Conferenza – Sacra Liturgia e pietà popolare

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Conferenza – Sacra Liturgia e pietà popolare

Orientamenti per un rapporto armonico e fecondo

Incontro Diocesano. Sulmona, Chiesa di Santa Maria della Tomba

 

Introduzione
Per iniziare a trattare l’argomento di questo nostro incontro, vale la pena richiamare un Decreto, quello del 17 dicembre 2001, con il quale la Sacra Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti presenta il Direttorio su Pietà popolare e Liturgia: “Nell’affermare il primato della Liturgia, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium, 10), il Concilio Ecumenico Vaticano II  ricorda tuttavia che «la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia» (ibidem, 12). Ad alimentare la vita spirituale dei fedeli vi sono, infatti, anche «i pii esercizi del popolo cristiano», specialmente quelli raccomandati dalla Sede Apostolica e praticati nelle Chiese particolari su mandato o con l’approvazione del Vescovo. Nel richiamare l’importanza che tali espressioni del culto siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, i Padri conciliari hanno tracciato l’ambito della loro comprensione teologica e pastorale: «I pii esercizi siano ordinati in modo da essere in  armonia con la sacra Liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano» (ibidem, 13)”.

La parte del Decreto che abbiamo ricordato cita alla lettera l’insegnamento dell’ultimo Concilio, che si poneva in linea di sviluppo omogeneo con i precedenti insegnamenti del Magistero e metteva al contempo le basi per il successivo cammino di approfondimento.

A conferma di quanto si va dicendo, riascoltiamo ciò che scriveva il servo di Dio Pio XII nella Lettera enciclica sulla Liturgia Mediator Dei, il 20 novembre 1947 : “Senza dubbio la preghiera liturgica, essendo pubblica supplica dell’inclita Sposa di Gesù Cristo, ha una dignità maggiore di quella delle preghiere private; ma questa superiorità non vuol dire che fra questi due generi di preghiera ci sia contrasto od opposizione. Tutti e due si fondano e si armonizzano perché animate da un unico spirito… e tendono allo stesso scopo” (n. 31).

A distanza di poco più di 40 anni da quell’enciclica, anche alla luce del Magistero successivo, il servo di Dio Giovanni Paolo II confermava, nella Lettera apostolica Vicesimus quintus annus: “Infine, per salvaguardare la riforma ed assicurare l’incremento della liturgia (cfr. Sacrosanctum Concilium, 1), occorre tener conto della pietà popolare cristiana e del suo rapporto con la vita liturgica (cfr. Sacrosanctum Concilium, 12-13). Questa pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori (cfr. Paolo VI Evangelii Nuntiandi, 48) e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano (cfr. Sacrosanctum Concilium, 13), quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli” (n. 18).

A partire dalla lettura di questi testi avvertiamo, nel contesto in cui ci troviamo oggi, una triplice necessità: chiarire, se pure brevemente, che cosa si intende per Liturgia; presentare l’identità della Pietà popolare; individuare alcuni orientamenti, capaci di rendere il rapporto tra Liturgia e Pietà popolare armonioso e fecondo.

 

  1. La sacra Liturgia
    Senza dubbio, al fine di chiarire che cosa si intende per Liturgia, si potrebbe e si dovrebbe dire molto. Forse, però, per noi può essere sufficiente fare riferimento a due definizioni, tra di loro complementari, che hanno la capacità di offrire un quadro piuttosto completo di ciò che è essenziale alla Liturgia della Chiesa.
    Una prima definizione è quella a tutti abbastanza nota e presente nella Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II: “… la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum concilium, 10).
    Una seconda definizione la ritroviamo nello stesso documento conciliare e riprende quasi alla lettera quanto affermato da Pio XII nella già citata Mediator Dei (cfr. n. 16): “Giustamente perciò la Liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra” (n. 7).
    A partire da queste due definizioni, proviamo a fare emergere alcuni tratti qualificanti l’essenza della Liturgia. 

    L’esercizio della funzione sacerdotale di Cristo
    La Liturgia è anzitutto l’esercizio della funzione sacerdotale di Cristo. Da questo punto di vista la Liturgia ha un grande e primo protagonista: il Signore risorto da morte, che riempie di sé e della sua opera di salvezza la Chiesa, radunata nel suo nome. Proviamo a ritornare con lo sguardo ad alcune absidi antiche, splendidamente decorate con immagini del Cristo Pantocratore o con altre immagini raffiguranti il mistero della salvezza. Lì, l’intenzione degli artisti, animati dalla fede, era chiara: rendere palpabile, anche attraverso il mezzo della rappresentazione artistica, la presenza avvolgente di Cristo nell’azione liturgica. Davvero, nella Liturgia, Gesù Cristo esercita la sua funzione sacerdotale, rinnova per noi il mistero pasquale, rende attuale l’opera della redenzione.

    C’è una parola, molto breve ma ricchissima, che si addice particolarmente alla verità della celebrazione liturgica. Se stiamo attenti, ci accorgiamo che quella parola torna sovente nel rito liturgico. La parola è “oggi”. Sì, proprio oggi Cristo è presente e vivo nella celebrazione della sua Chiesa. La sua azione che ci salva è il fondamento e il cuore di ogni  Liturgia. “Soltanto se esiste la contemporaneità di Gesu Cristo con noi, esiste una liturgia reale che non è soltanto un ricordare il mistero pasquale, bensì è la sua presenza vera. Soltanto se così è, la Liturgia è partecipazione al dialogo trinitario tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Soltanto in questo modo, la Liturgia non è il nostro fare, bensì opus Dei, l’agire di Dio su di noi e in noi” (J. Ratzinger, Cantate al Signore un canto nuovo, p. 144).

    Per questo la Liturgia è il luogo abituale e indispensabile del nostro incontro con il Signore. Lì tutto deve parlarci di Lui, tutto deve condurci a Lui, tutto deve essere via alla contemplazione, all’adorazione della Sua presenza e del Suo mistero di salvezza. La celebrazione liturgica, sempre e senza soluzione di continuità, è lo spazio privilegiato nel quale si rinnova l’offerta di Cristo al Padre per la salvezza del mondo, così che la Pasqua di Colui che è morto sulla croce per noi diventa la nostra Pasqua e la nostra vita.

    Il culto pubblico e integrale del Corpo Mistico
    La Liturgia è un atto della Chiesa. Non di un singolo o di un gruppo, ma della Chiesa nella sua integralità, che proprio nell’azione liturgica esprime se stessa ufficialmente e pubblicamente. E si esprime come un organismo vivo che abbraccia lo spazio e il tempo secondo una legge di sviluppo nella continuità, in cui non si danno rotture o rivoluzioni, ma solo riforme, attraverso le quali la Chiesa approfondisce la verità liturgica di sempre, facendola risplendere nelle diverse epoche della storia.

    Si capisce, allora, che quando parliamo della Liturgia ci riferiamo a un momento della vita della Chiesa che non è lasciato alla creatività di alcuni o alla loro emotività soggettiva, e neppure al sentimento emergente in un particolare contesto comunitario.

    La Liturgia, in questo senso, ha una sua sacralità o intangibilità che le deriva dall’essere una realtà che precede il singolo e il gruppo che vi partecipa. E’ un dono che viene offerto e dal quale lasciarsi raggiungere nella sua obiettività di grazia offerta a tutti, perché tutti vi possano partecipare. I primi artefici dell’azione liturgica non siamo noi, ma il Signore che, nella sua Chiesa e con la sua Chiesa, entra in relazione con la nostra vita per il tramite dei segni sacramentali. In tal modo il nostro essere protagonisti nella Liturgia non consiste nell’intervenire su di essa arbitrariamente al fine di modificarla, manipolarla o adeguarla al nostro gusto personale, ma nel consegnare noi stessi all’opera di Cristo così che la nostra vita ne rimanga radicalmente trasformata.

    In questo contesto si capisce meglio il motivo per cui il Santo Padre abbia di recente affermato: “In ogni forma di impegno per la Liturgia criterio determinante deve essere sempre lo sguardo verso Dio. Noi stiamo davanti a Dio – Egli ci parla e noi parliamo a Lui. Là dove, nelle riflessioni sulla Liturgia, ci si chiede soltanto come renderla attraente, interessante e bella, la partita è già persa. O essa è opus Dei con Dio come specifico soggetto o non è. In questo contesto io vi chiedo: realizzate la sacra Liturgia avendo lo sguardo a Dio nella comunione dei santi, della Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi, affinché diventi espressione della bellezza e della sublimità del Dio amico degli uomini! (Benedetto XVI, Abbazia di Heiligenkreuz, 9-IX-2007).

    Si può, allora, parlare di un duplice movimento dell’atto liturgico. Il primo che proviene dall’alto e si offre a noi per essere accolto nella sua oggettività di grazia che salva. Il secondo che interpella il nostro agire e che si esprime nell’aprirsi all’azione di Dio, al fine di rimanerne afferrati e convertiti.

    La fonte e il culmine della vita della Chiesa
    Fonte e culmine. Sono questo due parole che, dopo il Concilio Vaticano II,  hanno avuto un largo uso. E ci aiutano a ricordare le due grandi verità che ne derivano.
    Anzitutto, nella Liturgia è presente la fonte di tutta l’energia della Chiesa, ovvero la sorgente della sua santità. Nulla, nella vita della Chiesa, può essere paragonato alla Liturgia come fondamento dell’itinerario di santificazione. Liturgia e santità si richiamano reciprocamente: la Liturgia genera santità e la santità ha bisogno della Liturgia per essere avviata e alimentata.

    Davvero, di conseguenza, tutto nella Chiesa prende forma a partire dalla Liturgia. E’ nella Liturgia, infatti, che il Signore risorto da morte rinnova il mistero della salvezza perché divenga realtà attuale per la vita di tutti e di ciascuno.

    La seconda verità che ci viene ricordata dalle citate parole conciliari è che nella Liturgia è il culmine della vita della Chiesa. Alla Liturgia, di conseguenza, la Chiesa guarda come al punto di arrivo del suo cammino. Perché in essa vi è la perfetta glorificazione di Dio per Cristo e nello Spirito che lascia intravedere nel tempo ciò che sarà nell’eternità. In questo senso celebrare la Liturgia per la Chiesa significa già partecipare in qualche modo della Liturgia celeste e lasciarsi afferrare dal fascino per ciò che la attende al di là del tempo. Non per nulla, in diverse occasioni, il Santo Padre Benedetto XVI ha parlato della Liturgia come di un affacciarsi del cielo sulla terra, intendendo così affermare che la celebrazione liturgica costituisce il culmine della vita della Chiesa. Quel culmine a cui tende con tutte le sue forze e nel quale, allo stesso tempo, ritrova la speranza per il cammino della vita presente.

    Se osserviamo con attenzione, ci accorgiamo che questa dimensione escatologica della liturgia viene plasmata perfettamente anche “nella conformazione degli edifici sacri cristiani, che volevano rendere visibile la vastità storica e cosmica della fede in Cristo: diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che ritorna come re -l’immagine della speranza-, sul lato occidentale, invece, il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita, una raffigurazione che guardava ed accompagnava i fedeli proprio nel loro cammino verso la quotidianità” (Benedetto XVI, Spe salvi, n. 41).

 

  1. La Pietà popolare
    Al fine di fare chiarezza su che cosa si intenda per Pietà popolare è forse utile richiamare una sintetica e felice descrizione fatta al riguardo dal Direttorio su Pietà popolare e Liturgia: “Nel corso dei secoli le Chiese d’Occidente sono state variamente segnate dal fiorire e dal radicarsi nel popolo cristiano, insieme e accanto alle celebrazioni liturgiche, di molteplici e variate modalità di esprimere, con semplicità e trasporto, la fede in Dio, l’amore per Cristo Redentore, l’invocazione dello Spirito Santo, la devozione per la Vergine Maria, la venerazione dei Santi, l’impegno di conversione e la carità fraterna” (n. 6). 


    Una precisazione terminologica
    A questo punto, considerando l’ampiezza della descrizione, può risultare opportuno entrare nel dettaglio di alcune espressioni comunemente usate e che, tutte insieme, ci aiutano ad avvicinare il variegato fenomeno della Pietà popolare.

    Pio esercizio
    Con questo termine si designano generalmente alcune manifestazioni pubbliche o private della pietà cristiana che non fanno parte della Liturgia ma che sono con essa in armonia. Infatti ne rispettano lo spirito, le norme, i ritmi e dalla Liturgia traggono ispirazione conducendovi coloro che vi partecipano. I pii esercizi hanno sempre un riferimento alla rivelazione cristiana e alla vita della Chiesa.

    Si pensi, ad esempio, al pio esercizio della “Via Crucis”.

    Devozioni
    Questa parola viene comunemente usata per indicare alcune pratiche esteriori che manifestano, con accento particolare, la relazione dei fedeli con le Divine Persone, o con la SS. Vergine, o con i Santi. Per pratiche esteriori si intendono: testi di preghiera, canti, osservanza di tempi particolari, visita a luoghi di pellegrinaggio, uso di insegne…

    Si pensi, ad esempio, alle diverse e molteplici manifestazioni della devozione mariana, quali il Rosario, i pellegrinaggi ai santuari a dedicati alla Madonna…

    Pietà popolare
    Mentre questo termine può essere usato per fare sintesi delle diverse espressioni della fede popolare, è possibile anche adottarlo per indicare alcune manifestazioni di culto, la cui forma non è quella della sacra Liturgia ma quella derivante dal genio di una popolazione o di una cultura.

    Si pensi, ad esempio, alle processioni e alla loro grande varietà di forme che assumono a seconda della diversità di tempo e di luogo.

    Religiosità popolare
    Quando si usa questa espressione si intende, in genere, fare riferimento a un’esperienza che non è di per sé legata alla fede cristiana, ma che rimanda alla dimensione religiosa, naturalmente presente nel cuore di ogni uomo e di ogni popolo. D’altra parte è pur vero che in molti luoghi e in molte culture tale dimensione religiosa, impregnata di elementi cristiani, è diventata espressiva della fede del popolo cristiano.

    Si pensi, per esempio, al grande continente africano, dove il movimento del corpo, naturalmente avvertito come modalità concreta per esprimere la propria religiosità, è entrato a fra parte dell’espressione gioiosa e sacra della fede cristiana.

    Due grandi valori della Pietà popolare
    Il Magistero non ha mancato, nel corso della storia anche recente, di sottolineare i valori presenti nelle diverse manifestazioni della Pietà popolare. La Chiesa, infatti, la riconosce come una realtà viva, che le appartiene e la cui fonte è l’azione sempre feconda dello Spirito. Vale la pena, a questo punto, richiamare alcuni di questi importanti valori.

    La dimensione popolare della fede
    La Pietà popolare, come attesta la stessa terminologia, ha la caratteristica di dare voce a quella dimensione religiosa nella quale con più immediatezza si esprime il sentimento dei singoli e di un popolo. Non si vuole dire con questo che la Liturgia non sia popolare, tutt’altro. Si vuole semplicemente sottolineare che la forma religiosa della Pietà popolare è più direttamente in relazione con il sentire semplice, immediato e tipico dei singoli e dei popoli.

    E in questo consiste anche la grande differenza tra la Pietà popolare e la Liturgia. Perché, se la Liturgia ha la caratteristica preminente della oggettività di un dono che è da accogliere, la Pietà popolare ha la caratteristica prevalente di lasciare più libera espressione ai sentimenti, all’emotività e alla soggettività del cuore umano. Come è bella e come è necessaria la sobria compostezza della Liturgia della Chiesa, mediante la quale mi si offre la grazia della salvezza! Ma come è anche importante l’espressività emotiva della Pietà popolare nella quale i sentimenti del cuore umano possono trovare più libero sfogo!

    L’incontro fecondo tra l’evangelizzazione e la cultura
    Il fatto che l’annuncio del Vangelo sia per il mondo intero e che, di conseguenza, progressivamente debba entrare in relazione con popoli e culture diverse, pone in ogni tempo della storia della Chiesa la grande questione dell’evangelizzazione delle culture. Senza entrare direttamente nel merito di un tema che è molto ampio e articolato, si può però senza dubbio affermare che, quello della Pietà popolare è un ambito privilegiato per l’incontro della fede con le diverse culture. Se, infatti, nella Liturgia tale incontro già avviene, tuttavia in tale contesto è sempre necessario custodire e salvaguardare l’unità del Rito e la cattolicità della forma. Nella Pietà popolare, invece, è possibile dare più ampio spazio alle manifestazioni religiose tipiche di un gruppo, di una cultura, di un popolo.

    E così è stato nel corso della storia. In tal modo le popolazioni raggiunte dalla predicazione del Vangelo si sono ritrovate nell’unità cattolica della Liturgia, potendo esprimere in modo più articolato la propria peculiare religiosità nelle diverse forme della Pietà popolare. In effetti, nelle manifestazioni più autentiche di tale Pietà il messaggio cristiano, da una parte assimila i moduli espressivi della cultura di un popolo e dall’altra permea di contenuti evangelici la sua concezione della vita e della morte, della libertà, della missione, del destino dell’uomo.

    Così, nella Pietà popolare, quando essa è genuina, si ritrova la straordinaria capacità di inculturare la fede e, nello stesso tempo, di evangelizzare le culture. Questo è un suo grande valore ed è anche per questo che la Chiesa non può che valorizzarla per incrementare la vita spirituale del suo popolo.

 

  1. Un rapporto armonico e fecondo tra Liturgia e Pietà popolare
    Da quanto fin qui è stato detto, non è difficile ricavare l’orientamento di fondo che caratterizza la vita della Chiesa in merito al rapporto tra Liturgia e Pietà popolare. Come sempre, anche in questo ambito, la Chiesa non procede per la via di un “aut, aut”, ma per la via tipicamente cattolica e saggia del “et, et”, rispondendo alla straordinaria complessità dell’animo umano. Non si tratta, dunque, di generare contrapposizioni, esclusioni, o emarginazioni, ma di individuare i criteri in virtù dei quali la Liturgia insieme con la Pietà popolare possano alimentare nel modo migliore la fede del popolo di Dio. 

    Al riguardo il Direttorio più volte citato afferma: “… la via per risolvere motivi di squilibrio o di tensione tra Liturgia e pietà popolare è quella della formazione, sia del clero che dei laici. Insieme alla necessaria formazione liturgica, opera di lungo respiro, sempre da riscoprire e approfondire, a complemento di essa e  in vista di una spiritualità armonica e ricca, si impone anche la formazione alla pietà popolare. Infatti, poiché «la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia», il limitarsi esclusivamente all’educazione liturgica non soddisfa ogni ambito di accompagnamento e di crescita spirituale. Del resto, l’azione liturgica, specie la partecipazione all’Eucaristia, non può permeare un vissuto dal quale è assente la preghiera individuale e sono carenti i valori veicolati dalle tradizionali forme di devozione del popolo cristiano. Il rivolgersi odierno a pratiche “religiose” di provenienza orientale, variamente rielaborate, è indice di una ricerca di spiritualità dell’esistere, del soffrire, del condividere. Le generazioni post-conciliari – a seconda dei paesi – non hanno l’esperienza delle forme di devozione che avevano le generazioni precedenti: ecco perché la catechesi e l’azione educativa non possono trascurare, nella proposta di una spiritualità vissuta, il riferimento al patrimonio rappresentato dalla pietà popolare, in modo speciale dai pii esercizi raccomandati dal Magistero” (n. 59).

    Alla luce di queste autorevoli indicazioni proviamo a individuare almeno tre ambiti per i quali si rende necessaria una formazione sempre più approfondita, in vista del consolidarsi di quel rapporto di alleanza tra Liturgia e Pietà popolare, che è per il bene più grande della vita cristiana.

    La superiorità delle Liturgia sulle altre espressioni cultuali
    “Ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (Sacrosanctum Concilium, 7). Non è possibile prescindere da questa indicazione, se davvero si vuole realizzare un rapporto armonico e fecondo tra Liturgia e Pietà popolare. Nel momento in cui si afferma la legittimità e la ricchezza delle forme popolari in cui si manifesta la fede di singoli e di popoli, non si può fare a meno di ricordare che la Liturgia costituisce il momento più alto e inarrivabile della vita orante della Chiesa.

    Quanto già è stato detto sull’identità della Liturgia non dovrebbe e non deve lasciare dubbi. La Liturgia è l’esercizio del sacerdozio di Cristo, è la manifestazione del culto ufficiale della Chiesa sposa che si rivolge al Divino Sposo, è il luogo privilegiato dell’incontro del Signore con il suo popolo per il mezzo dei segni sacramentali veicolo di grazia e di salvezza, è la fonte prima della santità della Chiesa e il punto di arrivo al quale essa tende con desiderio crescente. Nulla, davvero nulla può superare la sacra Liturgia nella considerazione del popolo di Dio.

    Proprio per questo la Liturgia deve avere il primato nella vita spirituale dei singoli e dei gruppi e, a parità di condizioni, non può essere sacrificata ad altre espressioni cultuali, pur significative ma certamente inferiori al rito liturgico. Abitualmente, pertanto, la vita della Chiesa, e in essa di ciascuno di noi, deve avere un ritmo liturgico. Grazie alla Liturgia, infatti, la Chiesa rivive i misteri della vita del Signore, in essa Lo incontra presente e operante, a partire da essa cresce nell’appartenenza a Lui, a contatto con essa è chiamata a ritrovare sempre la propria identità. In altre parole: o la vita cristiana è vita liturgica oppure non è autenticamente vita cristiana. E mentre le azioni sacramentali sono necessarie per vivere in Cristo e di Cristo, le forme della Pietà popolare appartengono a ciò che è facoltativo.

    E’ per questo motivo che la Liturgia deve rimanere sempre punto di riferimento sicuro della Pietà popolare, nel senso che dalla Liturgia essa è chiamata a trarre in qualche modo ispirazione e alla Liturgia essa deve sempre condurre. Così non sarebbe genuina espressione di Pietà popolare quella che non traesse una qualche ispirazione dal rito liturgico e, allo stesso modo, quella che non orientasse i fedeli a vivere con maggiore intensità e consapevolezza il rito liturgico.

    Proviamo a fare un esempio, che si addice in modo particolare al tempo liturgico che stiamo vivendo, la Quaresima. La “Via Crucis” è un pio esercizio radicato nella Pietà popolare dei fedeli, della quale è certamente espressione genuina. Infatti, non è difficile ritrovare nella “Via Crucis” un’ispirazione liturgica, nel senso che uno dei suoi elementi costitutivi, quello della Passione del Signore, è fatto oggetto di particolare devozione. Allo stesso modo, la “Via Crucis” ha in sé la capacità di aiutare chi vi partecipa a entrare nella celebrazione liturgica con una consapevolezza soggettiva nuova e, dunque, con una possibilità di esperienza liturgica certamente più viva.

    La dignità e la legittimità della Pietà popolare
    “La vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia” (Sacrosanctum Concilium, 12). Non è possibile neppure prescindere da questa indicazione se davvero si vuole realizzare un rapporto armonico e fecondo tra Liturgia e Pietà popolare. Nel momento in cui si afferma che la Liturgia costituisce il momento più alto e inarrivabile della vita orante della Chiesa, non si può fare a meno però di ricordare anche la legittimità e la ricchezza delle forme popolari, in cui si manifesta la fede di singoli e di popoli.

    Come è già stato detto, queste forme sono di grande aiuto per lo sviluppo della vita cristiana. Pensiamo a come sarebbe impoverita la fede delle nostre popolazioni se non vi fosse la pratica del Santo Rosario, o la devozione al Sacro Cuore di Gesù, o la consuetudine delle processioni, o le diverse forme di esercizio della carità che scaturiscono dall’appartenenza alle confraternite.

    Vengo da una Diocesi, quella di Genova, e da una terra, quella ligure, che hanno in sé molto radicate alcune espressioni della Pietà popolare. Mi riferisco anche all’incidenza che ha sui fedeli la presenza delle confraternite, molte e vivaci, che conservano la tradizione della processione con i grandi crocifissi. Giustamente e a più riprese i Pastori insistono nel richiamare queste realtà associative alla genuinità della loro appartenenza ecclesiale e al rigore della loro manifestazione religiosa. Ma, nel momento in cui si rinnovano questi richiami, si è anche consapevoli di quanto bene venga alle popolazioni di quelle terre dalla vita delle confraternite. Spesso, con loro e grazie a loro, si mantiene viva la fede secondo quella dimensione popolare che è tipica della fede cattolica e che a tutti ricorda come la vita cristiana non sia e non debba essere mai un fatto di élite.

    D’altra parte è anche esperienza comune a tutti noi che il momento della preghiera personale si nutre quotidianamente, oltre che di Liturgia, anche di pratiche religiose e devozionali che ci sono state consegnate dalla Tradizione della Chiesa, dall’esperienza dei Santi che ci hanno preceduto nel cammino della fede, dalle consuetudini familiari che sono diventate parte di noi, dall’esperienza religiosa radicata nella storia della nostra terra e della nostra cultura. Che cosa sarebbe la nostra preghiera senza questo bagaglio spirituale prezioso che ciascuno porta con sé? Penso, tra l’altro, alla pratica della meditazione, della “lectio divina”, della visita al SS. Sacramento, all’adorazione eucaristica… Che cosa sarebbe la Liturgia senza l’apporto di questo prezioso bagaglio spirituale che alimenta la devozione? Non è, forse, proprio questa devozione che deve interiormente animare il rito liturgico? Ciò però a cui dobbiamo prestare attenzione, lo ripetiamo ancora una volta, è che tutto questo non ci distolga dalla Liturgia ma che dalla Liturgia in qualche modo scaturisca, con la Liturgia si accompagni, alla Liturgia conduca.


    Evitare ogni forma di contrapposizione tra Liturgia e Pietà popolare
    Una tale contrapposizione è da evitare anzitutto nella nostra vita personale. Allo stesso modo è necessario evitarla nella vita delle nostre comunità e dei nostri gruppi. Se è nella natura della fede cristiana l’armonico relazionarsi di Liturgia e Pietà popolare, davvero non è in sintonia con la sua natura una loro sterile contrapposizione e incomprensione. Anche per questo si è parlato della necessità della formazione: e alla Liturgia e alla Pietà popolare. Là dove vi sia una formazione adeguata fenomeni di contrapposizione e incomprensione non avrebbero motivo d’essere. E d’altra parte, forse già il solo buon senso della fede semplice e vera è capace di evitare tale contrapposizione e di ritrovare con naturalezza la complementarietà  necessaria.

    Affermava già Pio XII nella già citata Mediator Dei, anticipando altri e successivi pronunciamenti del Magistero: “Se la pietà privata e interna dei singoli trascurasse l’augusto Sacrificio dell’altare e i Sacramenti e si sottraesse all’influsso salvifico che emana dal Capo nelle membra, sarebbe senza dubbio riprovevole e sterile; ma quando tutte le previdenze e gli esercizi di pietà non strettamente liturgici fissano lo sguardo dell’animo sugli atti umani unicamente per indirizzarli al Padre che è nei cieli, per stimolare salutarmente gli uomini alla penitenza e al timor di Dio e, strappatili all’attrattiva del mondo e dei vizi, per condurli felicemente per arduo cammino al vertice della santità, allora sono non soltanto sommamente lodevoli, ma necessari… (n. 26).

    La tradizione spirituale della Chiesa e l’esperienza dei santi ci insegnano che la fede autentica trae alimento fondamentale dalla vita liturgica, trovando prezioso complemento nella devozione popolare. Non si dà un’élite di iniziati, che fa esperienza del solo culto liturgico, a fronte di una massa che si esprime nelle forme popolari della religiosità. Si dà, invece, un unico grande popolo che dalla Liturgia e dalla Pietà popolare trae armonicamente la linfa spirituale per camminare, nella fedeltà al suo Signore, dentro la storia.

    Non si può di certo affermare che, oggi come ieri, non vi siano a disposizione di tutti orientamenti chiari precisi a opera del Magistero per realizzare un tale rapporto armonico e fecondo tra Liturgia e Pietà popolare. Si tratta di accogliere con umiltà e senso di fede tali orientamenti, impegnandosi a fare in modo che entrino a fare parte sempre più delle nostre personali abitudini, delle abitudini delle nostre popolazioni.

    Quanto la Chiesa ci dona è un tesoro spirituale prezioso, nel quale ritroviamo la sacra Liturgia e la Pietà popolare. Con autentico sentire ecclesiale accogliamo questo tesoro, serviamoci con autenticità di questo tesoro. Davvero, allora, la nostra vita cristiana non potrà che incamminarsi verso quella “misura alta” che le è propria e di cui il mondo ha tanto bisogno.