Dalla storia personale al discernimento: quale integrazione dell’umano e dello spirituale nella vita consacrata e presbiterale.
Castello di Perletto
“Signore che cosa vuoi che io faccia?”
“…quando sarai vecchio…” (Gv, 21, 18)
La tematica spirituale della lettura e dell’accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano è tematica centrale nella vita cristiana di tutti. Nessuno, infatti, può dirsi esente da questa lettura e da questa accoglienza: per un verso, infatti, verrebbe meno la dimensione più propriamente religiosa dell’esistenza umana, dimensione religiosa che chiede adesione a Dio e alla sua volontà; per un altro verso verrebbe meno un aspetto centrale, tipico della fede cristiana, anzi quell’aspetto che è così centrale da essere spartiacque tra una fede adolescenziale e una fede matura. E’ la stessa Parola del Signore che, con grande chiarezza, ci pone di fronte a questa realtà. “In verità, in verità ti dico: – afferma Gesù rivolgendosi a Pietro dopo il triplice interrogativo sull’amore – quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21, 18).
Lo sappiamo bene: qui Gesù non parla di un’età biologica, come a dire che il passare degli anni porterà con sé anche un progresso della fede nella vita di Pietro. Qui Gesù parla di un’età spirituale che si misura proprio sulla capacità di lettura e di accoglienza della volontà di Dio. Così – e questa è l’affermazione che ci introduce nel tema, ne costituirà lo sfondo di riferimento e, insieme, ci sfida in profondità – noi possiamo valutare il nostro personale cammino di fede esattamente a partire dalla grande tematica appena ricordata: la volontà di Dio, letta e accolta. Lasciamoci, allora, da subito interrogare: quale centralità ha la volontà di Dio nella mia vita? La mia giornata si qualifica per l’incessante ricerca di questa volontà? Sono consapevole che tutto di me si gioca proprio attorno a questa volontà, dal profondo del cuore amata, desiderata e con entusiasmo abbracciata?
“…Dio è Amore…” (Gv 4, 8)
Quando ci si addentra nelle realtà della vita spirituale il punto di partenza di ogni discorso è bene che sia Dio, contemplato nel suo mistero di eterna intimità. E questo perché è solo il mistero di Dio che può fornirci gli esatti criteri del vivere umano, nei suoi contenuti e nelle sue modalità. Rimane sempre vero che l’uomo trova e ritrova se stesso in Dio e nel suo mistero, riportando alla mente la felice e ricca espressione usata dal Concilio Vaticano II, secondo la quale “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, 22). Dunque, è sempre a Dio che bisogna tornare ed è da Dio che bisogna ripartire quando intendiamo parlare correttamente dell’uomo e del mistero della sua vita.
Dio è amore! Quante volte abbiamo ascoltato questo annuncio gioioso! E quante volte ci siamo ritornati sopra con la nostra personale riflessione e nel momento della preghiera! Eppure non può che essere sempre nuova la gioia che proviamo all’udire questo annuncio che in profondità cambia la vita. Dicono che San Giovanni, ormai anziano, visitasse le comunità cristiane da lui fondate continuando a ripetere: “Dio è amore!”. Alla ripetitività delle sue parole qualcuno ebbe forse da ridire, ma Giovanni rispose semplicemente: “Io non faccio che ripetere ciò che il Signore ha detto, ciò che sta al cuore del Vangelo”. Con rinnovato stupore riascoltiamo oggi, ancora una volta: “Dio è amore!”.
Siamo forse così lontano dal tema che stiamo affrontando? Tutt’altro: siamo proprio al cuore di questo tema. Perché? Il motivo è tutto sommato abbastanza semplice. Proprio nella misura in cui Dio è Amore è possibile parlare di lettura e accoglienza della sua volontà. E solo nella misura in cui cresce in noi la convinzione vissuta che Dio è amore è possibile coltivare uno stile di vita che sia di lettura e accoglienza della sua volontà. Così, se vogliamo crescere nell’amore alla volontà di Dio dobbiamo assolutamente crescere nell’esperienza del suo amore. Dico assolutamente non a caso, ma per sottolineare l’importanza decisiva di questo fatto interiore: che non è solo frutto del nostro impegno personale, ma anche e soprattutto dono della grazia di Dio.
Che cosa ne consegue da questa affermazione? Che la lettura e l’accoglienza della volontà di Dio sono strettamente collegate all’intensità della vita spirituale: quella vita spirituale che significa comunione con il Signore e, dunque, esperienza del suo amore infinito. E qui ci poniamo un’altra domanda: quale è l’intensità della nostra vita spirituale? Quale la fedeltà alla preghiera e al cammino di crescita in questa arte dell’intrattenimento con Dio? E quale, ancora, il primato che diamo nella nostra vita all’incontro con il Signore, così come avviene nella celebrazione eucaristica, nella liturgia delle ore, nella celebrazione dei sacramenti (penso al sacramento della riconciliazione in particolare)? O la vita spirituale ha il primato, oppure l’amore di Dio è qualche cosa di astratto, forse di molto distante. Ma allora parlare della lettura e dell’accoglienza della volontà di Dio può forse essere un esercizio accademico, non un fatto di vita e di maturità cristiana.
Il mistero dell’Amore nel Figlio di Dio
E’ necessario compiere un passo avanti nella nostra contemplazione dell’amore di Dio, dell’amore che è Dio. Infatti, questo mistero stupendo ci è stato rivelato in pienezza nella vita storica del Figlio di Dio fatto uomo. A questo proposito desidero soffermarmi su un duplice aspetto di questa rivelazione. Anzitutto sull’originalità dell’amore che ci viene rivelato in Gesù Cristo; poi su ciò che questa rivelazione significa per noi e per il nostro modo di vivere la relazione con Dio.
La rivelazione di un amore originale
Non si può parlare del mistero dell’amore di Dio senza parlare della croce. La croce, infatti, è piantata al centro della rivelazione dell’amore: la porta a compimento e, insieme, ne rivela i tratti inconfondibili e nuovi.
Andiamo per un momento con la mente e con il cuore alla scena evangelica del Calvario, secondo la narrazione che ne fa San Marco. L’avvenimento è descritto dall’evangelista attraverso alcuni quadri mostrati in successione. Al centro di questa, che potremmo chiamare “la grande pinacoteca della passione e morte del Signore”, sta la raffigurazione della derisione e dell’oltraggio subiti da Gesù crocifisso. “I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: ‘Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!’. Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: ‘Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo’. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano” (15, 29-32).
Sappiamo bene come la drammatica sfida non sia stata raccolta da Gesù. E sappiamo bene come questo non abbia significato la sconfitta nella missione di Cristo, ma anzi ne abbia segnato la definitiva vittoria. Ne è eco, sempre nel vangelo di San Marco, il centurione che, vedendo morire il Signore, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”. Si realizza, così, l’intento dell’evangelista, un intento che percorre per intero il suo racconto evangelico: quello di mostrare che il volto di Dio non è quello di consueto immaginato dall’uomo. Il volto di Dio è il volto dell’amore, di un amore che si fa crocifiggere perché dà tutto fino al dono della vita; di un amore che è tale da non essere sempre compreso nelle sue articolazioni ed espressioni; di un amore che può anche essere sconfitto per poter diventare realmente vittorioso.
Ma tutto questo quale rilievo ha nella considerazione della lettura e della ricerca della volontà di Dio nel quotidiano? Un rilievo ce l’ha, eccome! Perché ci viene a dire che quell’amore di Dio nel quale noi crediamo è un amore che non sempre si manifesta secondo il nostro punto di vista; e neppure secondo i criteri dell’amore così come speso li coltiviamo nella nostra povera mente e nel nostro povero cuore. Dunque, aderire alla volontà di Dio significa anche aderire a un progetto di amore a volte non del tutto comprensibile o non comprendisile affatto. E’, dunque, inutile ripetere che non si dà lettura e accoglienza della volontà di Dio senza un’intensa vita spirituale? No, non è inutile: perché l’originalità dell’amore di Dio la coglie solo colui che di questo amore ha fatto esperienza viva nel proprio cuore e nella propria vita.
Gesù, Maestro della relazione con Dio
Veniamo ora al secondo aspetto della rivelazione dell’amore di Dio, così come avviene nella vita storica di Gesù.
Ci sono alcuni versetti di un bellissimo salmo, tante volte da noi ripetuto nella preghiera, che dicono così: “Sacrificio e offerta non gradisci, / gli orecchi mi hai aperto. / Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. / Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo. / Sul rotolo del libro di me è scritto / di compiere il tuo volere. / Mio Dio questo io desidero / la tua legge è nel profondo del mio cuore’” (Salmo 39). Sappiamo bene come questi versetti siano ripresi dall’autore della lettera agli Ebrei (10, 5-7) per identificare i sentimenti del Figlio di Dio, nel momento in cui lasciando l’eternità Trinitaria entra nella storia degli uomini. In questo modo ci raggiunge una tenue luce che illumina la nostra conoscenza circa il rapporto eterno che lega il Padre e il Figlio. Un rapporto che trova il suo centro e il suo contenuto nell’adesione incondizionata e piena da parte del Figlio al Padre.
In questo senso le diverse espressioni con le quali Gesù, nel corso della sua missione terrena, manifesta la sua adesione al volere paterno altro non sono se non il riflesso temporale di una realtà che da sempre esiste nel mistero dell’amore di Dio. Ricordiamo solo qualcuna di queste espressioni evangeliche: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34), dice Gesù ai suoi discepoli; “…bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Gv 14, 31), è ancora Gesù che parla così ai suoi alla vigilia della Passione; “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Mt 26, 42), è ancora il Signore che così prega durante l’agonia del Getsemani.
Ci chiediamo: quale è la radice dell’adesione totale e perfetta di Cristo alla volontà del Padre?
La radice è la figliolanza. Gesù è in tutto e per tutto una cosa sola con il Padre perché è Figlio: sa che il Padre lo ama, Egli ama il Padre e senza esitazioni ne acconsente ogni moto della volontà.
Non è difficile capire, di conseguenza, in quale senso Gesù è per noi Maestro della relazione che siamo chiamati a vivere con Dio. Egli, infatti, ci insegna a essere figli e ci ricorda che essere figli in pienezza si traduce in adesione fiduciosa e generosa alla volontà di Colui che è Padre premuroso. Tutto questo esprime, in altre parole, quanto il Signore ci insegna attraverso l’immagine sempre commovente dei bambini: “Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ‘In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli’” (Mt 18, 3). E’ solo tornando a essere bambini che possiamo entrare nel Regno dei cieli e, dunque, vivere la vita della grazia, la vista stessa di Cristo. Nel testo evangelico si parla di conversione. In verità è esattamente questa la conversione radicale che ci porta alla maturità della fede di cui già si è parlato: la conversione nella logica del bambino, cioè del figlio che in tutto e per tutto vive l’abbandono fiducioso alla volontà del Padre.
D’altra parte è proprio la preghiera insegnata da Gesù che ancora una volta, e una volta per tutte, ci pone di fronte a questa esigenza insopprimibile e radicale. “Padre nostro”; dirlo e, soprattutto viverlo, significa affermare con la parola e con la vita che siamo bambini davanti a Dio e, dunque, che viviamo l’adesione piena alla sua volontà su di noi.
Proprio come il Signore Gesù.
Ed eccoci a un altro punto fondamentale della nostra conversazione. La chiamata, che è scritta a chiare lettere nel nostra battesimo e che si è rinnovata in modo peculiare al momento della speciale consacrazione (nelle sua diverse forme di vita), è quella a essere per grazia “figli nel Figlio”. Per ciascuno di noi, cioè, vale quanto affermava di sé l’apostolo Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Non è difficile cogliere la relazione tra quanto affermato ora e il tema della lettura e dell’accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano. Cercare la volontà di Dio, aderire a questa volontà altro non è che il segno della presenza viva di Cristo in noi, il segno che la vita di Gesù, donata a noi nel sacramento del battesimo e al momento della speciale consacrazione, sta esprimendo progressivamente tutte le sue potenzialità.
Non vorrei essere ripetitivo. Anzi, in verità lo voglio essere! Come è possibile tutto questo senza una vita spirituale intensa? Come è possibile che la vita di Cristo si faccia spazio in noi se questa vita non la coltiviamo ogni giorno con fedeltà e passione? Aggiungo un particolare. C’è un momento della nostra giornata e della nostra esperienza spirituale che è privilegiato da questo punto di vista. Il momento è la celebrazione dell’Eucaristia. Lì, più che mai, entriamo in relazione viva con Colui che rinnova la sua donazione di amore al Padre e la sua incondizionata adesione alla sua volontà. Lì, più che mai, ci uniamo al Signore Gesù e alla sue disposizioni interiori, in virtù della Santa Comunione dove, per grazia, veniamo trasformati in Cristo. E allora interroghiamoci: è quello della Messa il momento nel quale con trasporto chiediamo la grazia di vivere nella volontà del Signore? E’ quello il momento nel quale ci impegniamo a mettere da parte in nostri progetti per fare nostri i progetti di Dio? E’ quello il momento nel quale assaporiamo la bellezza di poter dire a noi stessi. “Oggi, ancora una volta, Gesù è cresciuto in me e, dunque, è cresciuta in me la ‘fame’ della volontà di Dio?”
“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38)
Parlando di lettura e accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano, certo non si può dimenticare la SS. Vergine Maria e la sua propria esperienza spirituale. Anche perché, e facciamo riferimento al versetto citato dell’Annunciazione, l’eccomi della Madonna rivela due elementi di fondamentale importanza per il tema che stiamo trattando.
La responsabilità di ogni “eccomi” umano
Il primo elemento lo propongo subito e brevemente: il piano di salvezza pensato da Dio fin dall’eternità è legato alla risposta di una donna. Non è questa una novità per noi. Ma che cosa significa ciò per la nostra vita? Che, in fondo, la salvezza di Dio è legata alla risposta che l’uomo dà alla sua chiamata e, dunque, alla nostra adesione alla sua volontà. Di conseguenza la tematica della lettura e dell’accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano ci porta a dire che grande, davvero grande è la nostra responsabilità: non solo per la nostra piccola storia personale e per la piccola storia delle nostre comunità e dei nostri ambienti; ma anche per la storia del mondo. E’ proprio così, e Dio ce lo ha rivelato in Maria, all’inizio della Redenzione: alle nostre risposte di amore è legato il destino di molti, di molto! Come può e deve cambiare, allora, il modo in cui ci confrontiamo con il tema della volontà del Signore nella nostra vita! Come deve cambiare il modo di vivere l’adesione a questa volontà! Perché ogni adesione è un mistero insondabile di luce e di vita, perché ogni risposta a Dio che interpella mette in moto un movimento di salvezza che nessuno di noi è capace neppure di immaginare. E questo non solo per le grandi decisioni dell’esistenza. Ma anche e, perché no, soprattutto (visto che sono le più abbondanti) per quelle piccole scelte della vita e per quelle apparentemente insignificanti adesioni a Dio che costituiscono la trama semplice ma misteriosamente ricca del nostro quotidiano.
Abbiamo giustamente parlato di responsabilità grande, grandissima affidata all’uomo. E’ bene, però, anche parlare di grazia stupenda che Dio regala all’esistenza di ognuno di noi. Non è e non deve essere ovvio che il Signore ci renda partecipi per grazia della sua opera di salvezza. Vogliamo e dobbiamo essere gioiosamente grati al Signore per averci voluti accanto a sé nella collaborazione al piano provvidenziale di salvezza del mondo.
Alla radice della lettura e dell’accoglienza della volontà di Dio
E’ ora tempo di venire a considerare il secondo elemento di riflessione che deriva dall’eccomi di Maria, elemento che va alla radice della tematica riguardante la lettura e l’accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano. Infatti, l’eccomi di Maria, prima di essere una risposta data all’appello di Dio, è un atteggiamento di fondo che ha permeato tutta intera la sua vita. Che cosa voglio dire. Mi rifaccio al titolo della relazione che mi è stata affidata: “Signore cosa vuoi che io faccia?”. Quando parlo di atteggiamento di fondo che permea per intero la vita della Madre di Dio mi riferisco proprio a questa domanda, che rivela un atteggiamento di totale “abbandono”. Ed è di questo abbandono che voglio ora parlare. Perché è nell’abbandono la radice alla quale attingere il desiderio di leggere e accogliere la volontà di Dio. Questo desiderio non c’è, o non c’è con la dovuta autenticità, se viene a mancare quell’atteggiamento di abbandono che la domanda “Signore cosa vuoi che io faccia” rivela.
Provo a illustrare questa affermazione con due immagini: la prima suggerita da Origene e la seconda da un episodio celebre della vita di San Francesco di Sales.
Origene, commentando da par suo l’episodio dell’annunciazione dell’angelo a Maria, dice: “Con questa sua risposta è come se Maria dicesse a Dio: ‘Eccomi, sono una tavoletta da scrivere: lo Scrittore scriva ciò che vuole, faccia di me ciò che vuole il Signore di tutto’” (Commento al vangelo di Luca, frammento 18). Che cosa è, alla luce di questa esposizione di Origene, l’abbandono di cui parlo? E’ la libertà interiore di chi non vuole altro che non sia Dio, che non ha altri legami interiori diversi dall’amore di Dio, che non desidera più niente per sé se non Dio e la sua volontà. Abbandono, allora. Può essere ed è sinonimo di vuoto. Non di quel vuoto che è tenebra perché assenza di tutto; ma di quel vuoto che corrisponde a pienezza di amore e che non vuole lasciarsi riempire da nulla al di fuori di Dio. Non si dà, allora lettura e accoglienza della volontà di Dio al di fuori di un costante combattimento con se stessi e con i molti e diversi attaccamenti interiori che caratterizzano la vita di noi tutti.
Quanto affermato trova un’ulteriore e quanto mai significativa illustrazione nell’episodio della vita di San Francesco di Sales che di seguito riporto. Francesco incontra la Chantal, che da ormai qualche tempo è sua figlia spirituale. L’incontro è decisivo per la vita della donna e per la sua ricerca della volontà di Dio. Ascoltiamo: “L’incontro decisivo ebbe luogo tra i due santi il lunedì di Pentecoste del 1607. Francesco invitò la Chantal a colloquio dopo la Messa: ‘Ebbene, figlia, ho deciso che cosa voglio fare di voi’. Ed io, mio Signore e Padre, sono risoluta ad obbedirvi’. Si inginocchiò. Il santo le permise di rimanere così, e si trattenne in piedi, a distanza di due passi da lei: ‘Sta bene. Coraggio, bisogna entrare tra le Clarisse’. Padre mio, sono tutta pronta’. Una goccia di riflessione sospese il dialogo. ‘No, non siete abbastanza robusta’. Le parole scorrevano lente, penose: ‘Bisogna essere suora dell’ospedale di Beaune’. ‘Come vi piace’. E si ripeté un’interruzione carica di pensiero. ‘No, no, non è ancora questo che io voglio: sarete carmelitana’. La Chantal che, come sappiamo, aveva fatto il possibile in precedenza per essere carmelitana, disse: ‘Sono pronta a obbedire’. Allora il santo la fece sedere e disse, con voce pacata e come chi arrivi alla conclusione di un discorso: ‘Niente di questo è adatto a voi’. E parlò quietamente, limpidamente, di un progetto nuovo, che egli, in realtà maturava tra sé da un tempo assai lungo: descrisse la futura Visitazione” (da Come piace a Dio, di G. Papasogli, pp. 369-370).
Questo bellissimo episodio, che dice la disponibilità piena della Chantal alla volontà del Signore su di lei, illustra anche molto bene la saggia pedagogia del grande maestro di spirito Francesco di Sales, che progressivamente aveva portato la Chantal proprio all’atteggiamento di abbandono, cioè a quel vuoto di amore ormai disponibile tutto, purché fosse da Dio.
Penso che così sia sufficientemente chiaro quanto ho inteso esprimere con il termine abbandono e, soprattutto, quanto ho inteso dire affermando che con l’atteggiamento di abbandono arriviamo alla radice del tema trattato. Le domande, allora, che è necessario porsi scaturiscono naturali e ci devono accompagnare ogni qualvolta ci disponiamo a ricercare la volontà del Signore: conservo dei legami al di fuori di Dio nel mio cuore? Vivo nella disponibilità a tutto ciò che il Signore può propormi? Sento in me delle resistenze di fronte a quella o a quell’altra prospettiva che riguarda la mia vita?
Quasi a soffermarci con atteggiamento contemplativo sul tema dell’abbandono e su queste domande che ci interpellano in profondità, propongo alcune affermazioni di santi, molto pertinenti a questo proposito.
San Paolo della Croce: “Tutto va a modo mio perché tutto va come vuole Iddio” (Lettere II, 263. A una religiosa, 24-IX-1748).
Santa Bernadette: “Quando non di desidera nulla, abbiamo sempre quello che è necessario” (da “Bernadetta di parla”, di R. Laurentin, edizioni Paoline, pp. 12-13).
San Filippo Neri: “Signore, agisci con me nel modo che sai e nel modo che vuoi” (da “Filippo Neri, una gioia contagiosa”, di P. Turks, Città Nuova, p. 64).
“Mio Dio, eccomi, fa’ di me e di tutte le cose mie quel che vuoi”. Questo era l’esercizio continuo di santa Teresa; almeno cinquanta volte al giorno la santa si offriva al Signore affinché disponesse di lei come gli fosse piaciuto (riportato in “Cristo dispiegato nei secoli” di Chiara Lubich, Città Nuova, p. 104)
“Oh Signore Gesù, non voglio più scelta; toccate quella corda del mio liuto che più vi piace, sempre e poi sempre sonerà questa sola armonia. Sì, Signore Gesù, senza se, senza ma; senza eccezione alcuna, sia fatta la volontà vostra…”. Questa la preghiera che la Chantal andava recitando mattina e sera prima di accogliere la chiamata di Dio alla vita religiosa (riportato in “Come piace a Dio” di G. Papasogli, Città Nuova, p. 374).
E per concludere questa breve rassegna, torniamo a San Francesco di Sales. Nei testi che leggeremo il nostro santo usa il termine a lui caro di “santa indifferenza”. E’ un altro modo espressivo per intendere l’atteggiamento di abbandono davanti a Dio e alla sua volontà.
“C’è molta gente che dice a Nostro Signore: Mi do tutto a te senza riserva; ma ce ne sono molto pochi che praticano questo abbandono, che non è altro che una perfetta indifferenza ad accettare ogni sorta di avvenimenti, come capitano per disposizione della provvidenza di Dio, tanto l’afflizione come la consolazione, la malattia come la salute, la povertà come la ricchezza, il disprezzo come l’onore, l’obbrobrio come la gloria” (Trattenimenti, Città Nuova, p. 62).
“Così l’anima che si è abbandonata, non ha altro fa fare che rimanere tra le braccia di Nostro Signore, come un bambino sul seno di sua madre, che, quando viene posato a terra per camminare, cammina fino a che sua madre lo riprenda, e quando lei vuole portarlo, la lascia fare. Non sa e non pensa dove va, ma si lascia portare o condurre dove vuole sua madre: tuttavia, tale anima, pur amando il beneplacito di Dio in tutto ciò che le accade e lasciandosi portare, nondimeno cammina, facendo con molta attenzione tutto ciò che è volontà di Dio significata” (Trattenimenti, Città Nuova, p. 65).
La volontà di Dio significata
L’ultimo brano di San Francesco di Sales, che abbiamo letto dai Trattenimenti, e, in specie, l’ultima affermazione da lui fatta circa la volontà di Dio significata ci introduce ora in quell’argomento che potremmo definire di concreta realizzazione rispetto a quanto fino a questo momento è stato detto. In altri termini. Dopo avere rinnovato la contemplazione del mistero di Dio Amore, dopo averla rinnovata, questa contemplazione, nel mistero del Figlio di Dio che si fa uomo donando la propria vita sulla croce in adesione perfetta alla volontà del Padre, dopo essere andati alla radice della questione circa la lettura e l’accoglienza della volontà di Dio e cioè all’atteggiamento di abbandono, ora ci chiediamo: dove trovare i segni della volontà di Dio? Dove cercarla questa volontà amata e desiderata? Insomma: che cosa fare per leggere e accogliere la volontà del Signore nel quotidiano?
Proviamo a dare una qualche risposta a questi interrogativi così decisivi per la nostra vita. Non senza una premessa di fondamentale importanza. E questa premessa è il mistero dell’Incarnazione. Questa, e non altre, è stata la strada scelta da Dio per farsi incontro agli uomini e portare loro la parola di salvezza. Questa allora, e non altre, deve essere ancora oggi la via che Dio sceglie per raggiungere la mente e il cuore di ciascuno, manifestando la sua volontà di amore. Che cosa significa questo in altre parole? Significa che la volontà di Dio si manifesta ordinariamente in modo molto concreto, attraverso ciò che cade sotto la percezione della nostra umanità. Non c’è spazio per una ricerca della volontà di Dio disincarnata dalla realtà. Lo stesso termine “disincarnata” dice radicale contraddizione con la logica e la verità dell’Incarnazione. Ecco perché parlo di “volontà di Dio significata”: perché la volontà di Dio trova manifestazione nella concretezza della nostra vita e riceve da essa un criterio di misura e di verità.
“…tutto concorre al bene di coloro che amano Dio…”(Rm 8, 28)
Se è vero, come è vero, ciò che afferma san Paolo, nella vita dell’uomo non vi è proprio nulla che non possa essere letto alla luce della volontà di Dio. In effetti, tutto quanto capita nella vita, come nel corso di una giornata, dovrebbe trovarci in questa disposizione abituale. Non è forse vero che ciò a volte non si realizza perché pretendiamo di dare noi una lettura dei fatti e degli accadimenti, anche i più semplici, invece di accoglierli serenamente dalla mano del Signore? Spesso siamo nella condizione di chi vuole sottomettere i fatti della vita al proprio giudizio, piuttosto che nella condizione di chi cerca di leggere, nei fatti della vita, Dio e la sua guida amorevole.
Riascoltiamo un passo del Cantico dei Cantici: “Nella notte ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amato del mio cuore. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda; ‘avete visto l’amato del mio cuore?’. Da poco le avevo oltrepassate quando trovai l’amato del mio cuore. Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l’abbia condotto in casa mia, nella stanza di colei che mi ha concepito” (Ct 3, 1-5). Questo il commento di San Gregorio di Nissa: “Fino al momento in cui la sposa corre affannosamente per le strade della città, interrogando ogni persona sul nascondiglio del suo amato, corre invano. Essa riconosce il volto del suo sposo quando scopre che esso si nasconde in un luogo dove non può essere visto facilmente”. Questo luogo, strano a dirsi, è la vita concreta, così come ci è dato di viverla ogni giorno in ogni suo attimo e aspetto.
Una bellissima pagina di Madeleine Delbrel ci aiuta ancor più a entrare in questa logica di lettura e accoglienza della volontà di Dio. “Quando quelli che amiamo ci chiedono qualcosa, noi li ringraziamo di avercelo chiesto. Se a te piacesse, Signore, chiederci una sola cosa in tutta la nostra vita, noi ne rimarremmo meravigliati e l’aver compiuto questa sola volta la tua volontà sarebbe l’avvenimento del nostro destino. Ma poiché ogni giorno ogni ora ogni minuto tu metti nelle nostre mani tanto onore, noi lo troviamo così naturale da esserne stanchi, da esserne annoiati. Tuttavia, se comprendessimo quanto imperscrutabile è il tuo mistero, noi rimarremmo stupefatti di poter captare queste scintille del tuo volere che sono i nostri microscopici doveri. Noi saremmo abbagliati nel conoscere, in questa tenebra immensa che ci avvolge, le innumerevoli precise personali luci della tua volontà. Il giorno che noi comprendessimo questo, andremmo nella vita come profeti, come veggenti delle tue piccole provvidenze, come mediatori dei tuoi interventi. Nulla sarebbe mediocre, perché tutto sarebbe voluto da te. Nulla sarebbe troppo pesante, perché tutto avrebbe radice in te. Nulla sarebbe triste, perché tutto sarebbe voluto da te. Nulla sarebbe tedioso, perché tutto sarebbe amore di te. Noi siamo tutti dei predestinati all’estasi, tutti chiamati a uscire dai nostri poveri programmi per approdare, di ora in ora, ai tuoi piani. Noi non siamo mai dei miserabili lasciati a far numero, ma dei felici eletti, chiamati a sapere ciò che vuoi fare, chiamati a sapere ciò che attendi, istante per istante, da noi. Persone che ti sono un poco necessarie, persone i cui gesti ti mancherebbero, se rifiutassero di farli. Il gomitolo di cotone da rammendare, la lettera da scrivere, il bambino da alzare, il marito da rasserenare, la porta da aprire, il microfono da staccare, l’emicrania da sopportare: altrettanti trampolini per l’estasi, altrettanti ponti per passare dalla nostra povera, dalla nostra cattiva volontà alla riva serena del tuo beneplacito”.
Mi pare che in questa pagina della Delbrel vi sia davvero tanto da meditare e tanto da praticare per leggere e accogliere la volontà di Dio nel quotidiano!
Ma noi, non ancora del tutto contenti, ascoltiamo qualche altro testimone dell’abbandono alla volontà del Signore, così come si manifesta nella concretezza della vita.
“La volontà di Dio è da ricercare con sguardo penetrante nelle concrete situazioni della vita di ogni giorno. Questo atteggiamento determina la possibilità di entrare in comunione con il Signore attraverso tutto” (beata Elisabetta della Trinità).
“Un giorno, mentre stava dicendo ‘l’Ufficio della Madonna’ una signora fu chiamata dal marito per una faccenda domestica. Ella lasciò la preghiera e andò subito dal marito. Aveva appena ripreso il suo Ufficio che venne di nuovo chiamata e così per quattro volte di seguito. E ogni volta, con la stessa prontezza, ella abbandonava la preghiera, convinta che il suo dovere di sposa e di padrona di casa venisse prima di una pratica di devozione. E quando infine poté rimettersi a pregare, il versetto che ella aveva così spesso lasciato per obbedienza e così spesso ricominciato per devozione, lo trovò scritto in belle lettere d’oro” (riportato in “Alle sorgenti della gioia”, a cura di F. Vidal, Città Nuova, p. 36). E’ San Francesco di Sales a raccontare questo episodio per convincere una sua penitente ad abbandonarsi alla volontà di Dio, senza esitazione.
E’ proprio vero, allora, alla luce di quanto abbiamo affermato che “tutto ciò che capita è adorabile” (in La donna povera, di Leon Bloy). Tutto è adorabile perché tutto rivela Dio, tutto manifesta la sua volontà e, così, concorre al bene di coloro che lo amano.
C’è un particolare ancora che, in questo contesto, vale la pena sottolineare: particolare che tutta la grande tradizione spirituale continuamente richiama e che trova in San Francesco di Sales un esponente come sempre lucido e persuasivo. Il particolare, che ci riguarda molto da vicino, ha a che fare con lo stato di vita nel quale ci troviamo a vivere. Una vera e propria malattia dello spirito è quella di desiderare sempre qualche cosa d’altro rispetto a quello che il Signore ci dà da vivere al momento presente. Non è forse capitato a ciascuno di noi di essere con la mente e con il cuore altrove rispetto a ciò che costituiva il nostro immediato dovere di stato? Questa malattia dello spirito è esattamente una malattia che contraddice lo spirito di abbandono e che si pone nel cammino interiore come un ostacolo infido nella lettura e accoglienza della volontà di Dio. Almeno perché ci induce a essere sempre altrove rispetto a dove dobbiamo essere per amore di Dio. Ma ascoltiamo qualche passaggio di San Francesco di Sales certamente molto istruttivo al riguardo.
“Mi piacerebbe questo e quello, starei meglio qua e là: sono tentazioni. Il Signore sa bene quello che fa; facciamo ciò che vuole lui, restiamo là dove lui ci ha messo”.
“Non c’è niente che impedisca di perfezionarci nella nostra vocazione come l’aspirare ad un’altra. E tutto questo è una perdita di tempo”.
“La distrazione del cuore è sempre pericolosa, cioè avere il cuore in un posto e il proprio dovere in un altro”.
“Non desiderate essere diversa da ciò che siete, ma desiderate di essere al meglio ciò che siete”.
“Vogliamo sempre essere ciò che non possiamo essere e non vogliamo essere ciò che non possiamo non essere” (da Alle sorgenti della gioia, a cura di F. Vidal, Città Nuova, pp. 29-31, 34).
“Coloro che sono Vescovi, non lo vorrebbero essere; gli sposati vorrebbero essere celibi e i celibi vorrebbero essere sposati. Donde proviene questa generale inquietudine degli spiriti, se non da una certa ripugnanza al dovere e alla costrizione e da una malignità di spirito che ci fa pensare che tutti gli altri stiano meglio di noi? Non c’è scampo: chi non è pienamente rassegnato, può agitarsi di qua e di là, ma non troverà mai riposo. Coloro che hanno la febbre, non trovano nessuna posizione buona: non sono ancora rimasti un quarto d’ora in letto, che già vorrebbero trovarsi in un altro. La colpa non è nel letto, bensì nella febbre che li tormenta” (in Lettere di amicizia spirituale, edizioni Paoline, p. 420).
Altre manifestazioni della volontà di Dio
Ci siamo attardati a considerare la manifestazione della volontà di Dio nella concretezza della vita. Mi è sembrato un modo significativo per entrare nella logica fondamentale che deve guidare ciascuno di noi alla lettura e all’accoglienza della volontà del Signore anche nei tanti altri modi attraverso i quali Dio ci parla e ci conduce quotidianamente. E in effetti lo sappiamo: il Signore ci parla ogni giorno attraverso la sua Parola, letta e ascoltata personalmente e nel contesto della Sacra Liturgia; così come Dio ci parla nella carità attraverso la quale la voce di Dio ci interpella nella persona del nostro prossimo, soprattutto se appartenente alla categoria dei poveri del Vangelo; così come ancora il Signore ci raggiunge attraverso l’obbedienza che siamo chiamati a prestare nei confronti di coloro che dal Signore hanno ricevuto un particolare mandato per indicarci la sua via; così come Dio ci parla attraverso le ispirazioni al bene che, mediante lo Spirito, egli insinua dentro di noi. In tutto questo, non c’è dubbio, siamo chiamati a leggere ed accogliere la volontà del Signore su di noi. Ma questo lo faremo correttamente nella misura in cui ci lasceremo condurre da quella logica di cui ho detto prima: la logica dell’Incarnazione, in virtù della quale il Signore ci raggiunge con grande concretezza.
Questo non può che significare ancora un richiamo, del resto già fatto poc’anzi. Nella lettura e nell’accoglienza della volontà di Dio un posto insostituibile è da riconoscere alla mediazione della Chiesa. Anzi, è proprio questa mediazione, in via ordinaria, a dare autenticazione a quanto noi, con la nostra sincera ricerca, abbiamo interpretato essere la volontà del Signore. Tutti lo sappiamo bene. Gli esempi di questa mediazione sono molteplici e li conosciamo. Ma qui voglio solo ricordarne una, tra le più significative per la vita spirituale personale, anche perché adottarla con fedeltà significa aver capito e vivere con grande concretezza la logica dell’Incarnazione. Penso all’accompagnamento spirituale, quell’accompagnamento che non sostituisce la nostra responsabilità nella lettura e nell’accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano, ma che di quella responsabilità è misura e verifica periodica. Lo sappiamo bene, e per esperienza diretta. C’è una grande tentazione nel cammino della vita cristiana, soprattutto quando gli anni passano e ci pare di essere cresciuti nell’esperienza di Dio: la tentazione di “fare da soli”. Ma è proprio questo fare da soli che contraddice in modo radicale quanto fin qui affermato. Perché chi vuole fare da solo, diventerà incapace di cogliere il passaggio di Dio nei fatti quotidiani della vita, così come poco a poco non riuscirà ad ascoltare la voce del Signore che parla nella Sua Parola, nella carità, nell’obbedienza, nelle ispirazioni interiori. E perché tutto questo? Perché chi vuol fare da solo in tutto finirà per non cercare più Dio ma se stesso; e, ciò che è più grave, neppure più se ne accorgerà. Ecco il motivo di questa sottolineatura che mi permetto di fare quasi a conclusione della nostra conversazione: la prassi dell’accompagnamento spirituale è provvidenziale non solo perché ci è testimoniata dalla tradizione spirituale della Chiesa e dalla vita dei santi, ma anche perché ci mantiene in quell’atteggiamento di abbandono che abbiamo detto essere alla radice di una sincera lettura e accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano.
Così, non è forse il caso di domandarci se in questo momento della vita stiamo “facendo da soli”?
Il punto zero
E ora, per davvero, mi avvio a concludere. Concludere significa tirare le somme della affermazioni fatte, quasi riassumerle in un certo senso: in breve e facendo in modo di lasciare aperti spiragli per ulteriori approfondimenti personali e per eventuali risonanze.
Tutto questo me lo offre il salmo 45. Nel testo poetico ispirato la fidanzata, che non conosce ancora lo Sposo, cerca di farsi apprezzare da lui esprimendogli l’amore e lodando la sua bellezza: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia… il tuo trono dura per sempre… Dio ti ha consacrato con olio di letizia” (3-10). Il Beneamato non si lascia però incantare tanto facilmente dalle parole dell’amica. Egli le chiede una purificazione interiore, una sottomissione della volontà e il distacco da ogni bene e da ogni affetto: “Ascolta, figlia, porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre…” (11). Se l’amata accetterà di essere ridotta a un nulla, di essere condotta al “punto zero”, rinunciando a se stesa e al proprio passato, l’Amato la prenderà in sposa: “Allora al re piacerà la tua bellezza” (12). Spogliata di tutto, la sposa potrà onorare l’Amato nella verità.
L’abbandono di tutto il nostro essere al Signore diventa, per l’anima, la condizione per disporsi all’adorazione: “Egli è il tuo Signore: prostrati a lui!” (12). E, se sarà capace di volgersi allo Sposo con tutto lo slancio della sua verginità, la sposa riceverà una fecondità universale: “Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli, li farai capi di tutta la terra” (17). Così l’atteggiamento dell’abbandono è condizione indispensabile per entrare nella pace dell’adorazione e della contemplazione di Dio. Se l’amata, pur tremante ma con fiducia, si lascerà andare fra le braccia dell’Amato, lo Sposo la stringerà a sé e la renderà feconda. Proprio come l’anima che si abbandona nelle braccia di Dio. Ma la condizione è il “punto zero”.
Così concludiamo tornando alla radice della lettura e dell’accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano. “Vieni al largo!”, sentiamo gridare verso di noi dall’altra riva, ogni giorno della vita. Si tratta di abbandonare la banchina apparentemente sicura dei nostri ragionamenti e di salpare con fiducia nell’amore di Dio. E’ necessario lasciarsi andare alla deriva e scoprire una gioia nuova: quella che consegue dalla povertà assoluta dello spirito che si abbandona nelle mani del Signore. “Vieni e vedi”, ancora una volta dice Gesù a noi, come già un tempo ai primi discepoli che si ponevano la questione di quale fosse la volontà di Dio e di come aderirvi. “Vieni e vedi”. Ancora oggi per noi è e non può non essere che così: andare e vedere. Poche volte ci è dato di vedere e, successivamente di andare. In via ordinaria ci è chiesto di andare e poi di vedere. Ma è così bella la vista, così sorprendente l’orizzonte!
Chiediamo che questa nostra speranza di lettura e accoglienza della volontà di Dio nel quotidiano diventi realtà. Lo chiediamo con quella preghiera che santa Giovanna Francesca di Chantal aveva imparato a dire ogni giorno alla scuola del suo grande, impareggiabile maestro nell’arte del discernimento spirituale: “O mio Dio, tutto quello che tu vuoi, io lo voglio, tutto quello che tu fai io lo amo, tutto quello che tu permetti io lo adoro”.