Meditazione – La chiamata dei primi discepoli

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Meditazione – La chiamata dei primi discepoli

Meditazione – La chiamata dei primi discepoli

Monastero santa Chiara, Monache Clarisse

Ritiro spirituale aperto a tutti.
Domenica, 20 gennaio 2019

 

Introduzione: vivere il tempo ordinario
Il brano che prendiamo in considerazione è un brano iniziale del Vangelo di Giovanni, un brano che ci è molto noto in cui l’evangelista racconta la chiamata dei primi discepoli e apostoli.
Siamo all’inizio di un nuovo anno liturgico. Quale è stato il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato nel primo giorno del tempo ordinario? Proprio la chiamata dei primi discepoli, introdotta dal richiamo di Gesù alla conversione. Oggi desideriamo vivere insieme queste due realtà: conversione e chiamata. E’ il modo per rendere straordinario l’ordinario della nostra vita.
E’ sempre bello lasciarsi condurre e interrogare dalla parola del Signore. E’ lampada per i nostri passi. Non dobbiamo verne paura: è Parola amica, la vera alleata della nostra vita e della nostra gioia. E’ quella Parola che si è fatta carne per la nostra salvezza.
Seguiremo passo dopo passo il brano, con il desiderio di “andare dietro” al Signore. Già questa è conversione: andare dietro e non davanti. Si soffermeremo di volta in volta sui diversi momenti del testo: per ascoltarli, capirli, renderli vita della nostra vita. Compiremo 10  passi.

Camminiamo dietro alla Parola del Signore

  1. C’è una annotazione iniziale molto interessante, che sembrerebbe soltanto una annotazione cronologica: l’evangelista sottolinea che il Battista all’indomani era ancora là. Se prendiamo alla lettera questa parola dell’evangelista dobbiamo considerare che per due giorni il Battista è rimasto proprio lì, in quel luogo nel quale viene fotografato ora nel racconto evangelico. Qual è l’intenzione dell’evangelista attraverso questa annotazione apparentemente di poco significato? Vuole mettere in luce che il Battista è in posizione ferma, è fisso, è immobile, è là come una roccia.
    Viene in mente quanto l’autore sacro dice a proposito del profeta Elia, colui che sta davanti a Dio, che sta fermo, immobile, fedele davanti a Dio. D’altronde Giovanni è il nuovo Elia e quindi non è strano che nella sua esperienza spirituale si riproponga ciò che ha vissuto l’antico profeta Elia: qui sta l’identità del Battista, colui che vive davanti a Dio, colui che con fedeltà sta davanti a Dio.
    In questo modo la figura del Battista ci ricorda qualcosa di molto importante: noi siamo chiamati tutti a vivere questa dimensione dello stare davanti a Dio, stiamo davanti a Dio perché lo amiamo e non possiamo farne a meno, ma stiamo davanti a Dio anche perché il mondo ha bisogno che noi stiamo davanti a Dio! Chi sta davanti a Dio se non ci stiamo noi? Chi sta lì fermo e immobile se non ci stiamo noi?
    Potremmo dire che questo stare davanti a Dio è stata la prima grande occupazione di Giovanni, che doveva preparare la via, e questa deve essere anche la prima nostra grande occupazione, preparare la via di Dio nel cuore degli uomini. Quando parliamo della missione, quando parliamo dell’apostolato, quando parliamo dell’evangelizzazione non dimentichiamo che il primo apostolato, la prima evangelizzazione, la prima missione è quella che noi compiamo stando fedeli davanti a Dio, stando, rimanendo.
    E dobbiamo pensare a questo stare non come a qualcosa che noi realizziamo semplicemente in alcuni spazi della nostra vita, ma come un qualcosa che caratterizza per intero la vita: noi stiamo davanti a Dio sempre! Questa sottolineatura che l’evangelista fa di Giovanni non riguarda semplicemente quel giorno e il giorno precedente, ma riguarda una condizione stabile della vita di Giovanni, che stava sempre davanti a Dio perché Dio era il tutto per lui e dunque non c’era altro interesse, altro desiderio: Lui stava perché lo amava, stava perché il mondo urgeva. E allora anche noi dobbiamo anelare a stare perché amiamo Dio e perché amiamo il mondo!
  2. C’è un secondo dettaglio all’inizio del racconto che l’evangelista sottolinea a proposito del Battista: dice che “fissò lo sguardo su Gesù che passava”. È molto bello questo termine “fissare lo sguardo”, perché questo termine nella sua valenza originaria dice il fissare con intensità, con il desiderio di scrutare, di vedere, di capire, di penetrare dentro l’intimità di colui che si sta guardando: non è semplicemente un vedere con gli occhi, ma è un entrare dentro. Giovanni vuole entrare dentro il mistero di Gesù, lo guarda con lo sguardo di amore che non si accontenta di una visione superficiale, ma desidera una penetrazione intima dell’altro, di Gesù.
    Come è bello questo desiderio di Giovanni! Dovrebbe in qualche modo aiutarci a considerare come noi posiamo lo sguardo su Gesù, se lo sguardo che abbiamo su di lui è uno sguardo distratto, superficiale, frettoloso oppure uno sguardo intenso, che vuole fermarsi, che vuole conoscere, che vuole capire.
    Qui potremmo considerare qual è lo sguardo del cuore sulla parola che Gesù ci rivolge, lo sguardo del cuore sull’Eucaristia che adoriamo, lo sguardo del cuore su Gesù che passa e tocca la nostra vita: qual è lo sguardo, il mio sguardo?
    ***
    In queste due pennellate l’evangelista ci dice in fondo un po’ tutto di Giovanni, ci mostra la sua più vera identità, colui che sta davanti a Dio e colui che fissa lo sguardo su Gesù. Giovanni dobbiamo essere tutti noi e tutti noi dunque fare di tutto per custodire questi due elementi così importanti della vita di fede: stare e guardare, stare e desiderare. Quando compiamo il nostro esame di coscienza forse dovremmo partire proprio da qui, dalla verifica di quanto questi due elementi della vita di fede sono presenti nella nostra vita.
  3. Nel racconto dell’evangelista ora entra in scena anche Gesù: fino ad ora è stato Giovanni il grande protagonista, ora al protagonista Giovanni si affianca il protagonista Gesù, questo Gesù che passa. Agostino commentando San Giovanni si sofferma su questa indicazione del Vangelo e dice: “Io temo Gesù che passa …”; questo timore di cui parla Agostino non è un timore fatto di paura e di angoscia, ma il timore proprio dell’amore, un timore che teme di perdere l’appuntamento della vita, è il timore di colui che ama e che teme di perdere l’amato, l’incontro atteso e desiderato.
    Giovanni non lo perde, noi forse tante volte invece perdiamo, perché Gesù passa e non ce ne accorgiamo proprio perché lo sguardo non è uno sguardo limpido e amante né uno sguardo distratto e freddamente mediocre. Giovanni si accorge che Gesù passa nella quotidianità della sua vita, noi tante volte non ce ne accorgiamo.
    Gesù passa non come noi vogliamo che passi, Gesù passa in un modo che non è da noi prevedibile, Gesù passa in modo inatteso e inaspettato. Quello sguardo scrutatore di Giovanni è proprio lo sguardo di chi non è fisso sul proprio modo di intendere il passaggio di Gesù, ma ricerca Gesù la dove Egli intende passare, vuole passare, desidera passare, in un modo forse probabilmente diverso da come lo intendiamo noi. È anche per questo che è tanto bella ogni nostra giornata, perché ogni nostra giornata è una sorpresa, perché Gesù ci sorprende sempre con il suo passaggio inatteso … non possiamo introdurci dentro un nuovo giorno dicendo “oggi il Signore lo incontrerò lì,. oggi lo incontrerò là, no! Iniziamo una giornata dicendo: “Signore, aiutami a riconoscerti là dove Tu oggi intendi passare per me, ad incontrarti là dove oggi Tu mi dai l’appuntamento e dove mai avrei pensato di incontrarti!
    Per questo si dice che siamo chiamati a vivere in modo straordinario l’ordinario, perché è in questo ordinario il passaggio di Gesù, che diventa sempre straordinario perché Egli è lì dentro, ed ecco perché ogni istante della vita è un istante stupendo, perché ogni istante della vita è il passaggio di Gesù per me e non c’è nulla che sia banale, nulla che sia inutile, nulla che possa contraddire la mia sete di pienezza e di gioia perché tutto è passaggio di Gesù nella vita quando i miei occhi scrutatori e desiderosi sanno vedere e riconoscere! Davvero la nostra vita è straordinaria, lo è sempre, non perché siamo noi straordinari ma perché Gesù che la rende straordinaria riscattando tutto della nostra vita dalla banalità dall’inutilità dal non avere senso … tutto è bello, perché tutto è suo! tutto è straordinario, perché in tutto Egli è! Tutto val la pena di vivere, perché in tutto Egli passa!
  4. Il Battista è insieme ad alcuni giovani che sono suoi discepoli e additando Gesù dice loro: “Ecco l’Agnello di Dio!”. L’evangelista non si accontenta però di questo e aggiunge che “sentendolo parlare così, lasciarono il loro maestro e andarono verso Gesù”. Qui davvero viene spontanea una domanda: come Giovanni deve aver pronunciato quelle parole, perché quei giovani, sentendolo parlare così, abbiano deciso di lasciare quello che avevano per andare con Gesù?
    Non basta parlare. Come parliamo? Quando entriamo dentro la figura di Giovanni Battista e la cogliamo qui, in questo passaggio di annuncio, non possiamo non interrogarci: come parliamo di Gesù? Con quali occhi diciamo il nome di Gesù? Con quale cuore pronunciamo il nome di Gesù? Con quale amore gridiamo il nome di Gesù? Come? Entriamo dentro questo “come” di Giovanni e guardiamoci, perché non basta evangelizzare, proclamare il Vangelo, non basta essere missionari. Come siamo missionari e come annunciamo il Vangelo? Chi ci guarda e chi ci ascolta dovrebbe in qualche modo rivivere l’esperienza di questi giovani e sentendoci, vedendoci parlare così e vivere così in rapporto a Gesù vanno! Vanno non perché hanno capito tutto, vanno perché rimangono conquistati e affascinati da un mistero, quello di una nostra vita che ama così! Noi dovremmo suscitare questo interrogativo: “Ma perché questi amano così Gesù? Deve essere davvero bello questo Gesù! Perché parlano così di Gesù? deve essere proprio interessante questo Gesù! perché spendono la vita in questo modo per Gesù? Deve valer la pena davvero seguirlo e dare la vita a questo Gesù!”.
    Il “come” è la nostra vita: c’è un “come” che può essere di fascino, ma nella nostra vita c’è un “come” che può del tutto sfigurare il volto del Signore. Quale responsabilità abbiamo nei confronti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle! Noi siamo i messaggeri della bellezza di Gesù o della sua “non bellezza”, di un mistero che affascina o di una banalità che allontana.
  5. Questi due giovani di cui parla il Vangelo una volta sentito parlare Giovanni seguirono Gesù: Giovanni anche qui dimostra tutta la sua grandezza, perché non si oppone, non li trattiene, non entra in dialogo con loro quasi per ritardare la loro sequela di Gesù.
    Ma per capire questa grandezza dobbiamo capire che cosa significava in quel tempo essere rabbino ed essere un discepolo che stava alla scuola di un rabbino: Giovanni era una guida per questi due giovani, era un maestro per questi due giovani, era come un padre per questi due giovani, che erano per lui ciò che di più caro poteva custodire con sé nella propria vita. Giovanni li lascia andare, si distacca da ciò che ha di più caro perché ama Gesù, si distacca da un qualcosa che è uno strappo al cuore per il Battista. Non possiamo passare su questa scena non considerando lo strappo al cuore di Giovanni, che tante volte consideriamo nella sua rudezza, nella sua “selvaticità”, nella sua forza e nel suo coraggio. Dobbiamo considerare anche questo strappo del cuore che Giovanni vive volentieri per amore di Gesù.
    Quali strappi al cuore viviamo noi per Gesù? Diciamo di amarlo, ma siamo pronti a strapparci qualcosa dalla vita per Gesù? Siamo disposti a distaccarci da qualcosa che anche ci sta a cuore ma per Gesù? Il Battista non si è privato di qualcosa di cattivo, si è privato di qualcosa di buono, ma se n’è privato perché era più importante Gesù nella sua vita! Noi tante volte non soltanto non ci priviamo di qualcosa di buono, ma non ci strappiamo dal cuore qualcosa di cattivo. Possiamo dire che il nostro amore è vero e autentico se questo amore non ci costa, se questo amore non ci fa a volte versare lacrime, se questo amore non sentiamo come qualcosa che ci porta via? L’amore chiede strappi e l’amore cresce con gli strappi, perché l’amore per crescere ha bisogno anche di qualche piccolo grande atto di eroismo! Quali sono i nostri eroismi? Giovanni con questo comportamento e con questa decisione dice attraverso la scelta della vita “Gesù, lo vedi? Ti amo davvero e tu sei più importante di tutto, di qualunque altra cosa!” Noi quando gli diciamo questo? come gli diciamo “Gesù, ti amo davvero, perché per te non soltanto strappo dal mio cuore ciò che ti contraddice, ma strappo dal mio cuore qualcosa che è buono perché tu sei più grande!”.
    Qual è il senso della nostra vita penitenziale? Non quello di fare penitenza in sé e per sé – sarebbe un comportamento stoico – ma l’affermare davanti al Signore che è più importante di quello che abbiamo, che è più importante di quello che portiamo nel cuore, che è sempre di più di tutto, di qualunque cosa!
  6. Questi due giovani iniziarono a seguire Gesù: questo verbo “seguire” dal punto di vista del Vangelo è sempre un verbo particolarmente pregnante e intenso, perché non dice soltanto l’andare insieme a qualcuno, ma sottolinea l’andare dietro qualcuno; seguire non è mettersi a fianco, seguire è mettersi dietro.
    Ci viene mente subito quel colloquio duro e drammatico tra Gesù e Pietro – quando Gesù rimprovera Pietro perché vorrebbe un percorso di vita diverso per Gesù rispetto a quello che Egli prospetta come volontà del Padre – in cui le parole sono durissime “Va’ indietro, Satana!”, perché colui che prospetta cammini diversi rispetto a quello di Dio è sempre Satana, perché è lui che non vuole andare dietro, è lui che pretende di andare davanti, è lui che sempre pretende di dettare il passo e la meta! Qui forse dovremmo ragionare un po’, perché non è raro – anzi, è molto frequente – che noi viviamo il nostro rapporto con il Signore con la pretesa di essere noi ad indicare la via, a prospettare i tempi, i modi, le forme e forse anche le mete. Ogni tanto dovremmo allora riascoltare queste parole che Gesù attraverso Pietro dice anche a me: “Va’ dietro di me, Satana!”. Forse è un po’ forte, però dovremmo pensare che in quel momento nel quale noi pretendiamo un’altra via, puntiamo i piedi perché vogliamo un’altra modalità, prospettiamo un’altra meta è Satana che ci suggerisce quello, è il Nemico che ci fa pensare in quel modo!
    Questi due giovani vanno dietro e quindi iniziano con l’atteggiamento giusto: non si mettono davanti, non si mettono a fianco, seguono: qui si manifesta la loro identità di discepoli, diventano discepoli proprio perché iniziano a seguire Gesù con fiducia, perché non sanno nulla, non sanno dove li condurrà, ma vanno! Il discepolo è questo: colui che non sa bene, ma va perché si fida! Con questi due giovani rinnoviamo allora la nostra fiducia, l’andare senza calcoli, senza tanti ragionamenti, il buttarci. Diceva il grande filosofo Kierkegaard che la fede è come un buttarsi in un abisso di cui non si vede il fondo nella certezza che vi sono due braccia che accolgono. Questa è la sequela: buttarsi senza calcoli, perché ci sono due braccia che accolgono, accompagnano e conducono sulla via!
  7. “Gesù si voltò” sottolinea il racconto evangelico: un gesto apparentemente molto semplice, probabilmente Gesù sente i passi di qualcuno che lo segue, avverte dei rumori e dunque compie questo gesto naturale, si volta, guarda chi c’è dietro di lui. Eppure questo gesto è un gesto decisivo, perché voltandosi Gesù mostra il volto.
    Noi non possiamo ascoltare questa pagina del Vangelo senza considerare che cosa ha significato per tutta la storia biblica la ricerca del volto di Dio e la preghiera accorata dell’uomo biblico, che si rivolge a Dio e dice “Mostrami il tuo volto!”, ma quel volto non lo vide mai, perché vedere il volto di Dio significava morire. Anche Mosè vide soltanto le spalle, ma non il volto. Ora Gesù si gira – come Dio mai prima aveva fatto – e mostra il volto: com’è bello allora questo gesto di Gesù, è il gesto del Dio vicino, dell’Emmanuele, del Dio con noi, è il gesto dell’incarnazione, è il gesto del suo essere al nostro fianco, è un gesto di grande tenerezza nei confronti di questi due!
    Noi capiamo la bellezza di questo gesto se capiamo che vedere il volto di Dio significava morire: è per questo che noi quando avviciniamo il mistero di Dio in Gesù dobbiamo sempre tenere insieme la condiscendenza di Dio e la sua tenerezza che si fa bambina con la sua maestà, anche perché non possiamo capire nulla di quella bellezza inaudita del volto che si mostra se prima non abbiamo fatto esperienza di quel volto terribile che non possiamo guardare altrimenti moriamo. Noi non capiamo il volto di Gesù che si mostra qui con i due discepoli se prima non capiamo l’esperienza di Mosè, che non può che vedere le spalle di Dio perché lo stesso Dio è il Dio tremendo del Sinai, che qui diventa il Dio adorabile del volto di Gesù.
    Nella nostra esperienza spirituale personale dobbiamo passare attraverso la duplice esperienza di Dio, perché davvero è lì che il nostro cuore si commuove, si apre, si scioglie, capisce tutta la bellezza del volto di Dio in Gesù! Non basta vedere Gesù che mostra il volto, dobbiamo vedere Gesù che mostra il volto pensando che è  lo stesso Dio che un giorno non lo mostrò mai perché vederlo significava morire! Soltanto quando nella nostra esperienza spirituale ci sentiamo schiacciati da una grandezza che ci annienta gustiamo fino in fondo la delicatezza che ci accarezza, altrimenti non abbiamo capito nulla del mistero di Dio in Gesù! Questi due ragazzi hanno capito lì perché erano figli della loro storia e sapevano che c’era una domanda, un grido a cui non era stata data risposta, c’era un’ansia di vedere il volto di Dio: vedendo Gesù che si volta e mostra il volto hanno capito con il cuore la novità di Dio in Gesù e sono stati come accarezzati da questa bellezza e da questa tenerezza!
    Hanno capito subito – forse purtroppo nel cammino poi della vita l’hanno dimenticato, ma certo qui l’hanno capito – che hanno potuto vedere quel volto soltanto perché stavano dietro, perché se si fossero collocati davanti non lo avrebbero visto … ed è soltanto quando rimaniamo dietro che ci accorgiamo del volto di Gesù, altrimenti quel volto non lo incrociamo mai, siamo degli illusi di conoscerlo e di averlo visto, ma non lo vediamo. Vediamo soltanto noi stessi! Soltanto stando dietro contempliamo la bellezza di questo volto.
  8. La domanda che Gesù pone a questi giovani “Che cosa cercate?” è una domanda finissima, perché non è una domanda fatta riguardo a Lui. Gesù avrebbe potuto dire “Ragazzi, chi cercate?”, perché stavano andando dietro di Lui, invece no, Gesù chiede “Che cosa cercate?”, una domanda che invita a riflettere, che invita a porsi domande, che richiede una riflessione: “Venendo con me e dietro di me che cosa state cercando? Che cosa vi sta a cuore sul serio? Che cosa vi muove? Io o qualcos’altro?”
    È una domanda che Gesù rivolge anche a noi, a ciascuno in questo momento: “Che cosa cercate?” Non la dice perché non gli interessa quello che noi pensiamo di Lui, ce la pone proprio perché possiamo nuovamente rimettere a fuoco che Lui e Lui solo è il movente della nostra vita, però abbiamo bisogno di scendere in profondità e di andare a cercare in questo momento quali sono le cose che cerchiamo e che forse non soltanto cerchiamo insieme a Lui ma cerchiamo al posto di Lui. Che cosa cerchiamo? Ricordiamo tre parole: durezza di cuore, ostinazione, seduzione.
    La vita ce lo rivela, perché il modo in cui viviamo rivela il che cosa ci sta a cuore, le attenzioni che abbiamo là dove il cuore è posato, là dove è il nostro tesoro, là dove sono le nostre preoccupazioni, là dove torniamo continuamente col pensiero, con la fantasia, con il cuore Là noi stiamo, quello è ciò che cerchiamo! Possiamo dire che sia Dio? Certo, la purezza completa del movente della vita l’avremo solo al termine della vita, però il nostro è un cammino di continua purificazione dal molto al poco, dal “che cosa” al “chi”, dai molti “chi” all’unico “chi”, è un cammino che vogliamo percorrere: non ci possiamo trastullare nelle molte cose che cerchiamo, nei molti amori a cui andiamo dietro, nei molti legami che sfilacciano il percorso della vita e il cuore, non ci possiamo sedere su questo! Ritroveremo sempre molti lacci, ma ogni volta li strapperemo! ritroveremo molti amori, ma ogni volta ritorneremo sull’unico amore! ritroveremo molte distrazioni, ma ogni volta ci raccoglieremo sull’Unico della nostra vita!
  9. I due giovani a loro volta pongono una domanda: “Dove abiti, Gesù?”, alla quale Gesù risponde in verità senza rispondere: “Venite e vedrete, vi renderete conto”. Questa domanda che i due giovani pongono al Signore è una domanda che noi anche poniamo continuamente al Signore, perché sempre gli chiediamo “ma tu dove stai, dove abiti, dove dobbiamo andare?”. È una domanda bella, perché rivela anche il nostro desiderio finalmente di ritrovarci con Lui, però in fondo questa è anche una domanda che può rivelare un desiderio di sicurezza e stabilità che non sempre il Signore intende darci Non è tanto importante la risposta a questa domanda quanto entrare dentro alla certezza che dovunque Gesù sta la è la mia abitazione! Non c’è un luogo che mi possa rendere sicuro: noi siamo alla ricerca di questo luogo – esteriore e interiore – dove possiamo essere finalmente tranquilli e nella pace, ma non esiste, perché l’unico luogo dove Lui abita è Lui e finché non troviamo in Lui il luogo del nostro riposo nessun luogo è riposo, finché non troviamo in Lui il porto della pace nessun luogo è il porto della pace, continueremo ad essere dei pellegrini insoddisfatti perché non avremmo trovato la vera terra della pace, che è dove è Lui!
    “Dove abiti, Gesù?” … “Abito lì dove tu sei, abito lì in quello che fai, abito lì dove ti è richiesto di stare, abito in quella missione che devi svolgere, in quella comunità in cui devi vivere, se tu trovi che quella è la mia abitazione hai trovato la pace del cuore – quella vera – ma se tu mi cerchi sempre altrove e continui a domandarmi dove abito tu sei un pellegrino insoddisfatto per tutta la vita.”.
  10. “Venite e vedrete – andando con Lui si è sempre nella sua abitazione – e si fermarono a casa sua: era l’ora decima”. È tanto bella questa annotazione, perché i momenti grandi e indimenticabili della vita si annotano nella memoria della mente e del cuore e Giovanni annota l’ora perché quella è stata un’ora decisiva. È bello ritornare indietro sui passi che abbiamo compiuto per fare memoria dei passaggi di Dio di cui ci siamo accorti, degli incontri belli che abbiamo vissuto e che hanno segnato la vita.
    A volte dobbiamo ripercorrere la “galleria degli orrori”, però dobbiamo anche andare indietro ripercorrendo la “galleria delle meraviglie”, perché la nostra vita è anche una galleria di meraviglie, quelle che il Signore ha compiuto per noi e quegli appuntamenti di amore che hanno segnato in profondità il nostro cammino … ciascuno di noi li ha, sono belli, sono tanti, dobbiamo rimetterli in luce per riguardare con gioia anche il nostro passato. Per questi discepoli l’ora decima sarà un punto della loro memoria felice, ci ritorneranno sopra ricordando con gioia quello che lì hanno vissuto: è importante che anche noi ritorniamo con gioia sulle cose belle che abbiamo vissuto, perché la nostra storia che è storia d’amore è una storia bella!

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Questa pagina del Vangelo riconduce agli inizi della vita dei discepoli e riconduce agli inizi della vita anche noi, ci riconduce al momento della nostra chiamata, perché noi abbiamo vissuto tutto questo, attraverso qualcuno o qualcosa ci è stato additato Gesù, lo abbiamo seguito attratti dal suo mistero e dalla sua bellezza, Lui si è voltato e ne abbiamo contemplato un momento il volto che ci ha affascinato, gli abbiamo posto delle domande e Lui ce ne ha fatto, gli abbiamo risposto, Lo abbiamo seguito, siamo stati con Lui, è stato bello! Nel vangelo di ieri: “vide e disse”.
Questo è il cammino della vocazione e in fondo il cammino della vita, questa esperienza si rinnova continuamente ogni giorno e più volte al giorno: come dobbiamo essere contenti di questo e soprattutto quanto dobbiamo essere contenti di Gesù! Con Lui riandando su questa pagina del Vangelo riandiamo a pensare a questi discepoli della prima ora, a come erano contenti di Gesù: si sono fermati in casa sua, erano nella gioia, era così bello per loro, sono stati contenti per tutta la vita e poi attraverso tante vicende varie Gesù è stato la loro gioia!

Noi dobbiamo essere contenti di Gesù! Non ci si può attardare nelle fatiche, nelle oscurità, nelle amarezze, in ciò che appesantisce il cuore, in ciò che non va bene, in ciò che è sempre imperfetto … noi dobbiamo attardarci nella gioia perché Gesù è con noi e nella gioia per la bellezza di Gesù! È bello vivere contenti di Dio, perché cambia anche la vita! Si vede quando si è contenti di Dio e si vede purtroppo quando non si è contenti di Lui, anche perché il prevalere delle amarezze, delle lamentele, dell’oscurità, delle ombre, di quello che non va significa in verità che non siamo contenti di Dio, significa affermare con la vita che Dio non ci soddisfa, che siamo un po’ delusi e che siamo rammaricati. Come è brutta una vita cristiana così, che porta nel cuore la delusione, la tristezza e il rammarico di Dio, Colui per il quale abbiamo dato la vita!
Noi siamo contenti di Dio e la vita deve dirlo, la vita deve affermarlo, la vita deve gridarlo! Ritroviamo la gioia di Dio! Se c’è un aspetto importante per il quale chiedere davvero grazia in questi giorni è che dopo questo tempo di esercizi il nostro ritornare alla quotidianità possa essere un ritornare con negli occhi, nella parola, nel cuore, nella vita la gioia di Dio in noi. Da chi il mondo deve sentirsi parlare della gioia di Dio? Riscopriamo questa nostra chiamata: siamo chiamati ad essere messaggeri della bellezza di Dio e del fatto che Dio rende bella, gioiosa e piena la vita. Diciamolo con tutto noi stessi: “Siamo contenti di Dio!”.