Omelia – Passione del Signore

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Omelia – Passione del Signore

Cattedrale di Tortona. Passione del Signore – Venerdì Santo

Questa sera la celebrazione è iniziata in un quadro di desolazione, ed è iniziata con un gesto altamente significativo: il gesto della prostrazione silenziosa e lunga. Che cosa nel nostro cuore abbiamo detto e ripetuto durante questa prostrazione, che cosa avremmo dovuto ripetere durante questa prostrazione? «Che cosa ho mai fatto? Che cosa ho mai fatto?» Questa è la parola che deve risuonare nel cuore di ciascuno di noi questa sera. «Che cosa ho mai fatto?». E risuona in un quadro che è desolante, tutto è spoglio. «Che cosa ho mai fatto?». Egli era la luce e io l’ho ucciso. Egli era la vita e io l’ho ucciso. Egli era l’unica vera speranza e io l’ho ucciso. Egli era la salvezza, l’unico vero Salvatore e io l’ho ucciso. Egli era il Figlio di Dio e io l’ho ucciso. Noi lo abbiamo ucciso! Noi tutti, nessuno escluso! Tutti siamo responsabili di questa drammatica e tragica morte.

«Che cosa ho mai fatto?». «Che cosa abbiamo mai fatto?». Questa parola non si rivolge soltanto a un passato; questa parola si rivolge anche al nostro presente, perché il Figlio di Dio, il Salvatore, l’unico Salvatore vero del mondo, non soltanto lo abbiamo ucciso su Golgota, ma lo uccidiamo anche oggi, ogni volta in cui la nostra vita si ribella contro di Lui, ogni volta che, oggi, la nostra vita conosce l’esperienza dell’iniquità, del male, del peccato . Ogni volta, in un certo senso, noi uccidiamo di nuovo il Figlio di Dio. «Che cosa ho mai fatto?». «Che cosa abbiamo mai fatto?». Diciamolo anche al presente: «Che cosa sto facendo? Che cosa stiamo mai facendo?».

Lo sappiamo: la nostra fede ci parla di un peccato mortale. Il peccato non è mortale soltanto perché provoca la morte del nostro cuore, è mortale perché provoca la morte di Dio in noi. La nostra fede conosce il peccato veniale. Certo, quel peccato non uccide il Figlio di Dio nella nostra vita ma ne mette le premesse. Questa sera, dunque, considerando qualunque forma di male e di peccato nella nostra esistenza, siamo chiamati a ripetere, nel silenzio del cuore: «Che cosa ho mai fatto? Che cosa abbiamo mai fatto?» e «Che cosa sto facendo? Che cosa stiamo facendo?».

Un grande filosofo cristiano, Blaise Pascal, scrive: “Gesù è in agonia fine alla fine del mondo”. Perché? Perché fintanto che il male e il peccato sono presenti nella nostra vita, Gesù è in agonia. Perché noi Lo uccidiamo con il nostro peccato, perché noi Lo crocifiggiamo con la nostra iniquità, perché ancora noi Lo togliamo di mezzo con la nostra colpa.

La prostrazione con la quale è iniziata questa celebrazione è un gesto che ciascuno di noi, oggi, è chiamato a ripetere: anche fisicamente, se possibile, ma almeno spiritualmente, nel segreto della propria stanza, nel segreto del proprio cuore.

Ciascuno di noi, oggi, non può esimersi dal prostrarsi a terra e ripetere: «Che cosa ho mai fatto? Che cosa abbiamo mai fatto?».

La Chiesa ci insegna, con la sua preghiera, che non siamo mai soli; nel bene e nel male noi siamo un corpo unico, a Dio ci rivolgiamo come un noi che è solidale nel bene e nel male. Ciò che di bene è presente nella nostra vita ha una ricaduta positiva su tutti, ma ciò che di male è presente nella nostra vita ha una ricaduta negativa su tutti. Oggi, mentre diciamo «Che cosa ho mai fatto? Che cosa abbiamo mai fatto?» non pensiamo soltanto al nostro peccato, alla nostra colpa, alla nostra iniquità; pensiamo anche a quella di tutti, all’iniquità del mondo, al peccato di ogni nostro fratello e di ogni nostra sorella, perché tutti ne siamo coinvolti. Sulle nostre spalle non pesa soltanto il nostro peccato personale, sulle nostre spalle pesa il peccato del mondo, perché tutti, in qualche modo, ne siamo responsabili. Ogni nostra colpa personale è radice della colpa degli altri e la colpa degli altri è radice della nostra colpa personale. Siamo solidali. E, allora, certo siamo noi personalmente che ci prostriamo e ripetiamo: «Che cosa ho mai fatto?» ma, nello stesso tempo, siamo tutti insieme che ci prostriamo e ripetiamo: «Che cosa abbiamo mai fatto?».

Ci prostriamo, ma non per rimanere in quell’atteggiamento e in quella posizione, perché nella misura in cui noi ci prostriamo con sincerità e con verità veniamo rialzati e risollevati, perché quel Crocifisso che tra poco sarà presente in mezzo a noi, davanti al quale ci prostriamo per ammettere, nel dolore, la nostra iniquità, è lo stesso Crocifisso che ci rialza dalla nostra prostrazione, che ci perdona e ci salva. Lui che abbiamo ucciso ci dona la vita; Lui che abbiamo scartato ci porta tra le sue braccia; Lui che abbiamo eliminato ci porta fedelmente con sé; ma nella misura in cui ci prostriamo nella verità di un pentimento che piange, di un pentimento che lacrima, di un pentimento che riconosce fino in fondo la propria miseria.

Un salmo che tutti conosciamo ci fa pregare così: “Dal profondo a te grido Signore; Signore, ascolta la mia voce”. Soltanto nella misura in cui, prostrati a terra, diciamo al Signore: “Dal profondo a te grido, dal profondo della mia iniquità che riconosco, dal profondo della miseria di cui mi vergogno, dal profondo del mio peccato di cui mi pento”, allora avvertiamo due braccia che ci rialzano, ci abbracciano, ci perdonano e ci riportano alla vita.

Nella preghiera liturgica molte volte iniziamo così il nostro dialogo con il Signore: “Oh Dio vieni a salvarmi. Signore vieni presto in mio aiuto”. Soltanto nella misura in cui, nella nostra prostrazione, avvertiamo che abbiamo bisogno della salvezza di Colui che abbiamo crocifisso, che abbiamo bisogno assoluto di Colui che abbiamo ucciso, allora Lui, il Crocifisso, l’ucciso da noi, viene a salvarci e a darci la vita.

Nel vangelo, tante volte, ascoltiamo uomini e donne prostrati che si rivolgono a Gesù e implorano: “Salvami!”. Primo fra tutti Pietro, sulla sua barca in mezzo al lago di Galilea: “Salvaci Signore, siamo perduti!”. Soltanto nella misura in cui, nella nostra prostrazione, urliamo così e gridiamo così, consapevoli della nostra miseria e consapevoli che non possiamo risollevarci da soli, allora due braccia si stringono intorno a noi, uno sguardo di amore incrocia i nostri occhi, il Crocifisso ci riporta alla vita ed è il nostro Salvatore. Lo sappiamo, non c’è nessuna miseria per quanto grande possa essere e per quanto grande possa essere il rimprovero che il nostro cuore ce ne fa, che abbia la meglio sulla misericordia infinita di Dio; ma a partire dal quel pentimento, da quella richiesta di salvezza, da quella prostrazione da cui sale una domanda di aiuto.

Questa sera prostriamoci davvero, entriamo fino in fondo nella nostra miseria che è stata ed è la causa della morte in croce del Signore Gesù. Prostràti, dal profondo gridiamo al Signore, domandiamo aiuto, chiediamo perdono; e lì avvertiamo la mano del Signore che, in qualche modo, dalla croce si stacca e viene a recuperarci da quel profondo abisso di miseria e ci dona la straordinaria esperienza della sua misericordia.

Non dimentichiamolo! Non crescono in noi la gioia, lo stupore, la meraviglia per la misericordia di Dio dal momento che non avvertiamo la gravità del nostro peccato. No! Non è così! La meraviglia e la gioia per la misericordia di Dio crescono a dismisura nella misura in cui tocchiamo con mano la gravità della nostra colpa. È perché capiamo che con il peccato noi mettiamo in croce il Signore che capiamo quale straordinaria e infinita bellezza abbia la Sua misericordia per noi; è perché entriamo fino in fondo nel mistero della nostra iniquità, non ce lo nascondiamo, lo chiamiamo per nome, che siamo toccati dalla consolazione straordinaria della misericordia di Dio e di un perdono che vince ogni male e ogni nostro peccato.

Nella Scrittura ascoltiamo: “Guarderanno a Colui che hanno trafitto”. Sappiamo che questa parola è detta a indicare dove avverrà l’esperienza della salvezza e della misericordia: quando guarderemo a Colui che abbiamo trafitto, ucciso, consapevoli davvero di ciò che abbiamo fatto e pronti, dunque, ad accogliere l’amore infinito del Signore per noi.

Ma ci domandiamo, e sia questa la domanda che ci accompagna in questa sera del Venerdì Santo: Gesù crocifisso lo abbiamo mai guardato davvero? Lo abbiamo, almeno una volta, guardato pensando: “Io ti ho ucciso, io ti uccido con il mio peccato”? Lo abbiamo, almeno una volta, guardato così? E di conseguenza, Lo abbiamo, almeno una volta, guardato dicendo questo e potendo poi aggiungere: “Tu sei il mio Salvatore; Tu sei la misericordia infinita che sconfigge ogni mia miseria; Tu sei la vera bellezza della mia vita”?

Forse non abbiamo mai guardato così Colui che abbiamo trafitto. Questa sera, almeno, guardiamolo così: è Colui che abbiamo trafitto, è Colui che abbiamo ucciso. Piangiamo per questo e, piangendo, avremo l’esperienza esaltante di sentire che le nostre lacrime saranno trasformate in un canto e in una danza di gioia e di gratitudine, perché quel Crocifisso, ancora una volta, ci salverà dalla morte.

Trascrizione da registrazione audio