Tortona, Cattedrale.
Ascoltando la parola di Dio che la celebrazione ci offre, ci accorgiamo che san Giuseppe è inquadrato dentro tre relazioni. La prima è quella che riguarda Davide: la prima lettura ci ha parlato proprio del re Davide; la seconda è quella che riguarda il patriarca Abramo: la seconda lettura dell’apostolo Paolo ci ha parlato proprio di Abramo; la terza è quella che vede Giuseppe in rapporto con Maria e Gesù, e di questo ci ha parlato il Vangelo. Perché san Giuseppe, oggi, nel giorno in cui celebriamo la sua festa, è da collocare in relazione a Davide, Abramo, Maria e Gesù? Rispondiamo a questa domanda.
Che cosa si dice a proposito di Davide? Si dice che Dio gli promette un trono che durerà per sempre. Lui è un re, ma sa che dovrà morire; umanamente è incerto ciò che avverrà dopo di lui, ma Dio gli promette: «Ti darò un trono che durerà per sempre». E Davide spera. La speranza di Davide è come raccolta da Giuseppe, con il quale la promessa di Dio trova realizzazione e compimento, perché in Gesù – che Giuseppe accoglie come padre da parte di Dio – il trono che dura per sempre trova realizzazione vera, autentica. Giuseppe ha preso in consegna la speranza di Davide e questa speranza, davanti ai suoi occhi, è divenuta realtà. Perché allora consideriamo san Giuseppe in rapporto a Davide? Perché per noi Giuseppe è l’esempio di colui che vive di speranza; ma non di una speranza simile a un’attesa vaga, dubbiosa. No! Giuseppe vive di un’altra speranza: la speranza come certezza della promessa di Dio che troverà compimento, di una promessa di bene che Dio ha assicurato.
Davide, prima, e Giuseppe, poi, hanno vissuto questa speranza: hanno atteso, nella certezza che il bene promesso da Dio avrebbe trovato compimento. E così è stato! Giuseppe è davanti noi, oggi, come l’uomo della speranza.
Giuseppe l’abbiamo anche visto in relazione al grande patriarca Abramo. Perché? Di Abramo si dice che è stato “padre nella fede”, perché si è fidato del Signore in tutto e per tutto; la parola che il Signore gli ha detto l’ha vissuta, l’ha fatta sua, l’ha accolta nel cuore. Ha detto “sì”! Non ha dubitato mai di quanto Egli diceva. Giuseppe ripropone in sé proprio la fede di Abramo, perché Giuseppe ha detto “sì” al Signore, fidandosi. Il progetto di Dio non era facile da accogliere, eppure Giuseppe non ha avuto un attimo di perplessità e di dubbio. Ha detto: «Sì! Va bene quello che tu mi dici, il progetto che mi metti davanti, il disegno che riguarda la mia vita. E non solo: io, questo disegno, lo abbraccio senza dubitare neanche un istante». Giuseppe, allora, oggi, è davanti a noi come l’esempio dell’uomo della fede.
Poi c’è una terza relazione che è quella per la quale Giuseppe vive è in rapporto con Maria e Gesù. E questo rapporto con Maria e Gesù, Giuseppe lo vive con uno slancio di amore straordinario. Egli è stato chiamato a custodire lei e lui, a preoccuparsi di loro, a servirli, a non lasciarli mai. Li ama: con tutto sé stesso, ama Gesù, il figlio di Dio che gli è stato consegnato e ne è custode. Ama Maria, la madre di Gesù, la madre di Dio che deve, con tenerezza, custodire. E così, in questa esperienza di amore bellissima, Giuseppe è davanti a noi come l’esempio dell’uomo dell’amore.
Capiamo così il motivo per cui oggi, nella sua festa, Giuseppe lo troviamo in questa triplice relazione: con Davide, perché è l’uomo della speranza; con Abramo, perché è l’uomo della fede; con Maria e Gesù, perché è l’uomo dell’amore.
Vogliamo, ora, fare un passo avanti. Che cosa accadrebbe se la nostra vita personale fosse, davvero, una vita di fede, di speranza, di carità? Che cosa accadrebbe se la nostra vita personale procedesse con fiducia nei riguardi di Dio, con la certezza che sulla nostra vita c’è una promessa di bene che trova sempre compimento, con l’amore trasmesso attorno a noi, sempre e a tutti? Che cosa accadrebbe nella nostra vita?
La stessa domanda ce la dobbiamo rivolgere anche in relazione al nostro lavoro, al mondo del lavoro. Che cosa accadrebbe se, nel nostro lavoro e nel mondo del lavoro, si vivesse maggiormente con fede, ovvero certi che il lavoro fa parte di una vocazione a cui siamo chiamati, che la grande vocazione alla vita conosce anche la vocazione specifica, che è quella del lavoro? Nella convinzione che il lavoro non è un caso, non è un peso, non è una necessità senza perché, ma una vocazione che Dio ci dà donato e all’interno della quale ci realizziamo compiutamente come uomini e donne.
Che cosa accadrebbe al nostro lavoro, al mondo del lavoro, se venisse abitato di più dalla speranza, ovvero dalla certezza che il lavoro contiene dentro di sé una promessa di bene per noi e per le realtà lavorative, da toccare con mano e scoprire ogni giorno? E che cosa accadrebbe se il nostro lavoro e il mondo del lavoro fossero abitati di più dall’amore? Sì, dall’amore, così che il lavoro possa diventare offerta di amore al Signore e occasione per stabilire relazioni di amicizia, solidarietà, dono?
Che cosa accadrebbe a noi lavoratori, lavoratrici? Che cosa accadrebbe alle nostre realtà lavorative, aziende, industrie, uffici? Certamente sperimenteremmo anche di più ciò che si dice di san Giuseppe che, con il suo lavoro, ha collaborato all’attività creatrice di Dio. Perché il lavoro, nella misura in cui è vissuto nella fede, nella speranza e nell’amore, diventa una collaborazione all’opera del Creatore, che ci ha donato il lavoro perché, attraverso il lavoro, noi potessimo plasmare, far progredire la sua creazione e la vita su questa nostra terra. Come per Giuseppe, per noi il lavoro diventerebbe anche una forma di collaborazione alla nostra redenzione, perché un lavoro vissuto nella fede, nella speranza e nell’amore sarebbe per ciascuno un cammino di redenzione e di novità di vita.
Torniamo, ora, alla pagina del Vangelo: Si dice che Maria e Giuseppe smarriscono Gesù, non lo trovano, durante il viaggio di ritorno da Gerusalemme. E allora – sottolinea la pagina evangelica – furono presi da angoscia, ansia, turbamento. Questo stato d’animo prende anche tutti noi quando il Signore sparisce dalla nostra vita, quando il Signore lo abbandoniamo, ce ne dimentichiamo, lo mettiamo in un angolo. Ma se questo accade alla nostra vita personale, questo accade anche al lavoro, al mondo del lavoro. Perché il mondo del lavoro, a volte, appare offuscato nella sua identità più vera? Perché il mondo del lavoro, a volte, non è il luogo nel quale, davvero, ritroviamo noi stessi e la nostra vocazione? Perché il lavoro diventa spesso luogo di asservimento e di abbruttimento? Non perché c’è Dio e, con Lui, la fede, la speranza e l’amore; ma perché noi Dio lo abbiamo dimenticato, lo abbiamo messo da parte, lo abbiamo abbandonato; perché abbiamo immaginato che, senza di Lui, avremmo potuto fare di meglio e di più, toccando, poi, con mano la cocente delusione da quella effimera illusione!
Dio non è contro l’uomo e, dunque, non è mai contro il lavoro, ma è sempre per l’uomo e, dunque, anche per il lavoro. Non avremo un mondo del lavoro migliore, se estrometteremo la presenza di Dio. Avremo un mondo del lavoro migliore, se questa presenza sarà accolta e diventerà per tutti quelli che, a diverso titolo, vi operano, sorgente di fede, speranza, amore. Solo così diventerà davvero migliore! Allora, tra l’altro, l’uomo sarà al centro del lavoro, al centro delle scelte fatte in ambito lavorativo e non uno strumento o un mezzo di cui servirsi per altro. Là dove c’è Dio, l’uomo è al centro! Là dove c’è Dio, l’uomo è considerato in tutta la sua dignità! Là dove c’è Dio, non può essere ammessa la dimenticanza dell’uomo e il suo asservimento ad altro, non può essere tollerato ciò che si oppone al bene umano autentico, personale e sociale.
Viviamo il Giubileo, e dobbiamo ammettere che Dio, a volte, l’abbiamo dimenticato, l’abbiamo lasciato da parte, l’abbiamo messa in un angolo, l’abbiamo considerato un ostacolo per la nostra vita personale e anche per il nostro mondo lavorativo. E dobbiamo riconoscere proprio qui, adesso, che questa è stata ed è sempre una grande stoltezza. E, come Maria e Giuseppe, vogliamo metterci in cammino, correre per ritrovare il Signore che abbiamo dimenticato, messo da parte, da cui ci siamo allontanati.
Basta timore di Dio! Basta diffidenza su Dio! Basta indifferenza nei confronti di Dio! Basta pensare che Dio sia un’antagonista per l’uomo e per il suo lavoro! Lui, e Lui solo, è davvero il grande alleato di cui non aver paura, perché il suo desiderio altro non è che quello di renderci collaboratori, redimerci, salvarci. Egli vuole solo il nostro bene personale e sociale e, dunque, anche lavorativo
Voi sapete che ho avuto la grazia di vivere a Roma per diversi anni e servire da vicino gli ultimi due Papi. Ricordo che, ogni qualvolta mi recavo da Papa Francesco nel suo appartamento, vedevo una statuina di san Giuseppe, di cui è molto devoto. Ciò che mi sorprendeva era il fatto che quella statuina rappresentava san Giuseppe che dormiva. Ricordo che un giorno mi feci coraggio e gli chiesi: «Padre Santo, che cosa significa questa statua di Giuseppe che dorme?» E il Papa mi spiegò che, quando era in Argentina, aveva iniziato a vivere la devozione a Giuseppe che dorme e sogna. Il Papa, poi, aggiunse: «Io sono tanto devoto di san Giuseppe che dorme, che sta sognando; tutte le volte che qualcuno mi porta un’intenzione di preghiera faccio un bigliettino e lo metto sotto la testa di san Giuseppe, perché so che san Giuseppe, che è custode premurosa, provvede a presentarla al Signore».
Ecco, io penso che tutti noi, nei luoghi del nostro lavoro, dovremmo avere un san Giuseppe. E sapete quale dovrebbe essere il bigliettino particolare da collocare sotto il capo di san Giuseppe? Ciò che ci ricordava don Costantino all’inizio: “Fa’ in modo Signore – per intercessione di san Giuseppe – che il mio lavoro sia sempre benedizione per me e per gli altri”.
Pensate come sarebbe bello se, da questa sera, prendessimo questa risoluzione: di avere tutti un piccolo san Giuseppe, sotto il quale deporre questa grande intenzione: che ci riguarda personalmente, ma anche, come uomini e donne che quotidianamente lavorano.
Ci affidiamo tutti a San Giuseppe, perché il lavoro di noi che siamo qui, il lavoro di tutti coloro che sono sul territorio della nostra Diocesi, sia sempre un lavoro in benedizione, per sé e per gli altri. E – lo ripetiamo ancora una volta –: sarà così solo se Dio sarà con noi anche nel luogo del lavoro.
Trascrizione da registrazione audio