Seminario – XV Capitolo generale Orionini

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Seminario – XV Capitolo generale Orionini

Seminario – XV Capitolo generale Orionini

“Vivere Cristo” una vita di fede, speranza e carità
XV Capitolo generale Orionini

“Vivere Cristo”

“Miei figli, viviamo in Gesù, perduti nel suo Cuore, affocati d’amore, piccoli, piccoli, piccoli: semplici, umili, dolci. Viviamo di Gesù come bambini tra le sue braccia e sul suo Cuore, santi e irreprensibili sotto il suo sguardo; inabissati nell’amore di Gesù e delle anime, in fedeltà e obbedienza senza limiti a Lui e alla sua Chiesa! Viviamo per Gesù! Tutti e tutto per Gesù; niente fuori di Gesù, niente che non sia Gesù, che non porti a Gesù, che non respiri Gesù! In modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta, modellati alla sua croce, al suo sacrificio, sulla sua obbedienza ‘usque ad mortem’, in oblazione e totale olocausto di noi stessi, qual profumo d’odore soave. O Gesù, aprici il tuo Cuore: lasciaci entrare, o Gesù perché solo sul tuo Cuore potremo comprendere qualcosa di quello che Tu sei, potremo sentire la tua carità e misericordia” (Lettere, vol. II, pag. 154).

Con queste parole, nell’Epifania del 1935 da Buenos Aires, san Luigi Orione si rivolgeva ai Religiosi della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Il testo della lettera citata lo si può considerare come un piccolo manifesto dell’identità spirituale del nostro Santo. In lui e nel suo cuore c’era, anzitutto, una vera passione di amore: la passione di amore per Gesù Cristo. La sua vita è stata “vivere Cristo”, dal momento che in Cristo ha vissuto con ardore, di Cristo ha vissuto con ardore, per Cristo ha vissuto con ardore.

Non si capisce don Orione se non si tiene bene a mente che Gesù Cristo, fin dall’inizio del suo percorso di vita, ha rapito il suo cuore. A partire da questo rapimento d’amore egli, trasformato dall’Amato nell’Amato, ha visto allargarsi gli orizzonti della carità in modo unico e originale, secondo una portata universale e senza confini.

Gesù era l’aria che don Orione respirava, il pane che lo nutriva, l’acqua viva che lo dissetava, il profumo che lo inebriava, il fuoco che gli faceva ardere il cuore, la luce che illuminava ogni passo del suo cammino, la vita della sua stessa vita. A lui si addice, senza dubbio, quanto affermava secoli prima il grande vescovo di Milano, sant’Ambrogio: “Tutto abbiamo in Cristo, tutto è Cristo per noi” (De Virginitate 16, 99).

Mi sono soffermato su questo aspetto fondamentale e sorgivo dell’esperienza spirituale di don Orione, perché ritengo che oggi, nel nostro tempo, recuperare la centralità di Gesù Cristo sia decisivo. Lo sia per la nostra vita personale e lo sia anche per la nostra missione in ogni suo ambito. Chi, in effetti, se non Gesù Cristo deve essere al centro del nostro cuore? Chi, se non Gesù Cristo, siamo chiamati a testimoniare a tutti? Chi, se non Gesù Cristo, è quell’unico Salvatore del mondo che la Chiesa custodisce e annuncia nella gioia e nella speranza?

In un tempo nel quale si corre il rischio di parlare d’altro e non di Gesù o di servirsi di Gesù per parlare d’altro, è quanto mai importante che i Figli della Divina Provvidenza rimangano fedeli a questo elemento carismatico fondamentale del loro Fondatore e lo vivano sempre di più: Gesù Cristo al centro di tutto! Siate in Gesù, di Gesù e per Gesù! Siatelo a tal punto che lo si possa contemplare nei vostri occhi, vedere sul vostro volto, ascoltare nelle vostre parole, toccarlo nella vostra vita! Sempre, in ogni dove, con tutti!

 

Una vita di fede

Con al centro Gesù, quella di don Orione è stata una vita teologale davvero cristallina e dalla misura altissima. Ed è proprio la vita teologale, donata a noi dallo Spirito Santo, che desidero proporre come cuore pulsante del vostro cammino.

Iniziamo a considerarne la fede, ascoltando che cosa egli scriveva al giovane Paolo Marengo, nella lettera del 30 novembre del 1929: “Ma devo finire perché viene l’ora della predica, e torno alla Fede. ‘Iustus ex fide vivit’. È Paolo che scrisse così, il tuo santo. Sforzati, figlio mio, di rendere la tua fede così pratica che esse influisca su ogni tuo pensiero, su ogni tua parola, su ogni tua azione, sicché si possa dire di te ciò che san Paolo ha detto dell’uomo giusto: ‘Iustus ex fide vivit”. Vivi di fede! Di fede piena, di fede perfetta, di fede grande! Di quella fede che trasporta le montagne, che sta forte, che è forte della forza stessa di Dio… Coraggio, figlio mio, ravviviamo in noi la fede! E non finiamo di chiedere al Signore che l’accresca in noi…” (Scritti 31, 215 ss.).

Mi pare che la vita di fede, in don Orione, la si possa declinare tenendo presenti almeno tre accenti peculiari.

La fede “pratica”

È il nostro stesso santo che usa l’espressione: “la fede pratica”. Leggendo con attenzione quanto egli scriveva al riguardo, si intende bene quale significato venga ad assumere questa espressione.

La fede è viva nella misura in cui incontra e trasforma la realtà della vita in ogni suo aspetto: il pensiero, la parola, i sentimenti, la volontà, l’azione. Non si dà, in don Orione, una fede autentica che rimanga estranea alla concretezza della quotidianità. La fede illumina ogni dimensione dell’esistenza, sia essa personale o sociale. La fede, infatti, è uno sguardo nuovo, donato a noi dal Signore e dal suo mistero di salvezza, che riguarda tutto, proprio tutto. In questo senso si può dire che in don Orione la fede è radice di una nuova cultura, se per cultura si intende un modo nuovo e originale di pensare, giudicare, progettare, amare; un nuovo modo di esistere dentro la storia a motivo di Cristo. Perché dalla fede sgorga la possibilità di una vita realmente nuova.

“Che cosa manca un po’ a tutti, – scriveva don Orione – a noi tutti, oggi, per adoprarci, nel nome di Dio e in unione con Cristo, a salvare il mondo e a impedire che il popolo si allontani dalla Chiesa?… Ci manca la fede!… Più fede, fratelli, ci vuole più fede! Siamo sinceri. Perché non sempre rinnoviamo la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Ci manca la fede, la fede calda! Viviamo poco di Dio, e molto del mondo… Se vogliamo oggi lavorare utilmente al ritorno del secolo verso la luce e la civiltà, al rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci risvegli da questo sonno ‘che poco è più che morte’; è necessaria una grande rinascenza di fede, e che escano dal cuore della Chiesa nuovi e umili discepoli di Cristo, anime vibranti di fede, i facchini di Dio, i seminatori della fede. E deve essere una fede applicata alla vita” (Bollettino Madonna della Guardia, febbraio 1919).

In un tempo nel quale la fede sembra spesso risolversi nel privato e dentro una sfera per lo più fatta di emozioni e sentimenti, tanto passeggeri quanto poco maturi, in un tempo nel quale la fede è spesso “messa all’angolo” della vita, risulta di grande attualità l’insegnamento del nostro Fondatore. Nel nostro cuore risuoni, pertanto, e sia invito subito accolto, il grido di don Orione: “Fede! Fede! Fede!”.

Nella preghiera il segreto della fede

Per san Luigi Orione la preghiera era il “segreto di tutto”. In questo tutto, certamente, vi è anche la fede. Ed è per questo che il nostro Santo mette in guardia da una vita di preghiera asfittica, superficiale e distratta: “Dobbiamo pregare di più… – egli scrive in una lettera del 1923 -. Guai a noi, noi perduti, se la sorgente della pietà e dell’umiltà si sarà inaridita in noi, o andrà inaridendosi!” (Lettere, I, 464 ss.).

Se la preghiera fedele e fervorosa è il segno più eloquente di una fede viva, è pur vero che la fede è custodita e alimentata dall’intensità della preghiera. Vi è, dunque, un circolo virtuoso tra la preghiera e la fede. L’una con l’altra si sostengono e si arricchiscono a vicenda. E il raffreddarsi dell’una significa anche il raffreddarsi dell’altra. Se si prega poco ciò accade perché la fede langue. A tanta fede non può che corrispondere tanta preghiera.

Viviamo un tempo nel quale tutto o molto sembra contribuire a distoglierci dalla preghiera. Rischiamo anche noi di arrivare a pensare che il tempo dato a Dio sia tempo perso, sottratto a ciò che davvero conta: l’azione, il compimento delle opere, il servizio a favore degli altri. E così facendo, non solo viene meno nella nostra quotidianità lo spazio della preghiera, ma si indebolisce anche l’esperienza della fede.

In realtà, custodire il primato della preghiera significa custodire il primato di Dio e il primato della fede; e, di conseguenza, custodire anche la vera sorgente di ogni autentica fecondità apostolica. Non può forse essere che la sterilità del nostro impegno, anche tanto generoso, l’infecondità di tanto nostro progettare e operare sia legato alla povertà della nostra preghiera e della nostra fede?

Togliere spazio a Dio per affidarsi di più alle proprie forze, talenti e capacità significa privarsi della grazia della potenza del Signore, che opera nella nostra vita nella misura in cui abbiamo fede in Lui e riconosciamo che Lui è il vero protagonista di tutto. Forse, l’impatto doloroso con i nostri insuccessi pastorali, il nostro divenire sempre più piccoli e anche insignificanti nel mondo di oggi è il tramite di una parola forte e chiara che il Signore rivolge a tutti noi: Abbi più fede in me. Affida a me la tua opera. Cerca me e tutto il resto ti sarà donato. Perché “Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudori: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno” (Salmo 126). Senza dimenticare, infine, la parola di Gesù: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 1, 5).

La fede nella Provvidenza

Della Provvidenza di Dio don Orione è stato cantore e poeta ispirato. Della Provvidenza di Dio don Orione ha fatto quotidiana esperienza lungo tutto l’arco della sua vita. Ecco ciò che scriveva agli amici e ai benefattori, in una lettera del 20 giugno 1927: “O Divina Provvidenza, o Divina Provvidenza! Nulla è più amabile e adorabile di Te, che maternamente alimenti l’uccello dell’aria e il fiore del campo: i ricchi e i poverelli! Tu apri le vie di Dio e compi i grandi disegni di Dio nel mondo! In Te ogni nostra fiducia, o Santa Provvidenza del Signore, perché Tu ci ami assai più che noi amiamo noi stessi! No, che col divino aiuto non Ti voglio più indagare: no, che non Ti voglio più storpiare; ma solo voglio interamente abbandonarmi nelle tue braccia, sereno e tranquillo. Fa’ che Ti prenda come sei, con la semplicità del bambino, con quella fede larga che non vede confini! ‘Fede, Fede, ma di quella…’, di quella del Beato Cottolengo, il quale trovava luce dappertutto, e vedeva Dio in tutto e per tutto! Divina Provvidenza! Divina Provvidenza!”.

San Luigi Orione, con la sua fede inattaccabile nella Divina Provvidenza, ha fatto esperienza della bontà di Dio, di ogni Sua premura per colui che gli si affida in piena fiducia. E così ha potuto annunciare, con le parole e con la vita, la bellezza di Dio alleato dell’uomo, vero amico del suo pellegrinaggio terreno, Amore senza fine che custodisce la vita di noi tutti. In un tempo nel quale Dio è spesso visto come antagonista del bene e concorrente della vera gioia, è quanto mai attuale la parola di don Orione, corredata dalla sua splendida testimonianza. In noi, pertanto, possa risuonare l’annuncio di salvezza, per il quale Dio si rende presente e operante nella vita di tutti come Provvidenza d’amore, compimento sovrabbondante dell’attesa e della ricerca di ogni cuore umano, unica vera gioia del mondo.

 

Una vita di speranza

La tensione al regno di Dio, in don Orione, era ordinaria. In lui la speranza era soprattutto speranza di eternità. Un testimone, il dott. Riccardo Moretti, formulò la seguente osservazione nel corso della causa di beatificazione: “Stava con i piedi sulla terra, ma la sua conversazione era continuamente in cielo” (Informatio, pag. 304).

Il nostro Santo parlava spesso del Paradiso, con una familiarità che tradiva, in certo senso, esperienza diretta. Suor Stanislaa Bertolotti ricorda nella sua testimonianza: «Ci parlava e ci faceva confidare nella misericordia del Signore che ci avrebbe dato il suo Paradiso e, se anche talora ci incuteva un poco di timore, ci lasciava poi sempre con la speranza del Paradiso e ci ripeteva la frase di san Filippo: “Un’ora di Paradiso ci ripaga di tutto”» (Informatio, pag. 267).

Mi pare che la vita di speranza, in don Orione, la si possa declinare tenendo presenti almeno tre accenti peculiari.

“Il Paradiso pagherà tutto”

Non si può pensare a don Orione senza ricordare che con la mente e con il cuore egli era sempre rivolto al Paradiso. Nei suoi scritti il nostro Santo parla di speranza, insegna la speranza, esorta alla speranza. Soprattutto, però, la speranza egli l’ha vissuta con l’ardore che gli era abituale.

Scriveva in una lettera dell’8 dicembre 1922: “Il Paradiso pagherà tutto e nella felicità del Paradiso si dileguerà ogni nube, cesserà ogni dolore. Qui possediamo qualche bene, ma quanti beni mancano! In Paradiso, invece, insieme con Dio li possederemo tutti. Qui la gioia è sempre mescolata al dolore, non v’ha rosa senza spine. Il corpo ora è tormentato da infermità, ora è affranto da stenti, ora abbattuto da vecchiaia. In Paradiso, invece, non potrà più soffrire. Sarà bellissimo, agile, volerà da luogo a luogo con la velocità del pensiero e sarà sempre inondato dallo splendore della gloria. L’anima qui soffre tentazioni, inquietudini, dolori morali talora profondissimi, ma in Paradiso godrà tranquillità sicura… E in Dio gioirà il nostro cuore e nessuno potrà rapire il nostro gaudio!” (Lettere, I, 454).

Non è, forse, di grande attualità il richiamo al Paradiso, quale contenuto primo della speranza cristiana? Anche da questo punto di vista don Orione ha da insegnarci molto, a noi che, figli del nostro tempo, siamo tentati di relegare nel ripostiglio delle cose dimenticate ciò che, invece, costituisce il motivo vero di ogni nostra speranza: l’eternità felice in Dio.

Purtroppo, a differenza di don Orione, viviamo senza parlare di Paradiso, viviamo senza insegnare l’esistenza del Paradiso, esortiamo tanto ma non al Paradiso. E, così facendo, non riusciamo a essere annunciatori di speranza vera, ma solo araldi di piccole e grandi illusioni, destinate a divenire inevitabilmente grandi delusioni.

“L’avvenire è di Cristo”

In virtù della speranza, don Orione osservava il suo tempo vedendovi in tutto l’azione di Cristo risorto. L’opera della salvezza è in atto e nulla può fermarla. Lo sguardo credente sa vedere la presenza del Signore, che è già vittorioso sul male, sul peccato, sulla morte.

“Leviamo lo sguardo della fede, o fratelli – scriveva il nostro Santo nella Lettera circolare dell’aprile del 1936 -: ecco Cristo che viene, vivo coi vivi, a darci vita la sua vita, nell’effusione copiosa della redenzione. Egli procede raggiante, avvolto nel gran manto della misericordia, e avanza amabile e possente, ‘con segno di vittoria incoronato’ […] E dietro a Cristo si aprono nuovi cieli: è come l’aurora del trionfo di Dio! […] L’avvenire appartiene a Lui, a Cristo, Re invincibile; Verbo divino che rigenera; Via di ogni grandezza morale; Vita e sorgente viva di amore, di progresso, di libertà e di pace” (Lettere II, 337-338).

In tal modo l’esperienza dell’eternità è già pregustata nel tempo del pellegrinaggio terreno. La vita di grazia è anticipazione della gloria futura, la vita in Cristo è fin da adesso preludio dell’aurora senza tramonto nel Regno dei Cieli.

Proprio per questo il vocabolario di san Luigi Orione conosce il ripetersi frequentissimo dell’invito alla gioia. Se Cristo è risorto e vivo non possiamo non essere nella gioia. Se Cristo è il Vittorioso sul peccato e sulla morte non possiamo non essere nella gioia. Se l’avvenire è di Cristo non possiamo non essere nella gioia. Se a noi sono aperte le porte del Paradiso non possiamo non essere nella gioia.

“E come si potrebbe non essere pieni di santa letizia se il Signore è vicino a noi e in noi!”, scriveva alla contessa Ida Gallarati, il 12 marzo del 1940, a poche ore dalla sua morte a Sanremo. E così continuava: “Via, dunque, ogni tristezza… via ogni nube, ogni fantasia, ogni pensiero che non porta pace allo spirito, ma inquietudine e turbamento… Stiamo tranquilli, sereni e riposiamo dunque fidenti nella mano del Signore” (Scritti 44, 145-146).

Con Maria, mano nella mano

La devozione alla Santa Madonna distinse don Orione. In lui tale devozione fu viva, traboccante di affetto. E questo ne fu il tratto distintivo. In effetti il nostro Santo non poteva parlare di Maria senza che la sua parola diventasse un cantico appassionato di amore. In Maria egli trovava anche un motivo in più per coltivare la speranza certa in ogni situazione della vita.

“Chi ci condurrà sani e salvi al monte del Signore? Chi ci condurrà attraverso la burrasca di umane passioni, attraverso i tanti pericoli che ci circondano, chi ci condurrà al lido sospirato?… Maria è la nostra difesa, perché Ella ci è Madre dolcissima, è la nostra avvocata, la speranza nostra, Maria è colei in cui dobbiamo riporre ogni nostra fiducia” (Scritti 71, 193).

Sembra proprio di sentirlo, il nostro Santo, mente ripete con entusiasmo: “Ave Maria e avanti!”.

 

Una vita di carità

Don Orione, “il santo della carità”: è forse la definizione più immediata e popolare da subito attribuita al nostro Santo. In proposito, san Giovanni Paolo II, nell’omelia della Messa di canonizzazione, ha detto di lui: «Il cuore di questo stratega della carità fu “senza confini perché dilatato dalla carità di Cristo”. La passione per Cristo fu l’anima della sua vita ardimentosa, la spinta interiore di un altruismo senza riserve, la sorgente sempre fresca di un’indistruttibile speranza. Quest’umile figlio di un selciatore proclama che “solo la carità salverà il mondo” e a tutti ripete che “la perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini”» (16 maggio 2004).

Dal Cardinale Giovanni Canestri, mio amato Arcivescovo a Genova è già Vescovo di Tortona dal 1971 al 1975, molte volte e con emozione, ho sentito ripetere quanto don Orione scrisse a proposito di sé in ordine alla carità: “Vorrei essere un poeta e un santo per poter cantare il più bell’inno che possa essere cantato sulla terra, l’inno alla carità”. E noi lo sappiamo bene: quell’inno egli lo ha cantato, perché la sua vita è stata tutta un inno alla carità, perché il suo cuore non ha conosciuto confini nell’amore.

Mi pare che la vita di carità, in don Orione, la si possa declinare tenendo presenti almeno tre accenti peculiari.

“Carità! Carità! Carità!”

In don Orione la carità è stata la partecipazione viva e appassionata al palpito del Cuore di Cristo. Ed è anche per questo, soprattutto per questo, che la sua carità non ha conosciuto confini.

Riascoltiamo una sua splendida preghiera: “Da’ a noi, Signore, quella carità dolce e soave, che è forza e modello di tutte le virtù, quella carità che ristora gli stanchi, rinforza i deboli e rende soave il giogo della verità. Fa’ che la Piccola Opera della Divina Provvidenza sia come un altare, su cui arda, quasi incendio, il fuoco inestinguibile della carità, e la fiamma si innalzi fino a Te, o Signore, e illumini e riscaldi tutti noi: tolga da noi ogni tiepidezza, ogni freddezza, accresca in noi la divina forza della grazia, rinvigorisca lo spirito. Faccia di noi tutti un cuor solo e un’anima sola, sì che tutta la Piccola Opera sia pervasa da grande soavità e goda di una concordia e pace sempre più grande. Omnia in charitate fiant! Carità! Carità! Carità!” (Strenna natalizia del 1934; Lettere II, 139-149).

Don Orione, ancora oggi, viene a ricordarci che mai la carità può assumere le vesti ideologiche di una scelta escludente, di una visione semplicemente sociologica della realtà, di un adattamento supino al pensiero dominante. No, la carità è come un fiume di montagna che ha in alto la propria sorgente; e in noi è la partecipazione alla stessa carità di Cristo: che è diffusiva e tutto raggiunge, si fa tutta a tutti, si china su ogni dolore e ogni povertà, scopre vie sempre nuove di prossimità vera, arde di passione per la salvezza di ogni anima. Per questo è importante chiedere ogni giorno, come invitava a fare don Orione, di essere vittime beate della carità.

La carità fraterna

In un santo come don Orione, il cui cuore è rimasto sempre aperto sulle necessità del mondo intero, si potrebbe pensare a una minore attenzione al dettaglio della carità. In realtà, un cuore davvero radicato nell’amore del Signore è anche un cuore capace di palpitare per le minuzie della vita quotidiana. Così è stato per il nostro Santo.

Nella carità fraterna, vissuta nella concretezza delle relazioni, egli vedeva in un certo modo la verifica dell’autenticità della carità a più ampio raggio. E in quella carità spicciola scopriva la bellezza di un’anima davvero unita al Signore e capace di divenire un annuncio efficace e affascinante del Vangelo.

Si può forse rimanere sorpresi di leggere esortazioni nelle quali don Orione entra con precisione nel particolare della vita comunitaria. Ma di questo sono capaci i santi, a motivo della loro visione integrale della fede e della vita in Cristo. Perché la vera carità è quella che si irradia a partire dai più prossimi dei prossimi. “Non aggiungete esca al fuoco – diceva in una meditazione sulla carità -; cercate sempre di spegnere. Guai a mormoratori! Dovranno rendere conto a Dio! Guai a chi semina discordie. Sentite una cosa contro una persona? Fatela morire dento di voi. […] Quando parlate, guardatevi dall’essere come le vespe che, col loro pungiglione, punzecchiano sempre. Guardatevi dalla satira, dalla parola che ferisce. Non dite: ‘L’ho detto per burla’. No, no; le burla che spiacciono, le burla che offendono la carità, lasciatele da parte” (Meditazione sulla carità, Esercizi spirituali alle suore, 11.09.1919).

Solo la carità salverà il mondo

Era un’affermazione che don Orione amava molto ripetere, nella certezza che solo nell’amore di Cristo, da noi accolto e annunciato, il mondo può essere salvato. Nelle parole del nostro Santo sembrano riecheggiare quelle del grande romanziere russo F. Dostoevsky: “La bellezza salverà il mondo”.

Vi è forse grande differenza tra carità e bellezza? In realtà no, dal momento che la vera bellezza è solo quella che prende forma nell’amore e nella carità. Dio, in Cristo, è tutto bellezza perché è tutto carità. E soltanto quella bellezza e quella carità, quella bellezza che è carità è la salvezza del mondo.

Don Orione sapeva che ciascuno di noi può cooperare all’opera della salvezza nella misura della sua partecipazione alla bellezza e alla carità del Signore. Egli, per primo, si è lasciato da Lui conquistare, così che tutta la sua vita è stata un inno alla carità e alla bellezza. E, proprio per questo, nel nostro Santo la salvezza è stata annunciata, la salvezza è stata partecipata, la salvezza ha convertito i cuori, la salvezza ha sanato ogni sorte di ferita, la salvezza ha trasformato la storia, la salvezza ha toccato i solchi aridi della terra facendovi sgorgare le acque della vera Vita.

Anche oggi, la bellezza che è carità salverà il mondo, perché Dio solo, in Cristo, ne è il Salvatore. E questa, in un modo del tutto peculiare, continua a essere la vocazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza. In questa vocazione non vi è nulla di superato, nulla di inattuale, nulla di relegato in un passato perduto, perché la carità è Gesù Cristo e, in ogni tempo, “nulla è meglio di Gesù Cristo”, Via che conduce alla piena felicità della meta, Verità che debella l’errore del peccato, Vita che distrugge il dramma della morte.

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Il titolo del vostro XV Capitolo Generale è: “Gettiamoci nel fuoco dei tempi nuovi”. Mia intenzione non è stata quella di indicarvi passi da compiere, prospettarvi soluzioni da adottare, suggerire decisioni da prendere. Tutto questo è affidato a voi e al vostro discernimento. Mia intenzione è stata quella di offrirvi, attraverso il rinnovato ascolto di san Luigi Orione, alcune coordinate spirituali e alcune priorità pastorali, alle quali è necessario rimanere saldamente ancorati: perché ancora oggi i passi non siano incerti, le soluzioni siano illuminate, le decisioni siano sapienti; perché il gettarsi nel fuoco dei tempi nuovi avvenga nel fuoco avvolgente dello Spirito Santo e in piena adesione alla volontà del Signore.

E adesso a voi tutti dico anch’io: “Ave Maria e avanti!”.