Articolo – Incontro in Cappella Sistina

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Articolo – Incontro in Cappella Sistina

Articolo per la Rivista “Tracce” – Gruppo di Comunione e Liberazione

Innanzitutto devo dirvi che è un vero piacere per me incontrarvi. Ho temuto di non fare in tempo, dal momento che oggi pomeriggio avevo un impegno fuori del Vaticano e, al rientro, ho trovato molto traffico. Ma ce l’ho fatta e ne sono tanto contento!

Certamente vi è stato ricordato che questa cappella, ormai da tanti secoli, è la cappella nella quale si svolge il Conclave, ovvero la cappella in cui viene eletto il successore di  Pietro, il Papa. Mi pare, allora, che sia importante, da questo luogo e in questo momento, mandare un pensiero affettuoso all’attuale Pontefice. Benedetto XVI è stato eletto Papa qui sette anni e mezzo fa. Con il pensiero affettuoso, rinnoviamo anche la nostra fedeltà al Papa. Se permettete, alzandoci in piedi tutti, diciamo una preghiera alla Madonna, secondo le intenzioni del Santo Padre: Ave o Maria…

Ora mi è caro aggiungere qualche semplice indicazione a quanto vi è già stato detto da Stefano che, forse, potrà essere anche invito alla riflessione.

Questa parete, che è la parete del giudizio universale, circa 500 anni fa venne inaugurata. Il giorno dell’inaugurazione la cappella era stracolma di persone, come potete immaginare, e la parete era coperta. Ad un certo momento, quando tutti gli invitati furono presenti, la parete venne scoperta e dalla platea si sentì una esclamazione di meraviglia, si alzò un intenso: ‘Oooooooh!’. Quella fu la reazione di chi per la prima volta vedeva questa opera grandiosa, straordinariamente bella e anche innovativa da un punto di vista artistico.

Perché ho ricordato questo episodio? Perché mi pare che queste vostre giornate siano accompagnate dal tema del “guardare”. In questo senso l’atteggiamento di stupore di quelle persone di cinquecento anni fa ci richiama l’atteggiamento dell’uomo che va verso la propria maturità, che vive la propria maturità umana e di fede. Chi non si stupisce non è autenticamente uomo. E chi non si stupisce non può dire di vivere davvero la fede. Dobbiamo un po’ tornare bambini e stupirci di fronte alla bellezza della realtà nella quale ci troviamo. Essere qui, in questo luogo, a stretto contatto visivo con tanta bellezza, ci aiuti a recuperare questo senso di stupore, che poi è lo stupore per qualcosa che ci è donato, per una realtà bella che ci viene incontro. Alla fine è lo stupore per il Mistero di Dio, Amore e Bellezza, che viene a visitarci, che si fa prossimo a noi nella logica del dono. Che questa visita alla Cappella Sistina ci aiuti a recuperare questo atteggiamento fondamentale che è l’atteggiamento dello stupore, della meraviglia; della gratitudine di fronte a tutta la realtà e alla fine di fronte a Dio che viene a noi con amore gratuito.

Ora vorrei che alzaste un momento gli occhi verso la volta – senza farvi venire il torcicollo – Guardate la zona centrale della volta. C’è la famosa raffigurazione delle due dita che si incontrano con la quale Michelangelo ha inteso dipingere momento della creazione dell’uomo. Se osservate bene il disegno, alle spalle di Dio creatore c’è un’ immagine un po’ più scura che avvolge la figura di Dio. Se continuiamo ad osservare con attenzione ci accorgiamo che questa immagine ha una forma e questa forma è la forma di un cervello. Perché  Michelangelo ha avvolto la figura di Dio Creatore dentro un disegno a forma di cervello, cioè di intelligenza? Perché ha voluto così descrivere una verità profonda, ovvero che Dio è la ragione di tutte le cose, l’intelligenza della creazione. Osserviamo questo dipinto di Michelangelo per ricordarci che Dio è la ragione di tutto e nella misura in cui noi nella nostra vita incontriamo Dio incontriamo il senso di tutto e il senso della vita. Se perdiamo di vista Dio perdiamo il senso delle cose, il senso di tutto e il senso della vita.

Avete guardato verso l’alto. Ora guardate davanti a voi il giudizio universale: la figura centrale è quella di Gesù giudice. Osservate bene il gesto di Gesù. Questo gesto della mano alzata richiama un’altra opera. Una scultura in marmo di Marco Aurelio che si trova in Campidoglio e che Michelangelo conosceva assai bene. Il Marco Aurelio, imperatore di Roma, è nella stessa posizione del Gesù giudice, con il braccio alzato. Era un gesto tipico dell’imperatore di Roma, la cosiddetta “ad-locutio”, il gesto con il quale egli richiamava l’attenzione di tutti prima di prendere la parola. Questa parola poteva significare vita o morte per chi la ascoltava. Qui Gesù è rappresentato da Michelangelo nello stesso atteggiamento imperiale che richiama l’attenzione di tutti. Sta per parlare e la sua parola è per alcuni motivo di vita – ecco i personaggi che ascendono verso l’alto – e per altri motivo di morte – ecco i personaggi che, invece, scendono verso il basso e l’abisso.

Di fronte a Gesù non si può essere neutrali. Quando Lui parla, o questa parola la accogliamo, la facciamo nostra e allora raggiungiamo la pienezza della vita, oppure la respingiamo, non l’accogliamo e, allora, ci allontaniamo dalla vita, perdiamo la vita.

Ancora un particolare della figura di Gesù giudice. Mentre Gesù è ritratto nel gesto solenne del braccio alzato, che incute timore, Michelangelo non dimentica un particolare: la carne del Signore conserva i segni della passione. La sua mano è una mano trafitta dal chiodo della Croce per ricordare che Gesù è il Gesù della Misericordia, che ha dato la vita per noi e che, dunque, è sempre pronto al perdono, qualunque sia la situazione della nostra vita. Quella figura solenne, dunque, ci dona anche una grande speranza. Mentre guardiamo Gesù ci lasciamo prendere da un sacro timore, perché la sua parola, accolta o respinta, è motivo di vita o di morte. Ma siamo anche in ascolto di  un messaggio di speranza, che è l’annuncio della misericordia infinita di Gesù per noi.

Un ultimo particolare del dipinto del giudizio, prima di salutarci Michelangelo, quando dipingeva, come tutti i grandi artisti, si divertiva anche un po’ e nel divertirsi lanciava dei messaggi. Nella parte inferiore della scena del giudizio, nell’angolo di destra, c’è un personaggio nel quale Michelangelo aveva raffigurato il maestro delle celebrazioni papali di quel tempo. Evidentemente non era simpatico al grande pittore e per questo lo aveva collocato all’inferno. Quando fu inaugurata questa parete della Sistina, con il Papa era presente anche il suo maestro di celebrazioni che, come possiamo immaginare, rimase sconcertato quando, guardando con attenzione le diverse figure, si accorse che una di quelle in basso a destra raffigurava proprio lui. Allora, appena si accorse di questo, si rivolse al Papa e gli disse: “Ma Santità, ha visto Michelangelo che cosa ha combinato? Che cosa si è permesso di fare? Mi ha messo lì, all’inferno! Lei deve fare qualcosa!” Il Papa, senza scomporsi più di tanto, gli rispose: “Caro, se ti avesse messo in purgatorio qualcosa avrei potuto fare, ma dal momento che ti ha messo all’inferno non posso proprio farci niente”.  Ho raccontato questo episodio perché voi preghiate per me, perché non debba finire anche io come quel maestro di celebrazioni.

Don Beppe: caro Monsignore, non solo promettiamo di ricordarLa nella preghiera, ma Le chiediamo un’altra preghiera: di dire al Santo Padre che siamo qui per essere confermati nella fede e che Lo seguiamo sempre con attenzione. Anche in questi ultimi giorni Carron ci ha scritto una lettera in cui indicava Benedetto XVI come primo testimone che guardiamo grati e stupiti per quello che continuamente dice e ci testimonia.