Voghera. Duomo san Lorenzo.
È Sempre particolarmente bello e suggestivo il gesto che il Vescovo compie nelle grandi solennità liturgiche: il gesto di benedire tutti i presenti con il libro dei Vangeli. È un gesto che abbiamo ripetuto anche oggi. Ma qual è il significato profondo di questo gesto? Significa la richiesta al Signore che la sua Parola, risuonata in mezzo a noi, possa imprimersi davvero nel cuore e nella vita, possa lasciare traccia di sé, divenga luce calda che accompagna il cammino della nostra esistenza.
Noi, pertanto, dopo aver ascoltato la Parola che il Signore ci ha rivolto, desideriamo ancora un attimo sostare, con il desiderio di entrarvi più dentro e, soprattutto, con il desiderio che questa Parola possa davvero imprimersi nella nostra vita, benedirla, segnarla di sé.
Quando celebriamo la grande solennità dell’Ascensione, non dovremmo mai dimenticare tre parole, risuonate oggi nella liturgia della Parola.
La prima parola è presenza.
Può sembrare strano, oggi, nel giorno in cui facciamo memoria del momento in cui il Signore pare allontanarsi dai suoi, parlare di presenza, della Sua presenza. In realtà, la Parola di Dio non parla di allontanamento, ma sottolinea che Gesù, nel giorno dell’Ascensione, si sottrae ai loro occhi: non si allontana, ma non è più visibile con gli occhi del corpo. Accade però qualcosa di straordinario. Da quel momento in poi, infatti, Gesù risorto non sarà più soltanto localizzabile in un punto della nostra terra e del nostro mondo. È e sarà presente in mezzo a noi ovunque, fino alla fine del tempo.
Quel Gesù che era stato visto con gli occhi del corpo, ora noi lo vediamo, lo contempliamo, ne gustiamo la presenza con gli occhi della fede, perché Lui è dentro di noi, Lui è in mezzo a noi, Lui è, in particolare, nell’Eucaristia, Lui è nella sua Parola, Lui è nella comunità che si raduna, Lui è nel volto del povero e del bisognoso. Lui è! Ecco, la presenza di cui ci parla la solennità dell’Ascensione. Il Signore non si è allontanato, ma si è reso ancor più vicino a noi, in un modo straordinario. E questa sua vicinanza, la fede la tocca con mano.
Oggi siamo qui per riaffermare: Signore, tu sei con noi. Tu sei presente nella nostra vita. È proprio vero ciò che tu hai promesso: “Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.” Lui è, Lui c’è, risorto e vivo.
La seconda parola è testimonianza.
Il Figlio di Dio è venuto in mezzo a noi per far risuonare il Vangelo, ovvero la buona notizia della salvezza, la buona notizia dell’amore di Dio che sottrae la nostra vita al dramma della morte, del peccato e del non senso. Viene in mezzo a noi come Salvatore. Ma, nel momento in cui Egli ascende al cielo, a noi è consegnata la grazia di rendere testimonianza, di essere suoi testimoni; la grazia di camminare, di percorrere le strade del mondo per far risuonare, oggi e sempre, fino all’ultimo giorno di questo tempo terreno, la gioia dell’annuncio che salva l’uomo. La gioia dell’annuncio che dice: la morte è vinta per sempre. La gioia dell’annuncio che dice: il peccato è perdonato una volta per tutte. La gioia dell’annuncio che afferma: la vita davvero ha un senso ed è bella, perché è tutta segnata dall’amore di Dio che l’avvolge dall’inizio alla fine.
E di questo noi siamo testimoni. Dal giorno dell’Annunciazione si apre la storia della nostra testimonianza di Lui, della nostra testimonianza del Vangelo, della nostra testimonianza della salvezza che ci è stata donata in Gesù Cristo, Figlio di Dio, risorto da morte.
La terza parola è speranza.
Speranza è una parola che, sulle nostre labbra, risuona tante volte ma, purtroppo, spesso risuona sulle nostre labbra depauperata del senso grande, nuovo, straordinario che ha nel linguaggio cristiano. La speranza, per chi vive di fede, non è un vago attendere qualcosa che non si sa se si realizzerà, ma è l’attesa certa di qualcosa che si sa troverà compimento. Questa è la speranza cristiana.
E l’Ascensione ci parla di speranza: il Signore è salito al cielo a preparare un posto per noi nell’abbraccio eterno di Dio, nella felicità senza fine dell’eternità. E noi attendiamo quel posto con certezza. Questa è la speranza che discende dall’Ascensione: quel Gesù, anche nella sua umanità, è presso Dio, è nell’abbraccio eterno del Padre; e lì, con Lui e in Lui, c’è un posto per ciascuno di noi.
Non c’è più il dubbio su ciò che sarà. Non c’è più il dramma di non capire, di non pensare, di non sapere che cosa accadrà al di là di questa vita terrena. No: c’è una attesa certa, perché fondata sulla promessa di Dio, che ci apre le porte del paradiso e ci prepara un posto nell’abbraccio eterno del Suo amore.
Ecco, le tre parole che declinano la bellezza della solennità dell’Ascensione: presenza, perché il Signore è con noi sempre; testimonianza, perché abbiamo la grazia di poter far risuonare, in questo mondo, in questa nostra città, l’annuncio della salvezza e di Lui che è Salvatore; speranza, perché siamo certi del paradiso, dell’eternità che ci attende come amore senza fine nell’abbraccio paterno di Dio.
Ecco perché, come ci è stato ricordato all’inizio da don Marco, oggi la liturgia fa riecheggiare tante volte la parola gioia. Sì, siamo nella gioia: perché Lui è presente, perché possiamo parlare di Lui, perché abbiamo la speranza.
Sarebbe proprio bello se oggi, uscendo da questo Duomo, sul volto di tutti noi potesse risplendere la gioia vera, quella che ci dona l’incontro col mistero dell’Ascensione del Signore. E che questa gioia la potessero vedere tutti, la potessero contemplare tutti, ne potessero rimanere stupiti tutti, tanto da domandarsi: Com’è possibile una gioia così sul volto di quest’uomo, di questa donna, di questo giovane, di questo malato, di questo bambino? Com’è possibile?
È possibile. È possibile perché noi abbiamo celebrato l’Ascensione e, con l’Ascensione, abbiamo gustato la verità della sua presenza, della nostra testimonianza, della speranza che accompagna il cammino della nostra vita. Sia davvero grande, debordante, luminosa, splendente la gioia nel nostro cuore, la gioia sui nostri volti, la gioia nella nostra vita.