Conferenza – I santi segni della Liturgia della Chiesa (traccia)

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Conferenza – I santi segni della Liturgia della Chiesa (traccia)

Incontro con la cappella musicale della cattedrale

Genova

Premessa
“Parole, parole! Per questo il nostro pensiero a sì poca importanza nei riguardi della realtà che non afferra affatto saldamente. Per questo la nostra parola è così pallida e fioca, esangue e priva di forza figurativa. Per questo ciò che udiamo non ci tocca l’anima. Altrimenti potremmo ascoltare e leggere ogni giorno tante cose? Se le parole fossero per noi qualcosa di più d’un suono che significa alcunché, d’una struttura sonora accompagnata da fugaci sensazioni e da immagini evanescenti, come potremmo leggere tanti giornali e prestare ascolto a tante novità? […]
Ed il nostro agire! Noi eseguiamo delle forme e non delle azioni! Diciamo delle larve di parole; compiamo delle ombre di azioni. Siamo consapevoli di quello che facciamo quando stringiamo la mano destra a qualcuno? Ci è chiaro che noi gli diamo la nostra fiducia, la nostra anima? Se lo sapessimo, lo faremmo con minor frequenza […]
Noi diciamo delle mere parole. Noi compiamo delle formalità. Viviamo in un mondo di segni, ma la realtà che essi significano l’abbiamo perduta […]
Perché ho parlato di tutto questo? Perché in nessun ambito la profanazione della parola, lo svuotamento dell’agire, la vanificazione del segno è così terribile quanto nella vita religiosa […]
Qui dobbiamo iniziare il rinnovamento. Non distruggere ‘l’invecchiato’ e trovare ‘il nuovo’. Le grandi parole e le grandi forme della Chiesa scaturiscono dalle profondità essenziali […]
Ci è possibile però un’altra cosa: ‘ridar loro il proprio senso’. Cioè vedere la realtà che dietro di esse giace. Rivivere ciò che si pronuncia. Allora le forme si svolgeranno dall’interiore pienezza” (Romano Guardini, Lo spirito della liturgia, pp. 128-133).

Dalla riflessione di Romano Guardini due importanti considerazioni:
– la ricchezza simbolica dei segni liturgici da recuperare il modo di compierli perché parlino a noi e agli altri
– la non disponibilità della liturgia all’arbitrarietà (la divina liturgia degli orientali)

1. Il segno della croce
“Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo e anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica” (Romano Guardini, ibidem, p. 135).

E’ il gesto fondamentale della preghiera cristiana:
pensiamo a quanti segni della croce facciamo in una giornata, all’interno della preghiera personale e della preghiera liturgica
– professione di fede in Cristo crocifisso e salvatore, il sì visibile e pubblico a Lui che santifica per intero la nostra vita
– ricordo del battesimo, soprattutto quando si accompagna all’uso dell’acqua benedetta

Facciamo questo gesto:
prima della preghiera
perché ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine
dopo la preghiera
perché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato
nella tentazione
perché ci irrobustisca
nel pericolo
perché ci protegga
nell’atto di benedizione
perché la pienezza della vita di Dio entri nell’anima

il ricordo del Card. Ratzinger nel suo volume “Introduz. allo spiriti della liturgia” con riferimento ai genitori: la benedizione come accompagnamento della preghiera sostenuta dalla forza di Cristo

2. I gesti della mano
“Bello e grande è il linguaggio della mano. Di essa la Chiesa dice che ci è data affinché ‘vi portiamo l’anima’. Perciò prendi sul serio la mano, questo santo linguaggio. Dio l’ascolta e tende l’orecchio a quanto essa Gli dice dell’intimo dell’anima. Essa può anche parlare di pigrizia di cuore, di dissipazione e d’altre cose poco belle. Tiene bene le mani e procura che l’intimo del tuo spirito coincida davvero con questo atteggiamento esteriore” (Romano Guardini, Ibidem, p. 139).

Sono due i gesti fondamentali della mano nel contesto liturgico.
le mani allargate verso l’alto (gesto originale della persona orante)
un gesto di pace: l’uomo si apre all’altro
un gesto di speranza: l’uomo si allunga e si  distende incontro a Dio
l’immagine delle ali: l’uomo vuole lasciarsi innalzare da Dio sulle ali della preghiera
un gesto cristologico: facciamo nostri i suoi sentimenti di adorazione del Padre e di fraternità universale
le mani giunte (gesto originario dell’epoca feudale)
espressione di fiducia e di fedeltà: metto le mie mani nelle tue, le lascio racchiudere dalle tue; affidamento delle proprie mani a Cristo, attraverso le mani del vescovo, perché siano sue (ordinazione)
Si può aggiungere:
la mano che si batte il petto
le mani distese sulle ginocchia quando si è seduti
le mani imposte sulle offerte
l’uso di una mano quando l’altra è occupata
l’uso delle mani nello scambio della pace

“I gesti e l’atteggiamento del corpo sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti. […] L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano” (Ordinamento generale del Messale romano, 42).

3. Gesti del corpo
INGINOCCHIARSI
“Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all’atto tuo un’anima! Ma l’anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda riverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passa davanti all’altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; perché questo ha da significare: ‘Mio grande Iddio’…” (Romano Guardini, Ibidem, p. 141)

Nella Bibbia la parola che indica l’atto di inginocchiarsi appare per 59 volte, di cui 24 nell’Apocalisse.
Due forme dell’atto di inginocchiarsi:
– la prostrazione (venerdì santo e consacrazioni)
sconvolgimento per la responsabilità nella morte di Cristo con i nostri peccati
prendiamo parte alla sua angoscia umana
riconosciamo dove siamo e chi siamo: caduti che solo Lui può risollevare
davanti al mistero della presenza di Dio
la nostra assoluta incapacità ad accogliere con le nostre sole forze il compito che Dio ci affida
-inginocchiarsi/cadere ai piedi (nei vangeli è indicato 4 volte)
le ginocchia per gli ebrei erano un simbolo della forza: piegare le ginocchia significa piegare la nostra forza davanti a Dio, riconoscere che siamo di Dio
la storia raccontata da Eusebio di Cesarea Giacomo aveva sulle ginocchia una pelle di cammello per il fatto che stava sempre in ginocchio e adorava le sentenze dei padri del deserto
il diavolo che appare senza le ginocchia, costretto a mostrarsi a un certo Apollo

STARE IN PIEDI
“Il rispetto può però manifestarsi anche il altro modo. Immagina d’essere seduto, di riposare o di chiacchierare e che d’improvviso giunga una persona per cui hai rispetto e si diriga verso di te. Subito balzeresti in piedi ed ascolteresti e risponderesti stando così ritto…Lo stare in piedi significa anzitutto che ci raccogliamo… Significa che siamo attenti… Ed infine significa che siamo pronti […] Che sia però uno stare in piedi davvero! Su ambedue i piedi, senza appoggiarsi, a ginocchia tese, senza alcuna pigra rilassatezza. Ritti e composti” (Romano Guardini, Ibidem, p. 142-143).

Si aggiunga:
– la forma pasquale della preghiera
– il gesto del vincitore
– espressione di disponibilità
– anticipazione della realtà futura davanti a Dio

INCHINARSI
L’atteggiamento del pubblicano che sa di non poter sostenere lo sguardo di Dio e di piega: è atto di umiltà. E’ anche verità perché corrisponde alla verità del nostro essere. E’ anche gesto cristologico.

Inchino profondo o del corpo
– al Credo
– all’altare
– alla persona da incensare
Inchino semplice o del capo
– la Trinità
– Gesù
– la Madonna
– il santo di cui si celebra la liturgia

4. Battersi il petto
“Cosa significa dunque questo battersi il petto? Penetriamo bene questo senso. A tale scopo, dobbiamo compiere bene l’atto. Non toccarci appena con la punta delle dita il vestito…Forse hai già visto in vecchi quadri San Girolamo inginocchiato nel deserto, che, nella piena della commozione, si batte il petto con una pietra nella mano.. E’ una percossa, non un gesto cerimonioso. Ha da attraversare le porte del nostro mondo interiore e scuoterlo. Allora comprendiamo cosa significa” (Romano Guardini, Lo spirito della liturgia, p. 147).
Un monito a fare penitenza che prende forma concreta nel gesto della mano che batte sul petto: “Destati! Convertiti! Fai penitenza!”. Destare il mondo interiore per cogliervi l’appello di Dio e m operare la conversione.
Riconoscere la propria colpa, senza altre attribuzioni e scusanti: “Sono forse io?”.

5. La voce umana
La liturgia ha una struttura dialogata, fatta di parola e risposta: riecheggia il dialogo tra Dio che parla e la Chiesa sua sposa che ascolta e risponde.
“Nei testi che devono essere pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una munizione, di un’acclamazione, di un canto” (Ordinamento…n. 38)
Nella liturgia la risposta assume forme diverse.

ACCLAMAZIONE
L’acclamazione conferma che la parola stata accolta e completa così il percorso della rivelazione, della donazione che Dio fa di se steso nella parola. E’ questo il senso dell’ “amen”, dell’ “alleluia”, del “e con il tuo spirito”…

ACCOGLIENZA MEDITATIVA DELLA PAROLA
Per esempio nel salmo responsoriale. “…favorisce la meditazione della parola di Dio” (Ordinamento…n. 56)

IL CANTO
La parola “cantare” ricorre 309 volte nell’A.T. e 36 volte nel N.T.: dove Dio entra in contatto con l’uomo la semplice parola non basta più.
La prima menzione del canto nell’A.T. l’abbiamo dopo il passaggio del Mar Rosso; nel N.T. il canto non può che essere in relazione alla Pasqua.
Il canto della Chiesa proviene dall’amore: “cantare amantis est” (Sant’Agostino).
La relazione del canto con lo Spirito Santo, lo Spirito donato da Cristo all’indomani della risurrezione. Lo Spirito a servizio della Paola, il canto a servizio della parola (gregoriano e la polifania del Palestrina come criterio della musica liturgica: Pio X).
“Chi canta bene prega due volte”.
Il canto come effusione del cuore, segno della gioia interiore. Sant’Agostino dice: “Il cantare è proprio di chi ama”.
Il canto e la musica come modalità preziosa di ingresso nel mistero.
Sant’Agostino riguardo a giubilo: il canto come intensità alta di ogni sentire umano.
“A parità di condizioni, si a dia la preferenza al canto gregoriano, in quanto proprio della liturgia romana. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, non sono affatto da escludere, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli” (Ordinamento…, n. 41).

IL SILENZIO
Al Dio che parla noi rispondiamo pregando e cantando, ma anche con il silenzio. Il maestro di Dio che si fa incontro ci chiama anche a tacere.
Perché il silenzio sia fecondo non deve trattarsi semplicemente di una pausa nella liturgia, ma deve essere davvero parte integrale del suo svolgersi.
Educarsi ed educare al silenzio orante. “La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica. Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia, nel luogo dive si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione” (Ordinamento generale del Messale Romano, n. 45).