Lectio Divina – Marco 4, 1-20 26-29 (traccia)

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Lectio Divina – Marco 4, 1-20 26-29 (traccia)

Lectio Divina – Marco 4, 1-20 26-29 (traccia)

Le parabole di Gesù
Istituto Ravasco2

Meditazione 

Una breve premessa
Perché Gesù ha scelto i dodici? Perché stessero con Lui. Da questa comunione d vita nasce la missione. E’ quanto abbiamo considerato la scorsa volta con i brani di “chiamata”.
I discepoli saranno, poi mandati a predicare e a scacciare i demoni. Ma prima devono “essere con Gesù: senza di lui non hanno nulla da dare né da fare.
Le parabole del seme sono da considerare all’interno di questa premessa: il primato dello “stare” e, quindi, dell’opera del Signore.

Una cornice di crisi
Dopo questa premessa, però, è anche da considerare la cornice entro la quale le parabole vengono raccontate. Questa cornice è la crisi: molti contestano Gesù, non gli credono, non lo accettano. Gli stessi discepoli appaiono un po’ delusi di ciò che accade al Maestro. I parenti stretti anche.
In questa crisi, legata al ministero di Gesù, possiamo anche vedere le crisi dei catecumeni nella Chiesa primitiva. Marco scrive soprattutto per loro. Dopo l’entusiasmo degli inizi accade anche il momento della fatica e del dubbio. Anche a motivo della dimensione piccola della comunità cristiana: perché in così pochi credono?
In questa crisi possiamo vedere anche la nostra crisi. Perché il Vangelo non cambia la mia vita? Perché il Vangelo non cambia il mondo?
Si tratta di quella crisi di fede che è ben raccontata da san Luca nella vicenda dei discepoli di Emmaus.

La parabole del seminatore

  1. La parabola intende rispondere alla delusione e allo scoraggiamento dei discepoli. E’, pertanto, una parabola di incoraggiamento che vuole aiutare a superare la stanchezza, l’abbattimento, il pensiero che stare con Gesù sia tempo perso.
  2. In ogni realtà umana, in ogni impegno bisogna mettere in conto una perdita: questo intende dire il racconto. Il seminatore getta il seme sapendo in anticipo che non tutto il seme produrrà frutto. Ma questa, infruttuosa, non è la parte principale.
    Mettiamoci nel contesto palestinese. Il terreno è abbastanza sassoso e non arato prima della semina, a differenza che da noi. E’ inevitabile, pertanto, che parte del seme cada tra le spine, tra i sassi. Mentre poi il seminatore cammino lungo il sentiero, spargendo il seme parte cadrà proprio sul terreno battuto. Ma la parte più grande cadrà sul terreno buono. Il racconto, quindi, non intende dire il seme cada nella stessa quantità sui quattro terreni differenti.
  3. Protagonista della parabola è “il seminatore”, non un seminatore. E’ chiaro il riferimento al Seminatore per eccellenza che è Dio.
  4. Il punto più importante della parabola è la rendita finale. A noi i dati della parabola fanno poco effetto. Ma scendiamo al particolare della vita contadina. Un quintale di seme può rendere al massimo 10 quintali. Nelle parole di Gesù, invece, si parla di 30 pere cento come minimo, per arrivare al cento per uno. Una quantità sbalorditiva.
    Con la frase “chi ha orecchi intenda” Gesù vuole dire: cercate di capire che cosa ho voluto dire. Nonostante le inevitabili perdite il risultato ci sarà e sarà superiore a ogni attesa.
  5. E’ una parabola di speranza, di grande consolazione. Anche noi a volte pensiamo di aver sprecato tempo, di non avere ottenuto i risultati sperati. La parabola viene a consolarci nella tristezza, recuperando la parola antica di Isaia 55, 10: “Come infatti la pioggia e la neve / scendono dal cielo e non vi ritornano / senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, / 11così sarà della parola / uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”.
  6. La parabola, poi, offre un altro insegnamento.
    Dio semina sempre, senza stancarsi mai. Il fatto che la seminagione cada su terra incolta dice la sovrabbondanza del dono di Dio. Dio spreca sempre in amore. Abbondanza e continuità sono le caratteristiche del modo in cui Dio dona e si dona.
  7. La parabola, poi, nella tradizione cristiana è stata interpretata come una presentazione dei vari modi di accoglienza della parola di Dio. Abbiamo, quindi, due parabole in un certo senso: quella relativa alla situazione storica in cui Gesù l’ha raccontata, quella in cui è stata spiegata nella comunità cristiana.
    Al riguardo vi sono tre diverse difficoltà.
  • il seme che è divorato dagli uccelli è spiegato con la menzione di Satana. Satana mette incomprensione per le vie di Dio. Questa è la sua grande menzogna. E’ la situazione del catecumeno che, come i Dodici, pensano a un Messia vittorioso in modo mondano.
  • la seconda difficoltà descrive la situazione di un’accoglienza della Parola solo esteriore. Manca la profonda adesione personale al Signore.
  • la terza difficoltà consiste nella preoccupazione per la vita presente, le eccessive preoccupazioni che fanno perdere di vista ciò davvero conta (ombre e immagini, la verità).

La parabola del seme gettato
Matteo e Luca non riportano questa breve parabola. Non perché non la conoscessero, ma perché non era decisiva per la comunità a cui si rivolgevano. Erano comunità già mature e un po’ stanche, che avevano bisogno di essere richiamate alla responsabilità.
Marco, invece, scrivendo per dei principianti (i catecumeni) e per una comunità giovane ritiene utile presentare questa parabola che incoraggia e dona fiducia. Bisogna spogliarsi di ogni ansietà.

  1. E’ una piccola storia di salvezza dove si dice cha la grazia produce da sola. Quella parola che Dio ha seminato nel nostro cuore produce messe abbondante, senza che noi sappiamo come.
    E’ vero che bisogna accogliere, rispondere, togliere le pietre, le spine (come si dice nella parabola del seminatore), eppure la parola di Dio ha una potenza automatica, in qualche modo indipendente dalla cura dell’uomo. Bisogna credere alla forza della grazia di Dio. La parola di Dio produce frutto se noi la meditiamo, custodiamo, gustiamo, assimiliamo nel cuore.
  2. Si tratta di superare la spiritualità dello sforzo. Non riesci a fare qualcosa? Sforzati, metticela tutta. In realtà Gesù è venuto non per proporre una vita di sforzo ma una vita ii grazia. La buona notizia è proprio questa: non “devi”, ma puoi”.
  3. Anche l’antica parola fa intendere qualcosa di questa lieta notizia.
    Sal 127,2: “Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore”.
    Perché?
    “Il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno”.
    Il Libro della Sapienza (6,14) dice, riguardo alla Sapienza stessa: “Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta”.

Il granellino di senape
Ciò che costituisce l’interesse principale della parabola non è la piccolezza del seme quanto la trasformazione del seme, che da piccolo diviene grande. Il contadino fa il suo lavoro all’inizio e alla fine, ma il seme di senape cresce da solo. Non è il contadino che deve insegnare al seme come crescere.
C’è una sproporzione tra il punto di partenza e il punto di arrivo. Le cose piccolissime divengono grandissime. Bisogna chiudere gli occhi su ciò che sembra reale per aprirli sulla realtà misteriosa del Regno di Dio. L’occhio della fede.

Contemplazione e azione

  1. Il primato della vita cristiana è dato dall’essere con il Signore. Egli infatti è il grande protagonista della nostra storia personale e della grande storia. Il primato, pertanto, della preghiera.
  2. L’occhio penetrante della fede ci dona la possibilità di vedere dal punto di vista di Dio l’avventura della fede nel mondo.
    – la sovrabbondanza fedele del dono di Dio
    – il dono di una vita nuova
    – la cura da avere nel verificare il nostro terreno
    – la forza di Dio, nascosta agli occhi del mondo
    – la grandezza delle cose piccole
    – ciò che il Signore può fare del nostro piccolo
  3. Essere uomini e donne di speranza perché guardano dal punto di vista di Dio. Ecco la fede!