Omelia – Domenica I di Quaresima – Anno A

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Omelia – Domenica I di Quaresima – Anno A

Cappella delle Pie Discepole del Divino Maestro
Città del Vaticano

Omelia
La grande preghiera della Chiesa, che trova sintesi nella bella preghiera della colletta, accompagna questa nostra Prima Domenica di Quaresima e accompagnerà l’intera settimana che si apre davanti a noi: “O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”.
In questa preghiera siamo chiamati, anzitutto, a sostare un momento sulla parola conversione. E’ una parola che ci è abituale, forse troppo. Dico troppo, perché rischiamo di ripeterla e di ascoltarla senza la dovuta convinzione. E’ probabile che della necessità della conversione siamo tutti consapevoli. Ma è proprio vero che siamo anche decisi a volerla? Oggi, giorno in cui la Chiesa ci ricorda che il tempo quaresimale è tempo di conversione, non possiamo accontentarci di ammettere che la nostra vita deve cambiare; dobbiamo anche e soprattutto volerlo il cambiamento, la trasformazione radicale della vita. Convertirsi, infatti, non è un atto superficiale; è piuttosto una decisione ferma che ci porta nelle profondità delle nostre abitudini e dello stile del vivere quotidiano, nel segreto del cuore, perché tutto si allontani dal mondo e torni a vivere secondo Dio e Dio solo. Convertirsi è un atto di amore grande. Convertirsi significa lasciarsi conquistare dall’amore di Dio e a motivo di questo amore essere disponibili per una vita diversa, come Dio la vuole, quindi straordinariamente bella e piena.
La colletta ci aiuta anche individuare una traccia di conversione. E’ indicato, infatti, un duplice movimento: quello che ci conduce a contemplare il mistero di Cristo, per crescere nella sua conoscenza, e quello che ci conduce, di conseguenza, a una degna condotta di vita. Oggi, alla luce della parola di Dio che abbiamo ascoltato, possiamo compiere entrambi i movimenti ricordati e dare così ampio contenuto al nostro cammino di conversione.
La pagina del libro della Genesi (2, 7-9; 3, 1-7) ci ha riportato al momento drammatico del primo peccato. Ciò che accade a motivo del peccato, e che la Scrittura descrive, ci fa capire che la vera tragedia della vita umana è proprio il peccato. Il mistero di Cristo si presenta a noi con la presenza di un mistero di iniquità che ha sconvolto il cammino della storia, del mondo, dell’umanità. Non vi sono altri sconvolgimenti che si possano equiparare a questo. Anche perché ogni sconvolgimento di cui l’uomo fa esperienza trova sempre la sua origine nel peccato e nel male.
La contemplazione di questo quadro, il mistero dell’iniquità, non può rimanere distante da noi. Ci riguarda da vicino e in prima persona. Non solo per le conseguenze che tutti noi portiamo nella vita, ma anche perché deve indurci a concludere che il più grande dramma della nostra esistenza personale è sempre il peccato. Convertirsi significa ritrovare il senso della tragedia del mio peccato e decidere di rompere definitivamente con esso. E’ sempre valido il proposito che ha accompagnato la vita di tanti santi: “Piuttosto la morte ma non il peccato”. I santi avevano ben chiaro il dramma presente in ogni caduta. Anche noi dobbiamo averlo presente e fare di tutto perché il peccato non abbia a che fare mai con noi, nella sua forma grave ma pure nella sua forma lieve. In ogni sua forma, infatti, il peccato è tragedia per la nostra vita. Abbiamo fatto, forse, l’abitudine al peccato? Conviviamo con il peccato, quasi non percependone più il dramma? Il compromesso con abitudini e comportamenti che non sono secondo Dio fa ormai parte di noi, senza che ne avvertiamo la gravità? Ecco in quale direzione deve andare il nostro cammino di conversione.

San Paolo, nella lettera ai Romani (5, 12-19), riferendosi al peccato con il quale il mondo agli inizi è entrato nel mondo, si sofferma anche a considerare la grazia che a tutti è stata donata a motivo di Gesù, il Salvatore. Se la disobbedienza di uno solo aveva causato la tragedia della caduta di origine, così l’obbedienza di un solo è stata il motivo della salvezza e della vita nuova per l’intero genere umano. L’apostolo, in tal modo, ci aiuta a scoprire nuovamente la realtà intima del peccato, la disobbedienza, e la realtà intima della salvezza, l’obbedienza.
Così dal mistero dell’iniquità passiamo a contemplare il mistero della grazia. Grazia che è strettamente e indissolubilmente legata all’obbedienza, come atto di dipendenza da Dio, riconoscimento della Sua signoria sul mondo e sull’uomo, donazione all’Amore senza riserve, dubbi, condizioni.
Quanto vissuto da Gesù a vantaggio di noi tutti è quanto anche noi siamo chiamati a vivere personalmente, ricordando la grazia presente in ogni nostra obbedienza a Dio. La nostra obbedienza, infatti, partecipa dell’obbedienza di Cristo e diventa motivo di salvezza e di grazia per noi e per il mondo intero. La conversione significa passare dalla disobbedienza, propria di chi pretende di fare a meno del Signore, all’obbedienza, propria di chi ama e proprio perché ama si fida, si consegna, abbraccia incondizionatamente.
Qual è la nostra obbedienza? Qual è la nostra sequela? Come possiamo dire di amare il Signore se  poi non ne ascoltiamo la voce, per paura che questa voce possa togliere qualcosa alla nostra vita? Ma questa voce non è voce dell’Amore che alla vita di ciascuno di noi vuole dare tutto, il bene più grande? Ecco, allora, un’altra direzione che il nostro cammino di conversione deve prendere: sì a Dio, sempre, nelle piccole e nelle grandi cose della vita, con fiducia, con amore, con entusiasmo. Dobbiamo recuperare la gioia e il gusto dell’obbedienza d’amore.

La nostra contemplazione del mistero di Cristo si sposta sulla pagina del Vangelo (Mt 4, 1-11). L’evangelista racconta il tempo passato da Gesù nel deserto su ispirazione dello Spirito. Quel tempo fu per Gesù tempo di tentazione, di scontro con Satana, il grande nemico Suo e dell’uomo. La vita di tutti è segnata anche da questa realtà: la presenza di un nemico che tenta l’uomo, inducendolo al dubbio su Dio e portandolo lontano da Lui. Ciò che accomuna le tentazioni alle quali Gesù viene sottoposto è la seduzione con la quale Satana fa intendere che Dio inganna e che vi sono altri modi migliori e più felici di vivere. Non è la volontà di Dio che rende felice l’uomo. La felicità vera è da ricercare altrove. Questa è la terribile seduzione di Satana.
Tutti siamo ben consapevoli di come e di quanto la tentazione faccia parte del nostro vivere quotidiano. Non avvertiamo anche noi sovente una voce maligna che vorrebbe indurci a dubitare della bontà di Dio, a percorrere altre vie, a convincerci che Dio non è alleato del nostro vero bene e della nostra autentica felicità? Oggi, con l’aiuto della parola del Signore, siamo invitati a considerare quale sia il modo migliore per contrastare la tenazione e per uscire vincitori dal confronto con il nemico di Dio e dell’uomo. Ci aiuta in questo ritornare al libro della Genesi. Satana, sotto forma di serpente, confonde e seduce i progenitori. Lo può fare perché la donna e l’uomo sono entrati in dialogo con lui.
Quanto diverso è il comportamento di Gesù nel deserto: con Satana non c’è dialogo, non c’è confronto. Gesù oppone brevissimamente la parola di Dio a ogni suggestione del nemico. E, infine, lo caccia via da Sé.
Allo stesso modo deve avvenire per noi. Con la tentazione non si entra in dialogo. Davanti alla tentazione, piccola o grande che sia, chiara o nascosta, con ferma decisione, si sfugge. La porta della vita non solo non deve essere aperta alla tentazione, ma neppure deve esserle socchiusa. Vedere è già cadere, ascoltare è già cadere, iniziare a gustare il male è già esserne coinvolti. Può capitare che ormai la tentazione non trovi in noi lottatori decisi e pronti. Forse scendiamo a compromesso pensando che quella piccola concessione non possa farci male più di tanto, presumendo di avere la forza di resistere. Non, non è così! La tentazione, proprio perché è la porta di accesso al peccato, alla lontananza da Dio, al grande dramma della vita, non può trovare in noi neppure la minima occasione per farsi spazio nel cuore. “Vattene, Satana!”. La parola di Gesù è l’unica parola che possa renderci vittoriosi.

Convertirsi significa così anche questo: ritrovare la decisione e la prontezza per dire no al tentatore. E’ la decisione di chi ama, è la prontezza di chi ha il cuore colmo di passione per l’Amore della sua vita.

(trascrizione da registrazione)