Omelia con i sindaci della Diocesi

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Omelia con i sindaci della Diocesi

Omelia – Santa Messa nella memoria di santa Elisabetta di Ungheria
Incontro con i Sindaci della Diocesi

Siamo qui per pregare, lo abbiamo ricordato. Del pregare fa parte anche l’ascoltare. Siamo stati in ascolto della Parola del Signore, con il desiderio di trovare luce, in questa Parola, luce per il cammino della nostra vita, luce per il compito che ci è affidato. Qual è, dunque, questa luce, dalla quale desideriamo, questa sera, rimanere illuminati, e che vogliamo custodire in noi, perché ci accompagni nei giorni che ci attendono?

Un primo bagliore di questa luce. Abbiamo ascoltato una pagina dal libro dei Maccabei. Si narrano le vicende di una famiglia che, in tempo di grave persecuzione, è rimasta fedele a Dio e alla sua Legge. In particolare, nella pagina che abbiamo ascoltato, si parla di una donna, una mamma di sette figli, che eroicamente vive questo tempo di persecuzione, ed eroicamente vive il proprio rapporto con i figli.

Ma qual è il cuore di questa narrazione? C’è una legge umana, ma c’è anche una legge divina. Ci sono norme date dagli uomini, ma ci sono norme più grandi, più elevate, più alte, che scendono dall’alto. La donna, con i suoi figli, si appella a questa legge che viene da Dio, a queste norme che vengono dall’alto, per trasgredire un comando ingiusto del Re.

Che cosa ha da dirci, questo? Che noi siamo chiamati, giorno dopo giorno, a cercare instancabilmente quella verità che viene dall’alto, a interrogarci su quale sia questa verità e ad abbracciarla. Una verità che, nello stesso tempo, ci libera e custodisce; ci libera dai condizionamenti personali, culturali, sociali, di appartenenza. Ci libera perché non siamo schiavi di ciò che passa, ma rimaniamo abbracciati a quella verità che non passa e nella quale è il bene autentico, di ogni persona e per tutti.

Nello stesso tempo, questa verità che ci libera anche custodisce; custodisce in noi il bene vero, custodisce in noi il bene autentico. Custodisce in noi quel bene che siamo chiamati a proporre a coloro a cui siamo inviati, con il nostro servizio. Colui che ha una responsabilità sugli altri, colui che ha un compito in vista del bene comune, colui che vive una vera e propria chiamata da questo punto di vista, non può non riferirsi a questa verità che supera ciò che è contingente, e che, liberando e custodendo, aiuta a vedere, a scoprire, ad accogliere il bene vero, perché sia il bene per ciascuno e di tutti. Non dimentichiamo questo primo bagliore di luce. Chi vive a servizio del prossimo non può non cercare e abbracciare questa verità che viene dall’alto, che è Dio stesso, e in cui consiste il bene autentico di ciascuno, di tutti, del nostro vivere insieme, del bene comune.

Un secondo bagliore di luce lo ritroviamo nella pagina del Vangelo. Gesù racconta una parabola. In questa parabola c’è un signore che consegna una moneta d’oro; alcuni la fanno fruttare, altri no. Proviamo a immaginare che questa moneta d’oro, quindi questo tesoro, questo dono prezioso, sia l’autorità che ci è stata affidata. Questa autorità la possiamo vivere nel dono di noi stessi, moltiplicandone i frutti, oppure possiamo viverla nella ricerca di noi stessi e, dunque, impoverendone i frutti.

Quando si va in Terra Santa, le guide sono attente a dare una spiegazione interessante nel momento in cui si arriva presso quello che è chiamato il “Mar Morto”. Il Mar Morto è un grande lago la cui acqua è salatissima; per questo in quel lago non c’è vita alcuna. Vicino al Mar Morto c’è un altro lago, il Lago di Tiberiade. Questo lago, invece, è pescosissimo e pieno di vita. Le guide spiegano che Gesù, quando parlava, aveva ben presente questi due laghi: il Lago di Tiberiade e il Mar Morto. Così come lo avevano presente coloro che lo ascoltavano. Il Lago di Tiberiade era chiamato il “lago della vita” e il Mar Morto il “lago della morte”. Tutti ricordiamo quando Gesù dice “chi darà la propria vita la troverà, ma chi terrà per sé la vita la perderà”. Coloro che lo ascoltavano capivano benissimo il significato di queste parole, avendo davanti agli occhi i due laghi. Il lago di Tiberiade, il lago della vita, è un lago che riceve acqua e a sua volta la dona. Mentre il Mar Morto è un lago che riceve acqua e la tiene per sé. Per questo il primo è un lago pieno di vita e l’altro è un lago pieno di morte: perché il primo riceve e dà, l’altro riceve e tiene per sé.

L’autorità! Questa “moneta d’oro” che abbiamo ricevuto in dono può sgretolarsi nel momento in cui ricerca semplicemente sé stessa, ma può diventare fruttuosissima nel momento in cui si dona senza riserve, al servizio del prossimo.

Il terzo bagliore di luce. Quest’oggi celebriamo la memoria di Santa Elisabetta di Ungheria. Una Regina che ha vissuto alla corte di Turingia, sposa del Re di Turingia, e che è ricordata nella storia come una Regina di straordinaria carità, condivisa con il marito.

San Paolo VI disse un giorno che “la politica è la forma più alta della carità”. È proprio così! Perché l’arte della politica è il prendersi cura degli altri e di tutti, della convivenza e del bene comune. Ma attenzione! Nel momento in cui si parla di carità non si parla semplicemente di un amore e di un amore umano, ma dell’amore stesso di Dio che attraverso di noi raggiunge gli altri. La politica è autentica carità nella misura in cui coloro che amministrano il bene comune sanno guardare il volto del prossimo, la realtà del bene comune con lo sguardo stesso di Dio, che ha a cuore ciascuno e ha a cuore tutti, che vuole per i suoi figli una convivenza giusta, pacifica, buona, che guarda al bene comune perché possa essere realmente un bene condiviso.

Ecco il terzo bagliore che la Parola del Signore ci dona e ci consegna stasera. La politica è l’arte di amministrare come forma di squisita carità. È una modalità bellissima di stare in mezzo alla gente con il cuore stesso del Signore, che vuole solo il bene, il bene vero, il bene integrale di tutti e di ciascuno. E allora, a proposito, dico anche qui a voi, carissimi Sindaci che operate nella nostra terra: nulla è meglio di Gesù Cristo. Ricordate san Giovanni Paolo II quando all’inizio del suo pontificato, durante l’omelia disse, urlò: “Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo!”. No, non abbiate paura! Perché aprire le porte a Cristo significa aprire il cuore a un amore più grande, a una capacità più grande di amare, a una carità autentica e, dunque, a una capacità di sguardo sulle cose della nostra città terrena che sia realmente umano, buono, fruttuoso per il nostro cammino.

La luce con la quale il Signore illumina i passi del nostro andare quotidiano passa, questa sera, attraverso questi tre bagliori. Rimaniamo legati alla verità, quella verità che non passa, che è Dio e che Dio ci dona. E tutto giudichiamo e operiamo con libertà a partire da questa verità. Viviamo il dono nell’autorità, quel dono che fa sì che l’autorità sia realmente piena di frutti. Non dimentichiamo, poi, bellissima chiamata propria della politica, che è chiamata alla carità dentro alle realtà umane del nostro vivere insieme; carità che è introduce nel nostro povero cuore il cuore stesso di Dio. Non abbiamo paura! Se il Signore è con noi, non possiamo e non dobbiamo avere paura. Il fatto di essere qui significa questo. E allora riprendiamo il nostro cammino con la gioia, la consolazione, l’orientamento di queste luci, senza paura.

Trascrizione da registrazione audio