuiamo ad altre motivazioni che non sono vere e autentiche.
  8. C’è ancora un dettaglio molto bello nel cammino che questa donna fa insieme a Gesù ed è quella brocca dimenticata che è come l’ultimo segno della vicenda che la donna ha vissuto perché la donna era andata al pozzo per riempire la brocca, questo era il motivo per cui si era mossa da casa nell’ora calda del giorno per andare presso quel pozzo: aveva sete e la brocca era la cosa più importante che portava con sé per attingere acqua e dissetarsi, tutto era concentrato lì! Adesso che ha incontrato Gesù e che lo ha conosciuto, che è entrata in relazione con Lui, quella brocca non vale più nulla, tanto che non ci pensa più, se la dimentica! Va via dal pozzo lasciando la brocca, tutto quello per cui era andata a quel pozzo! E’ bello pensare a quante brocche noi dobbiamo ancora lasciare perché noi diamo ancora importanza a tante cose perché Gesù ancora non è il nostro tutto, perché se fosse il nostro tutto, tante brocche non solo le lasceremmo ma non ci penseremmo più, perché non avrebbero nessun valore.
    Quanto peso diamo a tante cose che diventano altrettanti pesi dei quali, quasi, non possiamo fare a meno? Quando invece i nostri occhi si incontrano con il Signore ci accorgiamo che quei pesi non pesano più, quelle cose a cui davamo peso non avranno più peso, non le ricordiamo neppure! Noi dovremmo elencarle queste cose che quotidianamente per tanti motivi prendono spazio nella nostra vita e quasi avvertiamo che non possiamo farne a meno. Tanti di questi legami che abbiamo piccoli e grandi abbiamo nella quotidianità, ma quando concentriamo la vita sul Signore e quando ri-immergiamo di nuovo i nostri occhi nei Suoi e sentiamo il cuore che batte per il Suo, tutti questi legami si infrangono in un batter d’occhio e queste nostre brocche non valgono più nulla. La potenza e la forza dei nostri legami sono il segno di quanto poco siamo legati a Gesù e la capacità che invece abbiamo di sciogliere questi legami, è il segno della potenza dell’amore che stiamo vivendo nei confronti del Signore. Il cammino di conversione deve sempre partire dall’alto, non uno sforzo titanico per recidere un legame, ma un’avventura bella attraverso la quale l’amore che scende nel cuore, mi scioglie tutti i legami. Lo sforzo titanico mi porta solo a battere la testa contro il muro della mia povertà, l’amore che mi scende nel cuore è come il sole che scioglie i ghiacciai dell’anima: ci pensa Lui con la Sua potenza, con la Sua forza d’amore. Ripartire sempre dall’alto, da Dio perché partire dal basso non porta da nessuna parte.
    * Se noi ripercorriamo questa storia bella, avvincente anche commovente, ci accorgiamo che l’incontro tra Gesù e la samaritana è un incontro basato tutto sulla parola, perché non ci sono gesti particolari, è tutto dialogo è tutto parola, si incrociano la parola di Gesù con la parola della donna ed è come se Giovanni ci volesse far capire l’itinerario che la parola del Signore compie nel cuore di chi lo ascolta: un itinerario bellissimo. Noi oggi con la nostra riflessione, con la nostra meditazione, chiediamo la grazia che la Parola che Gesù ci rivolge possa percorrere questo stesso itinerario bello nel nostro cuore e nella nostra vita.

TERZA MEDITAZIONE
LA PECCATRICE

Ci guida questa mattina il brano di Luca in cui si racconta il perdono della peccatrice da parte di Gesù. Ascoltiamo pensando che questa parola fluisce dal silenzio di Dio.
Uno dei farisei lo invitò a mangiare…

  1. Come i giorni scorsi, senza attardarci in modo esagerato sui particolari di questo testo, vediamo alcuni dettagli da mettere in relazione con la nostra vita spirituale. Gesù doveva essersi recato poco prima nella sinagoga a predicare e questo possiamo immaginarlo perché era uso in quel tempo che il maestro del luogo invitasse poi al banchetto nella sua casa colui che aveva predicato poco prima nella sinagoga del villaggio. Probabilmente la donna o lo aveva sentito direttamente parlare nella sinagoga affacciandosi senza ovviamente entrare oppure le era arrivata voce che il maestro di Nazaret era venuto nel villaggio e approfitta di questo banchetto per avvicinare Gesù ed esprimergli l’amore e chiedere perdono e compassione. Già su questo primo piccolo dettaglio possiamo riflettere un momento. Questa donna, che ha sentito forse una parola e che comunque ha sentito che Gesù era lì, rimane coinvolta. Questa donna non si accontenta di una parola che le è arrivata alle orecchie o dì una parola di tanti altri che l’ha raggiunta, ma vuole procedere oltre, oltre in un incontro personale. Insomma l’ascolto di qualche cosa la muove ad ascoltare di più. L’aver percepito la voce del Maestro la spinge a percepire di più, ad ascoltarla con ancora maggiore ampiezza ed intensità. Questo che cosa ci ricorda? Che noi più ascoltiamo la voce del Maestro e più noi la vorremmo ascoltare, ma meno la ascoltiamo, meno rimaniamo coinvolti nel desiderio dell’ascolto. Lo abbiamo sperimentato tante volte: più noi rimaniamo fedeli alla voce del Signore e più aumenta il desiderio di ascoltare questa voce. Invece più siamo distratti e più rimaniamo distanti, meno sempre meno vorremmo stare lì ad ascoltare questa voce. Dunque è vero che la Parola cresce con chi la legge, come diceva San Gregorio. Ed è anche vero però che il desiderio cresce nella misura della mia lettura, del mio ascolto fedele, perseverante, cioè il cuore si ampia, diventa sempre più affamato. Più ha bisogno di nutrimento, più beve e più è così via. Nella vita spirituale i maestri di spirito dicevano che più preghi più cresce la voglia di preghiera, meno preghi meno cresce la tua voglia di preghiera. Se diamo, Lui ci prende, se non diamo, Lui non ci prende. Allora impariamo da questa donna che parte da una voce, da una parola per rimanere dentro questa voce, dentro questa parola.
  2. “Uno dei farisei lo invitò a mangiare…” questo inizio del brano ci riserva qualche sorpresa perché qui si racconta di una delle tre volte nelle quali Gesù pranza con i farisei. Ma ci chiediamo: se questi farisei erano sempre un po’ in antagonismo con Gesù, non vedevano tanto di buon occhio il Signore, perché lo invitavano? Probabilmente volevano rendersi conto chi era questo Gesù, conoscerLo meglio.
    Luca descrivendo l’invito e l’ingresso di Gesù nella casa, sottolinea che egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Manca qualcosa. Mancano tutti quei gesti di accoglienza rituali che erano previsti e che facevano parte della buona ospitalità. Gesù è stato invitato, ma è stato invitato freddamente. E’ come se avesse detto: “Vieni, ma ti faccio capire che non mi stai tanto simpatico.” Noi siamo invitati a considerare due cose.
    – Da una parte la reazione di Gesù a questo comportamento perché se il fariseo mostra un certo distacco una certa freddezza Gesù invece da parte sua usa il linguaggio dell’amicizia e della familiarità perché lo chiama Simone per nome e questo ci mette davanti a una cosa bella e importante perché noi siamo chiamati sempre ad avvicinare tutti ed ad accostare tutti con questo cuore grande.
    Gesù chiama per nome cioè vuole bene a questo fariseo che tanto bene non gli vuole, usa un linguaggio di prossimità nei confronti di quest’uomo che dimostra freddezza, usa la delicatezza di chiamarlo per nome di fronte a quest’uomo che ha usato tanta freddezza nell’accoglierlo. E’ l’amore che cambia il cuore degli altri anche quando noi non siamo amati. Diceva S. Giovanni della Croce: “Dove non c’è amore metti amore e troverai amore.” Questo vale per il nostro apostolato, però vale anche per a nostra vita comune, perché nella vita comune sperimentiamo la realtà di quella sorella che magari non mi guarda. Non rispondere con la stessa moneta, ma rispondi con la parola dell’amore che cambia il cuore. Tutti ci ricordiamo della testimonianza di Santa Teresa di Gesù Bambino che in comunità aveva una sorella che verso di lei aveva qualche cosa e lei la trattava come se fosse la sorella più amata, tanto che avanti negli anni questa sorella disse: “Non capisco e non capivo perché Teresa mi volesse tanto bene.” Questo modo di rispondere sempre con amore, questo cambia il cuore, cambia le situazioni, cambia gli ambienti… se noi vogliamo cambiare qualcosa dobbiamo mettere amore. Gesù ha fatto così.
    – Il fariseo tratta con freddezza Gesù anche perché probabilmente non vuole lasciarsi coinvolgere troppo. Lo invita, però tenendo una certa distanza. E questo ci ricorda un altro elemento della nostra vita spirituale: noi non possiamo vivere così, cioè dire sì al Signore con un “però”, dire sì al Signore con un “ma”. Senz’altro avete presente quelle porte scorrevoli che incontriamo nelle banche, negli aeroporti, nei supermercati, quella porta non si apre se non ci avviciniamo. Se rimango a distanza non c’è niente da fare. Si apre quando mi avvicino e ci entro e così è nella nostra relazione col Signore. Finché rimango a distanza non entro nel cuore di Dio, se rimango lì a guardare senza avvicinarmi, non scopro la bellezza della vita del suo Amore. Devo entrarci. Se mi avvicino, mi accosto, vedo cosa c’è di là.
    Quando i primi discepoli domandavano a Gesù “Maestro dove abiti?” per capire dov’era, dove stava, hanno cominciato a dialogare con Lui. E Gesù ha detto: “Venite, così vedete. Questo deve valere anche per noi: dobbiamo andare, entrare, è seguendo che capiamo, non è che capiamo e poi seguiamo. Questo è estremamente importante nella nostra vita della nostra sequela di Gesù. Noi vorremmo spesso avere tutto chiaro e poi andare dietro, ma non è così. E’ nella fede che vedremo la bellezza del seguire. Seguire per capire e non capire per seguire. E poi andare per vedere e non vedere per andare. Dobbiamo capovolgere questo modo di pensare che abbiamo perché il Signore ama tanto la nostra fede e la fiducia che noi abbiamo. Non c’è cosa più grande che il Signore apprezzi in noi. “E’ la tua fede che ti ha salvato” dice alla peccatrice. Non ha aspettato che Gesù dicesse “vieni”, ma si è buttata, ha rischiato, ha rischiato grosso con un comportamento anche disdicevole apparentemente, si è buttata, questa fede ha conquistato il cuore di Gesù. E’ la fede del centurione che va e si butta e dice: “Vieni che il mio servo muore.” E’ la fede della donna che lo tocca perché pensa che così sarà guarita. E’ questa fede che piace a Gesù. Non piacciono a Gesù quelli che sono lì sempre a fare calcoli: “mah … sarà … potrò … mi fiderò … deciderò …” Ma no, bisogna buttarsi! Non Gli piacevano tanto all’inizio quei giovani che gli chiedevano “dove stai?” Poi li ha educati, fidatevi. È la fede che muove il cuore di Dio. Dobbiamo vivere di più con fede, buttarci di più, andare senza tante sicurezze, senza tanti appigli, buttarci, perché ci buttiamo nelle mani di Dio. Dobbiamo crederlo fino in fondo. La nostra preghiera spesso non è fatta di fede, è una preghiera dubbiosa, chiediamo pensando che non saremo ascoltati, parliamo ma senza tanta sicurezza. Gesù dice: “Se aveste un granellino, un granellino di fede, spostereste le montagne.” Le montagne spesso non le spostiamo, quindi vuol dire che ci manca questa fiducia, Guardiamo a questo fariseo che non si fida, proprio per ricordare a noi che la nostra vita deve essere davvero una vita di fede, una vita di fiducia, anche perché è soltanto questa fede grande attraverso la quale diciamo al Signore che noi crediamo in Lui. Altrimenti sono parole, perché se poi la vita non procede così, vuol dire che noi parliamo ma poi non crediamo a quello che diciamo perché non crediamo e la consolazione di Dio è avere con sé anime che credono davvero e che dunque si fidano.
  3. Il racconto prosegue: Una donna peccatrice di quella città… Accade un fatto sorprendente perché Gesù ha predicato, è entrato in casa di questo fariseo, si sono seduti a tavola al modo orientale quindi seduti in parte sdraiati attorno al tavolo del banchetto. Tutto sta per iniziare, anzi forse è già iniziato. Come consuetudine la porta che dava sulla strada sull’esterno era aperta, perché gli invitati a seconda della loro autorevolezza erano motivo di prestigio per chi invitava e quindi gli altri guardavano. Da quella porta aperta all’improvviso entrò questa donna sconvolgendo tutto. Questa donna compie un gesto eroico perché entra lì dove non poteva entrare, non doveva entrare. Dicevamo che ha rischiato tanto, ha compiuto un gesto che non era usuale, un suo gesto che poteva essere punito gravemente, un gesto che le poteva costare caro, carissimo. Questa donna ci è di grande esempio perché noi nella nostra storia di amore con Signore abbiamo bisogno di compiere dei gesti anche eroici perché altrimenti questo amore non si ravviva, alla fine langue, si rimane sempre nell’ordinarietà. Ha bisogno anche questo amore di gesti forti che ci ricordino che siamo disposti a tanto per quel Signore che amiamo. Infatti Gesù dice al fariseo: “Hai visto quella donna?” Come dire “guardala. Prendi esempio, non vivere nella tua stagnante ordinarietà, ogni tanto anche tu esci e compi qualcosa di grande per il tuo Dio”. Quali sono i gesti un po’ eroici che noi compiamo per il Signore, che fanno bene a noi e al nostro cuore perché lo ravviva? Noi dobbiamo ogni tanto essere un po’ pazzi, un po’ pazzi d’amore, perché l’amore contempla anche queste pazzie.
  4. E immediatamente segue la descrizione di ciò che questa donna compie nei confronti di Gesù. Sta presso i piedi di lui, piangendo, bagna i suoi piedi con le lacrime, poi li asciuga con i sui capelli, li bacia, li cosparge di profumo. Se non stiamo alla lettera di questi gesti dobbiamo dire che siamo di fronte a gesti molto equivoci, perché in fondo questi erano i preliminari di un amore mercenario. Ma qui c’è stato un grande cambiamento, perché ormai questi gesti della donna non sono il segno di un amore mercenario ma il segno di un amore puro casto. Ma che cos’è successo? Che la passione d’amore di questa donna non è stata annientata, è stata indirizzata e anche qui noi dobbiamo sentire come rivolto a noi quello che Gesù dice al fariseo: “Hai visto quella donna?” dandola ad esempio perché noi non possiamo vivere la nostra vita di fede ammazzando le passioni del cuore, dobbiamo vivere la nostra vita di fede indirizzando le passioni del cuore, ma da appassionati, non da morti alla vita, ma da ardenti, non da spenti. Guai se noi spegnessimo le nostre passioni! Non dobbiamo spegnere, dobbiamo indirizzarle. Un consacrato non ha dimenticato di essere uomo pieno di vita, è un uomo pieno di vita, ancora più pieno di vita e ha indirizzato questa vita, questa vitalità che porta dentro. Non siamo dei morti alla vita, anzi la nostra vita è in esuberanza perché è stata toccata dall’amore di Dio e deve esprimersi questa esuberanza appassionata. Come la donna del Vangelo: se avesse spento le proprie passioni non sarebbe entrata, non avrebbe pianto, non avrebbe cosparso i piedi…, non li avrebbe baciati, non avrebbe sciolto i capelli per asciugare, non lo avrebbe fatto … avrebbe spento il cuore. Non ha spento il cuore, l’ha indirizzato.
  5. Domandiamoci cosa significa per noi nella vostra vita questo. L’impressione purtroppo a volte è che noi mettiamo a tacere queste passioni e questa vita che è dentro di noi e che invece deve potersi esprimere. Il fariseo pensa tra sé: “Ma questo profeta è un po’ particolare. Se lo fosse saprebbe bene chi è questa donna.” La cosa bella è che il racconto di Luca non ci parla semplicemente di un atteggiamento di misericordia che Gesù ha verso la donna, ma ci parla di un atteggiamento di misericordia che è a 360°. Gesù sa che c’è un perdono che deve essere dato a lei perché ha peccato in un certo modo. Ma anche a lui, perché lei ha sbagliato, ha indirizzato male il suo cuore e a lui perché vive in quel peccato – forse ancora più terribile – di sentirsi giusto. E noi a volte viviamo questa realtà di peccato: sentirci giusti. Il peccato grave del fariseo è l’idea che l’amore di Dio si possa comprare. In fondo anche lui colpito da prostituzione. La donna per un verso, lui per un altro. In lei c’è stata una mercificazione dell’amore, del corpo; in lui c’è una mercificazione dell’amore nei confronti di Dio perché pensa che quest’amore si possa comprare. Con che cosa? Con le buone opere, con i suoi gesti. Non accetta l’idea che c’è un amore che precede, che lo salva Chi è colui a cui sarà perdonato di più? Colui che ha amato di più. Lui non si sente amato, deve capire di essere amato, ecco perché lo chiama per nome, ecco perché continua nella sua bontà ad aiutarlo per fare un cammino interiore e questo riguarda anche noi. Dobbiamo fare l’esperienza di essere tanto amati perché solo da questa esperienza può rifiorire la vita. Rimaniamo in questo testo così bello soprattutto portando nel cuore quella domanda che Gesù rivolge fariseo. Rimaniamo sui gesti di quella donna, sul comportamento di quella donna e pensiamo che debbano essere anche i nostri.

QUARTA MEDITAZIONE
“SIATE QUELLO CHE SIETE…”

“Scendi, Spirito, su di noi e plasmaci”… Noi sappiamo che lo Spirito compie quest’opera del plasmare la nostra vita proprio attraverso la parola del Signore, una parola che è affilata perché penetra dentro, si introduce, si insinua nel cuore e lì opera plasmandoci. Plasmandoci come? Plasmandoci con l’intenzione di farci diventare sempre di più quello che dobbiamo essere davanti agli occhi di Dio.
Oggi, iniziando la nostra meditazione, il nostro tempo di preghiera davanti al Signore, rinnoviamo questa domanda che il Signore venga, che attraverso la sua Parola lo Spirito scenda e che attraverso la Parola di Dio ci plasmi interamente secondo i desideri di Dio, non vogliamo avere altri desideri se non di essere plasmati come Egli ci vuole. Non coltiviamo altri progetti, ma soltanto questo progetto, di essere quello che dobbiamo essere davanti agli occhi del Signore.
Ricordate S. Agostino quando esortava i suoi cristiani dicendo: “siate quello che siete …”? Siate quello che siete davanti a Dio, non abbiamo altro desiderio. Purifichiamo i nostri desideri invocando lo Spirito: il mio desiderio è di essere come Tu vuoi, nient’altro e la passione della mia vita è realizzare questo e nient’altro, il grande sogno della mia vita è diventare come Tu mi vuoi, nient’altro!
S. Agostino dice che quando noi leggiamo e ascoltiamo le Scritture, se avessimo gli occhi limpidi ed il cuore puro, capace di andare al di là e di penetrare dentro al mistero di ogni parola che il Signore ci rivolge, riusciremo a scorgere che dietro ogni parola, ogni singola parola, se ne presenta un’altra ed è la parola amore. Cerchiamo di avere questo sguardo così bello, così puro, così limpido che sa andare al di là di ogni singola parola per scorgere che dietro ogni singola parola c’è l’amore di Dio che mi vuole incontrare tramite quella parola. Ogni parola è un ponte che mi mette in relazione con Dio che ama, ogni parola è una porta che mi mette in contatto con l’amore di Dio, ogni parola è una fessura attraverso la quale entra l’amore del Signore per me ed è così che vengo plasmato da ogni parola che porta in sé la forza travolgente, trasformante dell’amore di Dio.

L’UNZIONE DI BETANIA
Oggi ci aiuta un brano di S. Giovanni, Gv. 12 “l’unzione di Betania”, proprio pensando nel suo complesso e ad ogni singola parola, entra per noi questa luce calda dell’amore di Dio, ci mettiamo in ascolto:
Sei giorni prima della Pasqua…

Anche quest’oggi cerchiamo di cogliere alcuni particolari, alcuni dettagli di questo bel brano evangelico di Giovanni, sempre mettendolo in relazione con la nostra vita e cogliendo qualche ispirazione per noi.
– Diciamo anzitutto che scorrendo questo brano ci accorgiamo che S. Giovanni a più riprese sottolinea che si sta avvicinando il giorno della Pasqua (“sei giorni prima della Pasqua … era vicina la Pasqua dei Giudei”) come se volesse mettere i lettori in questa disposizione d’animo: “guarda che quello che ti racconto avviene mentre la Pasqua ormai è imminente, è prossima!” e dunque come se dicesse anche a ciascuno di noi: “non puoi capire ciò che ti sto raccontando, ciò che è avvenuto, se non pensi che la Pasqua era alle porte.” In questo contesto Gesù si avvicina al luogo, Gerusalemme, nel quale vivrà i grandi avvenimenti della nostra salvezza: la morte e la resurrezione.
Consideriamo allora che c’è da mettere in relazione quest’episodio con la Pasqua antica, che è ormai alle porte, e la Pasqua nuova che sarà vissuta e introdotta da Gesù con la Sua morte e resurrezione. E’ importante ricordare, per una riflessione personale che faremo più avanti, che Gesù è a Betania e la Pasqua si sta avvicinando. Gesù sta andando a Gerusalemme e quindi siamo vicini non solo alla Pasqua dei Giudei, ma anche alla Pasqua di Gesù e questa narrazione non può essere compresa se non in relazione alla Pasqua antica e a quella nuova, alla morte e resurrezione del Signore.
– Ecco un altro particolare che ci aiuta alla comprensione di questo brano: se noi leggiamo con attenzione il testo mentre scorre sotto i nostri occhi, ci accorgiamo che Giovanni procede nel racconto presentando tre opposizioni.
La prima opposizione è quella tra un contesto di gioia dove si celebra la vita, la cena, e l’unzione, che è un gesto che richiama la sepoltura e la morte: c’è un accostamento un po’ particolare tra cena e unzione quindi tra vita e morte.
La seconda opposizione è tra Gesù e Giuda dove, da una parte Gesù interpreta il gesto di Maria in un modo bello, come gesto di amore che anticipa il grande mistero della salvezza, Giuda al contrario lo interpreta negativamente, come uno spreco inutile mentre si poteva dare tutto quel bene prezioso per altro e per altri.
La terza opposizione è tra coloro che aderiscono a Gesù, la folla, e coloro che nonostante tutto si contrappongono e vogliono uccidere Gesù, i Giudei, i farisei o per lo meno alcuni di loro. Le tre opposizioni dobbiamo tenerle presenti per approfondire il testo e metterlo poi in relazione a noi: cena – unzione (vita – morte), Gesù – Giuda (diversa interpretazione di un gesto), folla – Giudei (accoglienza – contrapposizione nei confronti di Gesù).

  1. La prima opposizione è quella tra la cena e l’unzione : la cena è un elemento che indica la gioia della vita, in effetti Gesù si è recato a Betania per celebrare la vita ritrovata di Lazzaro. E’ andato dai suoi amici Marta, Maria, Lazzaro e con loro vi erano altri convenuti proprio per festeggiare nella gioia una vita ritrovata, quella di Lazzaro risorto dalla morte.
    La relazione tra il mangiare e la vita, molte volte viene sottolineata nei Vangeli, pensiamo a quando Gesù, nel Vangelo di Marco, dopo aver riportato in vita la bambina morta dice di darle da mangiare, come dire che quel gesto del pasto, quel gesto conviviale è un gesto che celebra la vita, che annuncia la vita ritrovata, con il quale si festeggia il vivere. All’indomani della resurrezione, nel Vangelo di Luca, sul lago quando incontra i suoi, chiede a loro se hanno qualcosa da mangiare e questo per celebrare la vita, la resurrezione, per la gioia della vita. Mangiare allora, significa essere vivi, ma non semplicemente vivi della vita umana, ma significa essere anche vivi della vita di Dio e qui una prima relazione con noi: il nostro stare insieme, il nostro stare insieme nel momento del pasto, il nostro stare insieme durante la giornata nel momento ricreativo, nel momento apostolico, il nostro ritrovarci insieme è un celebrare alla vita, un inno alla vita, fa crescere la vita oppure è soltanto occasione di morte? Il ritrovarci tra noi ci aiuta a ritrovarci nella gioia la vita oppure è mortificante per la nostra vita? Quante volte il ritrovarci insieme non è gioia, ma sorgente di tristezza, inquietudine, malessere? Perché?
    Qui viene celebrata la vita perché è Gesù che l’ha immessa nuovamente lì dove vi era stata un’esperienza di morte. Se il nostro stare insieme non celebra la vita e non è un inno alla vita, vuol dire che Gesù non è lì tra noi nel nostro stare insieme, non c’è, lo abbiamo estromesso perché, se il nostro ritrovarci in qualunque modo, deve essere motivo di inquietudine, mortificazione, tristezza, pianto vuol dire che Gesù non è tra noi. Se Gesù è tra noi, il nostro stare insieme edifica la vita, edifica la gioia, è una celebrazione della bellezza della vita.
    Il mangiare nella Scrittura tante volte è il segno bello dell’unione gioiosa del discepolo con il suo Signore, già da ora ma anche nell’eternità: pensate all’Apocalisse quando Giovanni dice: “se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Allora il ritrovarsi conviviale, il mangiare insieme è proprio il segno di questa intimità con il Signore.
    Lazzaro è il discepolo che ha ascoltato la voce di Gesù e che quindi può stare a mensa con Lui. Noi possiamo vivere bene lo stare insieme nella misura in cui abbiamo ascoltato la voce di Gesù, perché se abbiamo ascoltato la voce di Gesù siamo nell’intimità del suo amore e allora il nostro ritrovarsi è il ritrovarci di persone che sono nell’intimità dell’amore di Gesù ed il loro stare insieme è celebrare la vita. Se non abbiamo ascoltato la voce del Signore, noi non viviamo la famigliarità con Lui ed il nostro stare insieme non è un donarci reciprocamente Lui ed in Lui, ma è un donarci, forse, il peggio di noi.
    Ritorniamo su questo sia sulla nostra verifica personale, sia sulle verifiche comunitarie: il nostro vivere insieme, il nostro ritrovarci insieme è il segno di Gesù presente che rende bello quell’essere insieme e che porta vita nello stare insieme?
  2. Nella cena, di cui si parla in questo brano del Vangelo, vengono descritti alcuni personaggi: da una parte vi è Lazzaro, poi vi è Marta, altri commensali e Maria. La cosa di certo interesse è notare che Marta, come di consueto, si dà un gran da fare, Maria è ai piedi del Signore, Lazzaro tace perché vuole godere la presenza dell’amico, è accanto al Maestro e vuole lasciarsi raggiungere dalla bellezza della Sua presenza. A differenza della volta precedente quando Gesù va a Betania, qui non vi è un dolce rimprovero rivolto a qualcuno (là il rimprovero era rivolto a Marta), eppure Marta fa la stessa cosa di prima, ma probabilmente ora Marta non lo fa più come allora in cui il fare la distoglieva da Gesù, ha imparato e dunque il suo fare non la distoglie da Gesù, anzi, la porta a Gesù. Possiamo così considerare Lazzaro nel suo modo di stare accanto a Gesù, Marta nel suo altro modo di stare accanto a Gesù e Maria nel suo altro ed ulteriore modo di stare accanto a Gesù come modi diversi ma complementari, nei quali Gesù è sempre al centro. Questo viene a ricordarci che qualunque sia la nostra specifica chiamata nella grande chiamata a seguire il Signore, alla fine ciò che conta è stare accanto a Gesù ed è seguire Lui. Non importa se vengo impiegato per la scuola o se vengo impiegato per chi ha bisogno di me, o se vengo impiegato in cucina, se vengo impiegato per stare con i giovani o con gli anziani, se vengo impiegato per qualunque altra cosa, ciò che conta è che il cuore stia lì dove è Gesù e che il mio compito, il mio servizio, il mio apostolato sia a motivo di Gesù e vissuto con Lui. Non lasciamo che sia il fare a condizionare la vita, lasciamo che sia il nostro essere a fondare qualunque cosa facciamo, non ritroviamo la gioia nella condizione in cui la vita ci pone, ma facciamo in modo che la radice della gioia, quella che nessuno può togliere, sia la nostra comunione di amore con Gesù, ovunque Egli ci porterà. Noi siamo spesso e troppo dipendenti dalle condizioni esterne e ciò vuol dire che non siamo ancora radicati nel Signore. Se la nostra gioia, la nostra pace, la nostra felicità dipende da quello che facciamo, vuol dire che Gesù non è il solo ed il tutto della vita. Quando Gesù è il solo ed il tutto della vita noi siamo nella gioia, nella pace, nella felicità qualunque sia la situazione, la condizione, l’opera nella quale il Signore ci pone, la vita ci pone.
  3. La cena sottolinea la vita, l’unzione sottolinea la sepoltura e la morte. Questo accostamento, se lo consideriamo anche in relazione alla Pasqua, la vicenda di morte, di passaggio, di vita secondo l’Antica Alleanza, ci ricorda che la vita vera fiorisce sulla morte. La vita di Gesù è radicata sul morire, non vi è un’altra strada. Non vi è Resurrezione senza Crocifissione, non vi è fioritura senza la morte del seme nel terreno. Questo non vuol dire che allora noi siamo destinati all’infelicità, contraddiremmo ciò che abbiamo detto, ma è solo in questa morte, in questa croce al mondo, al peccato, al male che noi possiamo trovare la vita ed essere davvero felici. Un grande predicatore di Esercizi quando introduceva i suoi corsi di Esercizi diceva: “vedete, ciascuno di noi deve immaginare di essere venuto qui, di guardare dentro la propria vita e di riconoscere di trovare che si è in due e durante gli Esercizi capire quali dei due non è conforme a Gesù e buttarlo dalla finestra ….” Ecco la morte per la vita: la vita cresce là soltanto dove si muore al mondo, si muore a se stessi, si muore al peccato, si muore al male, si muore a ciò che non è secondo Dio.
    Nell’accostamento cena – unzione c’è la vita della cena perché prima c’è una morte dell’unzione. Lazzaro vive perché è passato attraverso ad una morte, la cena della vita che anticipa la Resurrezione di Gesù c’è perché vi sarà un’unzione della sepoltura e della morte: Croce e Resurrezione.
  4. Maria è l’unica che con il suo gesto anticipatore vede quello che sarà, perché nessuno degli apostoli, dei presenti, dei discepoli, degli amici ancora si è reso conto di che cosa da lì accadrà, di che cosa sarà teatro Gerusalemme. Maria invece sì, con questo gesto ci fa capire di avere visto, nel senso più bello del termine Maria è una visionaria, cioè vede in anticipo gli accadimenti. Perché vede? Perché ama. Chi ama vede, chi ama va al di là dell’apparenza, chi ama entra nella realtà. Se noi non vediamo, cioè se noi non vediamo Dio all’opera, se non vediamo nel senso di capire quello che il Signore ci dice, ma anche se non vediamo l’altro perché non riusciamo a capirlo, ad entrare dentro il suo cuore è perché non lo amiamo. Quante volte diciamo: “Signore, io non ti capisco!”… perché non lo amiamo. Quante volte diciamo al fratello, alla sorella: “come sei difficile per me, non ti capisco …” è perché non lo amo. La mancanza di amore è mancanza di conoscenza, chi ama conosce, chi ama vede. Chi più di una mamma conosce il cuore del figlio? Perché lo ama visceralmente ed è capace di coglierne tutti gli aspetti che altri non vedono e non capiscono. Da Maria allora lasciamoci portare in questa profondità di amore che è visione. Potessimo essere tutti dei visionari perché amanti, visionari con Dio per capirlo, visionari con i fratelli per capirli.
    Come dicevamo ieri, soltanto l’amore cambia le situazioni, perché soltanto l’amore vede, capisce davvero, conosce, va in profondità. Maria vede e compie questo gesto bellissimo, quello di cospargere di profumo prezioso i piedi del Signore e poi di lavare e di asciugare con i suoi capelli i piedi di Gesù. Ritroviamo un po’ anche il gesto della donna dell’altro giorno, lì era la peccatrice, qui è un gesto simile in un contesto completamente diverso e comunque là e qui vi è un identico linguaggio: un linguaggio sponsale.
  5. Fermiamoci su questi gesti e ritorniamo per un attimo su quello che dicevamo i giorni scorsi su quale è il nostro linguaggio con il Signore. Se noi abbiamo la libertà, la freschezza di usare un linguaggio davvero di amore con il Signore, la nostra preghiera con quale linguaggio la viviamo? Un linguaggio stereotipato, un linguaggio freddo oppure un linguaggio appassionato?
    Abbiamo ascoltato alcuni santi in questi giorni, in che modo parlavano a Gesù? Ne parlavano davvero con la passione di un cuore innamorato! Noi lo facciamo? Diciamo al Signore tante cose belle su di Lui, quanto gli vogliamo bene, quanto è bello, quanto è al centro del cuore, quanto lo pensiamo, quanto è la ragione della nostra vita, quanto moriamo per Lui pensandolo? Cosa si dicono quelli che si amano? “Ti amo da morire!”. Glielo abbiamo mai detto al Signore così? Maria nel suo gesto gli dice questo: “Gesù, ti amo da morire”.
    Gli innamorati si dicono di piacersi da morire e noi a Gesù glielo diciamo? Se il Signore questo lo desidera, ne abbiamo bisogno soprattutto noi, perché il linguaggio sviluppa i sentimenti del cuore, plasma il cuore: a seconda di come parlo educo il cuore ed anche educo la vita. E’ lo stesso aspetto esterno del nostro vivere che cambia perché, se la lingua educa il cuore, dal cuore fuoriesce poi quello che siamo: chi ama cambia anche di aspetto, diventa più bello, più giovane. Se a volte allora noi diamo l’idea di essere invece un po’ appesantiti, è proprio perché manca questa freschezza dell’amore, non vissuta soltanto nel profondo, nelle profondità, ma anche proprio celebrata nella parola, nel gesto, nel modo in cui noi ogni giorno stiamo accanto a Gesù.
  6. Maria che rovescia questo profumo così prezioso sui piedi del Signore e poi compie questo gesto di asciugarli con i capelli, è quasi come se intrecciasse attraverso i capelli che toccano i piedi di Gesù, la propria vita con la Sua e non per nulla Giovanni sottolinea che, proprio a partire da quel momento, il profumo si diffonde in tutta la casa, su di lei ed in tutta la casa: si sono intrecciate due realtà, Gesù, lei e l’ambiente, tutto rimane toccato da quel profumo buonissimo e bellissimo.
    Noi sappiamo che cosa significhi anche nella vita il profumo, noi portiamo dentro una memoria dei profumi che abbiamo sentito, che abbiamo ascoltato e quando abbiamo questa memoria del profumo, quando lo ascoltiamo, lo assaporiamo andiamo con l’intelligenza e con il cuore su quei fatti della vita, su quelle persone che abbiamo incontrato a cui il profumo ci rimanda.
    Ricordo un giorno che, una ragazza mi disse che usava sempre lo stesso profumo perché voleva che chi la incontrava si ricordasse sempre di lei che aveva quel profumo speciale. Noi dobbiamo essere così, avere sempre lo stesso profumo che è lo stesso profumo di Gesù, non altri. La nostra vita invece porta, purtroppo, in sé tanti profumi diversi ed è per questo che non spargiamo il profumo buono di Gesù, che è il nostro unico profumo e dovremmo essere così pieni di questo profumo che chi lo sente poi se lo ricorda, lo porta con sé nella vita e tornando indietro nel ricordo dice: “guarda, quell’incontro mi ha comunicato quel profumo bello di Cristo, del Signore”.
    San Paolo parla del profumo di Cristo e noi dobbiamo essere questo profumo, ma certo non lo possiamo essere se noi non intrecciamo i nostri capelli con i piedi del Signore cioè, se noi non intrecciamo la nostra vita con la vita di Gesù ogni giorno, sempre, spesso, nell’intimità altrimenti quel profumo non si comunica a noi e noi non possiamo spargerlo nel mondo.
    Come è bello ricordarsi di questo gesto di Maria e vivere così il momento della nostra preghiera personale, liturgica, il momento in cui dialoghiamo con il Signore: è il momento in cui le due vite si intrecciano.
  7. C’è anche un altro particolare, il profumo di nardo che Maria usa, è di una quantità spropositata, tanto che provocherà la reazione disturbata di Giuda. In questo modo Maria è proprio il segno di un amore senza misura perché non fa calcolo.
    Torniamo ancora un momento su quanto dicevamo in questi giorni in merito alle nostre passioni che non debbono essere mortificate, annientate, ma che debbono essere indirizzate. Molte volte abbiamo parlato di sponsalità, ma questa volta spostiamoci sull’altro aspetto della vita e cioè quello della maternità. La maternità, come d’altronde la paternità non vengono dalla consacrazione menomati, devono venire esaltati se pur esercitati in modo nuovo, diverso. In noi tutto deve far fiorire vita attorno, se siamo madri, se siamo padri, tutto quello che tocchiamo deve prendere vita, ma prende vita se posiamo su quello che tocchiamo un amore grande. Dobbiamo essere custodi della vita e appassionati della vita delle persone perché se siamo madri, se siamo padri vogliamo veder crescere attorno a noi la vita, la vogliamo amare questa vita, siamo appassionati a questa vita, è tristissimo quando una consacrata non porta in sé questa passione per la vita e non la porta soltanto nel cuore, ma la esprime anche con la parola, nel gesto. Non siamo meno casti se usiamo gesti di tenerezza verso la vita, non viviamo meno la nostra castità, se viviamo paternamente nei confronti dei fratelli: non lasciamoci inaridire perché la nostra castità non è un processo di inaridimento del cuore, ma è un processo di esaltazione del cuore, che si appassiona ancora di più alla vita che vede attorno a sé e la custodisce, la ama, la accarezza, la fa fiorire. E’ tragico quando noi diventiamo sterili, sterili dentro soprattutto, ma sterili anche fuori, freddi, glaciali, incapaci di comunicare il calore della vita. Maria con questo profumo di straordinaria ricchezza ci ricorda questo, che siamo chiamati a questo, anche a questo.
    * Un ultimo particolare di questo unguento di nardo ci porta da dove siamo partiti parlando dell’unzione, perché l’unguento di nardo si produce in modo particolare ovvero, il fiore muore e proprio mentre muore offre questo profumo preziosissimo e allora ciò che dicevamo dell’unzione all’inizio, ritorna alla fine: questo profumo bello, prezioso fiorisce là dove c’è una morte al mondo.
  8. La seconda opposizione è quella tra Gesù e Giuda e rivela un modo diverso di guardare e quindi di interpretare i fatti, i gesti: da una parte Gesù vede il bello che Maria compie, Giuda invece, nella sua grettezza, vede uno spreco. Ricordavamo all’inizio degli Esercizi che soltanto un cuore puro e purificato vede Dio e possiamo aggiungere che soltanto un cuore puro e purificato vede il bello attorno a sé. Un cuore che non è puro, non è purificato è un cuore che vede sempre oscuro, che interpreta sempre in negativo, che non sa scorgere il bello perché lo rovina sempre con delle venature di oscurità e di ombra. Osserviamo e mettiamoci davanti allo sguardo limpido di Gesù, il puro per eccellenza che in Maria vede il bello del gesto; mettiamoci davanti allo sguardo impuro di Giuda che vede nel gesto di Maria un’oscurità che non c’è, ma che è dentro il suo cuore. Come noi guardiamo la vita, i fratelli, i gesti attorno a noi? Quale è il cuore da cui proviene lo sguardo se noi tutto, o quasi tutto, lo vediamo sempre nell’oscurità, interpretando in negativo e andando a considerare che quella sorella ha detto quella cosa perché voleva farmi del male, che ha pensato così perché non mi vuole bene, perché è cattivo quello e cattivo l’altro? E’ il cuore che non è puro e non dà possibilità agli occhi di essere limpidi. Le persone belle che sono toccate da Dio, perché rischiano di non vedere il male? Perché vedono tutto bello, perché vedono sempre in positivo, perché scorgono la presenza di Dio ovunque. A volte si dice, a modo di battuta: “quella persona non ha il peccato originale” perché è incapace di pensare male … Questa opposizione tra Gesù e Giuda ci pone in questa opposizione che spesso è un po’ dentro il cuore di noi.
    Capite perché la Chiesa, nella sua saggezza, iniziando la Messa ci fa chiedere la purificazione del cuore, perché altrimenti non possiamo vedere Dio e non possiamo incontrarlo nel suo mistero di salvezza, siamo opachi e non vediamo. Perché è tanto importante la Confessione nella nostra vita, al di là di altri motivi? Perché meno ci confessiamo e più siamo tristi con lo sguardo sulla vita, perché il cuore è ottenebrato, è oscuro e non vediamo Dio, tutto ci sembra brutto, ci sembra cattivo, ci sembra contro di noi, perché il cuore non è puro, non è bello. Quando ci incontriamo con qualcuno che è triste, che vede tutto negativo forse la medicina più grande è dirgli: “va’ a confessarti ed il tuo sguardo cambierà sulla vita. La medicina di cui hai bisogno è proprio quello” e forse dobbiamo dirlo anche a noi, quando ci accorgiamo che siamo troppo dentro le ombre che creiamo noi, “vai a confessarti, purifica il cuore e forse lo sguardo diventerà più limpido e capace di vedere le bellezze che sono attorno a te”.
    Alla fine è sempre il peccato il grande male del cuore dell’uomo, è sempre il male che abita dentro di noi che ci rovina la vita e allora non si tratta di dover fare chissà quali percorsi, si tratta di sradicare il peccato dal cuore e cambio lo sguardo sulla vita.
  9. C’è una terza ed ultima opposizione ed è quella che abbia mo definito come opposizione tra la folla che desidera di vedere Gesù ed i Giudei che invece desiderano uccidere Gesù. Questa opposizione attraversa tutto il Vangelo di S. Giovanni fin dal Prologo quando, parlando del Verbo che si è fatto carne, parla di luce e tenebre, luce che ha accolto e tenebre che non hanno accolto. Questa opposizione va avanti fino alla fine per indicare come, di fronte al mistero del Signore, permangono accoglienza e contraddizione.
    S. Giovanni vuole dirci qualcosa che non riguarda soltanto il mondo, l’umanità, ma riguarda noi, ciascuno di noi perché questa accoglienza e opposizione è dentro il cuore di ciascuno, questa luce e ombra è dentro e ce ne accorgiamo perché, in noi c’è accoglienza del Signore, ma a volte anche una tenace opposizione.
    Lo dicevamo questa mattina, quando ricordavamo che noi siamo un grande continente nel quale non tutte le terre sono ancora abitate dalla presenza del Signore, perché accogliamo ma anche respingiamo, desideriamo che Gesù venga nella nostra vita però a volte temiamo e lo teniamo un po’ da parte. Questa opposizione nella quale ci incontriamo nella pagina di Giovanni, ci aiuti a mettere in evidenza opposizioni che ancora portiamo dentro di noi: c’è ancora qualche opposizione, finché saremo in questa vita troveremo delle opposizioni perché è così, siamo segnati dalla colpa e dunque non dobbiamo neppure meravigliarci di questo, ma ne dobbiamo essere consapevoli e quindi ricercare questi elementi di opposizione che permangono, combattere contro di loro, abbatterli, fare in modo che progressivamente tutto divenga strada spianata per l’ingresso trionfale di Gesù nella nostra vita e nel nostro cuore.
    L’ostilità di cui Giovanni parla non riguarda soltanto Gesù, ma riguarda anche Lazzaro perché, ad un certo punto questi uomini ostili dicono: “dobbiamo uccidere Gesù ma anche Lazzaro perché a motivo di lui tanti aderiscono al Signore”. Qui c’è un saggio bellissimo di che cosa è la Chiesa che anticipa da un punto di vista la Scrittura, anche se Paolo è precedente, quanto dirà poi gli Atti degli apostoli a proposito di Paolo quando sulla via di Damasco Gesù gli chiederà: “ma perché mi perseguiti?” e Paolo: “non sto perseguitando te, ma la Chiesa!”… Paolo doveva capire questa unità profonda tra Gesù e la Chiesa.
    Giovanni ci parla di questo, Gesù e Lazzaro sono la stessa cosa, Lazzaro rappresenta la comunità di coloro che hanno aderito al Signore e proprio perché lì, in Lazzaro, in questa comunità Lui è presente anche verso Lazzaro e la comunità c’è ostilità e opposizione.
    Per un momento fermiamoci a riconsiderare questo: la bellezza della Chiesa che è la presenza di Gesù nell’oggi della nostra vita. Va abbastanza di moda dire che la Chiesa sbaglia questo, sbaglia quello, ma le mode sono sempre passeggere e quindi non dobbiamo accoglierle troppo nella nostra vita, la Chiesa è anzitutto bella perché, quello che non è bello nella Chiesa lo è per noi non per lei, la Chiesa è santa ed è bella sempre e in quegli aspetti in cui non lo è a causa nostra perché non siamo abbastanza Chiesa. La Chiesa non porta le rughe per chi è Chiesa, la Chiesa porta delle rughe in noi che non siamo abbastanza Chiesa. La Chiesa è bella perché Gesù l’ha amata, ha amato e ha dato se stesso per lei, l’ha amata, ne è rimasto affascinato e ha versato il sangue per lei: per questo amore di Gesù per la Chiesa che noi dobbiamo vivere il nostro amore per la Chiesa. Come è strano amare e parlar male! Dobbiamo parlarne bene, mettere in evidenza la sua bellezza ed il suo fascino per noi, nella nostra vita anche perché, non saremo e non saremmo quello che siamo se non ci fosse la Chiesa che ci ha dato tutto, senza la Chiesa non avremmo nulla e verso chi ci ha dato tutto non possiamo non provare una grande gratitudine.
    Considerando questa particolarità della conclusione, ritorniamo sulla gioia di essere Chiesa, di essere nella Chiesa, di avere la Chiesa come madre, ritorniamo in questa gioia! Certo la nostra gioia grande è di essere di Gesù, ma ci deve essere anche una grande gioia nell’essere nella Chiesa che è Gesù oggi e senza la quale Gesù non è, non lo incontrerei, non lo ascolterei, non potrei amarlo: senza la Chiesa Gesù non c’è.
    “Vieni, Spirito, scendi e plasmaci”… che queste parole ci possano plasmare in modo totale secondo il desiderio di Dio.

QUINTA MEDITAZIONE
IL CANTICO DEL MAGNIFICAT

Ciascuno di noi sa, ricorda, lo fa ogni giorno prima dell’ascolto del Vangelo, tracciamo un piccolo segno di croce sulla nostra fronte, sulle nostre labbra e sul nostro cuore con un intendimento preciso e cioè con il desiderio e la preghiera che quella Parola che ascolteremo, possa imprimersi nella nostra intelligenza, la possiamo capire e cambi il nostro modo di pensare e quella Parola risuoni sulle nostre labbra e divenga così, voce della nostra voce e che quella Parola possa radicarsi nel cuore perché, tutta la nostra vita possa partire da quella Parola, il nostro modo di amare possa essere ispirato da quella Parola radicata nel cuore.
Questo piccolo gesto triplice che facciamo durante la Messa, lo dovremmo rinnovare più volte al giorno e soprattutto ogni qual volta ci mettiamo in ascolto di Dio perché, ogni volta noi dobbiamo rinnovare questo desiderio che quella Parola che ci raggiunge entri nell’ intelligenza, che quella Parola risuoni sulle nostre labbra, che quella Parola si radichi nel nostro cuore ed allora anche oggi, anche questa mattina, forse nel momento del silenzio potremmo rinnovare ciascuno questo piccolo gesto, per rinnovare questo desiderio così importante in relazione alla voce di Dio che ci raggiunge.

Noi abbiamo iniziato il nostro percorso insieme alla Madonna e allora, mentre i giorni volgono verso la conclusione, ritorniamo alla Madonna per trovarla non più nel momento esaltante dell’annuncio dell’angelo e dunque della scoperta della propria chiamata, unica e straordinaria, ma nel momento in cui il cuore di Maria si effonde nel canto della gioia e cioè, nel momento del Magnificat.
Ci mettiamo in ascolto proprio con i sentimenti della sposa nel Cantico e ci mettiamo in ascolto con quel desiderio che il piccolo segno di croce rinnova oggi, nella nostra giornata. “Allora Maria disse:…

* S. Ambrogio quando commenta il Magnificat della Madonna, usa parole molto belle, molto ricche, anche cariche di entusiasmo ed ad un certo punto dice che questo entusiasmo sfocia nelle parole:”… sia in noi l’animo di Maria, sia in noi il cuore di Maria per parlare come Lei, per parlare con Lei, per cantare con Lei al Signore …” Ecco, noi oggi chiediamo questa grazia che possa essere in noi il cuore, l’animo di Maria per poter cantare con Lei e come Lei al Signore.

– Dicevamo in questi giorni quanto sia importante che la nostra vita dica che noi siamo contenti di dio. Certo il Cantico di Maria è proprio l’esempio di una donna che è contenta di Dio e con il suo canto e le sue parole dice bene di Dio, lo esalta di fronte al mondo. Questo Cantico rimane l’esaltazione di Dio di fronte al mondo, il Canto della bellezza di Dio di fronte al mondo in ogni tempo della storia e dunque rimane l’esempio per tutti noi di che cosa debba essere la nostra parola quando parla di Dio, di che cosa debba essere la nostra vita perché parla di Dio, cantando la sua bellezza. Sia in noi l’animo di Maria cioè, sia in noi questa stessa capacità di cantare la bellezza di Dio, di proclamare la grandezza di Dio, di esternare la gioia della vita con Dio, Maria davvero è il più bel fiore che sia mai cresciuto nel deserto dell’incontro con il Signore. Noi nel nostro piccolo, chiediamo la grazia di essere dei fiori che crescono nel deserto dell’incontro con il Signore.

– Entriamo in questo bellissimo Cantico ove vi è una parola che lo introduce, è l’evangelista che la pone ed attraverso la quale dice qualcosa di importante:”… allora Maria disse …”, c’è una premessa che fa da sfondo a questo Canto di esultanza e di gioia e la premessa è la conferma che la Madonna ha avuto attraverso le parole, il saluto della cugina Elisabetta, della promessa di Dio. Quella parola che aveva ascoltata durante il momento dell’Annunciazione è stata confermata dalla parola di Elisabetta e allora Maria disse, allora Maria cantò … Quante volte nel corso della vita abbiamo avuto la conferma di quella prima parola che abbiamo ascoltato nel giorno dell’annunciazione, poi siamo smemorati e ci dimentichiamo di queste conferme che caratterizzano il percorso della vita, che la rallegrano, che le danno tanta sicurezza e tanta gioia, però quando ci fermiamo e riguardiamo la nostra storia, ci accorgiamo di quante conferme quella parola iniziale ha avuto durante il percorso ed allora lì, ogni volta dovremmo cantare con l’animo e con il cuore di Maria la nostra gioia per la fedeltà dell’amore di Dio.
Noi siamo partiti dall’Annunciazione perché, siamo partiti dal ricordo anche della nostra chiamata, ci siamo soffermato su alcuni testi attraverso i quali abbiamo potuto rivedere un po’ il percorso della nostra vita, ritornare al cuore di questo percorso e del nostro rapporto con Dio. Oggi, attraverso il Magnificat, vediamo quasi che cosa sia il prolungamento di quella chiamata iniziale, che cosa deve sgorgare da quella chiamata dell’inizio. Oggi, durante la nostra preghiera personale, durante il nostro silenzio, andiamo a rintracciare le conferme che abbiamo ricevuto nella vita di quella prima parola di amore che Dio ci ha rivolto ed ogni qual volta ci incontriamo con quelle conferme, allora diciamo e cantiamo il nostro “Magnificat” di gratitudine e di esultanza. Facciamolo!

Il Cantico della Madonna si può suddividere in due parti con una breve conclusione che è un’annotazione dell’evangelista importante. Le due grandi parti sono quelle nelle quali prima Maria è tutta orientata verso il suo Signore, è come se noi la trovassimo con gli occhi fissi sul volto di Dio, gli occhi rapiti dal volto del suo Signore e l’altra parte, invece, trova Maria orientata sul mondo, sulla storia ed è come se la vedessimo con gli occhi rivolti al suo tempo, ma anche ad ogni tempo: alla vita della chiesa, alla storia del mondo fino all’ultimo giorno ed orientata su Dio.
Chi è Dio per Maria? E’ bello rispondere a questa domanda per trovare, attraverso Maria, attraverso i suoi occhi, il volto vero di Dio. Come Maria guarda la storia per riuscire anche noi a guardarla attraverso i suoi occhi? Mai l’umanità ha conosciuto occhi più limpidi e capaci di vedere sia il volto di Dio sia il Mistero della storia della vita umana: noi vogliamo entrare dentro questi occhi così belli per guardare Dio e vederlo come è, per guardare la storia e vederla come è nella sua verità. Non ci sono occhi migliori per guardare se non i suoi!

Quando ci soffermiamo sul Magnificat è un’altra annotazione di carattere generale su questo testo, ci accorgiamo che risulta una raccolta di testi della Scrittura cioè, Maria parla con Dio attraverso la Sua Parola, canta a Dio con la Parola di Dio, ha talmente assimilato la Scrittura, la Parola del Signore che quando parla, parla con la Parola di Dio. Noi non abbiamo tante parole di Maria, quando parla, parla con la Parola stessa di Dio. … Come dovrebbe essere così anche per noi, come sarebbe bello fosse così! Talmente assorti dentro questa Parola, talmente assimilata e diventata nostra che, quando parliamo si sente l’eco di quella Parola che è dentro il cuore, come acqua che è stata tirata su da un pozzo profondo: tutto in noi dovrebbe rimandare a questa Parola. Quando usiamo altre parole, che non sono questa o le nostre parole non rimandano a questa, le nostre parole sono vane, inutili, non dicono nulla, non fanno breccia nel cuore degli uomini. Che la nostra parola possa sempre essere un eco della Parola vivente, che la nostra vita possa essere così inserita ed immersa dentro il Signore che, ogni qual volta parliamo il Signore si possa rendere visibile attraverso la nostra parola e udibile attraverso la nostra parola.
Nel Magnificat, dicevamo all’inizio, troviamo un riferimento importante e, forse anche costante all’Annunciazione perché, in fondo il Magnificat è il canto che deriva da lì: Maria canta ciò per cui è stata chiamata, canta la bellezza della sua vita, canta la gioia per la vocazione che ha ricevuto, canta perché Dio si è fatto presente a Lei, l’ha chiamata a sé, le ha affidato un compito e lo canta, perché è contenta di tutto questo. La nostra vita dovrebbe essere un canto continuo per la gioia della vocazione che abbiamo ricevuto, la nostra esultanza si radica lì, nell’essere stati pensati, chiamati, inviati. Ritornare alla propria vocazione significa rinnovare i motivi della gioia, di una felicità che fa scoppiare il cuore come per Maria. La vita è un canto, perché all’inizio di questa nostra vita c’è una vicenda straordinariamente bella, l’amore di Dio che si è posato su di me, mi ha chiamato a sé e mi ha mandato. Questo Magnificat allora, che si situa cronologicamente in un momento particolare della Madonna, è il segno di tutta la sua vita che è stata un canto a Dio radicato su quegli inizi e così deve poter essere per noi, la vita intera un Magnificat radicato sugli inizi della nostra storia.

  1. Approfondiamo qualche dettaglio di questo testo senza aver la pretesa di esaurirlo e di considerarlo in tutti i suoi aspetti, solo per accenni trovando, come sempre, la relazione con il nostro percorso di vita.
    Magnificat è una parola bella perché, non soltanto dice la gioia, ma perché la Madonna con questa parola fa grande Dio. Magnificare significa rendere grande e gli occhi di Maria che sono puntati sul volto di Dio lo magnificano, lo rendono grande, cioè lo cantano grande.
    L’atteggiamento di Maria appare subito antitetico a quello dell’uomo decaduto, che è nel peccato che rende piccolo Dio con le sue parole e con la sua vita. Con le sue parole perché non sa dire bene di Dio, non lo canta, non lo glorifica e con la vita perché, con la sua stessa vita triste e melanconica non lo canta, lo rende piccolo. … Quante volte abbiamo reso piccolo Dio con parole inadeguate, con una vita triste, malinconica! Gli occhi di Maria lo fanno grande perché, il cuore di Maria è bello ed allora “l’anima mia magnifica il Signore, l’anima mia dice bene di Dio, l’anima mia rende grande questo Dio, l’anima mia vuole testimoniare la bellezza di questo Signore che ho incontrato”. Potesse essere sempre così anche per noi, nelle parole e nella vita, parole e vita che magnificano, che rendono grande, che testimoniano il bello, che parlano della grandezza …
    Non è difficile scoprire in noi questa alternanza perché, quando la nostra vita è toccata dalla grazia allora parole e testimonianza magnificano, ma quando la nostra vita è toccata dal peccato, quando si perde nella mediocrità allora si rimpicciolisce tutto e parole e vita rimangono incapaci di magnificare: lo sappiamo per esperienza. Forse quando ci accorgiamo che parola e vita non magnificano più, non sono capace di magnificare, dobbiamo vedere in questo un campanello di allarme: forse il peccato si annida, forse la mediocrità sta diventando la nostra misura abituale.
  2. Vi sono alcuni nomi che la Madonna attribuisce a Dio e sono quattro: Signore, Salvatore, Onnipotente, Santo. E’ bello entrare dentro questi nomi perché, se abbiamo detto che Maria con i suoi occhi limpidi vede come nessuno, vuol dire che questi nomi sono l’espressione di questa visione, ci dicono che cosa Maria vede in questo volto e vedono soprattutto il Signore cioè, Colui che è il tutto per lei, al di fuori del quale non c’è nulla. In questo nome che noi ascoltiamo, presente sulle labbra di Maria, ritroviamo anche per noi la relazione con Dio come una relazione che è totalizzante, che mi deve prendere tutto. Maria lo chiama Signore perché la sua vita è tutta in Lui e sente e avverte che quel Dio è il Dio che vuole tutto, che prende tutto, ma perché da tutto e non c’è altra parola che non riesca a dire questa modalità di relazione se non TUTTO ed il Signore dice questo. Nel momento in cui gli occhi della Madonna vedono il volto di Dio e lo chiamano Signore, vedono il volto di Dio e lo chiamano Salvatore perché, questo Dio che da tutto, che è tutto, che prende tutto, che è coinvolgente fino ai dettagli della vita, è quello stesso Dio che è tutto Misericordia, che è tutto Perdono, che è tutto Amore, che riveste con la sua misericordia, che salva con la Sua compassione: Maria sta vivendo il mistero impressionante della presenza di Dio nel suo grembo ed è a partire da questa sua esperienza che comprende la condiscendenza impensabile di Dio. Quel Dio che nasce in lei, che nasce in lei è quel Signore che dà tutto, che vuole tutto e che arriva così in basso per testimoniare la Sua Misericordia, il Suo Perdono, il Suo Amore per noi.
    Maria si sente coinvolta interamente ed abbracciata interamente, si sente trascinata in alto da questo Signore, si sente accarezzata dolcissimamente da questo Signore e forse è proprio qui l’esperienza che noi dobbiamo fare che non sempre facciamo perché, capiamo fino in fondo la delicatezza, la dolcezza di Dio quando prima ne abbiamo capito la trascendenza. Lo scopriamo Salvatore in tutta la sua bellezza quando lo scopriamo Signore in tutta la Sua grandezza, noi capiamo il mistero dell’incarnazione ed allora versiamo lacrime di commozione soltanto nella misura in cui abbiamo contemplato che, quel bambino è lo stesso Onnipotente di fronte al quale non possiamo rimanere in piedi. Non è impoverendo il volto di Dio che entro dentro il Mistero della sua condiscendenza della Sua piccolezza, è rimanendo a contemplarne la trascendenza che mi schiaccia che poi amo, capisco, mi commuove. Che questa trascendenza si faccia piccola come un neonato, come un bambino e la Madonna coglie questo, unisce il mio Signore e incredibilmente il mio Salvatore, Colui che è tutto è Colui che si fa nulla per me: ecco gli occhi limpidi di Maria che scoprono la realtà, la verità del Mistero di Dio in sé e per lei nella sua vita. Guardiamo attraverso questi occhi!
    Onnipotente e Santo sono gli altri due attributi che la madonna pronuncia in relazione al Mistero di Dio per esperienza personale sempre, perché nell’Annunciazione Maria ha tutto e tutto quello che ha vissuto e sentito nell’Annunciazione, un poco alla volta verrà compreso, capito, si svilupperà fino al giorno della Resurrezione, alla Pentecoste. Lei ha vissuto che Dio è Onnipotente perché a Lui niente è impossibile, neppure questo miracolo di Dio che si fa uomo, bambino in lei e nel suo grembo. L’Angelo glielo aveva detto: “nulla è impossibile a Dio, davvero è l’Onnipotente, ora lo capisci!” Maria lo dice a noi attraverso questo canto come se dicesse di ascoltare la sua voce perché, lei ha fatto esperienza della verità di questa parola e ci dice di portarla con noi, di non dubitare mai perché a Dio nulla è impossibile e nella nostra vita ce lo dobbiamo ricordare. Maria domanda “come avverrà questo?” “nulla è impossibile a Dio!”
    Anche per noi questa domanda si pone: “come la mia vita potrà cambiare, come la storia di questa comunità potrà procedere, come?”, “nulla è impossibile a Dio”. Ritroviamo l’onnipotenza di Dio nella nostra vita! Maria si è affidata e l’ha sperimentata e noi forse non la sperimentiamo perché non ci affidiamo a questa Onnipotenza. Domandiamo “come?”, ci sentiamo dire “nulla è impossibile” e allora andiamo “eccomi!”, affidandoci a questa potenza d’amore.
    La santità dice: “l’irrevocabile rigetto del peccato e del male” … nulla di ciò che è peccato può stare davanti a Dio e anche qui la Madonna lo ha sperimentato, lei sta davanti a Dio perché è l’Immacolata, la “piena di Grazia”, le è stato detto dall’Angelo: “il Signore è con te, tu sei piena di grazia!” ed è per questo che Dio può farsi bambino nel suo grembo, per questo può diventare tabernacolo del Dio vivente!
    Dio Santo, la irriducibilità tra Dio ed il peccato, tra Dio ed il male … come dobbiamo avvertirla questa insanabile contraddizione? Dio si rende presente lì dove non esiste il peccato, la dove il peccato ed il male si radicano e vivono, Dio non può stare, non può rimanere!
    Ecco gli occhi limpidi di Maria che cosa ci dicono del Mistero di Dio il Signore, il Salvatore, l’Onnipotente, il Santo. Come è bello ricordarci di questi nomi, come è bello ritrovarli con lo sguardo della Madonna e come è bello allora, pensare che dobbiamo sempre tornare lì per ritrovare l’autentico volto di Dio.
  3. “Tutte le generazioni mi chiameranno beata”… Perché la Madonna è convinta di questo? Perché la sua vita è abitata da Dio in un modo unico ed allora la sua vita è così bella, è così spazio di Dio in mezzo al mondo, è così casa del Signore lungo la storia, è così terra toccata dal cielo che tutti la diranno “Beata”. Questo è anche il motivo della nostra beatitudine nella misura in cui, in piccolo, riviviamo la sua esperienza come casa di Dio, dimora del Signore, terra toccata dal cielo.
    In sette azioni successive è descritta l’Opera di Dio, un’Opera che rovescia tutto, le situazioni esistenti vengono capovolte totalmente. E’ come se negli occhi di Maria che, da Dio, adesso si rivolgono alla storia, tutto si capovolgesse: ecco gli occhi limpidi di Maria che vanno nel cuore, nel centro delle vicende umane e le vedono nella loro verità, non più secondo l’apparenza, ma secondo la verità. Dobbiamo entrare dentro questi occhi limpidi per sapere anche noi andare al di là delle apparenze e guardare alla storia nostra, del mondo secondo verità, non secondo come appare. E’ come se la Madonna guardasse alle vicende umane da un altro punto di vista, che è il punto di vista di Dio, che è il punto di vista del Mistero dell’incarnazione che lei ha dentro di se. In effetti il Mistero dell’Incarnazione rovescia tutto perché, Dio si fa bambino, Colui che è grande diventa piccolo, la vittoria passa attraverso ad una sconfitta, è tutto ribaltato e a partire da questo ribaltamento che la Madonna vede nel volto di Dio fatto bambino in lei che ella guarda la storia e tutto è rovesciato.
    In queste sette azioni Maria guarda dietro perché guarda le vicende del suo popolo, ma Maria guarda anche avanti e guarda ciò che sarà, guarda il presente, guarda tutto e con uno sguardo abbraccia tutto e questo sguardo rovescia tutto. E’ lo sguardo della fede! I santi dicevano che la fede è un occhio nuovo che è donato a noi per guardare la storia e la vita. Dei primi cristiani si diceva che avevano l’occhio penetrante: ecco la fede, l’occhio penetrante che non rimane alla superficie, ma entra dentro e vede la realtà, una realtà che davanti a Dio si rovescia incredibilmente.
    Sarebbe bello ripercorrere i sette rovesciamenti che Maria opera nel suo cantico per applicarli a noi e per applicarli fuori di noi! Che cosa è grande davanti a Dio e che cosa è piccolo davanti a Dio? Chi è che è vincente davanti a Dio? Chi è che è sconfitto davanti a Dio? Chi è ricco davanti a Dio e chi è che è povero davanti a Dio? Chi è che è davvero affamato davanti a Dio e chi è sazio davanti a Dio? Come cambia il nostro modo di ragionare, di giudicare, di vedere! Il pensare di Cristo è un pensare che rovescia tutto.
    Quando verifichiamo la nostra vita, uno degli aspetti che forse non consideriamo molto quando ci prepariamo alla Confessione è dirci quante volte abbiamo pensato secondo il mondo e non secondo Dio, abbiamo guardato senza fede, non siamo andati al di là dell’apparenza, ci siamo accontentati della superficie e non siamo scesi nel cuore della nostra vita, della vita degli altri, delle vicende del mondo per vedere con gli occhi di Dio tutto questo. Abbiamo guardato tutto, abbiamo giudicato tutto con gli occhi di tutti, con gli occhi umani del mondo dunque, non abbiamo vissuto di fede.
    I sette rovesciamenti di Maria sono il linguaggio della fede!
    Nel Cantico di Maria abbiamo dunque, uno sguardo nuovo su Dio che noi vogliamo attingere, abbiamo uno sguardo nuovo sulla vita, sulla storia ed anche questo sguardo noi vogliamo attingere!
    Noi oggi andiamo alla scuola di Maria per imparare questo sguardo nuovo, per riuscire a guardare attraverso i suoi occhi limpidi! S. Ambrogio parla della sobria ebbrezza dello Spirito e noi possiamo dire che, lo sguardo di Maria che è tutto animato dallo Spirito, è uno sguardo ebbro quando si rivolge a Dio perché è esultante, gioioso, straripante della sua felicità ed è uno sguardo sobrio sulla storia perché lo capovolge, sobria ebbrezza. E’ lo Spirito che le dona questa visione diversa e nuova perché, le mette il Signore dentro ed attraverso il Signore dentro di lei, tutto è nuovo. L’ebbrezza dello sguardo su Dio, la sobrietà dello sguardo sul mondo!