Articolo – Lo splendore della nobile semplicità

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Articolo – Lo splendore della nobile semplicità

per la Rivista “Palabra”

 La presenza misteriosa e reale di Cristo nella liturgia e il suo essere protagonista nel rito celebrato richiede lo splendore della nobile semplicità, secondo la celebre dizione del Concilio Vaticano II (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 34). Ho parlato di “splendore della nobile semplicità”, perché questa è l’espressione completa usata dai Padri Conciliari. In essa è dato riscontrare l’intrinseca relazione tra bellezza, nobiltà, semplicità.

Come sempre, ogni indicazione magisteriale deve essere letta e compresa nel contesto più ampio del tema di cui si tratta e in relazione di sviluppo armonico con l’intero insegnamento della Chiesa. In tal modo si vede con chiarezza quanto siano distanti dal vero quelle marcate insistenze nel richiamare una certa semplicità che, a volte, hanno indotto a rendere il rito liturgico sciatto, banale, noioso, insignificante. Si tratta di un modo di intendere la semplicità non fondato sull’insegnamento della Chiesa e la sua grande tradizione liturgica. Per non dire che, in alcune occasioni, un tale modo di considerare la nobile semplicità si traduce in quella che potremmo definire una “poco nobile nuova complessità”. Non si tratta forse di questo quando la liturgia diventa teatro di trovate soggettive ed estemporanee, con l’inserimento di simboli privi di autentico significato o talmente complessi da dover essere a lungo spiegati?

Torniamo all’autentica nobile semplicità ascoltando Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica post sinodale sull’Eucaristia Sacramentum caritatis: “Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor… Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina, ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore… La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra […]. La bellezza pertanto non è un fatto decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la propria natura” (n. 35).

Le parole del Papa, come sempre, hanno il grande dono della chiarezza. Ne consegue che non è ammissibile alcuna forma di minimalismo e di pauperismo nella celebrazione liturgica. E questo, certo, non per fare spettacolo o per un vuoto estetismo. Il bello, nelle diverse forme antiche e moderne in cui trova espressione, è la modalità propria in virtù della quale risplende nelle nostre liturgie, pur sempre pallidamente, il mistero della bellezza dell’amore di Dio. Ecco perché non si farà mai abbastanza per rendere semplici, in quanto chiari nel loro svolgimento, nobili e belli i nostri riti.

Conservo vive nel cuore le parole pronunciate da Benedetto XVI nella splendida Cattedrale di Notre Dame a Parigi, nel corso del viaggio apostolico in Francia: “Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!” (Omelia alla celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, 12 settembre 2008).