Domeniche e Solennità – Anno A

Home / La Parola della Domenica / Anno A - B - C / Domeniche e Solennità – Anno A

Domeniche e Solennità – Anno A

 

I Domenica del Tempo di Avvento
Siamo in Avvento! E’ un tempo così bello, questo, nel corso dell’anno liturgico; soprattutto quando lo viviamo ascoltando con attenzione le parole di speranza degli antichi profeti, gli inviti alla vigilanza presenti nelle pagine evangeliche, la preghiera lieta della Chiesa che attende la venuta del suo Salvatore.
“Andiamo con gioia incontro al Signore”, ripetiamo in questa Domenica. Qual è il motivo di una tale letizia? Il profeta scorge un tempo nel quale Dio visiterà il suo popolo, la terra sarà toccata dal cielo e tutto si rinnoverà, diventando bello e luminoso. “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci”.
L’Avvento è il realizzarsi di questa profezia! Non siamo più nell’attesa vissuta dai profeti. Siamo in quella pienezza del tempo nel quale Dio davvero ha visitato il suo popolo, il cielo ha toccato la terra. In Gesù la salvezza della verità che è amore è stata donata a tutta l’umanità. In Gesù è la vera bellezza del mondo! Solo dove egli è accolto è possibile deporre la veste del lutto e dell’afflizione, e tutto si riveste di splendore. Lasciare il Signore ai margini della vita è la sventura più grande che possa capitare all’uomo e alla società.

II Domenica del Tempo di Avvento
“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. E’ questa la parola di Giovanni il Battista, che risuona forte e chiara nel vangelo di questa Domenica.
La voce del santo precursore di Gesù ci interpella: sia perché desideriamo che diventi anche la nostra, segno della passione d’amore per la salvezza del mondo che ci anima; sia perché suscita in noi l’interrogativo, su che cosa possiamo fare di più perché la venuta di Gesù venga accolta da molti, da tutti. Che cosa manca alla nostra testimonianza cristiana perché la fede possa trovare accoglienza nella vita di tante persone con le quali condividiamo il tempo, il lavoro, il divertimento, lo studio, le fatiche e le gioie della quotidianità?
Diceva Nietzsche: “Io crederei all’esistenza del Salvatore, se voi aveste una faccia da salvati”. Una faccia da salvati! Forse è proprio questa “faccia da salvati” che a volte viene a mancare. Non abbiamo la gioia della salvezza, non custodiamo l’esultanza per il dono della fede. Preghiamo per avere la grazia di presentarci al mondo con una faccia da salvati, con un cuore da salvati, con una parola da salvati, con un modo di pensare da salvati.

III Domenica del Tempo di Avvento
Con la preghiera della Chiesa, in questa Domenica chiediamo di “celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza”, che ormai si avvicina nella solennità del Natale di Gesù.
Un noto letterato francese, F. Mauriac, esprimeva così il motivo dell’esultanza cristiana, che era anche la sua personale esultanza: “Non avessi conosciuto il Cristo, Dio sarebbe stato un vocabolo vuoto di senso… Il Dio dei filosofi non avrebbe avuto alcun posto nella mia vita morale. Era necessario che Dio si immergesse nell’umanità… che in un preciso momento della storia…un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi gettasi in ginocchio”. L’Avvento è proprio il tempo nel quale ricordiamo questa bellissima verità della fede, la sconvolgente notizia che cambia il senso della vita e la direzione della storia: Dio si è fatto vicino, viene a visitarmi per essere con me e rimanere con me, mi salva per le vie di un amore tanto sorprendente e inimmaginabile, quanto concreto e rispondente in modo sovrabbondante alle attese del cuore umano.

IV Domenica del Tempo di Avvento
La pagina di Vangelo che leggiamo in questa Domenica è commovente, soprattutto per il comportamento di Giuseppe, colui che è stato scelto da Dio per essere padre putativo di Gesù. Che cosa deve essere passato nella mente di quest’uomo, prossimo sposo di Maria, di fronte alla notizia del bambino atteso dalla sua futura sposa! Ma ancora più straordinario è il modo in cui Giuseppe esce da questa situazione non facile della sua vita. Un angelo gli appare in sogno, gli indica la verità di ciò che sta accadendo e lo esorta ad abbracciare il disegno di Dio. Giuseppe non pronuncia parola e opera: opera senza esitare un solo momento secondo quanto gli viene presentato come volontà di Dio.
Siamo invitati a rimanere alla scuola di San Giuseppe per imparare. Imparare anzitutto il silenzio: silenzio che non è semplice assenza di parole, ma ascolto, capacità di rientrare in se stessi per cogliere la voce di Dio, docilità e abbandono. E poi la fede in ciò che Dio mostra essere il suo disegno di amore. Ciascuno di noi, nella propria vita in questo momento trova in San Giuseppe un esempio da imitare: tutti dobbiamo fare un più grande silenzio, tutti dobbiamo con maggiore fiducia abbandonarci alla volontà di Dio.

25 dicembre. Natale del Signore
San Francesco di Assisi, a Greccio, allestì il primo presepio della storia. Nel Santo – come annotano i biografi – tutto era “fretta gioiosa”, mentre fervevano i preparativi dell’ambientazione della Natività di Gesù. Poi, durante la Messa, “Frate Francesco predicò su Gesù Bambino, con parole dalle quali traspariva la soavità. Parlò del povero re che si degnò nascere in quella notte, parlò del Signore Gesù nella città di David. E ogni volta che doveva nominarlo, col cuore tutto infiammato di amore, lo chiamava per tenerezza ‘il Bambino di Betlemme’. E la parola Betlemme la pronunciava con una voce come quella di un agnellino che bela; e, dopo averla pronunziata, lasciava passare la lingua sulle labbra, come per assaporare la dolcezza lasciatavi da questo nome attraversandole”. Possa, nella solennità del Natale e sempre, essere in noi il cuore infiammato di amore per Gesù di San Francesco.
E ci aiutino anche, in questo giorno santo, le famose parole di Angelo Silesio, un grande convertito: “Anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme, a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore”.

Domenica fra l’Ottava di Natale. Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Il brano dal vangelo di san Matteo è molto suggestivo, soprattutto a motivo di due particolari presenti nel racconto.
Un primo particolare riguarda san Giuseppe. In poche righe, per ben tre volte, si dice che egli ricevette in dono la parola del Signore, si alzò, prese con sé il bambino e sua madre, e fece come gli aveva ordinato l’angelo inviato da Dio. Nell’atteggiamento di Giuseppe possiamo osservare quanto è chiamato a vivere ogni autentico discepolo del Signore. Il discepolo, infatti, è colui che ascolta con attenzione la parola di Dio; quindi si alza con il desiderio di seguire, con prontezza, l’indicazione ricevuta in quella parola; e, infine, si mette in cammino portando con sé il bambino e la madre. Giuseppe compie il viaggio della vita sempre con Gesù e Maria.
Un secondo particolare riguarda le antiche profezie. Anche in questo caso, in poche righe, esse vengono citate più volte. In tal modo gli accadimenti del tempo presente vengo letti alla luce della Scrittura: “perché si compisse”. Ogni accadimento, infatti, ha un “perché” e serve al compiersi del disegno dell’amore di Dio. Ciò che all’apparenza sembra contraddire una storia di salvezza, in realtà non fa altro che realizzarla fedelmente. Dio non viene meno alla Sua promessa e si serve anche delle azioni cattive degli uomini per portarla a compimento.

II Domenica dopo Natale
“E il Verbo si fece carne”. L’evangelista, nel prologo al suo vangelo, ci aiuta a non perdere di vista una dimensione fondamentale del mistero del Natale: la sua straordinarietà. Guai a fare l’abitudine al fatto che Dio ha tanto amato il mondo da venire in mezzo a noi! Guai a fare diventare cosa scontata il fatto che Dio si sia fatto bambino diventando come uno di noi in tutto e per tutto, eccetto il peccato. Guai a dimenticare che Dio onnipotente e glorioso è nato in una mangiatoia, ha pianto ed è stato avvolto in fasce. Guai a dimenticare tutto questo perché significherebbe perdere di vista l’originalità stupenda della fede cristiana.
In questo modo Gesù ci rivela un volto inedito del Padre: il volto di una misericordia e di una amore che all’uomo era impensabile immaginare e sospettare. Natale è scandalo e follia: non finisce di ricordarlo il Nuovo Testamento in molte sue pagine. Natale è rivelazione di un Dio che l’uomo credeva diverso. Natale è capovolgimento di quel mondo divino che l’uomo credeva di conoscere. natale è, dunque, tempo di conversione: la prima grande conversione a cui siamo chiamati e che potremmo definire conversione teologica: si tratta di cambiare il modo di pensare Dio.

6 gennaio. Epifania del Signore
L’Epifania, giorno della manifestazione del Signore a tutte le genti, è anche il giorno dei tre doni molto pregiati: l’oro, l’incenso e la mirra: “Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Al di là del significato individuale di questi doni, qual è il messaggio che scaturisce da una loro visione d’insieme? Quei doni rappresentavano ciò che di più prezioso e importante potevano donare al Bambino Gesù gli uomini venuti dall’oriente. Entrare nella logica del testo sacro significa, allora, disporci anche noi a donare al Signore ciò che abbiamo di più intimo e prezioso. Ciascuno è capace di riconoscere nella propria vita un tale tesoro, che magari ancora non ha avuto il coraggio di donare a Dio. Oggi è il giorno indicato per fare questo atto di coraggio, di fede e di amore. Tutto è di Dio e tutto deve tornare a Dio. Forse ciò che di più pregiato in questo momento abbiamo nelle mani è il nostro “io”, con i progetti, i desideri, i punti di vista; e forse non lo vogliamo abbandonare. Prendiamo esempio dai Magi e facciamo dono generoso di questo tesoro prezioso al santo Bambino di Betlemme.

Battesimo del Signore
Nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa del Battesimo del Signore, l’evangelista Luca annota che Gesù è raccolto in preghiera al momento di ricevere il Battesimo: “…e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera…”. San Luca è il più attento degli evangelisti a sottolineare la preghiera continua di Gesù durante il corso della sua vita terrena. Per noi questo costituisce un richiamo molto significativo. Quello di Gesù è un esempio che ci viene donato e viene a ricordarci che stiamo in piedi spiritualmente o cadiamo nella misura in cui la preghiera sta o cade nella nostra vita. Bisogna pregare con lo stesso desiderio di chi respira per non soffocare e morire.
Il racconto evangelico annota ancora: Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista per partecipare alla condizione dell’umanità peccatrice e donarle salvezza. E’ questo il giorno in cui condividere la stessa passione di salvezza che anima il cuore di Gesù. Tutti devono essere il termine della nostra passione di amore: ma soprattutto i peccatori, coloro che rischiano di perdersi a motivo del male e del peccato.

II Domenica del Tempo Ordinario
“Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio»”. Il Battista, nel vedere Gesù, si effonde in una parola che esclama, contempla e indica. San Francesco d’Assisi, nel fissare il volto di Dio, esulta e canta, sostenendo la nostra preghiera: “Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie. Tu sei forte, tu sei altissimo. Tu sei il re onnipotente, tu Padre santo, re del cielo e della terra. Tu sei trino e unico, Signore Iddio degli dei. Tu sei il bene, ogni bene, il Signore Dio, vivo e vero. Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei riposo. Tu sei gioia e letizia. Tu sei nostra speranza. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei ricchezza nostra a sufficienza. Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine. Tu sei il protettore. Tu sei il custode e difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei refrigerio. Tu sei nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei la nostra dolcezza. Tu sei la nostra eterna vita, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore”.

III Domenica del Tempo Ordinario
Ecco l’inizio della predicazione del Signore: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. L’invito alla conversione, nella parola di Gesù, è un invito a ritornare a Dio con tutto il cuore, senza parzialità e senza ipocrisia, nella totalità della propria vita.
Ognuno di noi avverte l’urgenza di questo ritorno con tutto il cuore, integrale, dal momento che ritroviamo in noi un cuore diviso e, per questo motivo, profondamente malato e piagato. Tanti amori mondani vi abitano, tanti affetti disordinati lo agitano. Abbiamo un cuore inquieto perché appesantito da ciò che non è Dio e non in sintonia con la sua volontà sulla nostra vita. Dice San Tommaso: “Per il fatto che l’amore trasforma l’amante nell’amato, fa sì che l’amante penetri nell’intimità dell’amato e viceversa, cosicché nulla di ciò che appartiene all’amato rimanga disgiunto dall’amante”.
San Francesco di Sales ha scritto: “Se mi accorgessi che nel mio cuore una sola sottilissima fibra non vibrasse per Dio, subito me la strapperei”. Trasformare, strappare: sono queste le azioni da compiere e che, in qualche modo, vanno a identificare il cammino di conversione.

IV Domenica del Tempo Ordinario
Una bella meditazione di Madeleine Delbrel, ci aiuta ad ascoltare il vangelo delle beatitudini: “Non portiamo la parola di Dio in capo al mondo in una valigetta; la portiamo in noi. Non la mettiamo in un angolo di noi stessi, nella nostra memoria, come in uno scaffale di un armadio in cui l’avessimo sistemata. La lasciamo andare fin nel profondo di noi stessi, fino a quel cardine dove gira tutto il nostro essere. Non possiamo essere missionari senza avere fatto in noi stessi questa accoglienza franca, ampia, cordiale alla parola di Dio. La tendenza viva di questa parola è farsi carne in noi. E quando siamo abitati da essa in questo modo, diventiamo adatti a essere missionari. Ma non inganniamoci. Dobbiamo sapere che è molto oneroso ricevere in sé il messaggio intatto. Per questo tanti di noi lo ritoccano, lo mutilano, lo attenuano. Si prova bisogno di adattarlo alla moda del giorno, come se Dio non fosse di moda tutti i giorni, come se si ritoccasse Dio. Una volta che abbiamo conosciuto la parola di Dio, non abbiamo il diritto di non accoglierla; una volta che l’abbiamo accolta, non abbiamo il diritto di non lasciare che si incarni in noi, non abbiamo il diritto di conservarla per noi”.

V Domenica del Tempo Ordinario
“Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo”. Questa è la splendida chiamata dei discepoli di Gesù. Una chiamata che così viene trasformata in preghiera e supplica dal beato John Henry Newman: “Gesù, aiutami a spargere il tuo profumo ovunque io vada. Inondami del tuo Spirito e della tua vita. Penetra in me e impossessati del mio essere così pienamente che tutta la mia vita sia soltanto un’irradiazione della tua. Risplendi attraverso me e in me. Che ogni anima che io avvicino senta la tua presenza nella mia anima. Che esse cerchino e vedano non più me, ma soltanto Gesù. Resta con me! E allora io comincerò a splendere come splendi tu; a splendere così da essere luce agli altri; la luce, o Gesù, verrà tutta da te, e nulla di essa sarà mio; sarai tu a illuminare gli altri attraverso me”.
Un autore anonimo antico aveva già scritto, pregando: “Signore esprimi la tua Parola eterna in me e fa’ che l’ascolti. Signore, irradia la tua luce in me e fa’ che la veda. Signore, imprimi il tuo Volto in me e fa’ che lo custodisca. Signore, compi la tua opera in me e fa’ che ricominci sempre da capo”.

VI Domenica del Tempo Ordinario
“Quelle cose che occhi non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano”. San Paolo descrive così i tesori di bellezza che attendono coloro che amano Dio, nell’eternità beata. Eppure, quei tesori di bellezza possono essere già intravisti e goduti nel tempo del pellegrinaggio terreno. E’ Gesù risorto, infatti, la sintesi di “quelle cose” che nessuno ha mai potuto vedere e udire. In Gesù risorto è la pienezza della Vita. Nella misura in cui si vive la comunione di amore con lui, già si può anticipare la fruizione gioiosa dei beni futuri.
Ecco perché san Francesco d’Assisi poteva pregare con tanta passione d’amore e tanto gusto dopo aver fissato, nella preghiera contemplativa, lo sguardo sul mistero luminoso e affascinante del volto di Dio: “Chi sei tu, dolcissimo Signore mio Dio, e che sono io verme vilissimo e inutile servo tuo? Signore mio amatissimo, quanto vorrei amarti! Mio Signore e Dio, a te dono il mio cuore e il mio corpo; ma con quanta gioia vorrei fare di più, per amore tuo, se sapessi come!”.

VII Domenica del Tempo Ordinario
“Il Signore è buono e grande nell’amore”. Quanto ripetiamo con il ritornello del salmo responsoriale della Domenica, lo contempliamo alla scuola di san Francesco di Sales, che si attarda nella descrizione meravigliata dello stile dell’amore di Dio in Gesù: “L’amore è povero, stracciato, nudo, scalzo, misero, senza casa, costretto a dormire per terra e all’addiaccio, davanti alle porte, sempre indigente. E’ povero, perché fa abbandonare tutto per la cosa amata; è senza casa, perché fa uscire l’anima dalla propria sede per seguire sempre colui che è amato; è misero, pallido, magro, disfatto perché non consente di dormire, bere, mangiare; è nudo e scalzo, perché fa abbandonare tutti gli altri affetti per prendere quelli della cosa amata; dorme per terra, all’addiaccio, perché fa rimanere allo scoperto il cuore che ama, facendogli manifestare le sue passioni con sospiri, lamenti, lodi, sospetti, gelosie; è prostrato come un accattone davanti alle porte, perché fa sì che l’amante sia continuamente attento agli occhi e alla bocca della cosa che ama ed è sempre vicino alle sue orecchie per poter parlare e mendicare favori che mai l’appagano”.

VIII Domenica del Tempo Ordinario
“Non preoccupatevi per la vostra vita… Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno”. Con questa bella immagine, Gesù apre una finestra sulla splendida visione dell’amore di Dio Padre. E’ un amore che già l’antico profeta aveva intuito, con un’immagine altrettanto bella e poetica: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.
Siamo invitati a rimanere esposti al calore della rivelazione dell’amore di Dio. Ci aiuta un brano bellissimo e struggente, da “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij: “Non aver paura di nulla, non aver paura mai, e non ti far prendere dall’angoscia. Basta che il pentimento non ti indebolisca dentro, e Dio ti perdonerà tutto. Nel mondo intero non c’è e non ci può essere peccato tanto grave, che il Signore non lo perdoni a chi se ne pente nel proprio cuore. E non è possibile che l’uomo compia un peccato tanto tremendo, che dia fondo all’infinito amore di Dio. Può mai esistere un peccato tale, che sorpassi l’amore di Dio? Al pentimento sì, pensaci sempre, ma la paura scacciala via senz’altro. Abbi fede che Dio ti ama tanto, che tu non puoi neppure immaginartelo”.

I Domenica di Quaresima
La liturgia della Chiesa, all’inizio del tempo quaresimale, ci illustra la realtà della tentazione. Se si dovesse fare sintesi di quanto la parola di Dio insegna a proposito di questa dimensione della vita umana si potrebbe usare il termine “imbroglio”. La tentazione, infatti, è un vero e proprio imbroglio di Satana. E’ un imbroglio che si colora di gusto, di benessere, di felicità, di realizzazione. Ma rimane imbroglio e si caratterizza per essere contro l’uomo e la sua autentica felicità e pienezza di vita. Così è stato per il primo uomo e così continua a essere per noi.
Parlando della tentazione ne parliamo come di una dimensione tipica della vita umana: la accompagna dall’inizio alla fine. In sé, non dobbiamo dimenticarlo, ha una componente di grande utilità per la vita della fede. Infatti con la tentazione ciascuno è provato nella virtù, realizza una maggiore conoscenza di se stesso e può progredire nella fortezza e nell’intensità della propria vita interiore. La Scrittura, mentre ci fa cogliere l’aspetto negativo di imbroglio, racchiuso in ogni tentazione, ci fa anche cogliere l’aspetto positivo di essa, come prova che fortifica la nostra vita cristiana.

II Domenica di Quaresima
La Quaresima si propone come tempo privilegiato per l’ascolto della parola di Dio. Non possiamo, pertanto, non interrogarci su come viviamo l’ascolto del Signore che ci parla. Forse lo viviamo con abitudine e superficialità, senza che abbia a incidere sulla quotidianità della vita? Ciò che il Padre dice agli apostoli, riguardo al Figlio, oggi lo dice a noi: “Ascoltatelo!”, perché solo nella sua parola c’è vita e salvezza.
Dalla liturgia domenicale raccogliamo tre grandi frutti derivanti dall’ascolto attento e assiduo della parola di Dio. La colletta ne ricorda due: il nutrimento della fede e la purificazione del cuore. Più si resta in ascolto di Dio e più la nostra fede riceve alimento e si fortifica; e si diventa capaci di guardare alla vita con gli occhi stessi di Dio. Inoltre, più si resta in ascolto di Dio e più il nostro cuore si purifica dal peccato e dalle cattive abitudini. Un terzo frutto dell’ascolto lo suggerisce la pagina del vangelo: l’ascolto genera l’incontro con il mistero di Dio. Per noi la parola è parola di Qualcuno che è vivo, di Gesù, che a noi è dato di incontrare personalmente per avviare e approfondire una relazione personale di amore.

III Domenica di Quaresima
Nel racconto evangelico della Samaritana c’è un pozzo, che è il luogo in cui si svolge l’incontro tra Gesù e la donna. Lo possiamo chiamare anche il pozzo dell’appuntamento. Non c’è un pozzo anche per ciascuno di noi? In verità, i pozzi sono moltissimi nel corso della vita. Quante volte abbiamo avuto la gioia di scoprire un pozzo dell’incontro con il Signore! Ma quante volte abbiamo dimenticato o perso l’appuntamento che Dio ci aveva dato! Rivivere il brano della Samaritana significa rendersi più attenti nell’attesa di Gesù che passa: in ogni momento, in ogni luogo, in ogni occasione, in ogni incontro Gesù passa e mi attende.
Gesù inizia a dialogare con la donna di Samaria facendole percorrere un vero e proprio itinerario di conversione: conversione che parte dalla comprensione del suo stato di vita, disordinato e in contrasto con la volontà di Dio. Questo stesso itinerario dobbiamo percorrerlo anche noi: dal disordine attuale della vita, al nuovo ordine secondo la volontà di Dio. Si tratta di quell’itinerario che, con l’aiuto della parola del Signore e anche di una guida spirituale, mi porta a percorrere con nuovo slancio il cammino della santità e dell’annuncio di Gesù.

IV Domenica di Quaresima
San Paolo, nella lettera agli Efesini, mette in evidenza il contrasto tra la luce e la tenebra, nella storia del mondo e nel cuore umano. Parla di una vita, precedente la salvezza, fatta di tenebra e di una vita attuale e nuova avvolta di luce, in Cristo Salvatore. Dio, salvando l’uomo, ha rivestito di luce la sua vita. Per questo ogni battezzato è chiamato illuminato. Ed è anche illuminatore, perché la luce che gli è stata donata deve trovare manifestazione nelle sue opere di ogni giorno. Siamo luce, perché il Signore ci ha donato la luce! Ma viviamo sempre in modo luminoso e corrispondente alla luce che abbiamo? In questo tempo quaresimale non possiamo esimerci dal mettere a fuoco i comportamenti, esterni e interiori, che ancora portano in sé la tenebra del peccato e della morte. “Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà”. E’ il bellissimo invito con il quale si conclude la pagina paolina: è l’invito che la parola di Dio oggi rivolge a ciascuno di noi. E’ tempo di luce: è tempo di ritrovare la luce che è Cristo, è tempo di testimoniare con le parole e con la vita la luce che è Cristo.

V Domenica di Quaresima
Nel racconto evangelico di questa Domenica, Gesù riporta alla vita l’amico Lazzaro. E’ per noi davvero suggestivo rileggere e meditare questa pagina di vangelo, pensando che quelle stesse parole, forti e invincibili, il Signore le rivolge anche a noi: “Vieni fuori!”. E’ il grido divino che, oggi, ci libera dalla morte spirituale, che ci dona la vita nuova dei figli di Dio, che ci salva dalla rovina del peccato. Quel suo grido lo risentiremo, un giorno, e sarà il grido della risurrezione della carne, nell’eternità di Dio.
Il racconto della risurrezione di Lazzaro ci trova, pertanto, protagonisti e non semplici spettatori di un fatto grandioso che non ci riguarda. In Lazzaro, infatti, ritroviamo ciascuno di noi. Quella di san Giovanni è una pagina di grande speranza e di grande stimolo. Di speranza: perché i nostri occhi si rivolgono al futuro che ci attende. Di stimolo: perché il grido di Gesù risuona per noi in questo tempo di Quaresima, come invito a uscire fuori una volta per tutte dalla nostra mediocrità e dalla nostra morte interiore. Ascoltiamolo questo grido! Risuoni dentro di noi! E finalmente ci faccia uscire dai nostri sepolcri.

Domenica delle Palme e della Passione del Signore
E’ bello definire la Settimana Santa come il “vortice dell’amore di Dio per noi”. Come non rispondere al grande amore di Dio con il nostro piccolo ma incondizionato amore? Ritorna alla mente la dichiarazione della protagonista del romanzo “La donna povera” di Leon Blois: “Alla fine della vita non c’è che una sola tristezza: quella di non essere santi”.
In questa Domenica, nella quale si benedicono i rami di ulivo e le palme, ricordando l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, un antico brano del IX secolo alimenta la nostra preghiera: “Non è però privo di profondo significato il fatto di portare i rami di questi alberi. L’ulivo, in effetti, che contiene nel suo frutto di che curare dolori e fatiche, rappresenta le opere di misericordia. Quanto alla palma, il suo tronco è rugoso, ma vanta al suo termine, cioè alla sua cima, una bellissima acconciatura, mostrando così che dobbiamo elevarci passando per le asprezze di questa vita fino agli splendori della patria celeste. Teniamo perciò in mano i rami di ulivo, mostrando nei nostri atti la misericordia. Prendiamo anche rami di palma, in modo da attendere, come premio della misericordia, non terrene consolazioni, ma la bellezza della patria di lassù, dove ci precede Cristo Nostro Signore”.

Pasqua. Risurrezione del Signore
“Questo è il giorno che ha fatto il Signore – canta la Chiesa oggi -: rallegriamoci ed esultiamo”. Ci rallegriamo ed esultiamo perché la notizia della risurrezione di Gesù cambia il corso della storia e il volto del mondo, riempie di significato il destino dell’umanità, rinnova e salva la vita di ciascuno di noi. L’amore di Dio ha vinto il peccato e la morte una volta per sempre. L’amore è l’ultima e definitiva parola che tocca la nostra terra e la rende bella della bellezza del Cielo. Continuiamo a rallegrarci ed esultare ascoltando il brano di un’antica omelia sulla Pasqua del vescovo Melitone di Sardi: “Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l’inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l’uomo alla sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo. Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l’Agnello immolato per voi,  io il  vostro lavacro, io  la vostra  vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra”.

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia
In questa Domenica la Chiesa celebra la festa della Divina Misericordia. Scrive santa Faustina nel suo Diario: “La consapevolezza della mia miseria mi fa conoscere in pari tempo l’abisso della tua misericordia. Nella mia vita interiore guardo con un occhio verso l’abisso di miseria e di abiezione che sono io, e con l’altro occhio verso l’abisso della tua misericordia, o Dio”. Impariamo da Santa Faustina questo duplice sguardo, capace di riconoscere con umiltà gli abissi oscuri del peccato, ma, allo stesso tempo, capace di lasciarsi illuminare dagli abissi di luce senza fine della bontà misericordiosa del Signore.
Oggi la Chiesa ricorda anche il momento in cui l’incredulo Tommaso diventa credente. Tommaso, per suggellare il suo passaggio alla fede, ci ha lasciato la splendida invocazione: “Mio Signore e mio Dio!”. E da quel momento è andato per il mondo, insieme agli altri apostoli, annunciando: “Abbiamo visto il Signore”. Possa anche la nostra vita cristiana conoscere questo dinamismo: dal quotidiano incontro di amore con Gesù risorto allo slancio gioioso nel testimoniare la bellezza di quell’incontro che salva la vita.

III Domenica di Pasqua
Un breve racconto sostiene la nostra meditazione della prima parte della vicenda dei discepoli di Emmaus, tristi e senza meta. «Un uomo, che si dichiarava non credente, confidava un giorno a un amico sacerdote: “Io non frequento la Chiesa. Ma mi capita a volte, in occasione della morte di qualche conoscente, di dover andare al cimitero. Là ascolto dei sacerdoti o dei pastori. Dicono: ‘Quest’uomo, questa donna risusciteranno!’. Io guardo in giro la gente. Nessuno ha l’aria di trasalire. Non fanno una piega. Eppure so che sono dei credenti. Io che non credo quella follia, mi dico allora che se ci credessi, avrei avuto uno shock terribile. Ma capite? Ci sarebbe di che mettersi a gridare, saltare, rompere con tutto ciò che si faceva prima. Se ci credessi, griderei un hurrà! un evviva! che si ripercuoterebbe fino ai confini della terra”».
Una bella testimonianza, invece, arricchisce la nostra riflessione sulla conclusione della vicenda evangelica, nella quale i due discepoli divengono testimoni gioiosi del Risorto: “Un ateo, dopo un lungo periodo di amicizia con J. Loew e dopo averlo osservato per diversi anni di silenzioso e umile lavoro nel porto di Marsiglia, un giorno disse: Se Dio esiste, certamente assomiglia a te”.

IV Domenica di Pasqua
Nella Domenica del Buon Pastore, ascoltiamo e, nello stesso tempo, facciamo nostra  la splendida preghiera del beato John Henry Newman. “Mio Signore e mio salvatore, mi sento sicuro fra le tue braccia. Se tu mi custodisci, non ho nulla da temere; ma se mi abbandoni, non ho più nulla da sperare. Non so che cosa mi capiterà, fino a quando morirò. Non so nulla del futuro, ma mi affido a te. Ti prego di darmi ciò che è bene per me; ti prego di togliermi quanto può porre in pericolo la mia salvezza. Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi molto povero, ma mi rimetto a te, interamente, perché tu sai ciò di cui ho bisogno e che io stesso ignoro. Se tu mi imponi dispiaceri o sofferenze, concedimi la grazia di sopportarli, preservami dall’egoismo e dall’impazienza. Se tu mi doni salute, forza e successo in questo mondo, fa’ che sia sempre vigilante affinché questi doni insidiosi non mi trascinino lontano da te. Tu che sei morto per me sulla croce, anche per me colpevole come sono, concedimi di conoscerti, di credere in te, di amarti, di servirti, di lavorare sempre perché aumenti la tua gloria, di vivere per te e con te, di dare il buon esempio a tutti coloro che mi stanno intorno; concedimi di morire nel momento e nel modo che saranno maggiormente a tua gloria e più propizi per la mia salvezza”.

Domenica di Pasqua
“Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo”. Alla luce di questa parole dell’apostolo Pietro, riportate negli Atti degli Apostoli, avvertiamo il desiderio di ritornare con memoria grata e gioiosa, al nostro Battesimo. Esclamiamo insieme a santa Margherita da Cortona: “Sono sua figlia, Egli l’ha detto. O infinita dolcezza del mio Dio! O parola così a lungo desiderata! Così insistentemente chiesta! Parola la cui dolcezza supera ogni dolcezza! Oceano di gioia! Figlia mia! L’ha detto il mio Dio! Figlia mia!”.
Riascoltiamo anche una pagina di San Giovanni Crisostomo: “Ecco che godono di una serena libertà coloro che fino a poco fa erano ancora prigionieri, e sono divenuti cittadini della Chiesa coloro che erano nello smarrimento del vagabondaggio, e si trovano nel benessere della giustizia coloro che erano nella confusione del peccato. Infatti essi non sono soltanto liberi, ma anche santi; non soltanto santi ma anche giusti; non soltanto giusti ma anche figli; non soltanto figli ma anche eredi; non soltanto eredi ma anche membra; non soltanto membra ma anche tempio e organi dello Spirito. Vedi quanti sono i doni del Battesimo!”.

VI Domenica di Pasqua
“Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. In queste parole di Gesù scorgiamo il mistero stupendo dell’amore di Dio per noi. Con l’aiuto di San Tommaso d’Aquino, rimaniamo a contemplare la bellezza di questo amore. “Lodo, glorifico, e benedico te, Dio mio, per gli immensi benefici elargiti a me, indegno. Lodo la tua clemenza che mi aspetta a lungo, la tua dolcezza che soltanto finge di castigare, la tua pietà che chiama, la benignità che accoglie, la misericordia che rimette i peccati, la bontà che ricompensa al di là dei meriti, la pazienza che non ricorda l’offesa, la condiscendenza che consola, la longanimità che protegge, l’eternità che conserva, la verità che rimunera. Che dire, Dio mio, della tua ineffabile generosità? Tu, infatti, mi chiami quando fuggo, mi accogli al ritorno, mi aiuti nel dubbio, mi allevii nella disperazione, mi stimoli quando sono negligente, mi armi quando combatto, mi coroni quando trionfo. Non mi disprezzi, peccatore quale sono, dopo la penitenza, e non ricordi l’offesa. Liberi da molti pericoli, addolcisci il cuore e lo volgi a penitenza. Custodisci con il ministero degli angeli, procuri i beni temporali, riservi i beni eterni. Esorti con la bellezza della creazione, inviti con la clemenza della redenzione, prometti i premi della ricompensa celeste”.

Ascensione del Signore
“Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?”. Riascoltando queste parole rivolte agli apostoli nel giorno dell’Ascensione di Gesù, preghiamo con le parole di san Gregorio Nazianzeno: “Tu che nel fuoco e con la nube accompagnasti il tuo popolo; tu  che nel mare apristi la via, rapprendendo i flutti in favore di chi era inseguito; tu che dal cielo facesti piovere un pane miracoloso su chi non l’aspettava; tu che dalla roccia facesti zampillare la sorgente, vieni oggi come mio compagno di strada e concedimi un prospero cammino e un angelo buono che sia mio accompagnatore, difensore, protettore, così che allontanando da me tutti i mali del giorno e della notte, e donandomi un felice termine del cammino, mi faccia procedere sano e salvo da casa e mi riconduca a casa, ai parenti e agli amici che passano la vita con me. Possa io, libero e tranquillo, a casa invocarti di giorno e notte, conducendo in tuo onore una vita intatta dai mali e sempre a te sollevando la mente alata, splendore della mia vita, fino a quando percorrerò l’ultima strada e verrò alla dimora che è termine del dolore. Per te io vivo, per te io parlo, per te io siedo, Cristo Signore; per te io levo l’orma del piede, poiché tu mi copri con la tua mano; anche ora, pertanto, conducimi al termine della mia strada, tu che sei la diritta via”.

VII Domenica di Pasqua
Venuta l’ora, la Sua ora, Gesù si rivolge al Padre riversando in Lui il proprio cuore. All’interno dell’intenso dialogo di amore, ad un certo momento Egli dice: “Io prego per loro”. Come è bello ascoltare queste parole! Sono pronunciate da Gesù, e fanno parte della grande preghiera detta “sacerdotale”. In questa preghiera Gesù si rivolge al Padre e parla di tutti noi. In quelle parole, che suscitano vera commozione, tocchiamo con mano il grande amore che Gesù ha per noi: siamo noi il centro dei Suoi pensieri, noi il centro delle Sue preoccupazioni, noi il centro del Suo cuore. Un giorno un bambino disse alla sua mamma: “Come è Dio?”. La mamma non rispose ma strinse forte il bambino tra le sue braccia. E il bambino concluse: “Ora so come è Dio!”. Così è Gesù per noi: l’Amore di Dio che ci avvolge tra le Sue braccia. “Io prego per loro”. Rimaniamo a meditare queste parole! Lasciamoci abbracciare dal Signore! Viviamo nel Suo amore!
Nulla dobbiamo temere a motivo di queste parola di Gesù: né per il tempo presente, né per ciò che ci attende nel futuro. Egli è per noi. Chi sarà, quindi, contro di noi? Di che cosa avere paura?

Pentecoste
Gli Atti degli Apostoli raccontano, a proposito della Pentecoste: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso”. Quanto anche noi desideriamo che quel vento benefico venga a donarci vita, santità e consolazione! Quanto attendiamo che quel fragore abbatta tutte le resistenze, che ancora opponiamo a Dio! Quanto speriamo che quel fuoco ci comunichi l’amore stesso di Dio da portare nel mondo!
Invochiamo, pertanto, lo Spirito Santo, facendo nostra la preghiera del beato Paolo VI: “Vieni, o Spirito Santo, e da’ a noi un cuore nuovo, che ravvivi in noi tutti i doni da Te ricevuti con la gioia di essere cristiani, un cuore nuovo, sempre giovane e lieto. Vieni, o Spirito Santo, e da’ a noi un cuore puro, allenato ad amare Dio, un cuore puro che non  conosca il male se non per definirlo, per combatterlo, per fuggirlo; un cuore puro come quello di un fanciullo, capace di entusiasmarsi e trepidare. Vieni, o Spirito Santo, e da’ a noi un cuore grande, aperto alla tua silenziosa e potente parola ispiratrice, un cuore grande e forte ad amare tutti, a tutti servire, con tutti soffrire; un cuore grande, forte a sostenere ogni tentazione, ogni prova, ogni noia, ogni stanchezza, ogni delusione, ogni offesa; un cuore grande, forte, costante, solo beato di palpitare col cuore di Cristo”.

Santissima Trinità
Il mistero della SS. Trinità ci conduce al cuore della vita di Dio e, di conseguenza, al cuore della nostra fede. La Trinità, infatti, rivela la natura intima di Dio, che è l’Amore: un Amore eterno, infinito, senza misura che si diffonde attorno a Sé e che è alla radice di ogni amore, piccolo e grande, presente nella nostra vita. La Trinità, pertanto dà contenuto alla nostra fede e ci rivela ciò per cui siamo fatti: la comunione di amore con Dio e la nostra donazione di amore verso i fratelli. Ecco perché sant’Agostino scrive: “Se vedi la carità, vedi la Trinità”.
Una splendida preghiera di santa Elisabetta della Trinità sia anche a nostra preghiera: “O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per dimorare in Te, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità! Che niente possa turbare la mia pace o farmi uscire da Te, mio Immutabile, ma che ogni istante mi conduca più addentro della profondità del tuo mistero. Pacifica la mia anima, fa’ di lei il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del  tuo  riposo;  che  io  non  ti  lasci  solo,  mai,  ma  che  sia  là  tutta  intera, completamente risvegliata nella mia fede, tutta adorante, tutta abbandonata alla tua azione creatrice”.

Corpo e Sangue di Cristo
Il mistero eucaristico è il tesoro più prezioso della Chiesa! Quando lo celebriamo nella Messa, riviviamo il dono inestimabile di Gesù, che offre il Suo Corpo e il Suo Sangue per la nostra salvezza; veniamo raggiunti dal Suo infinito Amore che trasforma e rinnova la nostra vita, rendendola bella della bellezza stessa di Dio. Quando lo adoriamo, vi riconosciamo nella fede la presenza viva e vera del Signore, Amore fedele che accompagna i passi del nostro pellegrinaggio terreno, Amore dolcissimo da adorare e lodare, magnificare e ringraziare. Quando lo viviamo, il nostro volto assume i tratti di uno splendore che sa di Cielo, perché diveniamo “teofori”, portatori di Dio nel mondo, custodi di quella Luce senza tramonto che sola può illuminare le tenebre del mondo.
Ci fermiamo, oggi, per un tempo prolungato davanti all’Eucaristia, desiderosi di effondere il nostro cuore con lo stesso slancio spirituale dei Santi. “O Signore Gesù, tu sei lì, a un metro da me. Il tuo corpo, la tua anima, la tua umanità, il tuo essere tutto intero è lì, nella sua natura umana e divina. Come mi sei vicino, mio Dio, mio Salvatore, mio Gesù, Fratello mio, mio Sposo, mio Bene-Amato!” (Beato Charles De Foucauld).

IX Domenica del Tempo Ordinario
Perciò chiunque ascolta queste mia parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia”. La pagina evangelica sembra fare eco a un’altra pagina biblica, quella del Deuteronomio dove Mosè, a nome di Dio, dice: “Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole”.
La storia della santità cristiana è storia di ascolto attento e innamorato della parola del Signore. Ricordiamo quanto afferma san Bonaventura: “Il discepolo di Cristo deve studiare le sacre Scritture come i bambini che apprendono a, b, c,… e dopo cominciano a sillabare, e poi a leggere, e più avanti a connettere il senso delle frasi”. E riportiamo alla memoria anchela bella invocazione di santa Gertrude la grande: “Ponimi innanzi adesso il tuo alfabeto… Insegnami ora per esperienza che cosa sia il glorioso Alfa del tuo bell’amore. Non mi nascondere il fruttuoso Beta della tua regale sapienza. Mostrami accuratamente… le singole lettere della tua carità, onde io con l’occhio purificato dalla verità, penetri fino nelle tue delizie più nascoste, e scruti, studi, impari, sappia e conosca, in quanto è possibile in questa vita, i caratteri del celeste alfabeto”. Seguiamo con prontezza e slancio del cuore l’esempio e l’insegnamento dei santi!

Domenica del Tempo Ordinario
“Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora”. Per il tramite del profeta Osea siamo invitati ad approfondire la conoscenza del Signore. Una conoscenza che è anche amore e desiderio di uniformare la propria vita alla sua volontà. Perché Egli è il senso vero dell’esistenza di ciascuno e della storia.
Un tale invito si fa ancora più urgente a proposito di Gesù, definitivo Rivelatore del Padre e centro del disegno di salvezza per il mondo.
Ascoltiamo questo invito dalle parole di sant’Ambrogio: “Sia sempre nel nostro cuore e sulla nostra bocca la meditazione della sapienza e la nostra lingua esprima la giustizia. La legge del nostro Dio sia nel nostro cuore (cfr. Sal 36, 30). Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla. Perciò medita sempre, parla sempre delle cose di Dio, «quando sarai seduto in casa tua» (Dt 6, 7). Per casa possiamo intendere la chiesa, possiamo intendere il nostro intimo, per parlare all’interno di noi stessi. Parla con saggezza per sfuggire al peccato e per non cadere con il troppo parlare. Parla per strada, per non essere mai ozioso. Tu parli per strada se parli secondo Cristo, perché Cristo è la via. Senti come Cristo ti sveglia. La tua anima dice: «Un rumore! È il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2) e Cristo dice: «Aprimi, sorella mia, mia amica»”.

XI Domenica del Tempo Ordinario
“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino”. Con queste parole il Signore invia gli apostoli ad annunciare il Vangelo. Ora, come allora, invia tutti noi in mezzo al mondo perché, per il nostro tramite, la testimonianza della salvezza possa risplendere davanti a tutti gli uomini, in ogni tempo e in ogni luogo.
Così san Giovanni Crisostomo commenta la pagina evangelica di san Matteo: “È fuor di dubbio che, inviando gli apostoli a raccogliere la messe, non li invia a mietere la messe di un altro ma ciò che egli stesso ha seminato per mezzo dei profeti. E non si limita a dar coraggio ai discepoli mostrando che il loro lavoro, il loro ministero consiste nella mietitura di una messe già pronta, ma anche li rende atti a questo ministero… Notate, inoltre, come è opportuno il momento scelto dal Signore per la loro missione. Gesù non li invia a predicare prima, quando essi avevano appena cominciato a seguirlo, ma solo dopo che l’hanno seguito e sono stati sufficientemente insieme con lui; dopo che lo hanno visto risuscitare una persona morta, dare ordini al mare infuriato, scacciare i demoni, sanare il paralitico, rimettere i peccati, guarire il lebbroso. Li invia a predicare e a compiere miracoli, solo dopo aver offerto loro sufficienti prove della sua potenza, sia con le parole sia con le opere”.

XII Domenica del Tempo Ordinario
“Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”. Ascoltando questa parola di Gesù viene spontanea la domanda: quale peso hanno, nelle nostre scelte, le parole e i pensieri degli uomini? Quanto incide, sulle nostre decisioni, la cultura dominante, il giudizio del mondo? In quale misura siamo prigionieri del nostro punto di vista? Chiediamo la grazia di saper sempre decidere e scegliere nella vita mettendoci davanti a Dio: liberi dalle parole umane, dal giudizio del mondo, dalle nostre piccole prospettive. Impariamo a chiederci spesso: qual è la volontà di Dio per me, qui e ora?
Capiamo, di conseguenza, quanto sia importante la piccola parola “Amen”, che tante volte ripetiamo nella preghiera liturgica e personale. E’ la parola, semplice e bellissima, con la quale esprimiamo la nostra adorazione di Dio e la nostra conseguente volontà di aderire alla Sua volontà. Siamo invitati a riscoprirla nella nostra esperienza di fede. Soprattutto siamo invitati a ripeterla tante volte nel segreto del cuore: quando ci mettiamo alla presenza del Signore nell’Eucaristia, quando ascoltiamo la parola di Dio, quando la volontà di Dio si presenta a noi e ci interpella. Il nostro “amen” sia sempre il “sì” del nostro amore al Signore.

XIII Domenica del Tempo Ordinario
Scrive san Paolo: “Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”. In questo vivere per Dio in Gesù è la pienezza della vita umana. Preghiamo con l’Imitazione di Cristo: “Dammi, o dolcissimo e amabilissimo Gesù, di trovare quiete in te. In te, al di sopra di ogni creatura, di ogni bene di ogni bellezza; al di sopra di ogni gloria e onore, potere e autorità, al di sopra di tutto il sapere più penetrante; al di sopra di ogni ricchezza e capacità; al di sopra di ogni letizia e gioia, di ogni fama e stima degli uomini; al di sopra di ogni dolcezza, consolazione, speranza o promessa umana; al di sopra di ogni ambita ricompensa, di ogni dono o favore che, dall’alto, tu possa concedere; al di sopra  di ogni motivo di gaudio e di giubilo, che mente umana possa concepire e provare; al di sopra di tutto ciò che non sia tu, Dio mio. In verità, o Signore Dio mio, tu sei eccellentissimo sopra ogni cosa; tu solo sei altissimo e l’onnipotente, tu solo dai appagamento e pienezza e ogni dolcezza e conforto; tu solo sei tutta la bellezza e l’amabilità, tu solo sei, più di ogni cosa, ricco di nobiltà e di gloria”.

XIV Domenica del Tempo Ordinario
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. L’invito evangelico, durante la storia, è stato accolto da una moltitudine di uomini e donne che, nell’amore di Gesù e per Gesù, hanno trovato la pace del cuore e la vera gioia della vita. Ecco la testimonianza di due grandi testimoni: nella loro stanchezza e oppressione hanno ricevuto ristoro immergendosi nell’amore del Cuore di Cristo. “Ti amo, o mio Dio, e il mio unico desiderio è di amarti fino all’ultimo respiro. Ti amo, Signore, e l’unica grazia che ti chiedo è di amarti in eterno. Mio Dio, se la mia lingua non può dirti in ogni momento che ti amo, voglio che te lo ripeta il cuore a ogni respiro. Ti amo, o mio divin Salvatore, perché tu sei stato crocifisso per me; ti amo, o mio Dio, perché quaggiù tieni me crocifisso per te. Mio Dio, quanto più mi avvicino alla fine, fammi la grazia che cresca il mio amore” (san Giovanni Maria Vianney).
“Mio Signore e mio Dio, togli da me tutto quello che mi distoglie da te. Mio Signore e mio Dio, da’ a me tutto quello che mi avvicina a te. Mio Signore e mio Dio togli me a me e dammi tutto completamente a te” (San Nicola di Flue).

XV Domenica del Tempo Ordinario
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi”. Con queste parole l’apostolo Paolo sottolinea la caducità dell’intera creazione, la sofferenza cui è sottoposta nell’attesa della sua definitiva ricapitolazione in Cristo. E’ lo stesso gemito presente nel cuore umano, in attesa del suo definitivo riscatto.
Nel tempo del nostro pellegrinaggio, la cui meta è la patria beata, il Cuore stesso di Dio, preghiamo con le parole di san Tommaso d’Aquino: “Mio Dio, non dimenticarti di me, quando io mi dimentico di te. Non abbandonarmi, Signore, quando io ti abbandono. Non allontanarti da me, quando io mi allontano da te. Chiamami se ti fuggo, attirami se ti resisto, rialzami se cado. Donami, Signore, Dio mio, un cuore vigile che nessun vano pensiero porti lontano da te, un cuore retto che nessun intenzione perversa possa sviare, un cuore fermo che resista con coraggio ad ogni avversità, un cuore libero che nessuna torbida passione possa vincere. Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti”.

XVI Domenica del Tempo Ordinario
“…hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento”. Questa è la parola che oggi ci è donata dal libro della Sapienza. Nel ritornello del Salmo responsoriale la riprendiamo e meditiamo con l’esclamazione: “Tu sei buono, Signore, e perdoni”.
Due belle preghiere prolungano la nostra meditazione e la nostra preghiera: “Signore, la tua bontà mi ha creato, la tua misericordia ha cancellato i miei peccati, la tua pazienza fino a oggi mi ha sopportato. Tu attendi, o Signore misericordioso, la mia conversione, e io  attendo la tua grazia per raggiungere, attraverso la conversione, una vita secondo la tua volontà. Vieni in mio aiuto, o Dio che mi hai creato e che mi conservi e mi sostieni. Di te sono assetato, di te sono affamato, te desidero, a te sospiro, te bramo al di sopra di ogni cosa” (san’Anselmo).
“O Dio gioie di cui dovrei piangere contrastano in me con pene di cui dovrei gioire, e non so da che parte stia la vittoria; false tristezze contrastano in me con gioie vere e non so da che parte stia… Ahimè! Abbi pietà di me, Signore! Non ti nascondo le mie ferite. Tu sei il medico, io sono il malato; tu sei misericordioso, io sono infelice” (sant’Agostino).

XVII Domenica del Tempo Ordinario
“Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci”. La parola con la quale Gesù illustra la realtà del regno dei cieli suscita in noi un rinnovato desiderio di essere collaboratori gioiosi del Signore, nella diffusione di questo  regno nel mondo. Il nostro cuore possa ardere di zelo missionario!
Scrive il beato John Henry Newman: “Gesù, aiutami a spargere il tuo profumo ovunque io vada. Inondami del tuo Spirito e della tua vita. Penetra in me e impossessati del mio essere così pienamente che tutta la mia vita sia soltanto un’irradiazione della tua. Risplendi attraverso me e in me. Che ogni anima che io avvicino senta la tua presenza nella mia anima. Che esse cerchino e vedano non più me, ma soltanto Gesù. Resta con me! E allora io comincerò a splendere come splendi tu; a splendere così da essere luce agli altri; la luce, o Gesù, verrà tutta da te, e nulla di essa sarà mio; sarai tu a illuminare gli altri attraverso me”.
E scrive un autore anonimo antico: “Signore esprimi la tua Parola eterna in me e fa’ che l’ascolti. Signore, irradia la tua luce in me e fa’ che la veda. Signore, imprimi il tuo Volto in me e fa’ che lo custodisca. Signore, compi la tua opera in me e fa’ che ricominci sempre da capo”.

XVIII Domenica del Tempo Ordinario
“Voi stessi date loro da mangiare”. Con queste parola Gesù si rivolge ai discepoli, preoccupati per la grande folla che, sul far della sera, si trova lontana da casa e ancora da sfamare. L’invio di Gesù attraversa i secoli ed è stato raccolto con prontezza, gioia e generosità anche eroica da coloro che si sono fatti collaboratori nel donare l’unico pane che è capace di sfamare il cuore dell’uomo.
Leggiamo la testimonianza di un medico tedesco, a proposito della propria esperienza, vissuta in un lager sovietico: “Ogni mattina, verso le quattro, veniva celebrata la Santa Messa e distribuita la Comunione. Dal gruppo che pregava, si staccava un minatore, vestito con la tuta come gli altri e si avvicinava all’altare improvvisato (a duecento metri sotto terra). Era il sacerdote. Poi dalla folla si staccava un altro: l’inserviente. Sull’altare improvvisato comparivano un minuscolo calice e un sottilissimo messale. L’inserviente tirava fuori dalla tasca un piccolo campanello. Il calice d’argento era alto circa sette centimetri e largo quattro, opera degli stessi minatori. Durante la Santa Messa numerosi si accostavano alla Comunione. Durante la Pasqua ben quattrocento hanno potuto ricevere la Comunione. Ai minatori veniva consegnata nel modo convenuto una scatola di sigarette in cui, sotto la prima fila di sigarette, si trovava il Santissimo avvolto in un pezzettino di candido lino”.

XIX Domenica del Tempo Ordinario
“Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Questa è la parola rivolta al profeta Elia, giunto sul monte Oreb. E’ un invito alla preghiera. Ricordiamo: senza la preghiera non possiamo vivere!
Scrive su questo argomento un antico autore, monaco e originario della Siria, vissuto nel IX secolo. Si chiama Joseph Busnaya. “La preghiera è ricordarsi continuamente di Dio”. E poi racconta un simpatico episodio per sottolineare l’importanza della preghiera: “Uno spirito cattivo viene inviato in missione. Lungo il suo percorso si trova vicino a  un  anziano  monaco, assorto in profonda preghiera. Lo vede e si ferma vicino a lui in attesa che smetta di pregare, con il progetto di indurlo in tentazione e farlo cadere nel peccato. Il monaco, però, permane a lungo nella sua preghiera. Dopo aver atteso invano la conclusione della preghiera, lo spirito cattivo, ormai stanco di attendere, se ne va e ritorna da dove era partito. Tornato al luogo di partenza, viene interrogato da chi lo aveva mandato sul motivo del suo ritorno senza aver compiuto la missione che gli era stata affidata. Lo spirito risponde: «Io aspettavo che l’anziano monaco smettesse di pregare, ma neppure per un istante ha interrotto la sua preghiera, e così sono dovuto tornare»”.

XX Domenica del Tempo Ordinario
“O Dio infondi in noi la dolcezza del tuo amore”. Oggi e per l’intera settimana la Chiesa prega con queste parole della Colletta. Che cosa intendere per “dolcezza del tuo amore”? Non ci è difficile identificare una tale dolcezza d’amore con quella che si è rivelata a noi nel Verbo fatto carne. Sul volto di Gesù essa risplende in tutta la sua bellezza e sconfinata profondità.
Ciascuno di noi è il termine di un tale amore. Ma ciascuno di noi, per grazia, è chiamato a divenirne anche un riflesso fedele in mezzo al mondo. Chi è discepolo del Signore? Chi può portare il bellissimo nome “cristiano”? Chi è davvero di Cristo? Chi fa della propria vita un’imitazione di Gesù. Chi si rende simile a Gesù partecipando della sua dolcezza d’amore, della sua ansia di salvezza del mondo. Ancor più e prima chi si lascia abitare da Gesù, in modo tale che la stessa vita di Gesù trovi espressione nella propria. Che cosa vi può essere di più bello e affascinante? Siamo così preziosi agli occhi di Dio da essere chiamati a vivere della sua stessa vita, da essere invitati a diventare “altri Lui” nel tempo della storia.

XXI Domenica del Tempo Ordinario
“…perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia”. Con questa bella invocazione termina la preghiera della Colletta domenicale, che accompagnerà l’intera settimana. Oggi, pertanto, e nei prossimi giorni, siamo invitati a domandare la grazia di essere vigilanti, a non perdere di vita quel “là” che dona senso vero all’intera esistenza.
Un racconto ci aiuta ad approfondire nella meditazione personale la preghiera della Chiesa. Si tratta di un racconto dell’oriente antico, conosciuto come “Inno alla perla”, scritto tra il I e il II secolo dopo Cristo. Parla di un uomo che invia il figlio dalla Mesopotamia in Egitto per trovare una perla di grande valore. Il figlio parte per il viaggio, ma lungo il percorso incontra degli uomini che con inganno lo fanno cadere in un sonno profondo. Il padre, preoccupato per il ritardo del figlio, gli manda una lettera scritta di suo pugno per il tramite di un’aquila. Quando l’animale raggiunge il ragazzo la lettera si trasforma in un grido che dice: “Destati, ricordati chi sei, ricordati che cosa sei sceso a fare in Egitto e da chi devi tornare”. Il figlio si ridesta e, finalmente, porta a compimento la sua importante missione.

XXII Domenica del Tempo Ordinario
Scrive san Paolo nella Lettera ai Romani: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare”. Alla luce della parola di Dio, in questo nostro tempo, urge rinnovare il nostro modo di pensare soprattutto in ordine alla fedeltà, all’amore, alla verità.
La fedeltà. Siamo spesso incapaci di vivere nella fedeltà a un progetto coerente di  vita; la società cosiddetta “liquida” ci porta a vivere per episodi incoerenti, per emozioni superficiali, per succedersi di esperienze superficiali alle quali si richiede il massimo di gratificazione. Essere fedeli significa abbracciare un progetto di vita coerente nel quale ritrovarsi e nel quale ritrovare il senso della vita. Anche nella relazione con Dio.
L’amore. La fede non è semplicemente una dottrina alla quale aderire o un ideale da abbracciare. E’ anche questo, ma è molto di più. E’ un amore da accogliere e ricambiare, e dal quale lasciarcisi coinvolgere per intero nella vita personale, familiare, sociale. Dio lo dobbiamo amare! La verità. Il nostro clima culturale predilige spesso la penombra, il compromesso: tutto diventa indistinto perché ugualmente vero e falso, allo stesso modo bene e male. Abbiamo bisogno della verità, che è Dio.

XXIII Domenica del Tempo Ordinario
“Io ti ho posto come sentinella”, dice Dio a Geremia. Dio ci vuole collaboratori nell’annuncio della salvezza. E’ stato detto che, in qualche modo, “abbiamo la fede che annunciamo”. La qualità della nostra fede la possiamo valutare in base allo zelo dell’annuncio.
Ripetiamo con il ritornello del salmo responsoriale: “Ascoltate oggi la voce del Signore”. Non sempre questa voce è a noi chiara. Soltanto lo sguardo della fede, ad esempio, può aiutarci a vedere nelle difficoltà e nei dolori della vita, la mano provvidente di Dio che ci ammonisce, ci fa crescere, ci aiuta ad entrare nel suo mistero di amore. Già un antico autore greco diceva: “I patimenti sono insegnamenti”. Anche nella vita di fede.
“Amerai il tuo prossimo come te stesso”. E’ il compendio della Legge, ricordato da san Paolo non come un peso da portare, ma come uno straordinario dono da vivere. Diceva il beato Paolo VI a proposito della vita cristiana: “Non è facile, ma è felice”. In un bel disegno, posto al di sopra della scritta evangelica “Entrare per la porta stretta” si può vedere la croce con un uomo che cerca di entrarvi. A quell’uomo è possibile entrarvi solo aprendo le braccia a forma di croce. Ecco la porta stretta di cui parla Gesù! E’ la porta della croce, la porta dell’amore!

XXIV Domenica del Tempo Ordinario
“Il Signore è buono e grande nell’amore”. Questa verità centrale della nostra fede deve risplendere sul nostro volto cristiano. Un episodio della vita di Madre Teresa accompagna, al riguardo, la nostra riflessione. “Un giorno nella casa di Calcutta portarono una donna raccolta dal marciapiede, che versava in condizioni disperate: aveva il corpo ricoperto di piaghe purulente. Madre Teresa  la accolse  con  tutta la dolcezza di cui  era capace,  la curò e la  lavò. Quella povera creatura, però, nonostante tutte quelle attenzioni  continuava  a  imprecare. La Madre, dal canto suo, continuava ad asciugarle il sudore e a inumidirle le  labbra arse. Finalmente la donna esclamò: «Suora, ma perché fai così? Non tutti fanno come te, chi te lo ha insegnato?». Madre Teresa, con il candore della sua anima, rispose: «Me l’ha insegnato il mio Dio». E quella donna chiese: «Fammelo conoscere il tuo Dio». A questo punto Madre Teresa, abbracciandola, le donò l’ultima incantevole risposta. «Il mio Dio tu adesso lo conosci. Il mio Dio si chiama Amore»”.
Davvero, sul volto di Madre Teresa risplendeva il volto di Dio, in tutta la sua bellezza d’amore. Possa essere così anche per noi!

XXV Domenica del Tempo Ordinario
Quando ascoltiamo la parabola dei lavoratori chiamati nella vigna a tutte le ore, contempliamo la grandezza infinita del cuore del Signore.
Accostiamoci al brano evangelico con le parole di san Bernardo: “Io vi consiglio di distogliere ogni tanto il piede dal molesto e ansioso ricordo dei vostri trascorsi, e di uscire sulle vie più pianeggianti di un più sereno ricordo dei benefici di Dio, affinché voi che vi confondete in voi stessi, guardando a Lui, possiate respirare. Ascolta infine Dio. Dice per mezzo del profeta: ‘Con la mia lode imbriglierò la tua bocca perché tu non perisca’. Vale a dire: ‘Affinché alla vista dei tuoi peccati tu non diventi troppo triste, e, a guisa di cavallo sfrenato, ti butti disperato nel precipizio e perisca; io, dice, ti tratterò con il freno della mia indulgenza, e ti solleverò perché tu mi dia lode, e respirerai nei mie beni, tu che ti senti confuso per i tuoi mali, mentre troverai che io sono più benigno di quanto tu sia colpevole’. Se Caino fosse stato tenuto da questo freno, non avrebbe detto nella sua disperazione: «E’ troppo grande il mio peccato perché io possa meritare il tuo perdono». Non sia, non sia mai! Più grande è la sua pietà di qualsiasi iniquità”.

XXVI Domenica del Tempo Ordinario
“Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso”. L’affermazione è di san Paolo, nella lettera ai Filippesi. E indica la via cristiana della santità sulle orme di Gesù che “svuotò se stesso assumendo la condizione di servo”.
Scrive sant’Agostino: “Se mi domanderai qual è la via del cielo, ti dovrò rispondere che è l’umiltà; e se me lo domandassi tre volte, per tre volte ti darei la stessa risposta; e se mille volte me lo domandassi, mille volte ti risponderò che non c’è altra via che l’umiltà”.
Chiediamo nella preghiera il dono della vera umiltà: “Gesù, mite e umile di cuore, ardentemente ti supplico di fare il mio cuore simile al tuo. Dammi la grazia di acquisire progressivamente un cuore distaccato, mite e paziente. Dammi la grazia si sentirmi bene nel silenzio e nell’anonimato. Liberami dalla paura del ridicolo, dal timore dell’insuccesso. Allontana dal mio cuore la tristezza. Fammi libero, forte, gioioso. Che nessun possa turbare la mia pace, né spaventarmi. Che il mio cuore non senta bisogno di auto soddisfazione e possa io dormire tutti i giorni nel letto della pace. Rivestimi di dolcezza, pazienza, maturità e serenità. E quelli che vedono me, vedano te. Gesù. Amen”.

XXVII Domenica del Tempo Ordinario
“Che cosa dovevo fare alla mia vigna che ancora non abbia fatto?”. Nella parola del Cantico dei Cantici è espressa la sorprendente sovrabbondanza dell’amore del Signore per noi. Siamo ancora capaci di meravigliarci di un così grande amore?
Si poneva la stessa domanda il beato John Henry Newman, in un suo celebre sermone: “E’ ragionevole che un sì grande evento non ci debba commuovere? Perché allora non è così? Perché rimaniamo sempre allo stesso punto?”. Quindi, spiegava ed esortava: “Vi è un solo motivo: se dovessi esprimere il mio pensiero con una sola parola, direi: perché meditate poco. Non meditate, e perciò siete insensibili. E che significa meditare Cristo? Significa pensare abitualmente e costantemente a lui, alle sue opere e alle sue sofferenze. Vuol dire tenerlo dinanzi alla mente come uno che possiamo contemplare, adorare, e a cui ci rivolgiamo quando ci alziamo e quando ci corichiamo, quando mangiamo e quando beviamo, quando siamo in casa e quando siamo fuori, quando lavoriamo, camminiamo o riposiamo, quando siamo soli e ancora quando siamo in compagnia; questo significa meditare il Cristo. Solo così i nostri  cuori diverranno sensibili e acquisteranno i dovuti sentimenti”.

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
“La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni”. Gesù fa questa affermazione raccontando la parabola del banchetto nuziale, quale simbolo del regno di Dio. Non esserne degni significa spesso avere perduto inutilmente tempo nella vita, dimenticandone il cuore: Dio.
Riflettiamo, allora, sull’uso del tempo. “Ogni momento viene a noi carico di eternità e torna a noi carico di ciò che ne abbiamo fatto” (San Francesco di Sales). “Mi sembra ormai di vedere tutte le cose alla luce del buon Dio e se dovessi ricominciare la mia vita, come vorrei non perdere più un istante!” (santa Elisabetta della Trinità). “Ti domando: tu hai la percezione del passaggio dall’infanzia alla fanciullezza, alla giovinezza, alla maturità e alla vecchiaia? Ogni giorno si muore un po’, ogni giorno subiamo trasformazioni e. malgrado ciò, viviamo con l’illusione di essere eterni. Queste stesse cose che sto dettando, che vengono scritte e che poi rileggo e correggo, son tutti momenti che mi restano in meno da vivere. Ogni punto che l’amanuense segna sulla pagina, è un punto tolto alla curva della vita. L’unico vero guadagno che resta è la nostra unità nell’amore di Cristo” (san Girolamo).

XXIX Domenica del Tempo Ordinario
“Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita”. Nella Domenica odierna, ricordiamo questa bella parola di san Paolo nel canto al Vangelo. In virtù della salvezza in Cristo, nostra è la vita nuova secondo il Vangelo. Il cristiano vive come astro nel mondo, perché sul suo volto risplende la novità di Cristo, la novità che è Cristo. Sant’Agostino ci aiuta a meditare questa parola e a custodirla nel cuore: “Se pertanto vuoi seguire il tuo Redentore, non mescolarti con i pagani assomigliandoti a essi con la condotta e le opere. Essi spendono per le scommesse; voi date in elemosina. Essi si affidano alla causalità delle cose terrene, voi affidatevi alla parola delle Scritture divine. Essi corrono al teatro, voi correte alla Chiesa. Essi si ubriacano, voi digiunate. Adesso sto parlando a cristiani. Orbene, se voi credete a quello che credono i pagani, se sperate ciò che sperano i pagani, se amate quello che amano i pagani, vivete pure come vivono i pagani. Ma se credete a cose diverse dalle loro, se sperate e amate cose diverse, vivete in maniera diversa: con i vostri costumi, diversi dai loro, mostrate quanto siano diverse la vostra fede, la vostra speranza, la vostra carità”.

XXX Domenica del Tempo Ordinario
“Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene”. E’ bellissima questa parola di san Paolo! E’ scritta per sostenere la speranza cristiana nella misericordia di Dio, che in Gesù ha trovato la sua pienezza. Egli è davvero la nostra liberazione e la nostra salvezza! Ascoltiamo san Bernardo: “Qualcuno dei nostri è triste? Venga nel suo cuore Gesù, e di là salga alla bocca: ed ecco che, sorgendo la luce di questo nome, si dissipa ogni nube, torna il sereno. Cade qualcuno in grave colpa? Corre per di più al laccio di morte con la disperazione? Non è vero che, se invocherà il nome della vita, subito respirerà per la vita? Quando mai ha resistito, davanti a questo salutare nome, la durezza di cuore, il torpore dell’ignavia, il languore dell’accidia? E a chi, per  caso,  fosse  seccata  la  fonte  delle  lacrime, non tornò subito a scorrere più abbondante e più soave appena invocato Gesù? A chi, palpitante e trepidante nei pericoli, l’invocazione del nome della fortezza non arrecò di colpo la fiducia, scacciando ogni paura? A chi, ormai sfiduciato e sul punto di venir meno, se gli risuonò all’orecchio il nome del soccorritore, mancò la forza? Tutte queste cose, infatti, sono malattie dell’anima, e quel nome è medicina”.

XXXI Domenica del Tempo Ordinario
“Uno solo è il vostro Maestro”, afferma Gesù nel vangelo di san Matteo. Spesso, purtroppo, abbiamo il cuore diviso, perché molti sono i falsi maestri a cui diamo credito. Abbiamo bisogno di ritrovare la pace del cuore nell’unità di un solo Maestro da amare e seguire. “Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, dì ora con tutto te stesso, dì ora a Dio: Cerco il tuo volto. Orsù dunque, Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come trovarti. O Signore Dio mio,  mai io ti vidi, non conosco il tuo volto. Che cosa farà il tuo servo tormentato dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tua abitazione è inaccessibile. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nulla senza te. Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti” (sant’Anselmo d’Aosta).

XXXII Domenica del Tempo Ordinario
“Ha sete di te, Signore, l’anima mia”. Quanto ripetiamo nel ritornello del salmo domenicale esprime la preghiera che nasce spontanea nel cuore umano che si pone davanti a Dio.
Educhiamo la nostra preghiera alla scuola di santa Elisabetta delle Trinità: “La preghiera deve essere fatta:

  • 1. Con attenzione. E’ chiaro, bisogna riflettere a quello che si chiede. Se siamo distratti dobbiamo ricondurre lo spirito alla presenza di Dio. Nel caso che la distrazione sia involontaria, la preghiera conserva tutto il suo valore, sebbene il cuore ne ritragga meno consolazione.
  • 2. Con umiltà. Anche noi siamo un po’ come il buon Dio. Se vediamo una persona fiera, orgogliosa, tutta piena di sé, le voltiamo le spalle. Teniamoci alla presenza di Dio, quando lo preghiamo, come la Cananea.
  • 3. Con confidenza. Quando chiediamo una grazia a Dio, gli diciamo: ‘Ti chiedo questa grazia, ma so bene che non puoi farmela’. Se non proprio con le labbra, almeno con il cuore, diciamo così a Dio. Quale ingiuria! Tutte le  nostre  preghiere  vengono  esaudite,  nessuna  va  perduta. Solo che Dio talvolta ci fa aspettare, oppure, se domandiamo una cosa temporale che può nuocere alla nostra anima, non ce la concede. Non sarebbe più una grazia. Mio Dio, io voglio pregare con queste tre qualità, soprattutto con fiducia e confidenza. Non mi scoraggerò mai, ti importunerò finché non mi avrai esaudito!”.

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
L’apostolo Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, avverte: “…sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte”.
Mentre l’anno liturgico va verso la sua conclusione, la Chiesa ci invita a volgere lo sguardo alle “cose ultime”, ovvero al mistero della morte, alla risurrezione, alle realtà eterne. “Il giorno del Signore verrà”. Con questa parola siamo ricondotti alla gioia senza fine che ci attende, alla patria beata per la quale siamo stati creati e salvati: la terra luminosa di Dio. E’ al di là di questa vita terrena, la Vita vera, gloriosa e senza tempo! Noi abbiamo questa fede, noi siamo figli della risurrezione. Per questo è grande la nostra speranza! Il noto  musicista tedesco Heinrich Schutz compose nel 1623 un affascinante oratorio, intitolato “Storia della risurrezione”. Alla partitura egli aggiunse un post-scriptum di poche ma intense righe: “Signore Gesù, tu mi hai concesso di cantare la tua risurrezione su questa terra. Nel giorno del tuo giudizio, Signore, richiamami dalla mia tomba e, in cielo, il mio canto, mescolato a quello dei serafini, ti renderà grazie in eterno!”. Ecco un bell’esempio di fede cristiana.

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
La più alta espressione della regalità di Gesù è la Croce. Il Cuore di Gesù Crocifisso, infatti, è la ferita – feritoia da cui scaturisce l’infinita misericordia di Dio, unica e vera salvezza del mondo. Torniamo, pertanto, a scambiarci a vicenda, con tanta gioia, il bel saluto cristiano: “Cristo regni!” – “Sempre!”.
La regalità di Gesù e la realtà del suo Regno di amore le affermiamo nella preghiera del Padre nostro, quando invochiamo: “Venga il tuo regno”. E’ una domanda accorata che sale dalla Chiesa e che riguarda l’oggi della storia ma anche e soprattutto l’eternità. Ascoltiamo, al riguardo, una pagina di san Cipriano: “Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo e imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell’animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo? Dal momento che il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti ha redento e ti ama? Mostriamo nei fatti ciò che crediamo di essere. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso”.