Lectio Divina – Geremia 13, 12-17; 10, 1-16 “L’ira di Dio” (traccia)

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Lectio Divina – Geremia 13, 12-17; 10, 1-16 “L’ira di Dio” (traccia)

Lectio Divina – Geremia 13, 12-17; 10, 1-16 “L’ira di Dio” (traccia)

L’ira di Dio

Geremia 13, 12-17; 10, 1-16
Istituto Ravasco, 21 gennaio 2019

 

Introduzione alla Lectio divina

Come affrontiamo Geremia
Si può paragonare il libro a un insieme di tessere di mosaico, che non sono mai state composte, per cui si trovano tessere di un colore dove ci vorrebbero quelle di un altro. Ogni pezzo, ogni tessera ha una sua bellezza, ma è difficile contemplare un disegno di insieme.
Si potrebbe ancora paragonare i libro a una cava di diamanti ammucchiati: bisogna tirarli fuori e ordinarli.
Di conseguenza leggeremo il libro così come si utilizza una cava di perle o di pietre preziose, prendendo via via quelle che ci attirano, che ci attraggono, che ci parlano.

La dinamico degli esercizi spirituali
Il desiderio è quello di compiere un percorso spirituale: purificare il cuore per trovare la volontà di Dio sulla vita. Vi propongo quasi un corso di esercizi spirituali spalmati nei nostri incontri mensili. Di conseguenza daremo la preferenza a quei testi che parlano della purificazione del cuore e a quelli che manifestano la volontà di Dio.

La brocca spezzata
Abbiamo considerato tre racconti: la bottega del vasaio, la brocca spezzata, la cintura di lino. I primi due racconti, nella dinamica degli esercizi, ci hanno ricondotto al principio e fondamento della nostra vita: Dio. Gli altri due racconti ci hanno aiutato a compire un percorso di purificazione: il peccato e le sue conseguenze, il peccato in rapporto all’alleanza.
Ora, quasi a completare il percorso di purificazione, entriamo in un tema delicato: quello dell’ira di Dio. E’ una parola che ci spaventa, ma è necessario capirla bene, perché è biblica.
Ci aiutano tre brani del profeta. Geremia non si serve solo di simboli e allusioni. È anche un pittore che prende a soggetto dei suoi quadri i diversi momenti dell’esistenza, gli eventi della vita quotidiana. Eccoli: il boccale di vino, le tenebre e la luce (la notte che si avvicina), gli spaventapasseri.
Attraverso queste tre immagini, il profeta parla dell’ira di Dio.

Lectio divina

Cominciamo dalla lettura del testo che riguarda il boccale di vino, boccale che si vedeva abitualmente, anche sulle tavole della povera gente (13, 12-14).

Lettura del testo e silenzio

Lectio

  1. Il brano lo dividiamo in due parti.
    – La prima parte (v. 12) è misteriosa, enigmatica (“ogni boccale va riempito di vino”), e quindi suscita una domanda da parte di chi ascolta: “Che cosa vuol dire?”.
    – La seconda parte (vv. 13-14) è costituita dall’oracolo vero e proprio: “Ecco, io renderò tutti ubriachi gli abitanti di questo paese”.
    Si tratta di un duplice castigo: quello dell’ubriachezza e quello della frantumazione del popolo: “Poi li sfracellerò, gli uni contro gli altri”.
  2. Il brano allude al castigo che segue all’alleanza infranta. Nella precedente lectio sulla cintura di lino avevamo considerato la vergogna dell’alleanza infranta. Ora ci vengono mostrati gli effetti negativi, i castighi.
    – L’ubriachezza: le persone diventano insensate, irresponsabili, incapaci di dirigersi, stordite. E’ l’immagine di una società che ha perso il senso dell’orientamento, della verità.
    – Il fracassarsi gli uni contro gli altri: attraverso la perdita del senso e della verità la società si autodistrugge. Non si va più in una stessa direzione.
  3. Geremia è molto interessato ai temi sociali: si batte per una società giusta, fiorente, pacifica e si addolora quando avverte che in Gerusalemme viene meno tutto questo.
    Il dramma di Geremia consiste nell’avvertire di ciò che sta accadendo, rimanendo inascoltato.
    Quando Geremia parla dell’ira di Dio contro Gerusalemme, per lo più si riferisce ai responsabili. Nel profeta è molto forte la percezione che il popolo decade per la colpa dei re e dei sacerdoti. Il popolo soffre e dovrà andare in esilio, ma la responsabilità è di coloro hanno autorità sul popolo. Per questo Geremia p il profeta tanto osteggiato dalle autorità, mentre piaceva alle gente.
  4. Per completare il quadro è anche utile ricordare che al capitolo 25, 15-38, che introduce i capitoli finali del libro, il profeta riprenderà il tema dell’ubriachezza come castigo, ma lo farà in relazione alle nazioni pagane. Quel tema si estende a tutti i popoli: “Prendi dalla mia mano questa coppa di vino della mia ira e falla bere a tutte le nazioni alle quali ti invio, perché ne bevano, ne restino inebriate ed escano di senno davanti alla spada che manderò in mezzo a loro” (25, 15-16).

Messaggio per la vita

  1. Che cosa vuol dire “ira di Dio”?
    Noi rifiutiamo istintivamente il pensiero che Dio si adiri e punisca le sue creature, che mandi la gente in esilio, che sia l’autore della fame e dello sterminio.
    Oggi preferiamo parlare di un’ira immanente, nel senso che il popolo abbandonando l’alleanza perde il senso della propria vita e decade. Il castigo, pertanto, è immanente alla perdita dell’alleanza. Se alleanza significa felicità, la perdita dell’alleanza equivale a infelicità. Il Signore ha posto il bene del suo popolo nell’osservanza della sua alleanza, nell’adesione alla sua volontà. Se questo viene meno precipitiamo un po’ alla volta nell’infelicità, nella noia, nell’incapacità a orientarsi nella vita.
  2. Tuttavia la nozione di giustizia immanente con coglie tutto il mistero dell’ira di Dio. Vi può essere, infatti, una terza via, quella dell’ira salvifica di Dio, espressa nel vangelo a proposito di Gesù.
    In Giovanni al capitolo 18, 11, all’inizio della passione, Pietro nell’impeto del suo ardore, quando Gesù sta per essere arrestato, colpisce con la spada il servo del sommo sacerdote. Ecco le parole del Signore. “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?”.
    Il calice dell’ira di Dio, di cui parla Geremia e che è il castigo immanente a tutte le malvagità umane, è bevuto da Gesù. Questo è il mistero della redenzione: Gesù viene a bere il calide dell’ira di Dio portando su di sé il nostro peccato per ricostituire il piano di Dio. La croce è, dunque, parte del mistero dell’alleanza: Dio fa talmente alleanza con l’uomo da accettare su di sé il marcimento della cintura per riscattare l’umanità. Dio si volge contro se stesso per fare misericordia all’uomo: “Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale” (Deus caritas est).
    Il messaggio diventa un invito a riflettere sul mistero dell’amore di Dio.

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Ora leggiamo il testo al capitolo 13, 15-17. E’ un testo che fa riferimento al momento della giornata che procede l’avanzare dell’oscurità.

Lettura del testo e silenzio

Lectio

  1. Geremia in questo oracolo esortativo ripete lo stesso concetto che ha presentato prima. Con un invito: alla conversione prima che venga notte, prima che sia troppo tardi.
  2. Viene sottolineata la sensibilità del profeta che piange sulla propria città ormai prossima alla rovina. Come già si è detto Geremia è richiamato nei vangeli. Si pensi, in questo caso, all’evangelista Luca e al pianto di Gesù sopra Gerusalemme (19, 41-44)

Messaggio per la vita
Il pianto significa la partecipazione personale del profeta alla sofferenze del suo popolo. Geremia non accusa da lontano, ma si coinvolge, vive il dramma del popolo cui appartiene.
Egli è un uomo che soffre mentre parla, che soffre per ciò che deve annunciare. In questo è bellissima immagine di Gesù, che piange sulla città e morirà per la sua salvezza.
Siamo chiamati a pensare alla dimensione salvifica della nostra sofferenza, alla forza si salvezza del pianto. Piangere su noi stessi e sugli altri è già un elemento importante di purificazione.
Il messaggio diventa l’indicazione di una modalità riguardante la nostra missione nel mondo.

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Ora leggiamo l’ultimo testo. Siamo al capitolo 10, 1-16. E’ un’altra immagine di cui si serve Geremia.

Lettura del testo e silenzio

Lectio e messaggio per la vita
Quello di Geremia è un messaggio contro l’idolatria, una delle tre componenti della rottura dell’alleanza. Le altre due erano: dimenticanza di Dio, disumanità).
Il profeta qui afferma che gli idoli, rappresentativi delle passioni umane, non sono nulla e non bisogna temere la loro forza. Traducendo per noi, ecco gli idoli: sensualità, denaro, potere. Non bisogna avere paura: la loro apparenza incute paura, ma in realtà bisogna riderne.
Il messaggio diventa un invito a purificare il cuore dagli idoli dai quali ci siamo lasciati attrarre, a prenderci gioco di ciò che davvero è nulla.