Omelia – V Settimana di Pasqua

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Omelia – V Settimana di Pasqua

Santa Messa nel Sabato della V Settimana di Pasqua
Giornata per la santificazione dei sacerdoti

Tortona. Cattedrale

 

Ascoltando la pagina degli Atti degli Apostoli che, oggi, la liturgia della Chiesa ci offre, viene spontaneo pensare a un’immagine che molte volte l’attuale Pontefice, Papa Francesco, usa a proposito della Chiesa, della sua vita e della sua missione: l’immagine della Chiesa che esce, della Chiesa in uscita. Un’immagine molto suggestiva, che coglie una dimensione fondamentale della vita della Chiesa; ma un’immagine che, a volte, in noi, rischia di rimanere soltanto una parola, una sorta di slogan, povera di contenuti o senza quella ricchezza di contenuti che le è propria.

Oggi vogliamo, con l’aiuto della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, ritrovare almeno tre grandi contenuti che riescono a illuminare la bella immagine della Chiesa che esce, della Chiesa in uscita, stando ben attenti a ricordare che questa Chiesa che esce, questa Chiesa in uscita siamo noi. Siamo noi! E, dunque, questi grandi contenuti sono contenuti sui quali noi siamo chiamati a interrogarci, noi siamo chiamati a verificarci, noi siamo chiamati a ritrovarci, considerando la loro bellezza che riguarda esattamente la nostra vita, il nostro ministero, il nostro apostolato.

Nella pagina del Vangelo abbiamo ascoltato Gesù in dialogo con i suoi apostoli, con i suoi discepoli; è un momento di intimità tra Gesù e loro. Questa pagina, pertanto, ci richiama a un grande contenuto per una Chiesa che voglia realmente essere Chiesa in uscita: quello dello “stare”.

Stare con Gesù, vivere l’amicizia di Gesù, sperimentare l’intimità del Suo amore, rimanere in ascolto attento e fedele della Sua Parola, vivere la gioia di una preghiera autentica che non sia, semplicemente, una preghiera fatta di parole, ma una preghiera che diviene uno scambio di vita e di amore. C’è, dunque, uno “stare” che caratterizza una Chiesa realmente in uscita. Perché non si può uscire se prima non si sta; non si può andare se prima non si rimane e si cresce nell’intimità con il Signore Gesù. D’altronde, lo sappiamo, – ed è il vangelo che ce lo ricorda – Gesù chiamò a sé alcuni perché stessero con Lui e per mandarli a predicare.

C’è, dunque, questo verbo che deve essere scolpito nel nostro cuore e nella nostra mente di discepoli: il verbo “stare”. Abbiamo necessità e bisogno di stare di più. Il Papa, spesso, usa un’espressione: quella dell’adorazione. È così! Se vogliamo essere una Chiesa che esce, dobbiamo essere, anzitutto, una Chiesa che adora, che si ferma, che si inginocchia davanti al suo Signore e lo guarda e si lascia guardare, che si lascia amare e lo ama, che vive un ascolto e un dialogo vitale con Lui, ogni giorno, ogni istante. Stare! Ritorniamo su questo verbo e su questo contenuto, e cerchiamo di declinarlo nella nostra quotidianità, perché metta sempre più radici nel nostro modo di essere Chiesa oggi, come d’altronde sempre.

Qui, in questo santuario, non possiamo a fare meno di ascoltare un invito che don Orione rivolgeva ai suoi figli e alle sue figlie, tante volte, dicendo: “Dobbiamo pregare di più”. “C’è una prima carità che dobbiamo a noi stessi – è sempre don Orione che scrive –: dobbiamo pregare di più”. Che questo verbo “stare” ci aiuti a ritrovare la centralità dell’incontro con il Signore e della sua presenza nella nostra vita. Ci aiuti a rendere la nostra preghiera di ogni giorno una preghiera che, davvero, sia fondamento, sia radice di tutto; nella gioia e nella bellezza, non nel peso e nella fatica. Perché la preghiera, prima di tutto, è l’incontro con il Signore; e la nostra intimità con Lui è un dono. Un dono! E, dunque, dobbiamo accogliere con gioia questo invito a stare, perché è un dono grande che il Signore fa a ciascuno di noi e alla sua Chiesa.

Nella pagina degli Atti degli Apostoli, a cui già abbiamo fatto riferimento, si sottolinea che la comunità cristiana – gli apostoli, i discepoli, tutti – attraversava le regioni di quella terra, andava per città e villaggi. Sembra quasi che quella comunità cristiana vivesse una sorta di movimento continuo, quasi che non avesse pace fino a tanto che non fossero raggiunti tutti.

I discepoli vanno da una parte, poi si recano altrove; pensano che sia giusto andare in quel determinato luogo ma, in ascolto dello Spirito, capiscono che devono andare da un’altra parte; e continuano ad andare. Questo è il secondo grande contenuto di una Chiesa che voglia essere, davvero, in uscita: “andare”.

Andare con entusiasmo, andare con passione missionaria, andare perché avvertiamo nel cuore che non possiamo essere contenti fino a che qualcuno – anche uno – non ha ascoltato l’annuncio della salvezza. Andare perché non ci sia villaggio, città, terra, regione, nazione che non abbia sentito risuonare la bellezza del Signore Gesù venuto tra noi come Salvatore della nostra vita e della storia. Andare. Andare, certo, fisicamente; ma, prima ancora, andare con il cuore, perché quella passione che ci fa andare, senza fermarci mai, è una passione che, anzitutto, anima il cuore e lo rende inquieto nello slancio missionario.

Una Chiesa che voglia, davvero essere una Chiesa in uscita, è una Chiesa che non si stanca, ma vive ogni giorno l’entusiasmo di dire “Gesù Cristo” al mondo, in ogni terra, a ogni uomo, a tutti, sempre e dovunque. Con una particolarità. Perché la pagina del Vangelo parla di incomprensione, di persecuzione, di contraddizione con quel mondo, secondo il linguaggio giovanneo, che è il mondo del peccato, della ribellione, della lontananza da Dio. Questo particolare ci aiuta a fare memoria che noi siamo in questo mondo non perché la nostra vita, il nostro ministero, il nostro apostolato conoscano sempre un successo visibile, un successo numerico, un successo di adesione. No! No!

Lo mettiamo in conto di essere perseguitati, lo mettiamo in conto di non essere capiti, lo mettiamo in conto che possa risultare forte l’indifferenza, la mettiamo in conto la possibilità di incontrare la contraddizione. Tutto questo lo mettiamo in conto! Ma la Chiesa in uscita è una Chiesa che non si scoraggia mai, perché non fonda la propria gioia sul successo umano e mondano, ma la fonda sulla bellezza dell’incontro con il Signore, sullo splendore della fede che abita il suo cuore e sull’entusiasmo di continuare, nonostante tutto, a proclamare il Signore Gesù, arrivando alla fine dei suoi giorni terreni dicendo, nella gratitudine e nella lode: «Io ti ho servito, ho parlato di te, ti ho annunciato a tempo opportuno e inopportuno. Non ho fatto altro che proclamarti e testimoniati davanti al mondo». Questa è la Chiesa che esce davvero, la Chiesa in uscita, che sa andare.

C’è, ancora, una terza parola con la quale abbiamo pregato, cantando il ritornello del Salmo responsoriale. Insieme abbiamo ripetuto: “Acclamate il Signore, voi tutti della terra”. Ecco il terzo contenuto: “acclamare”.

Una Chiesa che esce, una Chiesa in uscita è una Chiesa che acclama; è una Chiesa che è nella gioia; una Chiesa che loda, una Chiesa che ringrazia, una Chiesa che contempla, con stupore e meraviglia, la bellezza di Dio. Quella che esce è una Chiesa che non si ripiega mai e non si lamenta, perché è talmente attratta dallo splendore di Dio e dal suo amore che non ha tempo per recriminazioni inutili e sterili. La Chiesa in uscita acclama continuamente, tanto è rapita dallo splendore del volto del suo Signore, tanto è meravigliata di essere stata amata e incontrata da Lui, tanto è stupita del fatto che il Signore l’abbia chiamata a sé per stare e per andare. Una Chiesa che esce non è mai una Chiesa dal volto triste, rassegnato, ripiegato. È, piuttosto, una Chiesa dal volto gioioso, dal volto meravigliato, dal volto entusiasta, dal volto affascinato da quel Signore che è tutto il senso della sua vita.

Stare, dunque, andare e acclamare. Abbiamo citato don Orione a proposito dell’atto di “stare”. Dal momento che ci troviamo in questo santuario, che custodisce le sue spoglie mortali, ricordiamo il nostro Santo anche a proposito di andare e acclamare.  Egli diceva: “Andare al popolo per seminare Gesù Cristo”. E scriveva: “Cantando l’Amore”; rimanendo, pertanto, sempre nella gioia, nell’entusiasmo, nella meraviglia e nella lode.

Oggi, dunque, conserviamo nel cuore la bella immagine della Chiesa in uscita, scaturita dalla fantasia credente di Papa Francesco. Facciamo, però, in modo che questa immagine sia colma dei tre contenuti: stare, andare, acclamare. Se saremo presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, persone consacrate, fedeli che sanno stare, che sanno andare, che sanno acclamare, allora, davvero, la nostra sarà una Chiesa che esce, una Chiesa in uscita. Quella Chiesa che è negli occhi, nel cuore, nella mente del Signore Gesù.

Nella pagina degli Atti abbiamo anche ascoltato la seguente annotazione: la comunità cristiana – Chiesa in uscita – si fortificava nella fede e cresceva di numero. Vengono messe insieme queste due dimensioni: la fede e la crescita, la crescita e la fede. L’annotazione ci interroga, perché è la misura della fede che determina la misura della crescita; e la crescita, in qualche modo, può essere la misura della nostra fede.

Ascoltiamo, al riguardo, ancora don Orione quando scrive: “Ciò che più piace a Dio è la nostra fiducia in Lui”. Interroghiamoci: qual è la nostra fiducia? Qual è la nostra fede? Qual è la nostra capacità – ma davvero – di dipendere dall’amore del Signore? Qual è? Qual è?

L’interrogativo ci può portare anche dire: «Non sarà a motivo della poca e languida fede che non cresciamo? Non sarà perché la nostra fede è povera che viviamo una sterilità vocazionale? Non sarà una questione di fede? Non sarà un problema di fede?». Oggi riascoltiamo San Luigi Orione, che dice a noi tutti: “Ciò che piace di più a Dio e, dunque, – aggiungiamo noi – realizza le meraviglie del suo amore e i miracoli che Egli vuole compiere tra di noi, è la nostra fiducia in Lui, è la nostra fede”.

Oggi, alla Madonna portiamo tante intenzioni, personali e delle nostre comunità. Oggi, però, portiamo soprattutto le intenzioni per le vocazioni e per la santificazione dei sacerdoti. Oggi alla Madonna chiediamo anche una fede più grande, a Lei che è maestra di fede; una fiducia più grande, a Lei che è maestra di fiducia in Dio. Perché possiamo, come la Chiesa delle origini, essere fortificati nella fede e crescere nel numero di coloro che aderiscono, nel numero di coloro che rispondono, nel numero di coloro che seguono il Signore.

Trascrizione da registrazione audio