Lectio Divina – Filippesi 1, 12-26 (traccia)

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Lectio Divina – Filippesi 1, 12-26 (traccia)

Lectio Divina – Filippesi 1, 12-26 (traccia)

Paolo in prigione
Istituto Ravasco

Introduzione alla Lettura
Paolo ci parla di Gesù nelle sue lettere, con una passione straordinaria. Ma ci parla anche di sé. Le sue lettere sono un documento autobiografico straordinario: nessuno nell’antichità, ha fatto parlare il cuore come Paolo. Le sue lettere, dunque, ci rivelano il mistero di Cristo e sono anche rivelazione luminosa di colui che scrive. Poi, chiaramente, le lettere di Paolo ci danno un quadro vivente delle prime comunità all’inizio della predicazione cristiana.
Tutto questo è singolarmente presente nella lettera ai Filippesi.

La città di Filippi
Nel 50-51 Paolo, Sila e Timoteo, attraverso la via Egnazia – una delle grandi strade romane costruite come una rete per favorire gli spostamenti nell’impero – dalla provincia dell’Asia giungono a Filippi.
Il nome della città deriva dal padre di Alessandro Magno, Filippo II, che l’aveva costruita introno al 358-357 a.C.
La città era stata teatro, un secolo prima dell’arrivo di Paolo, della sconfitta degli assassini di Cesare (Cassio e Bruto) per mano di Marco Antonio e Ottaviano (42 a.C.) che vi avevano fondato una colonna di veterani, dopo aver ricostruito la città distrutta dalle guerre. Ottaviano la costituì sotto lo “ius italicum”, privilegio accordato ai cittadini che consentiva diritti particolari (una certa autonomia amministrativa), come i cittadini di Roma. Paolo la scelse di proposito. Gli abitanti della città erano prevalentemente romani, ma c’erano anche macedoni, greci e un gruppo di ebrei.

La relazione di Paolo con i Filippesi
Secondo il libro degli Atti, Paolo venne a Filippi in seguito a una visione di un macedone, che gli chiedeva aiuto (At 16, 9-10: “Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un macedone e lo supplicava: ‘Passa in Macedoni e aiutaci!’. Dopo che ebbe questa visione , subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore”.
Quindi l’apostolo e i suoi compagni decidono di lasciare la Bitinia, in Asia, e di portarsi in Macedonia, nel continente europeo di cui costituisce la prima tappa nell’evangelizzazione.
Qui battezzò Lidia, commerciante di porpora, certamente benestante (aveva acquirenti tra i ceti benestanti e i personaggi di prestigio), pagana di origine, la prima ad aderire alla predicazione insieme alla sua famiglia (At 16, 14-15. 40). Questo gruppo di persone fu anche il nucleo della nuova comunità dei discepoli del Vangelo.
Il libro degli Atti riferisce anche la conversione del carceriere di Paolo e della sua famiglia. Ricordiamo il fatto della prigionia, del terremoto notturno, dell0uscita dal carcere, della paura del carceriere, della messa in libertà di Paolo perché cittadino romano.
Sia nel primo che nel secondo caso venne a stabilirsi una profonda relazione tra Paolo e questi cristiani, e quindi con l’intera Chiesa di Filippi. La sua lettera, una delle molte che l’apostolo scrisse ai Filippesi secondo la testimonianza di Policarpo, vescovo di Smirne, riflette una particolare tonalità affettiva che ha pochi confronti all’interno dell’epistolario paolino.

Paolo lascia Filippi
Il libro degli Atti, dopo la conversione di Lidia e della sua famiglia, riferisce – come detto –  della carcerazione di Paolo, in seguito all’accusa della famiglia proprietaria di una schiava, un’indovina che una volta liberata dallo spirito da cui è posseduta, sottrae ai suoi padroni ogni possibilità di guadagno.
Dopo la liberazione ufficiale dal carcere si affretta a lasciare Filippi, dopo essersi congedato da Lidia e dalla sua famiglia.

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Luogo di composizione
Quando Paolo scrive la lettera è sicuramente in prigione (1, 7.13.17) e stava per subire un processo che aveva fra le prospettive anche la condanna a morte, ma anche la liberazione, cosa che apre la strada a una prossima visita a Filippi, una volta prosciolto. Accanto a lui c’è Timoteo, ma anche una rete preziosa di collaboratori che hanno mantenuto il contatto fra la prigione dell’apostolo e la chiesa di Filippi. E’ probabile che Paolo abbia scritto la lettera da Efeso e non da Roma, come alcuni sostengono.

Situazione della Chiesa di Filippi
Filippi ha un ruolo particolare nelle Chiese fondate da Paolo: è una comunità unita all’apostolo e sollecita finanziariamente nei suoi confronti, in particolare nella sua prigionia. Se Paolo accetta l’aiuto finanziario, questo accade per il particolare rapporto con cui era legato ai Filippesi.

Tutto questo, però, non fa di Filippi una realtà idilliaca. Al suo interno ci sono divisioni laceranti, non mancano attacchi di avversari da cui Paolo mette in guardia. Tre tipi di avversari.

  • Si tratta probabilmente di gruppi che, pur appartenendo alla Chiesa, mettevano in cattiva luce la sua stessa prigionia, che lo rendeva inadatto alla diffusione del Vangelo.
  • Altri, invece, ritenevano necessario giudaizzare la fede cristiana, opponendosi frontalmente alla posizione dell’apostolo.
  • Vi erano, poi, attacchi provenienti dalla stesse file del giudaismo: i nemici della croce di Cristo, contro cui Paolo prende posizione moto ferma.

Il pensiero della Lettera
Anche se la lettera è molto breve, il suo pensiero teologico ha assunto un’importanza ben superiore alla sua lunghezza.
Soprattutto l’inno cristologico ha un’importanza capitale per approfondire la riflessione di questo scritto sulla figura di Gesù.
E’ probabile che questo inno venga dalla tradizione liturgica e che Paolo lo inserisca nella sua lettera. Ma questo non toglie nulla alla sua importanza per ricostruire il pensiero dell’apostolo riguardo alla persona di Gesù.

Lectio divina
Lettura del testo e silenzio

Paolo e l’annuncio di Cristo
In questo brano la lettera si indirizza direttamente alla situazione dell’apostolo. Paolo è rinchiuso nella residenza del governatore, in catene per Cristo, e scopre che questa sua prigionia, paradossalmente, favorisce la diffusione del Vangelo. Così scrive ai Filippesi non per parlare di sé ma della sua missione. Egli riferisce un suo stato d’animo.
Purché Cristo sia annunciato non ha importanza per lui il motivo che guida cloro che lo predicano, incoraggiati dalle sue catene. Paolo sa che tutto si volge alla gloria di Cristo.
Due beni ha conseguito l’apostolo con la sua prigionia:

  • la prigionia gli ha dato l’opportunità di predicare Cristo anche là dove difficilmente sarebbe potuta giungere la sua parola.
  • i discepoli hanno avuto più fiducia e coraggio nell’annunciare la parola di Dio con maggiore zelo.

Paolo e il vivere in Cristo
Prima Paolo dice che la cosa più importante è annunciare Cristo. Ora afferma che il vivere stesso è Cristo, la vita è Cristo

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Le espressioni che fanno sintesi della relazione di Paolo con il Signore Gesù:

  • prigioniero per Cristo
  • annunziare Cristo
  • glorificare Cristo
  • vivere è Cristo
  • essere con Cristo

Attualizzazione
La tradizione spirituale russa racconta un aneddoto simpatico di un monaco di nome Serafino che chiedeva con insistenza al Signore di poter prendere il suo posto sulla croce, perché voleva condividere in tutto il ruolo di Cristo. Un giorno il Crocifisso accettò, ma a un patto, gli disse il Signore Gesù: “Che tu stia zitto”. Serafino, essendo monaco, abituato al rigore, all’osservanza del silenzio, garantì tranquillamente. Il Cristo scese dalla croce e vi salì invece Serafino e si mise sul crocifisso che era in Chiesa. Entrò un uomo ricco a pregare e, mentre pregava, gli scivolò giù il sacchetto dei soldi. Si alzò per andarsene e Serafino, che aveva visto, avrebbe voluto dirgli che gli era caduto il sacchetto, però si era impegnato a tacere e quindi tacque. Subito dopo entrò un uomo povero, cominciò a pregare, ma gli caddero subito gli occhi su quel sacchetto di soldi; si guardò intorno, non c’era nessuno che vedeva, prese il sacchetto, se lo mise in tasca e scappò. Serafino avrebbe voluto dirgli che non doveva prenderli, perché non erano suoi, ma si era impegnato a star zitto e tacque.
Quindi entrò un giovanotto che si mise devotamente in ginocchio ai piedi del crocifisso chiedendo aiuto e protezione perché stava per mettersi in viaggio per mare e voleva essere aiutato. In quel mentre entrò l’uomo ricco con i gendarmi dicendo che aveva lasciato in chiesa il sacchetto dei soldi. L’unica persona presente in chiesa era quel giovanotto; i gendarmi lo presero e lo arrestarono. A quel punto Serafino non riuscì più a stare zitto e disse: “È innocente”. Figuratevi! Il crocifisso che ha parlato ha salvato quel giovane, perché in forza di quella voce fecero le indagini meglio, lasciarono andare il giovanotto che si imbarcò. Arrestarono quello che aveva preso i soldi che dovette restituirli all’uomo ricco. Alla sera il Cristo aveva la faccia scura e rimproverò seriamente Serafino: “Non va proprio bene”. “Ma come, Signore?”. “Ti avevo detto di stare zitto”. “Ma ho rimesso a posto le cose, ho fatto giustizia”. Dice allora il Signore: “No, Serafino, tu hai sbagliato tutto; il tuo impegno era quello di tacere; me lo avevi detto, me lo avevi promesso.
Invece, parlando, tu hai rovinato la mia azione. Quel ricco stava per fare un’opera cattiva con quei soldi e io glieli ho fatti perdere; quel povero ne aveva bisogno e io glieli ho fatti trovare; quel giovanotto sta naufragando in mare. Mi aveva chiesto aiuto; se fosse andato in prigione avrebbe perso la nave e non sarebbe morto. Tu invece lo hai mandato libero, si è imbarcato, e ora annega. Hai rovinato tutto, non sei in grado di metterti al posto del Cristo, caro Serafino! Anche se sei un monaco avanzato in spiritualità, la provvidenza di Dio guida le cose meglio di noi, anche quando sembra che le cose vadano storte”. Dobbiamo allora stare attenti noi a non voler fare per forza giustizia, a voler rimettere le cose a posto, perché ci sono delle storture che si rivelano utili.