Omelia – Solennità di Tutti i Santi

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Omelia – Solennità di Tutti i Santi

Solennità di Tutti i Santi
Tortona, Cattedrale.

In questi giorni mi è tornato tra le mani uno scritto della Madre Anna Maria Canopi, una monaca benedettina molto conosciuta, fondatrice del monastero di San Giulio, sul lago d’Orta. In questo scritto la Madre Canopi ricorda la gioia che provava, ogni anno, nel festeggiare il pio transito di san Benedetto, dandone il motivo. La data del pio transito di Benedetto è il 21 marzo e la badessa benedettina annota che le piaceva molto la relazione tra san Benedetto e l’inizio della primavera. Tale abbinamento, infatti, le ricordava come la santità di Benedetto, e più in generale la santità, fosse in relazione con la primavera. La santità, sottolinea Madre Canopi, è la primavera della vita, la santità è il rinnovarsi della vita, la santità è come l’aurora di quell’eterna primavera che ciascuno di noi potrà sperimentare nell’abbraccio eterno di Dio in paradiso.

È un’annotazione semplice, ma molto bella, che ci aiuta a entrare dentro il significato della solennità di Tutti i Santi, una ricorrenza liturgica tanto significativa per il nostro cammino cristiano. Il santo è colui che già qui sperimenta la bellezza della primavera della vita, è colui che già qui sperimenta la bellezza del rinnovarsi della vita; e, allo stesso tempo, pregusta quell’eterna primavera a cui è destinato per sempre e che gli è promessa da Dio.

Ecco perché oggi, nella pagina del vangelo, abbiamo riascoltato le Beatitudini. Ciascuna beatitudine inizia con una parola bellissima, la parola “beati” ovvero “felici”. La santità è beatitudine, la santità è felicità, la santità è gioia traboccante. Perché? Perché nella santità si fa esperienza della primavera della vita, del rinnovarsi intimo, integrale dell’esistenza. Perché questo accade? Perché il santo accoglie in sé Colui che è l’eterna primavera, Colui che è il rinnovarsi della vita del mondo: Gesù Cristo e la sua stessa vita. Ecco perché il santo sperimenta la primavera della vita, ecco perché il santo sperimenta il rinnovarsi della propria esistenza e del proprio cuore, ecco perché il santo è felice, beato, gioioso di una gioia straripante, traboccante: perché ha in sé Colui che è la primavera eterna, la vita vera, il Salvatore Gesù Cristo.

Oggi, tutti noi vogliamo lasciarci ancora una volta catturare da tanta bellezza e soffermarci per un momento a considerare che cosa, nel concreto dell’esistenza, questa primavera di vita significa per ciascuno di noi. A tal fine è utile sottolineare che una tale primavera è sperimentata dal santo in virtù di un triplice dono, che egli accoglie in sé e alla luce del quale vive la sua esistenza terrena.

Il primo dono. Ne ha parlato la pagina di san Giovanni: “Noi siamo figli di Dio”. Il santo accoglie dal Signore questo dono mirabile: scopre di essere figlio, scopre di essere figlio amato, figlio voluto, figlio custodito, figlio curato, figlio accompagnato. Egli scopre che il Cielo che è sopra di lui non è oscuro e vuoto o, addirittura, concorrente; è, invece, un cielo luminoso, pieno di una presenza amica e alleata. Il santo scopre di essere dentro una paternità bellissima, una paternità che lo ha voluto, lo accompagna, lo attende; una paternità di amore infinito, che avvolge la sua vita dall’inizio alla fine, in ogni suo passo e in ogni istante del suo cammino. Il santo vive la primavera della vita in una gioia traboccante perché si scopre figlio nel Figlio: figlio amato, figlio atteso, figlio voluto, custodito e accompagnato. Figlio!

Il secondo dono. Il santo si scopre anche fratello, in virtù della vita di Cristo in sé. Abbiamo ascoltato nella pagina dell’Apocalisse parlare di una moltitudine. I santi non vengono presentati individualmente, vengono presentati come una moltitudine, come una comunità, come una famiglia.

Il santo scopre che l’aver accolto il Signore in sé lo ha reso capace di una fraternità, di una comunione, di relazioni amiche che prima gli era impossibile vivere e sperimentare. Il santo scopre di essere parte di una famiglia, di una comunione, di una rete di amicizia che mai viene meno e che accompagna e sostiene il cammino della vita. Il santo scopre di non essere solo, ma di essere dentro una comunione bellissima che accompagna, dall’inizio alla fine, il percorso dell’esistenza. Il santo avverte che tutto questo è solo una pregustazione di quella comunione perfetta e senza fine che sperimenterà in paradiso.

Il terzo dono. Il santo, a motivo del suo incontro con Cristo e della vita di Lui in sé, scopre di essere salvato. Sì, salvato! Salvato dal male e dal peccato, perché c’è una misericordia che lo perdona; salvato dalla morte, perché c’è una promessa di risurrezione che lo accompagna; salvato dallo smarrimento, perché c’è un significato nuovo e profondo nel cammino dell’esistenza che scopre. Salvato!

Il santo vive la primavera della vita e vive la gioia esuberante a motivo del fatto che scopre in sé questo triplice dono: è figlio amato da un Padre che – usiamo pure questo termine – ha “perso la testa” per lui; è fratello in una comunione bellissima, in una famiglia, in una rete di amicizia che non lo abbandona mai; è salvato dal peccato, dalla morte e dal non senso dell’esistenza.

Non ci è difficile capire perché il santo, che accoglie in sé questo triplice dono, sperimenta la freschezza della vita e il motivo autentico della gioia. Nell’esperienza umana che cosa c’è di più terribile e triste di sentirsi soli perché non amati, di sentirsi soli perché non figli, di sentirsi soli perché isolati nella solitudine, di sentirsi soli e smarriti perché in preda alla paura del male e del peccato, che appesantisce il cuore, e della morte, che bussa alle porte della vita come l’ultima parola sull’esistenza? Tutto questo il santo lo ha superato e vinto in Cristo Signore, Colui che lo ha reso figlio, Colui che lo ha reso fratello, Colui che lo ha salvato.

Quello che riguarda i santi – lo capiamo bene – riguarda anche noi, perché siamo santi nella misura in cui accogliamo la vita del Signore. Se la Sua vita è in noi, allora condividiamo la grazia di sperimentare che siamo figli, che siamo fratelli, che siamo salvati e, dunque, l’ebrezza della vita e quella gioia che nessuno ci può togliere. Oggi, noi chiediamo una grazia: di poter fare questa esperienza come la fanno i santi, di poter essere anche noi, come loro, santi.

C’è un ultimo aspetto che siamo chiamati a ricordare. La santità riguarda soltanto noi? No! Un discepolo di san Benedetto, il cui nome era san Placido, diceva: “Colui che solleva sé stesso, con sé solleva il mondo”. È così! Qual è l’unica realtà che autenticamente solleva il mondo, che porta nel mondo una ventata di primavera, che porta nel mondo l’esperienza di una vita davvero nuova, bella e felice e che, dunque, collabora alla salvezza del mondo? Chi è? È esattamente il santo, è la santità.

Nella misura in cui, pertanto, ci lasciamo coinvolgere nell’avventura della santità, ci poniamo nel cuore e nel centro del mondo, nel cuore e nel centro delle nostre città, nelle cuore e nel centro della nostra Tortona, come collaboratori autentici della primavera, della gioia, della salvezza. Perché nella misura in cui solleviamo noi stessi, lasciandoci portare dentro l’esperienza della santità, solleviamo anche l’intero mondo. Non ce lo dimentichiamo!

Oggi, dunque, chiediamo la grazia di seguire le orme dei santi. E chiediamo anche la grazia che tanti possano sperimentare la salvezza e la bellezza che deriva dalla santità. Chiediamo, infine, l’aiuto dei santi: camminino sempre con noi e ci portino per mano. Non ci facciano mai perdere di vista il cammino della santità, il cammino dentro la primavera della vita, il cammino dentro la gioia vera dell’esistenza umana.

Trascrizione da registrazione audio