Lectio Divina – Geremia, il profeta della consolazione (traccia)

Home / Lectio Divina / Antico Testamento / Lectio Divina – Geremia, il profeta della consolazione (traccia)

Lectio Divina – Geremia, il profeta della consolazione (traccia)

Lectio Divina – Geremia, il profeta della consolazione (traccia)

Il profeta della consolazione

Geremia
Istituto Ravasco, 17 giugno 2019

 

Introduzione alla Lectio divina

Come affrontiamo Geremia
Si può paragonare il libro a un insieme di tessere di mosaico, che non sono mai state composte, per cui si trovano tessere di un colore dove ci vorrebbero quelle di un altro. Ogni pezzo, ogni tessera ha una sua bellezza, ma è difficile contemplare un disegno di insieme.
Si potrebbe ancora paragonare i libro a una cava di diamanti ammucchiati: bisogna tirarli fuori e ordinarli.
Di conseguenza leggeremo il libro così come si utilizza una cava di perle o di pietre preziose, prendendo via via quelle che ci attirano, che ci attraggono, che ci parlano.

La dinamico degli esercizi spirituali
Il desiderio è quello di compiere un percorso spirituale: purificare il cuore per trovare la volontà di Dio sulla vita. Vi propongo quasi un corso di esercizi spirituali spalmati nei nostri incontri mensili. Di conseguenza daremo la preferenza a quei testi che parlano della purificazione del cuore e a quelli che manifestano la volontà di Dio.

La strada da percorrere
Abbiamo richiamato diverse immagini della predicazione di Geremia: la bottega del vasaio, la brocca spezzata, la cintura di lino, il boccale di vino, la tenebra e la luce, gli spaventapasseri.
Occorre dire, però, che tra le immagini ricordate e le altre numerose l’icona più forte, più straordinaria del mistero di Dio nella storia è lo stesso Geremia: lui stesso è predicazione, la sua vita è profezia. Vogliamo, pertanto, rivolgerci direttamente alla sua figura.
Chi era quest’uomo? Rispondiamo partendo dal testo fondamentale in cui egli ha espresso la propria autocoscienza. Se avessimo chiesto a Geremia: “Perché ti comporti così? perché predichi in questo modo? perché soffri tanto?”, egli ci avrebbe detto: “Perché Dio mi ha chiamato”. La vocazione è la forza costante che lo sostiene nelle prove e nelle delusioni.
Ci siamo soffermati sulla relazione che Geremia ha avuto con la Parola di Dio, egli che l’uomo della Parola, l’uomo la cui sorte si identifica con la Parola.
Poi abbiamo preso in considerazione quelle che vengono definite “le confessioni di Geremia” e poi la Passione del profeta.
Oggi parliamo della dimensione consolatrice della missione del profeta.

 

Lectio divina

Affrontiamo le pagine decisive del profeta Geremia, quelle senza le quali il Libro appare non del tutto comprensibile, perché pieno di lamenti, minacce, castighi. Le pagine di cui ci occupiamo oggi danno senso a tutte le altre e all’intero libro.
In effetti, le sofferenze, i dolori, le prove, le umiliazioni, la passione del profeta hanno il loro frutto nell’espressione: “la nuova alleanza”.
Il profeta consolatore è il punto di arrivo di quanto abbiamo cercato di dire su Geremia; egli è diventato l’uomo della Parola, è passato per la purificazione e la tentazione, perché doveva diventare profeta capace di consolare e di dare gioia.
E’ soprattutto nei capitoli 30-33 che egli diviene l’annunciatore della buona notizia della nuova alleanza.

1. Il gesto di consolazione
Lettura del testo

  • Il gesto avviene nel terzo atto del dramma, su cui abbiamo meditato la scorsa volta, ovvero nel momento in cui Geremia è imprigionato dal re Sedecia. E’ una prigione piuttosto blanda, ma è già una forma di persecuzione. Leggere Ger 32, 1-2.
  • Mentre è in prigione, Geremia sente una parola del Signore (leggere 32, 7). E’ una parola apparentemente assurda, dal momento che i nemici occupavano anche quel campo e la città stava per essere distrutta. Eppure Geremia ascolta il Signore e, quando gli si presenta il parente chiedendogli appunto di comprare il campo, compie questo gesto descritto accuratamente. Leggere 32, 9-12.
    Il gesto simbolico è enigmatico, ma il significato lo leggiamo subito dopo (leggere 32, 13-15)
  • Ora comprendiamo il gesto di Geremia. Egli compie un gesto profetico di cui lui non vedrà la realizzazione; il gesto è posto per il futuro. Quella terra, destinata alla distruzione, tornerà alla vita.
    E’ l’ultimo dei simboli attraverso cui si è espresso il profeta e fa da equilibratore di tutti i precedenti, che lasciavano interdetti per la tristezza e le disgrazie cui alludevano. Il gesto dell’acquisto del campo è pieno di speranza e ha un profondo significato consolatorio: non tutto è perduto!

2. Parole di consolazione
Lettura del testo
Lunghi oracoli che ampliano il senso del gesto simbolico li leggiamo soprattutto nei capitoli 30-31. Ci soffermiamo in particolare sul capitolo 31, 31-34, perché qui l’Antico Testamento raggiunge la sua vetta più alta e si proietta fino a noi.
Il Nuovo Testamento ha capito benissimo che si tratta di parole centrali e le ha evidenziate riferendole tali e quali; venivano, anzi, imparate a memoria dai primi cristiani, che si auto comprendevano attraverso di esse, e sono riprese per intero dalla lettera agli Ebrei (leggere 8, 8-12). Noi le ripetiamo sempre quando celebriamo l’Eucaristia come gesto della nuova alleanza.
Alla luce del testo, sono quattro le caratteristiche della nuova alleanza.

  • Il Signore porrà la legge nel nostro cuore.
  • Allora sarà davvero il nostro Dio e noi saremo il suo popolo.
  • Non dovremo più istruirci reciprocamente perché tutti conosceremo il Signore.
  • Egli perdonerà la nostre iniquità e non ricorderà più il nostro peccato.

Da una parte questa è la stessa alleanza del Sinai, espressa con una formula identica (“Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”). D’altra parte, però, rispetto al patto del Sinai, Geremia sottolinea l’interiorità.
Siamo di fronte a una profondissima intuizione del profeta. Tale nuova alleanza comprenderà anche il perdono definitivo ed è promessa di quella misericordia che sgorgherà dal Cuore trafitto del Crocifisso.

3. La genesi della consolazione
E’ possibile descrivere l’itinerario pedagogico con il quale Dio ha condotto il suo profeta a questa rivelazione? Si può parlare di un lungo e faticoso cammino interiore, che proviamo a richiamare brevemente.
La genesi dei capitoli 30-31 può essere distinta in tre grandi momenti: il tempo della gioia, quello della sconfitta e quello dell’allargamento degli orizzonti.

  1. Inizialmente il testo di Geremia nasce in un tempo di particolare euforia, gioia, entusiasmo, fiducia. E’ il momento d’oro che segue la riforma di Giosia nell’anno 622 a.C. Geremia ha avuto la sua vocazione e sta diventando adulto: ha tra i 23 e i 25 anni. Il re ha compiuto la grande riforma religiosa, descritta nel secondo libro dei Re e nel secondo delle Cronache, e le persone profondamente religiose vivono un tempo di vera consolazione. Giosia è stato uno dei più grandi re dopo Davide.
    E’ probabile che Geremia abbia partecipato all’euforia di quegli anni. Il profeta intravede negli avvenimenti di quegli anni la possibilità che il regno del nord torni a vivere e che i deportati possano fare ritorno (leggere 31, 5-6).
    Quindi, la prima stesura dei capitoli 30-31 sembra riferirsi al regno di Giosia e nell’animo del profeta fiorisce la speranza. Il Signore lo forma attraverso momenti di gioia.
  2. Il secondo tempo è quello delle sconfitte. La profezia non si avvera, le speranze a breve e medio termine svaniscono nel 609 con la morte di Giosia, ucciso dal faraone d’Egitto e subito dopo con la decadenza della religiosità, la ripresa dell’idolatria sotto il regno di Ioiakim, con la minaccia di Babilonia che avanza.
    Geremia entra nello sconforto e nello smarrimento: come mai la parola del Signore ha mentito? Perché non si è avverata. Al tempo della caduta di Gerusalemme (598) tutto sembra perduto.
    La speranza di Geremia si purifica e si approfondisce. Dio manterrà le sue promesse ma in modo umanamente inspiegabile.
  3. Nella macerazione e nel dolore, inizia la vera stagione della speranza. Ciò che Geremia proclama esige fiducia piena. La Parola del Signore è da credere, non da verificare. Il grido del profeta diviene un invito a credere. Le parole del profeta ora non riguardano più solo il regno del nord ma tutto il popolo: gli orizzonti di allargano e diventano universali.

Per la meditazione
Come nascono in noi le parole che danno davvero consolazione? Sappiamo per esperienza che spesso salgono alle nostre labbra da un sofferto cammino spirituale e per questo toccano il cuore.
Pensiamo, ad esempio, alla storia di san Paolo. Dapprima egli è predicatore entusiasta. Da Damasco però deve fuggire perché il suo entusiasmo è bloccato: sia dagli avversari sia dalla comunità dei fratelli. Esiliato per lunghi anni, è ridotto al silenzio e soffre profondamente. Barnaba lo recupera a Tarso e lo fa di nuovo predicare ad Antiochia. Non è ancora arrivato a una personale appropriazione del vangelo e ripete le parole del primo annunzio. Ma lo aspettano nuove sofferenze e prove. Quindi, dopo le difficoltà vissute a Gerusalemme per il conflitto del primo Concilio, le persecuzioni, l’incatenamento in prigione, l’arrivo a Roma… finalmente giunge la stupenda lettera agli Efesini e ai Colossesi. La maturazione così grande di Paolo non ci sarebbe stata se non avesse vissuto le tribolazioni.
Tutto ciò che viviamo è pieno di senso nel piano di Dio. Siamo certamente chiamati ad annunciare la consolazione di Dio all’umanità. Ma questo è possibile solo nella misura in cui custodiamo la consolazione in noi e ne abbiamo fatto l’esperienza.
A noi è dato lo Spirito Consolatore che ci aiuta a considerare ogni cosa dal punto di vista della promessa fedele di Dio, dal punto di vista dell’alleanza, dal punto di vista della Risurrezione di Gesù. Si diceva un tempo: “Sub specie aeternitatis”.
Immersi nel Cuore di Gesù. Da quel Cuore sgorga ogni consolazione. Da quel Cuore sgorga lo Spirito.