Omelia con i sacerdoti, i diaconi e i religiosi

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Omelia con i sacerdoti, i diaconi e i religiosi

Cattedrale di Tortona, S. Messa con i Sacerdoti e i Diaconi

Siamo nella gioia, oggi, siamo nella gioia perché ci ritroviamo qui insieme davanti al Signore per rivolgerci a Lui, con il cuore in mano e con tanta fiducia. E siamo nella gioia perché siamo contenti della vocazione straordinaria che abbiamo ricevuto, quella di essere Ministri Ordinati, Sacerdoti e Diaconi. È una gioia che diventa gratitudine e che si fa anche stupore. È bello essere Sacerdoti. È bello essere Diaconi. È bello essere alla sequela del Signore, condividendone la straordinaria vocazione di essere buon pastore. È bello, è bellissimo. Non dimentichiamolo mai. Ecco perché siamo nella gioia. È vero, siamo afflitti da povertà personali, da difficoltà ministeriali, da fatiche quotidiane ma noi siamo contenti perché, al di la di questo, il Signore nel suo amore ci ha riservato una chiamata bellissima, quella di essere oggi nella Chiesa, in mezzo al suo popolo, riflesso di Lui, buon Pastore. Oggi, dunque, viviamo nella gioia, nella gratitudine, nello stupore, ma non soltanto oggi, ogni giorno della vita.
In questo clima spirituale ascoltiamo che cosa, con la sua Parola, il Signore intende ricordarci e sottolineare, in ordine alla nostra vita e al nostro cammino.

Quando il Diacono ha proclamato il Vangelo, concludendo la proclamazione, come di consuetudine, ha portato il libro dei Vangeli al Vescovo e il Vescovo lo ha baciato questo libro, come facciamo tutti noi alla fine della proclamazione del Vangelo. Sappiamo bene il significato di questo gesto semplice ma molto ricco. Esprime il desiderio di entrare in comunione profonda con quella Parola, ovvero il desiderio di entrare in comunione profonda e sempre più profonda con la Parola vivente che è il Signore Gesù.

Ricordo che quando divenni diacono, il giorno proprio dell’ordinazione, chiesi al mio Arcivescovo di allora, che mi avrebbe dopo qualche ora ordinato, il Cardinale Canestri, di confessarmi, e come penitenza per la confessione mi disse di dire più volte, tante volte, in quelle ore che precedevano l’ordinazione “Gesù per sempre tuo”. È un invocazione che non ho dimenticato mai nel corso della mia vita di Sacerdote, ed è un’invocazione bella che dice il desiderio di essere una cosa sola con il Signore Gesù.

Quel bacio che diamo al Vangelo, che oggi tutti attraverso di me avete dato al Vangelo, esprime questo desiderio che Gesù sia il tutto della nostra vita, e questo è il primo aspetto che oggi la Parola di Dio anche attraverso il testo della Sapienza viene a ricordarci. Il Signore Gesù è il tutto della nostra vita, deve essere il tutto della nostra vita. La gioia autentica non ce la darà il tipo di ministero che svolgiamo, non ce la darà semplicemente la presenza di confratelli buoni che ci aiutano, non ce la darà il Vescovo che ci comprende, non ce la darà il popolo di Dio che si stringe attorno a noi. Queste cose ci possono essere e possono non esserci. La gioia ce la darà sempre il fatto che Gesù è tutto per noi e noi siamo tutti per Lui. Questo è il fondamento della nostra vita.

L’abbiamo ripetuto con il ritornello del salmo responsoriale: “la parola di Dio è stabile per sempre”, Gesù è stabile per sempre nella nostra esistenza di Sacerdoti e Diaconi ed è questa stabilità che è il fondamento della nostra esistenza. È questa stabilità che ci rende sereni in mezzo alle difficoltà e ai problemi. È questa stabilità che ci fa superare le fatiche, è questa stabilità che ci fa guardare sempre con fiducia avanti nel cammino che percorriamo, è la stabilità dell’amore di Gesù per noi, che con le nostre povere forze, ma con tutta l’anima, cerchiamo di ricambiare giorno dopo giorno.

Oggi celebriamo la memoria di San Martino. Nel responsorio dell’Ufficio delle Letture si dice così: che Martino non faceva altro che parlare di Cristo, di amore e di pace. Prima di Cristo e poi di amore e di pace, a motivo di Cristo che è l’amore vero e la pace vera, perché Cristo era tutto per lui, lo portava nel cuore, nelle labbra, nella mente, negli affetti, nei pensieri, nei progetti, e dunque parlava di Cristo perché era l’amore della sua vita. Oggi la parola del Signore ci aiuta a ricordare che noi siamo Presbiteri e Diaconi perché Gesù è l’amore della nostra vita, e che la stabilità del nostro ministero consiste in questo amore forte, granitico che giorno dopo giorno custodiamo e alimentiamo nella vita personale e attraverso il nostro ministero.

Il versetto dell’Alleluia ci offre un secondo elemento della nostra vita di Sacerdoti e Diaconi importante: è citato un passo di San Giovanni “se rimanete in me, porterete frutto”. Non si dice se farete tante cose porterete frutto, non si dice se sarete bravi, fantasiosi porterete frutto, non si dice se avrete grandi doti porterete frutto. No! Si dice “se rimanete in me porterete frutto”, perché la sorgente del frutto è Lui e soltanto Lui, il Signore. Non dobbiamo e non possiamo dimenticarlo. Guai se lo dimenticassimo. Forse il motivo di certe nostre sterilità, mancanze di fecondità pastorali, stanno proprio qui, nel dimenticare che soltanto il “rimanere” è il fondamento del frutto, è la radice del frutto, non ce ne sono altre. Non sarà il nostro parlare, il nostro riunirci, il nostro progettare, che ci vuole anche, ma non sarà questo da solo il fondamento del frutto. Il fondamento del frutto è il nostro rimanere, che è una parola semplice, consueta a noi tutti: santità! Non c’è un altro modo per essere fecondi nelle vie di Dio e del Vangelo: la santità! Non c’è un altro modo per evangelizzare davvero la nostra gente, il nostro mondo: la santità! Non c’è un altro modo per far breccia nel cuore e nella anime: la santità! Non c’è un altro modo per far risplendere la bellezza del volto del Signore nel mondo di oggi che pare così distante in contraddizione con la Chiesa e con il suo annuncio: la santità! Se rimanete in me porterete frutto. Se sarete santi porterete frutto. Se mi terrete con voi allora vedrete fiorire il deserto, ma a partire da lì, dalla santità della nostra vita. Non c’è che un’unica nostalgia che dovremmo avere, non c’è che un’unica tristezza che dovrebbe accompagnarci: quella di non essere santi, questa sì, le altre no, perché non hanno significato, perché Gesù è con noi, ma questa sì, la mancanza della santità. Custodiamola questa nostalgia, facciamoci spronare da questa tristezza perché la santità sia l’orizzonte di tutto e di ogni nostra giornata.

San Martino, nella lettura dell’Ufficio di oggi, si dice che verso la fine della vita, ormai prossimo a morire, vede accanto a sé il nemico, il diavolo, e dice “non troverai nulla in me sciagurato”. Questo dovremmo poter dire ogni giorno: “non troverai nulla in me che non appartiene a Dio”! E se così fosse, allora saremmo davvero fecondi, se così sarà porteremo davvero frutto, se la nostra esistenza non avrà in sé nulla che contraddice Dio e dunque sarà realmente santa.

Ma c’è ancora un elemento che la Parola di Dio oggi ci dona e ricorda. È Gesù nel Vangelo, parla ai farisei e dice: “non pensate che il Regno di Dio venga chissà con quali elementi di visibilità”, non credete quando vi diranno eccolo la, eccolo qua, in espressioni di potenza, ricchezza e forza umana. Il Regno di Dio è qui, in mezzo a voi, cioè sono “Io risorto presente e operante nel segreto della vostra vita, nel segreto delle vostre comunità, nel segreto dei vostri cuori e nel segreto della storia”. Però per poter vedere e toccare con mano che il Regno di Dio è in mezzo a noi ci vuole fede. È lo sguardo della fede che vede il Risorto presente e operante nelle pieghe della storia. È lo sguardo della fede che va al di là di criteri umani e mondani e sa scorgere nel piccolo, nel povero, in ciò che non appare, la presenza del Signore che segretamente, ma veramente, porta aventi il suo disegno di salvezza e di amore. È la fede, la nostra fede. E come si alimenta questo sguardo? Questo sguardo penetrante, come dicevano gli antichi a proposito della fede, si alimenta con tanta preghiera. Se non sappiamo riconoscere il Regno di Dio è perché non preghiamo abbastanza. Se non sappiamo riconoscere le modalità attraverso le quali, con fedeltà seppur con la dolcezza discreta che è tipica del Signore, Egli continua a operare è perché non preghiamo abbastanza. Se non ci accorgiamo che la Pasqua del Risorto è potenza oggi nella nostra povera vita è perché non preghiamo abbastanza. Siamo chiamati a pregare di più, a pregare tanto, a pregare senza stancarci mai. Che cos’è che salva? La fede. Dunque la nostra preghiera. “La tua fede ti ha salvato” dice Gesù; la fede, non ha salvato altro. La fede. Dunque la nostra preghiera fiduciosa che apre lo sguardo e gli occhi e vede Dio presente oggi con il suo amore in mezzo a noi.

Noi lo sappiamo bene, abbiamo una grande questione nella nostra realtà diocesana: quella delle vocazioni. Il nostro seminario è vuoto da quando Don Daniele, a giugno, è stato ordinato Sacerdote. Ci piange il cuore, siamo afflitti per questo, ma c’è una tentazione che potremmo avere, che cosa fare? Che cosa fare? Non è questa la via. La via è metterci in ginocchio, la via è adorare senza stancarci, la via è supplicare con fede il Signore, la via è credere che il braccio di Dio non si è accorciato. Si è annebbiata la nostra fede in Lui, questa è la via. Dobbiamo recuperare questa grande fede, dobbiamo recuperare questa grande preghiera: allora saremmo saldi e vedremmo come anche in questa nostra terra, oggi sterile per quanto riguarda le vocazioni, diventerà di nuovo feconda. Lo crediamo, perché il Signore non si è stancato di chiamare, il Signore ancora oggi vuole bene a questa nostra terra e dunque vuole donarle ancora Sacerdoti, ma dobbiamo avere fede in Lui, pregare, adorare e stare in ginocchio. Lo ricorderò continuamente. La nostra chiesa a Tortona deve mettersi in ginocchio, e con fede, e vedrà fiorire anche questo deserto vocazionale.

Che cosa si dice di San Martino nella lettura di oggi? Sempre rivolto al Cielo con gli occhi e con le mani. Questo deve fare la nostra Chiesa, questo dobbiamo fare noi per primi, sempre rivolti al cielo con gli occhi e con le mani, con fede.

E infine un ultimo elemento, che il Signore ci ricorda, attraverso l’esperienza e la vita di San Martino di Tours. Lo abbiamo riportato alla mente con la preghiera della Colletta, quando abbiamo pregato dicendo che San Martino in vita e in morte ha fatto risplendere la gloria di Dio. Noi sappiamo come è potuta risplendere questa gloria nella sua vita e nella sua morte, per il tramite della carità, cioè per il tramite di Dio presente in lui, in quanto amore senza fine. Noi desideriamo che risplenda attraverso di noi la gloria di Dio? Potrà risplendere nella misura della nostra carità cioè nella misura della presenza di Dio in noi e del suo amore e ricordiamo la carità di cui si parla a proposito di San Martino. Ma la carità, quando ne parliamo noi in virtù della fede, non è un amore umano: è l’amore stesso di Dio che si china sull’uomo per salvarlo. Certo, chinandosi sui suoi bisogni fisici, materiali, ma in vista dei bisogni dell’anima. La carità del Signore è l’amore che salva e in noi risplenderà la gloria di Dio nella misura in cui occhi, mani, cuore, tutto sarà amore che salva con assoluta gratuità.

Ecco il quarto aspetto che ci viene ricordato oggi dal Signore. Siamo poveri, lo sappiamo, e queste quattro grandi memorie che il Signore oggi ci aiuta a fare, che avvertiamo bellissime e motivo di gioia, possiamo anche sentirle un po’ distanti da noi. È giusto che sia così, perché nessuno di noi umanamente può vivere fino in fondo questo, ma la bellezza è che il Signore è venuto a dirci: non “tu devi”, “tu puoi, perché ti dono il tuo spirito”. Allora noi oggi invochiamo lo Spirito santo dicendo “vieni santo spirito”, vieni perché Gesù sia il tutto della mia vita, vieni perché la santità sia l’orizzonte di ogni passo, vieni perché la fede sia grande e la preghiera ininterrotta, vieni perché nella mia vita possa risplendere la gloria della carità del cuore del Signore.

Trascrizione a cura di Andrea Gaggioli