Omelia
Tortona. Cattedrale
Ieri sera, nella bella veglia che abbiamo vissuto qui, in Cattedrale e sul sagrato, ricordavo un’espressione molto significativa usata da un giovane santo, Pier Giorgio Frassati. Un giorno, mentre era con un suo amico, aveva in mano un libretto. A un tratto si mise a leggerlo e l’amico gli chiese: «Che cosa leggi?». E Piergiorgio gli rispose: «Leggo parole di vita eterna». Aveva aperto il Vangelo, che portava sempre con sé.
Oggi, anche noi abbiamo ascoltato parole di vita eterna, perché abbiamo ascoltato le Scritture, e non sempre ci rendiamo conto della grandezza e della bellezza di queste parole che ci raggiungono da parte di Dio. Parole di vita eterna! Devo dire che in ciò che abbiamo ascoltato oggi, ci sono, in particolare, tre parole che mi hanno smosso il cuore; e spero proprio che possano smuoverlo a tutti quanti noi, che siamo qui. Tre parole che si addicono, in un modo unico, a questa splendida solennità di tutti i santi. Quali sono?
Nel libro dell’Apocalisse, Giovanni presenta un’immagine stupenda: è l’immagine del paradiso, dove una moltitudine immensa è davanti al trono di Dio. Lì si loda e si rende grazie in eterno per la salvezza che Dio ha donato. Ecco la prima parola: salvezza. Ce n’è una seconda. L’abbiamo ascoltata nella lettera di san Giovanni, il quale dice che noi siamo figli di Dio, e lo siamo realmente. Ecco la seconda parola: figli. E poi una terza, nel Vangelo di San Matteo. Nella pagina delle beatitudini tante volte è risuonata la parola: beati.
Salvezza, figli, beati: sono tre parole di vita eterna! Ce ne rendiamo conto? Salvezza, figli, beati sono tre parole di vita eterna! E si addicono ai santi. Perché? Perché il santo è un uomo, una donna, un giovane, un anziano, anzitutto, che è salvato. Poi, il santo è un uomo, una donna, un giovane, un anziano che è figlio; e, ancora, il santo è un uomo, una donna, una giovane, un anziano che è beato. Salvato, figlio e beato.
Salvati. Pensiamo a un malcapitato che sta annegando in mezzo al mare. A un certo punto, qualcuno gli si avvicina, lo sostiene, lo prende per mano e lo salva dai flutti che gli avrebbero dato la morte. Questo è un salvato. E noi siamo salvati così dal Signore, perché siamo come quel naufrago in mezzo al mare, senza possibilità di vita, ai quali il Signore si avvicina, si è avvicinato, si avvicina continuamente per dare salvezza, cioè vita, salvandoci dalla morte, dal peccato, dal non senso dell’esistenza. Noi siamo salvati, e un santo è salvato, perché ha accettato di essere salvato.
Sapete come siamo noi tante volte? Come un naufrago che sta morendo in mezzo al mare e che, a colui che si avvicina e che gli sta dando la mano per poterlo riportare in superficie, dice: «No! No! Posso fare da solo. Non ne ho bisogno». E, così, siamo sommersi dai flutti della morte.
Vogliamo, forse, anche noi fare così, come quel naufrago che rifiuta la mano che lo salva? Il santo, in fondo, è questo: colui che ha accettato la mano che lo ha salvato, ha accettato di essere salvato, ha accolto quel Signore che gli ha dato la vita. Questo è il santo! E noi non siamo santi, perché tante volte non accettiamo di essere salvati, non permettiamo al Signore di entrare nella nostra vita, non gli consentiamo di prenderci per mano. E, allora, oggi vogliamo dire: «Signore, io voglio essere salvato. Salvami! Mi consegno, mi affido alla tua salvezza!».
Figli. È un po’ la stessa cosa, perché il santo è colui che, orfano, ha riconosciuto la bellezza di essere figlio, ha riconosciuto nel volto di Dio una paternità straordinaria, che dà senso alla sua vita e che riempie il suo cuore. Il santo è questo. Ha accolto la bellezza di essere un figlio rispetto a Dio. E perché noi non siamo santi? Perché rifiutiamo di essere figli, ci opponiamo alla paternità di Dio, non vogliamo ammettere che ci sia un Dio Padre, da cui tutto dipende, la nostra stessa vita in ogni suo aspetto, e lo rigettiamo. E, dunque, non possiamo essere santi, perché la santità è questo: vivere la bellezza di essere figli.
E, quindi, la terza parola: beati. Il santo, dal momento che ha accolto il Signore come Salvatore e come padre, è un beato. Sì! È contento, è felice, è pieno di una gioia che, altrimenti, umanamente, non può esistere. Perché noi siamo tristi, tante volte? Perché ci trasciniamo nella vita pesantemente, perché tutto diventa motivo di stanchezza, a volte, di noia? Il motivo è che non abbiamo accolto la salvezza e la paternità di Dio. Se noi accogliessimo la salvezza del Signore, se noi accogliessimo la paternità del Signore, saremmo davvero contenti, beati, felici, pure in mezzo alle difficoltà della vita e agli ostacoli dell’esistenza, perché noi sentiremmo, fino in fondo, la bellezza della salvezza e della paternità in Dio.
Come molti di voi sanno, in questi ultimi due anni, sono diventato per due volte zio di due pronipotini e, presto, a dicembre ne arriverà anche una terza. Quest’estate – il momento nel quale ho un po’più di giorni da passare insieme a loro – mi sono goduto soprattutto il pronipotino più grande che si chiama Edoardo: ha un anno e mezzo e col lui si può cominciare a interagire.
Me lo guardavo, e in lui ho visto chi sono chiamato a essere. Ho visto la santità. Perché? Perché Edoardo sa benissimo che senza il papà e la mamma non può essere salvo; però, ogni tanto vuol far da solo e allora si perde, è smarrito. Quante volte prova a fare da solo e, poi, però si accorge che se non ci sono il papà e la mamma, è perduto. È la storia della nostra vita, e in quel bambino la vedo sempre. Certo, sa di essere figlio, ma a volte vuole fare per conto suo, dimenticandosi che ci sono il papà e la mamma; e così si smarrisce, è perduto, non sa più che cosa fare. Allora corre e alza la voce: «Papà! Mamma!» Si rende conto che senza il papà e la mamma non può nulla. Ecco l’immagine della santità! E poi, sapete una cosa? Dopo quello smarrimento, quando la mamma e il papà tornano e lo abbracciano, dal pianto egli passa a un sorriso bellissimo. Ed è il sorriso dei santi. È la gioia di coloro che sono beati. Perché? Perché vivono la salvezza e vivono la figliolanza. Perché sono salvati e sono figli.
Vogliamo, allora, deciderci a passare dal pianto alla gioia, dalla tristezza alla felicità, vivendo davvero l’esperienza di essere salvati dal Signore e di essere figli, nei confronti dei quali il Signore è un Padre provvidente, amorevolissimo? Perché, in fondo, se volessimo sintetizzare tutto questo, la santità consiste nell’accettare di essere amati, credendo che il Signore ci ama davvero e, davvero, è buono. È tutto qui! I santi che noi, oggi, celebriamo, questa moltitudine immensa del paradiso, è la moltitudine di coloro che ha creduto all’amore di Dio e ha accettato di essere amata da Dio. Non vogliamo farlo anche noi? Non è la cosa più bella della vita? Eppure spesso siamo così stolti che le cose veramente grandi, belle della vita, le teniamo da parte, non le accogliamo davvero. Vogliamo, oggi, in questo giorno, che è il giorno dei santi guardando loro dire: «Ma che insipiente quando non ho accettato la salvezza del Signore! Ma che stolto quando non ho accettato la paternità del Signore! Ma che sventurato quando non ho accolto l’amore del Signore? Basta! Basta!».
Come Carlo Acutis che diceva che per essere santi bisogna volerlo, oggi vogliamo dire al Signore: «Lo voglio! Voglio la tua salvezza, voglio la tua paternità, voglio il tuo amore e voglio vivere così!»
Chiediamo a tutti i santi, che sono nostri amici e compagni di strada, di accompagnarci, di aiutarci in questa avventura che è la vera, l’unica, bella, straordinaria, luminosa avventura della vita. Il resto passa. Passa come tutto, inesorabilmente, ma la santità resta, perché ci porta nel cuore di Dio. E questa è l’unica cosa veramente importante della vita. Possa essere così per tutti quanti noi! E noi ci auguriamo reciprocamente la santità. Auguri di santità!