Articolo – Un uomo di Dio: Cardinale Giovanni Canestri

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Articolo – Un uomo di Dio: Cardinale Giovanni Canestri

Un uomo di Dio

Non è semplice tracciare un profilo del Cardinale Giovanni Canestri, se pure per il tramite di una testimonianza che attinge all’esperienza della vita, di una vita vissuta insieme per alcuni e significativi anni. Mi riferisco, in particolare, a quelli che, provvidenzialmente, mi videro al fianco di questo saggio e buon pastore, in qualità di suo segretario personale.

Non è semplice perché la sua figura si staglia alta e ricca davanti al mio sguardo. Eppure mi pare di poter fare sintesi, di quanto custodisco negli occhi e nel cuore del Vescovo che mi ordinò prima diacono e poi sacerdote nel 1989, dicendo che è stato un “uomo di Dio”.

La saggezza popolare ha sempre trovato in questa breve e incisiva definizione il modo più appropriato per descrivere la bellezza di una vita sacerdotale pienamente riuscita secondo il Cuore del Signore. E, certamente, la vita di Giovanni Canestri è stata una vita pienamente riuscita: è stato un “uomo di Dio”.

Così ho imparato a conoscerlo fin da quando, in un tardo pomeriggio del 1987 – da pochi mesi egli era arrivato a Genova, nominato Arcivescovo come successore del Cardinale Giuseppe Siri – mi accolse nella sua cappella privata, presso la residenza vescovile sulle alture di Genova. Ero studente in Seminario, avevo 22 anni ed ero prossimo all’ordinazione diaconale. In quell’occasione imprevista, mi fece sedere accanto a sé nella piccola chiesa all’interno dell’appartamento. Pregammo insieme per qualche momento. Dopo avermi messo a mio agio con parole e segni di vera paternità, mi disse: “Ho pensato a te come mio segretario personale. Che cosa ne dici?”. Rimasi senza parole. Nel vortice delle emozioni di quel momento ebbi solo la forza di dire: “Ma sono tanto giovane! E devo ancora finire il Seminario!”.

La risposta mise fine a ogni possibile timore e perplessità: “Quale migliore Seminario della casa dell’Arcivescovo pensi che vi possa essere?”.

Quella parola era vera. E si sarebbe rivelata ancora più vera nel corso degli anni, che per me non furono solo anni di eccellente Seminario ma anche, una volta ordinato sacerdote, scuola preziosissima di vita sacerdotale, di profonda spiritualità, di saggezza pastorale, di amore alla Chiesa, di passione per le anime e per l’annuncio del Vangelo. Nella casa dell’Arcivescovo e nella condivisione quotidiana della sua vita, come anche del suo infaticabile ministero, ho respirato il profumo della santità. Non c’è stato giorno che una sua parola, un suo richiamo, un suo incoraggiamento, un suo esempio non siano stati per me un invito alla radicalità evangelica. “Più in là, più in là!”, sembrava dire sempre a se stesso e a chi gli stava vicino. Ho bene in mente le numerose volte in cui – uomo anche appassionato di letteratura – mi ricordava un passaggio struggente del romanzo di Leon Blois “La donna povera”, laddove si dice: “Esiste una sola tristezza al mondo, quella di non essere santi”.

Quando si andava a Roma per impegni legati al suo ministero episcopale non mancava mai di ricordare i santi che, nel corso dei secoli, hanno vissuto nella città eterna. Con l’entusiasmo di un bambino, gli piaceva visitare i luoghi dove essi avevano operato, come a ripercorrerne i passi fisici e spirituali. Richiamava alla memoria qualche loro insegnamento e sembrava suggerire, anche senza dirlo: “Facciamoci santi anche noi”. Appassionato di storia e di storia della Chiesa, spesso ritornava a considerare il florilegio di santi che Roma conobbe al tempo della Riforma cattolica. E sempre sottolineava come ogni vera riforma della Chiesa, nelle diverse epoche storiche, avesse avuto due colonne portanti: l’Eucaristia e la carità. Erano anche due pilastri del suo edificio spirituale.

In sala da pranzo c’era un orologio antico. Una scritta, ben chiara, rivolgeva quotidianamente e più volte al giorno un messaggio a chi vi entrava: “Tempus fugit”. Di tanto in tanto, al Cardinale quella scritta piaceva proporla ad alta voce.

Spesso mi diceva: “Ricordati che il tempo del nostro sacerdozio è breve. Non perderlo mai! E’ troppo prezioso”. Qualche volta, quasi a dare ancora più forza a quelle parole, aggiungeva: “Gli uomini grandi hanno i letti piccoli”. Erano paterne raccomandazioni fatte a me. Erano, però, anche eco di un’esistenza vissuta proprio così e coltivata giorno dopo giorno con tanta preghiera, con lunghe ore passate davanti al Signore.

Ricordo la vigilia della mia ordinazione sacerdotale. Mi consegnò quattro parole, in forma di preghiera, perché rimanessero in me, da allora in poi, quale criterio di tutta la mia vita: “Gesù, per sempre tuo”. Erano consegnate a me, ma provenivano da chi le aveva in prima persona fatte regola della propria esistenza sacerdotale. E si vedeva.

Nei giorni appena precedenti era venuto nella casa di spiritualità dove, insieme ai miei compagni di corso, stavamo facendo gli esercizi spirituali in preparazione alla prossima ordinazione. Si intrattenne a lungo con noi, paternamente. Ogni sua parola trasmetteva il desiderio che potessimo rimanere contagiati dalla bellezza del sacerdozio di Gesù e animati da un vero fervore nella vita spirituale in vista di un fecondo e appassionato ministero. Ci consigliò di redigere un programma di vita, in modo da annotare alcuni impegni fondamentali, in relazione a Dio, agli altri a noi stessi.

Poi proseguì dicendo: “Siate concreti. E a questo programma, con le necessarie variazioni dettate dal passare degli anni e dai cambiamenti del ministero, rimanete fedeli fino all’ultimo giorno della vita”.

Gli anni trascorsi a Genova dal Cardinale Canestri furono poco più di sette. Ebbi la grazia di condividerli tutti. Con me fu esigente. E fu anche tanto paziente. Indicava mete alte e accompagnava pazientemente per aiutare a raggiungerle. Da vero educatore, amava. Mi sono sentito davvero amato. E, proprio perché amava, era capace di sottolineare anche ciò che era necessario cambiare. Anche quando la parola non faceva sconti e penetrava nella profondità dell’anima per correggere e illuminare, quasi come spada tagliente, si capiva che era animata dall’amore. Quello di un buon pastore. Quello di un uomo di Dio.

Ha amato la Chiesa. Con fedeltà, con stupore, con gioia. Non dimenticherò il giorno in cui mi disse: “Per amare la Chiesa non basta soffrire per la Chiesa; bisogna anche soffrire dalla Chiesa”. Era un insegnamento. Ma era anche una testimonianza personale di vita. Quando fu ricevuto in udienza per la prima volta da san Giovanni Paolo II, appena vide il Papa entrare nella sala dell’udienza si inginocchiò, e disse ad alta voce: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”.

Ha amato la Madonna con accenti di tenerissimo e delicatissimo affetto. Già il suo stemma episcopale lo esprimeva: “Opus tuum nos o Maria”. Il rosario, nella sua giornata, non mancava mai. Anzi, ne diceva sempre due, dal momento che desiderava contemplare quotidianamente la Passione del Signore con gli occhi di Maria, pregando i misteri dolorosi. Si commuoveva spesso, pensando alla Madre di Dio. Un canto, in particolare, gli era caro e gli muoveva il cuore: quello nel quale si dice “Prendimi per la mano, Mamma buona; portami per la strada del Signore”. Recarsi pellegrino al Santuario della Madonna della Guardia – luogo molto caro a tutti i genovesi – era per lui una grande gioia e un segno tangibile della sua devozione. Una sera, alla fine di un incontro di preghiera con numerosi giovani, tutti applaudirono rivolti al Cardinale.

Allora fece un gesto sorprendente. Si girò, rivolgendosi alla statua della Vergine e invitando tutti ad applaudire lei.

Il giorno in cui lasciò la Diocesi di Genova, da cui si congedò per raggiunti limiti di età, piansi. Piansi a lungo. Capivo che un padre saggio e buono aveva accompagnato i primi anni del mio sacerdozio e che, ora, in parte, lo perdevo. Iniziava un tempo nuovo della mia vita. Prima di congedarci mi disse. “Non ne avrai bisogno, ma sappi che per qualunque cosa io ci sarò”. Quelle parole mi commossero. Erano un segno ulteriore della sua paternità sempre attenta. Ma allora non ne capii tutta la forza profetica. Negli anni successivi, infatti, il Cardinale è sempre stato presente. Lo è stato fisicamente, quando la Provvidenza mi ha condotto a Roma, dove ebbi la gioia di ritrovarlo, ormai avanti negli anni e con quella luce negli occhi propria di coloro che hanno vissuto sempre al cospetto del Signore e si preparano a contemplarne il Volto per l’eternità. Ma lo è stato anche spiritualmente, come continua a esserlo ancora: con le sue parole sagge scritte nel mio cuore, con gli esempi belli della sua vita che conservo come tesori nella mia memoria, con la preghiera mediante la quale, sono certo, non manca di accompagnare giorno dopo giorno questo suo figlio nel sacerdozio.

Proprio come un buon pastore. Proprio come un uomo di Dio.

Mons. Guido Marini