Omelia – XVIII Domenica – anno B

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Omelia – XVIII Domenica – anno B

A CONCLUSIONE DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI DELLE SUORE RAVASCO E PER LA RINNOVAZIONE DEI VOTI

 

XVIII Domenica del Tempo Ordinario

La liturgia di questa domenica, con le letture che ci sono state proposte, si addice provvidenzialmente bene alla triplice circostanza che siamo chiamati a vivere nel giorno del Signore. Anzitutto la chiusura del corso di esercizi spirituali e poi la rinnovazione comunitaria dei voti religiosi, con particolare ricordo per Sr. Annamaria e Sr. Lucilla che celebrano il loro 50° anniversario di professione religiosa.

La pagina del vangelo di Giovanni (6, 24-35) ci è ben nota. Il Signore Gesù si presenta come il Pane della vita, come Colui che pone fine alla fame di vita e di senso della vita che è presente nel cuore di ogni uomo. Lui, infatti, è la risposta sovrabbondante ad ogni nostro desiderio. Davvero, come i santi ci insegnano, dove c’è Cristo non manca più nulla, perché Cristo è il tutto della vita. Quest’oggi, dunque, vogliamo riaffermare questa verità nel momento in cui prendiamo la strada del ritorno alle nostre case. Cristo ci basta, non abbiamo bisogno di altro! Lui e solo Lui è e deve essere il senso della nostra esistenza quotidiana! Ed è bello che questa verità la riaffermiamo tutti insieme nel momento in cui rinnoviamo la nostra consacrazione.

La seconda lettura, quella in cui Paolo si rivolge agli Efesini (4, 17.20-24), ci pone di fronte a una triste eventualità che può riproporsi nell’esperienza spirituale di ciascuno di noi. Quella di tornare a pensare secondo il mondo – l’Apostolo parla di paganesimo – e non secondo Cristo. Pensare secondo il mondo significa non trovare più in Cristo le ragioni del vivere e non trovare più in Lui i criteri del pensare e del giudicare, ma nel mondo secondo l’uso dei pagani. La sottile linea che divide il pensare di Cristo dal pensare mondano passa attraverso il nostro cuore. Per questo dobbiamo sempre vigilare perché sia la fede in Cristo e solo questa il criterio del nostro pensare e del nostro agire. E dobbiamo chiederci: sto vivendo alla luce della fede? Sto accogliendo questo fatto della vita nella luce della fede? Sto giudicando secondo la fede? Insomma, sempre e comunque devo domandarmi se la fede è il criterio dell’esietenza. La motivazione di tutto deve essere sempre la fede nel Signore Gesù. Alla fine degli esercizi, nei quali a lungo ci siamo soffermati sulla vita secondo la fede, è importate che ritorniamo su questo aspetto della nostra vita. Il nostro quotidiano possa essere, senza tentennamenti e interruzioni, un vivere secondo la fede. E la nostra consacrazione possa essere da noi rilanciata proprio alla luce di questo proposito.

Ritornando, ora, alla prima lettura (Es 16, 2-4.12-15), la nostra attenzione va a quel momento critico della vita dell’antico popolo di Dio, quando coloro che avevano avuto esperienza diretta della grandezza dell’amore provvidente di Dio provano nostalgia per la schiavitù dell’Egitto. Insano e tragico momento, quello di Israele. Aveva toccato con mano la potenza provvidente del Signore; aveva fatto esperienza di essere nel cuore del suo Dio. E nonostante questo avverte nostalgia per il tempo della schiavitù, per il tempo in cui Dio non era alla guida della sua esistenza. Quanto è accaduto a quell’antico popolo può accadere anche a noi. Non è forse vero che in talune circostanze avvertiamo la nostalgia per quello che un giorno abbiamo abbandonato? Non è forse vero che a volte vorremmo riappropriarci di ciò di cui un giorno ci siamo liberati per amore del Signore? Il mondo con le sue lusinghe bussa alle porte della nostra vita e noi dimentichiamo la bellezza ineguagliabile dell’amore di Dio e la gioia di vivere per Lui e per Lui solo. Oggi, al termine degli esercizi spirituali, riaffermiamo la volontà decisa di non voltarci indietro per guardare con nostalgia alla terra del nostro Egitto spirituale; promettiamo di voler guardare avanti al Signore e alle sue promesse senza voltarci indietro secondo l’atteggiamento che Gesù dichiara essere il solo degno di chi è fatto per il Regno dei cieli. E lo ridiciamo tutti insieme nel momento in cui rinnovare la consacrazione significa rinnovare anche la volontà di uno sguardo sempre proiettato su Cristo e mai più rivolto alle cose di questo mondo, che Paolo definisce povera spazzatura.

Tre ultime consegne che si addicono alla conclusione degli esercizi spirituali e alla grazia della rinnovazione dei voti.
Sant’Alfonso, nel corso delle sue letture, era rimasto colpito da una frase di San Bernardo. Il grande dottore della Chiesa affermava di sé: “Amo amare, amo essere amato, amo l’Amore”. Possa essere anche nostra questa dichiarazione di amore a Dio. Possa essere vita della nostra vita questo desiderio appassionato e potente di amore a Cristo.
San Giovanni della Croce, rivolgendosi proprio a delle religiose, affermava con il pianto nel cuore: “O anime che siete chiamate a vette così alte, in che cosa vi attardate, in che cosa vi distraete, da che cosa vi lasciate sedurre…?”. Anche noi, anime chiamate alle vette alte e splendide dell’amore totale per Cristo, da che cosa ci lasciamo distrarre, da che cosa sedurre? Non attardiamoci! Corriamo, voliamo nella via di Cristo, nella via che è Cristo!

E infine. Oggi siamo chiamati ad avvertire un grido. Quel grido che proviene dal cuore profondo del mondo, dal cuore della Chiesa, dal cuore di ciascuno di noi. Questo grido chiede con insistenza e supplica: “Radicalità!”. Sì, la radicalità nell’amore a Gesù la implora il mondo, perché il mondo ha bisogno di vedere e rimanere affascinato da una tale radicalità. La radicalità nell’amore a Gesù la implora la Chiesa, che ha bisogno di anime consacrate che richiamino la bellezza di vivere solo per Cristo. La radicalità nell’amore a Cristo la implora il nostro cuore, perché è questo cuore che ne ha bisogno per essere davvero e pienamente felice.

Sintesi dal parlato