Omelia – Santa Messa nella III Domenica del Tempo Ordinario, anno C
Domenica della Parola di Dio
Il rito, che oggi ha accompagnato la proclamazione del Vangelo, è stato un po’ diverso dal solito. La proclamazione della parola del Signore, infatti, è avvenuta da un luogo più alto, dal grande ambone della nostra Cattedrale. Oggi nella Chiesa si celebra la giornata della Parola di Dio, e abbiamo inteso celebrarla anche con questo segno che ha attirato la nostra attenzione.
Il segno ci riporta alla mente un testo della Scrittura, laddove, in un bellissimo Salmo, il salmista prega e dice: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e averla fatta germogliare perché dia il seme al seminatore e il pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca».
Oggi, forse, abbiamo capito di più il senso profondo di questo salmo, dal momento che anche visivamente la Parola di Dio è scesa dall’alto ed è venuta in mezzo a noi, come pioggia e neve. Ora, nella misura in cui ciascuno di noi la accoglierà, germoglierà e porterà frutto, facendo diventare la nostra terra feconda di vita.
È proprio bello che conserviamo nel cuore questa immagine, perché ciò che abbiamo visto e vissuto non rimanga solo un rito – sarebbe troppo poco –, ma ci aiuti a vivere giorno dopo giorno, con una nuova consapevolezza e con rinnovata fede, la nostra relazione con la Parola che il Signore ci rivolge: scende dall’alto e viene a noi, è di Dio ed entra nel nostro cuore umano, è piena di vita e di luce e fa germogliare la nostra esistenza, nella misura in cui la accogliamo con fede dentro di noi.
La pagina dal Libro di Neemia ci aiuta in questo senso, ovvero a ritornare alla nostra quotidianità con alcune attenzioni che, certamente, ci permetteranno di accogliere la Parola che il Signore ogni giorno ci rivolge, in modo che possa diventare feconda per la vita.
Consideriamo un primo particolare del testo. Quando lo scriba Esdra (così dice Neemia) apre il libro della Legge, il libro nel quale è scritta la Parola di Dio per il suo popolo, tutto il popolo tende l’orecchio. Questa espressione indica la curiosità, l’attenzione, il desiderio con cui il popolo si mette in ascolto di Dio che parla.
Riflettiamo un momento su di noi e domandiamoci se, quando ascoltiamo la Parola del Signore, quando apriamo il libro delle Scritture, tendiamo l’orecchio, ossia assumiamo un atteggiamento interiore di desiderio e di curiosità, per capire che cosa il Signore vuole dirci attraverso quelle parole, attraverso quella Parola. La Sua Parola non è la parola umana che oggi c’è e domani scompare. No! È la Parola eterna di Dio rivolta proprio a noi. Assumiamo, allora, l’atteggiamento di colui che, ogni volta che ascolta o legge, protende le proprie orecchie, con desiderio, curiosità per capire ciò che Dio, nel suo amore, ha da comunicare.
C’è anche un secondo particolare che ritroviamo di grande interesse nel racconto del Libro di Neemia: il popolo proclama a una sola voce “Amen, Amen”. Poi tutti si prostrano. Esclamazione e gesto esprimono qualcosa di molto particolare. Questo popolo, infatti, non soltanto ascolta con desiderio e con curiosità, ma vuole anche in ogni modo dire “Sì” a quella parola, farla propria, permetterle di entrare nella vita cosicché cambi e trasformi il cuore.
Ci chiediamo se la nostra relazione quotidiana con la parola che Dio ci rivolge è proprio questa: ovvero se anche noi diciamo “Sì” col cuore e non soltanto con le labbra, se anche noi esprimiamo la volontà decisa e ferma di fare di quella Parola la luce che illumina tutto, il criterio in base al quale vivere e morire, il principio di ogni scelta e di ogni nostra decisione.
Un terzo particolare: nel momento in cui Esdra apre il libro, tutti si alzano in piedi. Alzarsi in piedi significa prontezza, significa compiere un gesto che mette in condizione di camminare. Quel popolo non soltanto ascolta con desiderio, non soltanto esprime la propria volontà di fare della parola di Dio la vita della sua vita, ma esprime anche la volontà di mettersi in cammino, cioè di procedere, di andare dietro a quella Parola, di lasciarsi portare, di fare di quella Parola il sentiero della vita.
Ci domandiamo se noi, ogni giorno, quando ascoltiamo, leggiamo, entriamo in relazione con la Parola che il Signore ci rivolge, ci alziamo spiritualmente in piedi, ci alziamo per esprimere un desiderio e una volontà di cominciare a camminare dietro quella Parola, di abbracciare la volontà di Dio che in quella Parola si esprime, di crescere insieme a quella Parola che ascoltiamo e che entra nel nostro cuore. Ci domandiamo se è in noi il desiderio di progredire nella nostra esperienza di fede, per un cammino di santità.
C’è ancora un quarto particolare. Mentre ascolta la lettura del testo sacro, il popolo piange, versa lacrime, e nello stesso tempo si sente richiamato alla gioia. Sono forse questi, due atteggiamenti contraddittori? La risposta è: no!
Nel Libro dell’Apocalisse ascoltiamo una frase molto interessante. Quando il protagonista della narrazione è invitato a ingoiare il rotolo che contiene la Parola di Dio, due sono le esperienze che egli fa: avverte che quella parola è amarissima, ma nello stesso tempo è dolcissima; fa piangere, ma consente anche una grande gioia.
Perché questo accade? Perché quella Parola chiama a conversione, mette in luce il peccato presente nella nostra vita, mette a nudo ciò che di noi e in noi non è secondo la volontà di Dio. E induce, pertanto, alle lacrime e al pianto di pentimento e di compunzione. Il cuore, però, avverte che quella Parola lo riempie, che diventa il senso della sua vita, che lì c’è il tutto e di più rispetto a ciò che cerca. Ed ecco, allora, la gioia.
Domandiamoci se per noi, ogni giorno, la relazione con la Parola che il Signore ci dona provoca pianto e gioia; pianto perché ci invita a cambiare, pianto perché ci fa capire che siamo ancora distanti da quanto il Signore ci chiede; ma gioia, perché avvertiamo che in quella Parola c’è il tutto, in sovrabbondanza, di quello che il cuore di tutti noi cerca e desidera.
Il testo di Neemia ci dona questi quattro particolari, che vogliamo portare con noi, perché la Giornata della Parola di Dio non sia soltanto una giornata, ma sia il momento forte di un cammino che prosegue nell’ordinarietà della vita, cosicché ogni giorno per noi la Parola che ascoltiamo da Dio sia come quella pioggia e quella neve che scende dal suo Cuore, entra nel nostro cuore, ci cambia la vita e la rende bella della bellezza di Dio.
C’è però ancora un particolare da sottolineare. Abbiamo ascoltato nella pagina del Vangelo che gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Fissi su chi? Su Gesù. Per noi la Parola non è soltanto parola, non è soltanto voce. Noi non siamo discepoli né di una parola, che va e che viene, e neppure di un libro. Noi siamo discepoli di un Vivente, di Cristo Risorto, che è la Parola eterna di Dio, fatta carne per noi. Quando entriamo in relazione con la Parola di Dio, noi entriamo in relazione con il Signore Gesù, che ha un volto, ha un cuore, ha degli occhi, è il Vivente per sempre che incontra e salva la nostra vita.
Oggi, certo, è la giornata della Parola di Dio, ma questa giornata l’avremo vissuta bene, fino in fondo, se quando si rinnoverà il Sacrificio Redentore qui sull’altare e quando riceveremo il Corpo del Signore, diremo: «Ecco, Tu sei la Parola eterna di Dio, Tu sei colui che incontro quando ascolto la Parola di Dio, Tu sei la salvezza che quella Parola mi trasmette e mi dona, Tu sei la vita della mia vita che in quella parola risuona».
Ancora una volta, dunque, anche in questa giornata, noi vogliamo dire al Signore: «Tu sei la Parola di vita eterna, Tu sei il tutto per me. Grazie perché Ti sei fatto parola umana, perché io potessi ascoltarti, e potessi incontrarti, come l’amore della vita che tutto salva, tutto redime».