Meditazione – Dio ricco di misericordia (4)

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Meditazione – Dio ricco di misericordia (4)

Meditazione – Dio ricco di misericordia (4)

La parabola del figliol prodigo

 

L’abbé Caffarel (sacerdote e mistico francese, fondatore delle Equipes Notre-Dame), in uno dei suoi quaderni sulla preghiera, riporta la seguente testimonianza di un papà.
«Egli aveva una bambina di 9 anni, che era un vero tesoro e si chiamava Monique. Una sera il papà le dice: “Monique, come va la tua lezione? E’ tutto pronto per domani?”. “Sì”, risponde Monique con un po’ di esitazione. Ma non era vero.

Alle undici di sera il papà era solito entrare pian piano nella stanza dei suoi ragazzi per dare un’occhiata, e vede vicino al letto di Monique la sua lavagna, con scritto un messaggio proprio per lui. Monique l’aveva fatto prima di mettersi a letto. C’era scritto: “Papà, ti chiedo perdono, perché ho mentito; non è vero che la lezione era pronta. Ti chiedo perdono di averlo fatto, e cercherò di non fare mai più così. Ho molta pena, avrei preferito dire la verità, ma non voglio dire ora tante cose per non farti soffrire. Svegliami pure se vuoi, per parlare insieme della cosa. Buona notte, papà. Monique”.

Il papà, dopo aver letto, cancella la lavagna e scrive la sua risposta; così: “Mia piccola cara Monique, io ti voglio tanto bene, perché mi hai scritto per chiedermi perdono. Io ti perdono con molta gioia e molto volentieri, perché ho capito che mi chiedi perdono perché mi ami. Certo non è bene dire le bugie, ma siccome tu lo confessi e mi domandi perdono, tutto è cancellato come se non l’avessi fatto. E sappi che tutte le volte che tu avrai pena di avermi dato una pena e me ne chiederai perdono, io ti perdonerò sempre, anche se succedesse molte volte. Il buon Dio fa così con noi, perché ci ama. Ho scritto questa lettera, perché tu la trovi subito appena ti svegli, e sappia subito che ti ho perdonato. Ti amo tanto, mia piccola Monique. Continua a fare molti sforzi. Ti abbraccio con tutte le mie forze. Papà”» (cf. A. Gasparino, Confessione festa del perdono, LDC, pp. 32-33).

Questo grazioso quadretto di vita familiare ci introduce alla contemplazione della misericordia di Dio, così come viene rivelata da Gesù nella parabola del figliol prodigo, altrimenti conosciuta come “parabola del padre misericordioso”. In questo racconto evangelico, la tradizione dell’Antico Testamento viene accolta, ma anche semplificata e approfondita.
Proviamo a ripercorrere brevemente il testo di san Luca. Si parla di un padre e dei suoi due figli. Il figlio minore, raggiunta una certa età, con grande dolore e stupore da parte del padre, decide di lasciare la casa paterna, facendo richiesta dei beni che gli spettano e deciso a intraprendere un viaggio che lo porterà assai lontano.

Non è difficile scorgere nella decisione del ragazzo quello che noi chiamiamo “peccato”. Il peccato, in effetti, è sempre un abbandono della casa paterna, l’affrancarsi da un amore forse non più compreso, un prendere le distanze da chi ci ha dato la vita. Il peccato, dunque, è sempre da considerare all’interno di una relazione personale, viva, di reciproca appartenenza nell’amore quale è la nostra relazione con Dio. Al giovane una tale relazione sta stretta. Immagina che la vera vita possa essere altrove, lontano dal padre.
Il racconto evangelico prosegue. Il giovane prende dal padre quanto gli spetta e si mette in cammino. E il padre, che lo ama con tutto se stesso, lo rispetta nella sua libertà. Solo in una tale libertà, ovvero nella possibilità di dire sì o no all’altro, sta la possibilità di un vero amore. Il padre della parabola, che qui appare debole, in realtà, consentendo al figlio di lasciare la casa, custodisce anche la sua libertà e, dunque, la possibilità di amare in modo autentico.

La parabola, a questo punto, si concentra sul giovane e sul suo viaggio verso la terra lontana. Quella terra lontana, che aveva catturato i suoi sogni e i suoi desideri alla stregua di un paradiso che la casa paterna sembrava non offrirgli, si rivela un vero inferno: terra geograficamente lontana, certo, ma lontana soprattutto dalla vita vera, dalla felicità sperata, dalle attese più profonde della sua umanità in ricerca di pienezza. In quella terra, infatti, il giovane dilapida le sue sostanze, si ritrova in miseria ed è costretto a mettersi al servizio di un padrone straniero dando da mangiare ai porci.

Che cosa accade a questo punto del racconto evangelico? Il giovane ritorna in se stesso. L’esperienza della vita nella terra lontana gli ha fatto capire che solo nella casa paterna, e non altrove, è la dimora che custodisce il segreto di un’esistenza realmente riuscita e pienamente sensata. Non il peccato, il rifiuto del padre e del suo amore, è la risposta alle inquietudini del cuore. Il suo cuore inquieto potrà trovare vero ristoro e vera pace solo nelle braccia paterne. E’ proprio quel legame di amore nella libertà, che egli prima avvertiva come mortificante e insostenibile, l’approdo sicuro e sereno per il suo viaggio alla ricerca della vita vera. Quello che compie il giovane, prima interiormente e poi mettendosi in cammino verso la casa del padre, è un itinerario di conversione.

Il seguito lo conosciamo. Il padre quasi non permette al figlio neppure di aprire bocca. Il giovane, infatti, voleva scusarsi, aveva preparato parole di pentimento; ma non può dirle tutte. Il padre lo interrompe dimostrandogli, nelle parole e nei fatti, che la misericordia del suo cuore paterno è tanto più grande, infinitamente più grande della sua miseria. Così lo fa rivestire nel migliore dei modi, con i sandali ai piedi e l’anello al dito, e, per lui, prepara una festa solenne. Tutto, in tal modo, diviene segno di quella pienezza di vita che, solo nella casa del padre e nella relazione di amore che con lui ha ritrovato, il giovane può finalmente accogliere in dono.

Nel padre della parabola risplende il volto di Dio, del Dio che in Gesù si fa per noi misericordia, perdono, redenzione. Quel volto che è tutto amore per noi e che ci salva dal peccato e dalla morte, dal male e da ogni forma di oscurità e di non senso.
La parabola evangelica, pertanto, esprime in modo semplice, ma profondo, la realtà della conversione che scaturisce dalla misericordia. La conversione, infatti, “è la più concreta espressione dell’opera dell’amore e della presenza della misericordia nel mondo umano […] La misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio, quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male, esistenti nel mondo e nell’uomo. Così intesa essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione” (Dives in misericordia, 6).

(testo di riflessione mensile per l’Apostolato della preghiera)