Lectio Divina – Marco 8,27-38 (traccia)

Home / Lectio Divina / Lectio Divina – Marco 8,27-38 (traccia)

Lectio Divina – Marco 8,27-38 (traccia)

Lectio Divina – Marco 8,27-38 (traccia)

Gesù e gli apostoli verso Gerusalemme

Ascoltiamo La Lectio Divina del Monsignore sul vangelo di Marco 8,27-38

Istituto Ravasco, 24 febbraio 2020

 

Meditazione
Al vertice del suo racconto l’evangelista Marco colloca la professione di fede di Pietro: è il momento solenne e importante in cui il discepolo riconosce l’identità del Maestro. Gesù e i suoi si stanno incamminando verso Gerusalemme.

 La prima professione di fede

  • E’ la prima professione di fede, imperfetta e incompleta. Nell’intento narrativo di Marco si raggiunge una tappa e ne inizia una nuova.
    Il racconto è breve, si riduce all’essenziale. Il contesto in cui è riferito è quello della guarigione del cieco di Betsaida operata in due fasi. Il racconto prepara il dialogo: il discepolo cieco sta recuperando la vista, ma in modo imperfetto; comincia a intravedere qualcosa, ma la visione non è ancora nitida.
  • Questo momento culminante della tappa si realizza all’estero, nella regione di Cesarea di Filippo.
    Molte città, in quel tempo, si chiamavano Cesarea, perché venivano dedicate a Cesare, nome comune per indicare l’Imperatore. Accanto, poi, vi erano delle specificazioni.
    In Israele vi erano due città chiamate così.
    Una sul Mare Mediterraneo, chiamata “marittima”, ed era sede del governatore Pilato. Era una città tutta romana. Pietro verrà invitato là dal centurione Cornelio e diventerà una vivace sede di vita cristiana, nella prima comunità.
    L’altra era invece nell’entroterra, a nord della Galilea. Era la capitale di Erode Filippo, uno dei tre figli di Erode il Grande, uno di quei tre che si erano spartiti il Regno: Archelao, Antipa, Filippo. Filippo aveva ereditato le regioni settentrionali e aveva fondato una città dedicandola a Cesare. Ecco il nome Cesarea di Filippo. Siamo dunque in ambiente lontano dall’antico Israele.

Chi è Gesù?

  • Gesù non è fermo in città. Sta passando attraverso i villaggi di quella zona. La domanda la pone ai discepoli, lungo la strada. Gesù interroga i discepoli strada facendo: è il simbolo di un cammino e di una formazione, durante la quale Gesù pone due domande: l’opinione della gente su Gesù e la loro opinione su Gesù.
  • Alcuni pensano che Gesù sia Giovanni Battista. Al tempo di Gesù l’ultimo profeta conosciuto era Giovanni Battista. E’ stato da poco ucciso, ma nell’immaginario collettivo popolare queste figure non spariscono mai, ricompaiono. Lo stesso Erode, ricorda Marco, si stupiva di quello che sentiva dire di Gesù e aveva l’impressione che il Battista fosse tornato. Si può parlare di una paura che nasce dal senso di colpa.
  • Altri Elia. Nella tradizione giudaica c’era l’attesa di Elia perché il profeta Malachia, l’ultimo dei profeti minori, aveva annunciato che il Signore avrebbe mandato il suo profeta Elia prima della venuta del suo giorno grande e glorioso. Sarebbe tornato, cioè, per preparare la venuta del Messia.

Altri, poi, qualcuno dei profeti.
Che cosa hanno in comune il Battista, Elia e i profeti?

Il desiderio del passato
Spesso ci si aspetta un ritorno al passato. C’è stato qualcuno grande nel passato e allora si attende che quella persona ritorni o venga qualcuno simile a quella. Spesso l’attesa del futuro è solo un rimpianto del passato. Non si aspetta qualcosa di nuovo, ma di rivivere quello che già si è vissuto o che è stato idealizzato senza averlo vissuto.
Spesso, istintivamente, non si desidera andare avanti, ma tornare indietro.

La gente al tempo di Gesù esprime proprio il desiderio di tornare indietro. Israele aveva spesso vissuto questo desiderio. Si pensi al tempo dell’Esodo quando il popolo vuole tornare in Egitto. Solo Mosè vuole andare avanti. Andare avanti nel deserto significava fidarsi, andare verso una novità sconosciuta, una terra che non era la patria, abbandonando ciò che era noto.
E’ importante tenere questo presente per meglio capire la professione di fede di Pietro. Gesù pone le due domande per far capire che la gente è orientata al passato, mentre Lui sta facendo esodo con i suoi e li sta proiettando verso il futuro.

Pensiamo al simbolo della cultura occidentale: Ulisse è l’uomo del ritorno. Tutta la sua avventura è un viaggio per tornare a baciare la sua Itaca, dalla moglie, dal figlio, dai genitori, dal suo cane Argo. Ulisse vuole a tutti i costi tornare a casa, tornare indietro.
Al contrario l’immaginario cristiano, erede dell’Esodo, parla di un viaggio verso l’ignoto.

Le parole di Pietro

  • Quando Pietro dice: “Tu sei il Cristo”, dice una cosa nuova, sta aprendo il viaggio verso il nuovo. Immaginiamo, dunque, che riceva il plauso di Gesù. In realtà Gesù reagisce semplicemente dicendo a Pietro  a agli altri di tacere.
    Perché? Perché ancora non hanno capito bene chi sia Gesù. Il termine Cristo, infatti, è molto equivoco. Non era chiaro chi fosse il Cristo e che cosa dovesse fare.
  • Cristo è un termine greco che in aramaico corrisponde a Messia e che significa unto, consacrato. Ma è generico, e in aramaico è sempre unito a un sostantivo: il sostantivo “Re”. Nella tradizione giudaica si parla di “Re Messia”.
    Messia, dunque, è un aggettivo che deve essere uniti a un sostantivo. Dire il “Re consacrato” è come dire “Re legittimo”, quello che è riconosciuto ufficialmente come tale, che ha tutti i crismi, cioè che è unto.
  • Nella mentalità ebraica, però, Cristo non è Dio. Si attribuisce a un re che prende il governo in modo legittimo, riconosciuto da Dio ma uomo. Nessuno si è mai immaginato che Dio si facesse uomo e l’attesa del Messia non implicava l’attesa dell’incarnazione. Si aspettava, piuttosto, che Dio inviasse qualcuno che mettesse a posto le cose, capace di ridare onore a Israele. Al tempo di Davide Israele era uno stato libero, potente; poi vi fu la decadenza. Ora si attendeva qualcuno che avrebbe ridato gloria a Israele.
    Quanto afferma Pietro, pertanto, può significare semplicemente che Gesù è l’uomo giusto inviato da Dio per mettere le cose a posto. Ecco perché Gesù impone di tacere.
  • Oltre a questo, il termine Cristo ha in sé anche l’idea di un uomo che organizzi lo Stato e che, pertanto, faccia guerra ai nemici. L’idea di Messia è quindi collegata alla guerra. Il regno nuovo arriverà combattendo contro i nemici.
    Ecco perché Gesù impone di tacere.
  • Pietro, in questa prima fase, ha capito che Gesù è il Cristo. Ma deve ancora capire che cosa questo significhi in profondità. Deve ancora curare gli occhi per vedere bene, come il cieco di Betsaida.
    Gesù, nella seconda parte, farà un vero cammino di formazione per i discepoli.

 

Un nuovo inizio

  • Con il versetto 31 del capitolo (inizia la seconda parte del vangelo di Marco. L’idea del nuovo inizio è data anche dal verbo usato: “E cominciò a insegnare loro”. Per Marco l’azione principale di Gesù è insegnare. Lo ha fatto finora dicendo che il regno di Dio è arrivato, che ora è il momento buono. Adesso, però, l’insegnamento si approfondisce: che cosa significa che il regno di Dio è arrivato? Come opera Dio?
  • Ricompare la parola “figlio dell’uomo”, ma accanto alla sofferenza. E’ un paradosso: il termine che dice potenza e gloria accanto a una sofferenza molto grande. Ed è usato il termine “dovere”, che esprime una precisa volontà di Dio che si compie. Questo è il piano di Dio che va accolto.

Essere riprovato

  • E’ il verbo più importante. Si potrebbe tradurre con “scartare”. Il figlio dell’uomo deve essere scartato, rifiutato, messo da parte. Il verbo greco esprime l’idea di bocciatura, indica la persona respinta.
    Pensiamo anche  alla pietra scartata dai costruttori. La pietra è scartata perché i costruttori ritengono che non vada bene per la costruzione. Il termine usato è lo stesso.
  • Il figlio dell’uomo deve essere scartato. Da chi? Gli anziani: i capi famiglia, le autorità nobili. I sommi sacerdoti: il clero, i rappresentanti ufficiali della religione. Gli scribi: i professori di teologia, gli esperti del diritto. Insomma, tutti quelli che contano lo scarteranno e addirittura lo uccideranno.

Parole chiare ma difficili

  • Gesù parla apertamente, con parresia (parola che torna negli Atti per indicare la predicazione degli apostoli). Gesù è schietto, dice tutto, non nasconde la verità. E gli apostoli non capiscono, non accettano.
  • Pietro rimprovera Gesù. Lo porta in disparte e gli dice che non va bene, non deve dire cose simili. In tal modo si capisce che Pietro crede ancora alle proprie idee e proietta su Gesù i propri desideri.
  • Gesù con lo sguardo convoca tutti i discepoli e rimprovera pubblicamente Pietro, chiamandolo Satana: l’avversario, l’ostacolo. Siamo sulla strada: Pietro vuole mettersi davanti e invece deve stare dietro. La mentalità di Pietro è quella del mondo e non quella di Dio. Deve ancora vedere dalla parte di Dio.

Contemplazione e azione

  1. La relazione con Gesù è sempre “in via”, è una relazione aperta che si chiarisce lungo la strada della vita. Ci è sempre di esempio Maria che “conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Così siamo chiamati a fare anche noi. Non ci è dato tutto e subito. Siamo sempre in formazione. Torniamo anche alla chiamata dei primi discepoli: Venite e vedrete. Il Signore chiede fiducia e abbandono.
  2. Tutti come Pietro possiamo essere o discepolo o Satana. Andare avanti o dietro. La nostra mentalità mondana. Dobbiamo vigilare per ritrovare sempre la giusta collocazione lungo la strada della vita. Conserviamo nel cuore la parola “seguimi”.
  3. In un convento di monaci: “Il passato non deve essere considerato come un divano, ma come un trampolino”. Non ha importanza conoscere la meta; è importante affidarsi alla Guida.