Audio dell’omelia nella festa della “Conversione di Sant’Agostino”

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Audio dell’omelia nella festa della “Conversione di Sant’Agostino”

Pavia. San Pietro in Ciel d’Oro

«È ormai tempo di svegliarvi dal sonno». È l’invito accorato che abbiamo ascoltato questa sera, attraverso l’apostolo Paolo e – lo capiamo bene – è un invito che non riguarda soltanto la comunità cristiana, cui Paolo si rivolgeva con la sua lettera. È un invito che riguarda anche tutti noi, perché siamo consapevoli sempre, e, forse, in modo particolare oggi, che facciamo memoria della Conversione di sant’Agostino, che siamo cristiani un po’ assonnati e abbiamo bisogno di svegliarci dal sonno. Ma qual è il sonno nel quale, a volte, – o forse spesso – ritroviamo la nostra fede? Qual è questo sonno? Ci aiuta ad addentrarci in questa realtà sia la parola del Signore che abbiamo ascoltato, sia l’esperienza spirituale del grande Agostino.

 

Dobbiamo riconoscere che c’è un sonno nella fede che riguarda il modo in cui noi ci rivolgiamo a Dio e viviamo la nostra relazione con lui. In che senso? Nel senso che, spesso, per noi il Signore non è davvero un Vivente. Non è colui che è risorto e presente in mezzo a noi. Non è colui col quale condividiamo la vita e, condividendo la vita, tutto: intelligenza, cuore, affetti, emozioni. Spesso, Dio rimane qualcosa di distante, forse un’idea, un’ideologia, una filosofia bella, anche un codice di comportamento, una via morale per rendere buona la vita. Questo non può essere! Perché tutto questo in parte è conseguenza, ma di qualcosa d’altro: di Colui che è vivo, di Colui che ci guarda con occhi di amore, di Colui il cui cuore batte per noi, di Colui che è tutta la nostra vita.

Ed ecco la parola di Dio che ci viene in aiuto: “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo! Rivestitevi di Gesù, fate in modo che la vostra vita sia un tutt’uno con la sua. Non si tratta qui di un’idea, non si tratta qui di una morale, non si tratta qui di una filosofia, di un sistema di pensiero, soltanto o primariamente. Si tratta di una vita che si coinvolge con la nostra: “Rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo!”.

E come l’ha espresso bene Agostino con tutta la sua vita! Basti ricordare, solo a titolo esemplificativo, quando egli si rivolge al Signore e dice: «Dio del mio cuore». C’è una passione d’amore dentro queste parole; c’è un coinvolgimento della vita dentro queste parole; c’è un entusiasmo che porta se stessi nel cuore di Dio. Ed è lo stesso Agostino che in un suo testo, rivolgendosi alla sua gente, dice: “Ricordatevi che non siamo, semplicemente, cristiani. Siamo Cristo!”. La sua vita è in noi, a motivo proprio di questa relazione personale d’amore.

Ecco il primo sonno da cui siamo chiamati a svegliarci: quello a motivo del quale non viviamo la fede come un incontro vivo, che ci coinvolge totalmente, che ci fa battere il cuore, che illumina gli occhi e che, davvero, è una storia d’amore.

 

C’è un secondo sonno. Ed è quello che avvertiamo in noi ogni qualvolta, nel nostro rivolgerci al Signore, pensiamo di rivolgerci a qualcuno che sia un concorrente della nostra gioia, della sete che tutti ci portiamo dentro, di una felicità vera e autentica. Quante volte accade così? La tentazione di considerare il Signore, la sua parola, la sua presenza nella nostra vita come concorrente di quel desiderio di felicità, di gioia, che nel nostro cuore è presente sempre e che, alla fine, è il senso di ogni vita e della nostra vita.

Il Signore,invece, è colui che desidera per noi la gioia e accogliere il Signore nella nostra vita, accoglierne la parola, seguirlo davvero, significa – per usare un termine che è biblico, della preghiera della Chiesa e dell’esperienza cristiana autentica – un “godimento” vero. Perché il Signore non toglie la gioia, desidera per noi quella vera, quella più piena, quella più autentica, quella che, davvero, corrisponde in pieno alle esigenze e alle attese del cuore. E se, qualche volta, sembra che la sua parola ci distolga da qualche godimento immediato, è soltanto perché il Signore non vuole che ci accontentiamo di poco, ma che rimaniamo all’altezza del nostro cuore, di quel godimento che il cuore cerca e che solo Lui è capace di donarci.

Abbiamo ascoltato nella parola di Dio: “i desideri della carne”. Quante volte pensiamo che privarci dei desideri della carne, cioè desideri disordinati sotto ogni punto di vista, sia qualcosa che ci priva della gioia. Non è così! Non è così! È la premessa e la condizione per un godimento autentico, quello che soltanto nel Signore possiamo sperimentare e avere.

Ed è per questo che Agostino, dice, rivolgendosi al Signore: “Dio mia dolcezza”. Dio mia dolcezza. Agostino aveva provato la dolcezza del Signore, molto più grande di qualunque altra dolcezza mondana e disordinata. Sappiamo bene quanto Agostino abbia sperimentato in profondità le dolcezze mondane, ma come poi abbia capito quanto fossero ben altra cosa le dolcezze di Dio.

 

C’è ancora un sonno che riguarda la nostra vita di fede ed è quel sonno a motivo del quale, quando ci relazioniamo col Signore, ci relazioniamo come a qualcuno che non avvertiamo buono fino in fondo. Dubitiamo che sia proprio buono. Ci domandiamo: è davvero buono il Signore? È davvero buono il Signore con me? È davvero buono il Signore quando mi fa passare per certe esperienze e per certe vie? È davvero buono il Signore? Questo dubbio ci rende sonnolenti, perché la verità è che il Signore è buono, è buono davvero.

Ce lo ha ricordato la pagina del Vangelo con la figura del padre del figliol prodigo, che da distante vede il figlio giovane che è scappato di casa, che si è ribellato alla sua paternità, che è andato altrove a sperperare tutto. Lo vede da distante perché lo attende. Da lontano lo vede, ne ha compassione, gli corre incontro, gli mette le braccia al collo e lo bacia. Questi è Dio, perché è veramente buono. Il Signore è veramente buono!

Agostino, che ha sperimentato in profondità la bontà di Dio, scrive così: “Non ho paura di morire, perché abbiamo un Signore che è buono”. In un altro suo scritto ci ha lasciato questo pensiero così bello: “Dio dà sempre forma anche a ogni nostra deformità”. Che cosa vuol dire? Che è talmente buono il Signore, che non soltanto, con la sua misericordia, avvolge la nostra vita, che non soltanto il suo cuore è sempre pronto al perdono, all’accoglienza e all’abbraccio, ma che addirittura Egli, nella sua bontà onnipotente, nel suo amore infinito, riesce sempre a volgere anche il nostro male, il nostro peccato, in un bene per noi. Non perché in sé il peccato e il male siano un bene, ma perché, nella sua onnipotenza d’amore, Dio è capace di trasformare quell’esperienza di debolezza, di caduta e di povertà in qualcosa che viene a nostro bene, nella misura in cui ci affidiamo a Lui e a Lui ritorniamo. Così Dio forma sempre la nostra vita, anche attraverso ogni nostra deformità.

 

C’è poi un altro sonno: quello a motivo del quale immaginiamo che il Signore sia distante dalla nostra esperienza quotidiana, che in realtà non abbia in mano la nostra concretezza di ogni nostro giorno: ciò che noi viviamo con le gioie e le sofferenze, ciò che noi sperimentiamo sul lavoro, in famiglia, nel percorso dell’esistenza. Non pensiamo e non crediamo che lui sia davvero provvidenza.

Abbiamo pregato così, oggi, nella preghiera della Colletta: «Dio, luce perenne e pastore eterno». Come a dire che il Signore è una luce perenne, che illumina la vita fin nel dettaglio, e che Lui è un pastore eterno, colui che pascola, senza stancarsi mai, la nostra esistenza.

Ed è per questo che Agostino scrive “Le Confessioni”. Per poter ricordare, fare memoria che la sua vita è stata tutta dentro un disegno di provvidenza e di amore, e che non c’è stato dettaglio della sua esperienza quotidiana, nella quale il Signore non sia entrato, per realizzare il suo disegno splendido, facendo della sua vita – di Agostino – un capolavoro. Ed è per questo che egli anche scrive: “Il Signore pensa a tutto, pensa a tutti, pensa a ciascuno come se fosse l’unico”. Ecco che cosa significa svegliarsi dal sonno.

 

Infine c’è un ultimo sonno dal quale siamo chiamati a svegliarci ed è quello per il quale diventiamo incapaci di vivere la fede come un rendimento di grazie, una benedizione, una lode.

Un po’ come il figlio maggiore del Vangelo che si lamenta, che si arrabbia, che guarda ciò che è negativo, che sottolinea qualcosa che gli sembra ingiusto e non si accorge che la sua vita è sempre con il padre, è sempre nell’esperienza splendida dell’essere figlio, è sempre dentro un tutto che riceve quotidianamente. Svegliarsi dal sonno significa vivere la relazione col Signore in un rendimento di grazie continuo, perché Egli è sempre con noi; in una benedizione continua, perché ci ha fatto suoi figli; in un rendimento di grazie che non conosce sosta; in una lode che riempie il cuore perché gli ci ha dato tutto, ci ha dato se stesso e, continuamente, ci dà tutto e ci dà se stesso.

Agostino scrive “Le Confessioni” – quella che spesso viene definita sua splendida lettera a Dio – anche per dire questo: per lodare, per rendere grazie, per benedire.

 

Ecco il sonno, nelle sue varie espressioni, da cui siamo chiamati a svegliarci: “È il tempo di svegliarvi dal sonno”. Chiediamo a sant’Agostino la grazia: di svegliarci da questo torpore, nel quale spesso viviamo la nostra fede e la nostra relazione col Signore.

Sappiamo che cosa ha scritto Agostino dopo la sua conversione: “Tardi t’amai, bellezza sempre antica e sempre nuova”, chiamando il Signore “bellezza”. Svegliarsi dal sonno della fede significa aprire gli occhi sulla bellezza autentica del volto del Signore e della fede, perché il volto del Signore e la fede sono splendidi, sono entusiasmanti, sono affascinanti, conquistano l’anima e il cuore. Agostino ha vissuto da “conquistato” dalla bellezza di Dio e della fede; e noi chiediamo, oggi, di svegliarci dal sonno e, dunque, di convertirci per vivere da conquistati dalla bellezza della fede e del volto del Signore.

Non domani! Ricordate Agostino quando dice: “Non fate come i corvi: cras, cras”, parola latina che significa “domani”. Non domani! Oggi, adesso! Questa è la grazia speciale che chiediamo oggi: di seguire Agostino sulla via di quella conversione che significa passaggio dal sonno della fede stanca e opaca a una fede davvero bella. Bella, viva, che ci conquista e che ci attrae, perché Lui, il Signore, è il bello, Colui che ci affascina e ci conquista. Chiediamo la grazia di poter realizzare quello che Agostino ancora dice: “Ognuno è qual è il suo amore”. Che ognuno di noi possa essere il proprio amore che è la bellezza: la bellezza infinita del Signore e del suo volto!