Lectio Divina – Marco 7, 24-37; 8, 22-26 (traccia)

Home / Lectio Divina / Lectio Divina – Marco 7, 24-37; 8, 22-26 (traccia)

Lectio Divina – Marco 7, 24-37; 8, 22-26 (traccia)

Lectio Divina – Marco 7, 24-37; 8, 22-26 (traccia)

Ascoltiamo l’audio della Lectio Divina del Monsignore sul vangelo di Marco 7,24-37 8,22-36

Le guarigioni del sordomuto e del cieco

Musica – Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.

Rinnoviamo l’atto di pentimento e di contrizione con il desiderio di purificare il cuore, così da renderlo pronto ad accogliere la Parola del Signore. “Pietà di me, o Signore, secondo la tua misericordia, non guardare ai miei peccati e cancella tutte le mie colpe, crea in me un cuore puro e rinnova in me uno spirito di fortezza e di santità”. Invochiamo, ora, lo Spirito Santo, Lui che è l’Amore ci faccia scoprire in ogni parola ascoltata l’amore di Dio e scaldi la nostra anima, perché, colma del suo amore, possa diventare tutt’uno con la parola che ci viene donata. Canto: “Veni Creator” gregoriano. Ascoltiamo la parola del Signore dal Vangelo di san Marco: “Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone … “. Rimaniamo ora qualche istante in silenzio, questo silenzio non sia vuoto, ma sia uno spazio del cuore nel quale la parola possa abitare, abitare in profondità, mettendovi radice. Musica.

E’ necessario anzitutto fare due brevi premesse.
I brani che abbiamo ascoltato nei capitoli 6, 7, 8, in realtà stanno all’interno della sezione cosiddetta dei pani. In questa sezione si ripropone per due volte il miracolo della moltiplicazione dei pani. In realtà queste due volte sono ricche di significato perché ad ogni volta, cioè, ad ogni moltiplicazione corrisponde come culmine del racconto proprio un evento di guarigione, vi è una prima moltiplicazione che culmina nella prima guarigione e una seconda moltiplicazione che culmina nella seconda guarigione. Tutto questo dentro un itinerario formativo ben preciso che Gesù fa compiere ai suoi discepoli, agli apostoli. La prima guarigione è quella che ha a che fare con il primo testo, ovvero la guarigione del sordomuto, la seconda guarigione è quella che ha a che fare con il secondo testo, la guarigione del cieco.

A questa prima premessa è necessario aggiungerne una seconda.
Nel sordomuto e nel cieco in questi racconti evangelici siamo rappresentati tutti. Certamente c’è una prima rappresentanza importante che riguarda il mondo pagano che è presente sullo sfondo di questi testi. Perché è presente? Perché ciò che noi ascoltiamo avviene in un ambiente geografico ben definito: si tratta della Decapoli, si accenna a Tiro e Sidone, dunque un mondo geografico esattamente legato al mondo pagano. Dunque si tratta di miracoli che hanno a che fare con il mondo pagano: c’è un mondo pagano che deve essere salvato. Queste due guarigioni dobbiamo leggerle, ascoltarle e anche interpretarle proprio in relazione a questo mondo che ha bisogno di essere raggiunto dalla salvezza in Gesù. D’altra parte, però, nel cieco e nel sordomuto sono rappresentati anche i discepoli, gli apostoli e siamo rappresentati direttamente anche noi. In effetti, il sordomuto e il cieco diventano il segno di chi non riesce ancora ad ascoltare bene tutta la parola, pur avendola iniziata ad ascoltare, di colui che non riesca ancora a proclamarla, pur avendo iniziato a proclamarla, ad annunciarla, di colui che non riesce ancora a vedere la strada, seppure intravvede qualcosa di questa strada. In questo senso, si capisce che questo testo è indirizzato anche ai catecumeni e, in particolare, perché non dobbiamo dimenticarlo, san Marco scrive il Vangelo per i Cristiani di Roma, è indirizzato ai catecumeni della Chiesa di Roma in relazione alla preparazione al Battesimo, al loro Battesimo. D’altra parte, nell’antica liturgia romana questo episodio, questi episodi si sono trasformati in rito e, come tale sono rimasti fino ad oggi. Possiamo con facilità ricordare tra i riti esplicativi del Battesimo proprio questo, dell’effatà, là dove gli occhi, la bocca, le orecchie vengono simbolicamente riaperte attraverso dei gesti perché colui che riceve il Battesimo diventa capace di vedere, ascoltare, udire quello che prima non riusciva a vedere, ascoltare e a udire. Ecco, dunque, in questi due racconti una rappresentanza universale: il mondo pagano che ancora non ha conosciuto Gesù, i discepoli e gli apostoli che lo hanno incontrato, che sono stati raggiunti dalla sua salvezza e ancora sono in cammino e i catecumeni che, dal mondo pagano stanno entrando nella realtà cristiana e di fede e stanno preparandosi a ricevere il Battesimo.

Veniamo, adesso, al primo di questi testi: la guarigione di un sordomuto.
La situazione di quest’uomo di cui il Vangelo parla: è interessante notare che anche in questo caso Marco riporta una parola pronunciata da Gesù e la riporta nella lingua originale, cioè l’aramaico, non la traduce, poi la spiega nel significato, però prima di tutto la riporta fedelmente, così come Gesù l’ha pronunciata. Ma perché? Perché all’evangelista, come già in altre occasioni, piace riportare le parole originali di Gesù, per farlo sentire più vicino a chi sta ascoltando, quella parola è proprio la parola che ha pronunciato Gesù, come l’ha pronunciata Gesù, con lo stesso suono con cui è riecheggiata sulle labbra di Gesù e, dunque, è bello per colui che ascolta poter avvicinarsi ancora di più al Signore sentendo proprio la sua parola, quella che Lui ha detto. E la parola è questa: “Effatà!”, cioè: “Apriti!”. Gesù ha pronunciato questa parola: Effatà, ed è per questo che ci è una parola particolarmente cara, perché la ascoltiamo come Lui l’ha detta, con la sua propria voce!  Il personaggio ammalato, il sordomuto, viene portato da Gesù, perché da solo non è in grado di andarvi: egli è sordo e non ha sentito parlare di Gesù, dunque non sa chi sia questo Gesù. Poi, in quanto sordo, non sa che si possa parlare, dunque, non cerca nemmeno la guarigione, non la chiede, ecco perché viene portato, è un uomo che non sa e non può e, dunque, ha bisogno di qualcuno che lo conduca, lo conduca vicino al Signore. Il termine greco per dire muto andrebbe tradotto con: uno che parla a fatica, perché, in effetti, quest’uomo non è completamente muto, produce dei suoni confusi, suoni che non riesce ad articolare bene, il problema dei sordomuti è proprio questo che, non avendo l’udito, non imparano i suoni e, quindi, non riescono a emetterli in modo corretto, il sordomuto del Vangelo è un uomo che non sente e, proprio perché non sente, emette qualche suono con la sua voce, ma sono suoni incomprensibili, suoni disordinati, suoni scorretti. Ecco la sua situazione.

Ritorneremo sull’accompagnamento del sordomuto presso Gesù anche quando ascolteremo il secondo brano, ma ci ritorneremo tra poco, anche in relazione questo primo testo. Questo aspetto, comunque, della sordità, ritorniamo a questo elemento della malattia del personaggio evangelico, è molto importante perché, se è vero che il sordomuto richiama il discepolo, il punto di partenza negativo del discepolo è proprio il fatto che egli non è in grado di sentire, l’uomo del Vangelo rappresenta, rappresenta il pagano che non ascolta, ma rappresenta anche il catecumeno che ha cominciato ad ascoltare, ma ha bisogno di apprendere ancora e rappresenta anche il discepolo nella sua incapacità, a volte, di ascoltare quello che dovrebbe e come dovrebbe. Certamente ricordiamo nella lingua italiana quel detto che, a volte, anche noi diciamo: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. E a volte il discepolo è in questa situazione di colui che è sordo, ma non soltanto perché non sente fisicamente e non soltanto perché non sente spiritualmente, spiritualmente nel senso che non riesce, ma purtroppo, a volte, perché non vuole ascoltare quello che il Signore ha da dire. Gli apostoli sono affetti da questa sordità, non capiscono le parole di Gesù, mo le ascoltano, non sono disposti ad accoglierle e, di conseguenza, sono anche muti, non riescono a parlare, perché non può parlare chi prima non ha ascoltato.

Applichiamo a noi: la nostra capacità di testimoniare il Signore, di parlare di Lui, di essere annunciatori del Risorto è bloccata dalla nostra incapacità ad ascoltare, siamo muti perché siamo sordi. Come è vero! D’altronde Gesù in un altro momento dice che la bocca parla dall’abbondanza del cuore, ma se questo cuore non si è riempito in virtù dell’ascolto, come può dettare alla voce le parole che questa è chiamata a proclamare? Noi siamo muti, incapaci di annunciare, di testimoniare proprio perché spesso siamo sordi, incapaci di ascoltare o addirittura nella non volontà di ascoltare. Più avanti, l’evangelista Marco dirà che al malato si scioglie il nodo della lingua. E’ un’immagine molto suggestiva perché dà l’idea di un blocco. Per il sordomuto del Vangelo si tratta di un blocco fisico, ma se noi rimaniamo sul versante del segno, del simbolo questa lingua che si scioglie fa pensare a un blocco spirituale. Quante volte noi diciamo, nel parlare quotidiano: “Ho un nodo alla gola”, lo diciamo per dire che ho un dolore, una sofferenza che mi porta a piangere, che, comunque, costituisce un blocco interiore, un blocco dell’anima: ecco, il senso è proprio quello, noi abbiamo un nodo, spesso, un blocco interiore,  la condizione dell’uomo vecchio, quello che è rovinato dal peccato, la chiusura delle orecchie e della bocca avviene per la chiusura del cuore, noi abbiamo un blocco nel cuore, questa è la nostra sordità, questa è la nostra incapacità di parlare, il blocco nel cuore, il peccato che lo tocca, soltanto l’apertura del cuore può sbloccare anche questa incapacità ad ascoltare e a parlare. Ma questa apertura non possiamo conquistarla con le nostre forze, è un dono, è una grazia che scaturisce dall’incontro con Gesù. Tutto ciò avviene proprio nell’esperienza del sordomuto del Vangelo: non ascolta, perché non può ascoltare, non sa ascoltare, di conseguenza non parla, non può parlare. Come uscire da questa condizione? L’incontro con Gesù che sblocca questa situazione di impossibilità e rende al sordomuto la capacità di ascoltare e di parlare, per noi non può che essere così: l’incontro con Gesù che ci restituisce la capacità di ascoltare e parlare, che sblocca un cuore bloccato, un cuore prigioniero, un cuore andato in blocco a motivo del male e del peccato.

Ritorniamo per un momento su quel particolare a cui abbiamo accennato prima, ovvero il fatto che il sordomuto è condotto da Gesù da qualcuno, da un altro perché da solo non ce la fa: viene messo, qui, in evidenza il compito della Chiesa, il compito dei discepoli di Gesù. In relazione ai pagani, certo, ma in relazione ad ogni uomo, perché colui che si è fatto discepolo diventa compagno di strada di un uomo nella ricerca della salvezza, diventa prolungamento di Gesù in questa collaborazione per portarlo alla sorgente della vita che è esattamente il Signore. Il brano, dunque dicevamo, è indirizzato a tutti i discepoli compresi nel loro essere oggetto della salvezza portata dal Signore, diventano anche, però, soggetto di tale salvezza, cioè collaboratori nell’annuncio, nella testimonianza, nel condurre al Signore coloro che sono bisognosi dell’incontro con Lui.

Ci siamo soffermati sulla situazione del sordomuto, che, poi, abbiamo visto, richiama la nostra personale situazione oltre, ovviamente, alla situazione dei discepoli che sono protagonisti di questo avvenimento evangelico, ora, rimanendo su questo testo, portiamo l’attenzione sui gesti di Gesù. Gesù porta in disparte il sordomuto e compie alcuni gesti che, apparentemente, appaiono strani: mette le sue dita negli occhi, negli occhi e poi con la saliva tocca la lingua del muto, soprattutto questo secondo gesto a noi appare davvero un po’ strano. Nell’Oriente, però, la saliva ha un significato importante perché è l’acqua del respiro e, quindi, è strettamente connessa con la vita, con il soffio vitale che è lo Spirito. Pensiamo anche alla scena del cieco nato che ci è raccontata da san Giovanni: Gesù cosa fa? Fa del fango con la saliva e con questo ridona la vista a colui che non vedeva fin dalla nascita. Il gesto, pertanto, di toccare con la saliva e il toccare la lingua, quindi con la propria saliva toccare la saliva dell’altro è un gesto comunicativo di qualcosa: Gesù dà all’uomo qualcosa di sé, comunica la propria vita a colui che ha una vita ferita, una vita piagata da un punto di vista spirituale, una vita che è profondamente intaccata dalla morte e dal peccato. Lo stesso significato vale per il gesto di imporre le mani, un gesto comunicativo di qualche cosa che si ha e che si vuole donare. Teniamo, allora, presente questo significato bello, profondo, che era ovvio nella cultura orientale di allora, un gesto comunicativo di vita.

Altri due gesti vanno nella stessa direzione: Gesù guarda in alto, dirige gli occhi verso l’alto e sospira. L’evangelista Marco spesso si sofferma sullo sguardo di Gesù ed è un’attenzione molto bella e significativa che egli ha. Qui il dirigere lo sguardo verso l’alto, come in altre circostanze, indica l’orientare lo sguardo al Cielo, l’orientarlo verso Dio, verso il Padre, d’altra parte il sospiro esprime un dolore di fronte a una situazione faticosa, un’angoscia di fronte ad un uomo, certo, ferito nel fisico, ma soprattutto chiuso a motivo del peccato. Gesù alza gli occhi al Cielo, verso Dio, quasi per esprimere la comunione, la sua comunione col Padre e poi sospira, sospira per esprimere un’angoscia, un dolore, ma in realtà anche per richiamare un atto che è tipicamente creatore, pensiamo al libro della Genesi, qui Gesù compie un gesto creatore, di ri-creazione dell’uomo peccatore. E’ un richiamo questo alla Genesi, che ritroviamo anche a conclusione del brano evangelico che stiamo considerando, quando si dice di Gesù, da parte di coloro che sono presenti: “Ha fatto bene ogni cosa!”: ecco il richiamo al racconto iniziale della Genesi. Il sospiro che è un atto di creazione, di ri-creazione. In realtà, questa espressione che conclude il racconto evangelico, è in un’altra parte dove si dice: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e parlare i muti”. C’è anche un richiamo a Isaia, dunque, un richiamo messianico, c’è un richiamo alla creazione e un richiamo alla salvezza nel Messia. Ecco perché abbiamo parlato di ri-creazione, è un atto creatore e un atto ri-creatore dell’immagine di Dio nell’uomo peccatore. Ecco la ricchezza di questi gesti, bellissimi: c’è una comunicazione di vita, ma una comunicazione di vita divina, è questo che dobbiamo cogliere nelle dita che entrano negli occhi del cieco, la saliva che tocca la lingua del sordomuto, le mani che toccano il malato, gli occhi che si alzano verso Dio, il sospiro che esce dall’anima di Gesù. La parola di Gesù opera ciò che afferma, ciò che dice, non c’è soltanto il gesto creatore, ma la parola creatrice, perché in effetti all’effatà, pronunciato da Gesù segue la guarigione del sordomuto, l’uomo prigioniero viene liberato, è l’uomo cattivo che viene reso buono, cattivo significa esattamente prigioniero, dal latino captivus che vuol dire prigioniero, ecco l’uomo cattivo perché è immerso nel peccato, nel male, viene liberato dalla sua prigionia, colui che non parlava, ora è diventato capace di parlare. In greco si usa una parola interessante, la parola ortodosso, cioè colui che emetteva dei suoni sconclusionati, cioè non corretti, ora parla in modo diritto, in modo giusto, è diventato capace di parlare. E’ interessante, a questo punto, riascoltare la formula battesimale, nel rito del Battesimo quando il celebrante dice: “Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di testimoniare la sua fede a gloria del Signore”. Ecco la sintesi, la sintesi di questo testo evangelico: ciò che il sordomuto fisicamente aveva vissuto nell’incontro con Gesù, è qualcosa che rimanda ad un’esperienza spirituale di salvezza che tutti noi siamo chiamati a vivere dall’incontro, oggi, con il Signore risorto e vivo, Lui ci dà la possibilità di ascoltare la parola di Dio, Lui ci dà la possibilità di testimoniare la parola di Dio, Lui sblocca il cuore dal peccato e dal male perché tutto questo divenga possibile e lo diviene in virtù di una comunicazione di vita, la Sua che diventa nostra, attraverso il tocco vitale del Suo gesto creatore, della Sua parola creatrice.

Consideriamo adesso il secondo testo, quello che ci porta all’incontro con il cieco, la guarigione di un cieco. Al capitolo 8 in qualche modo si torna indietro. Perché? All’inizio dicevamo che i capitoli 6, 7 e 8 sono quei capitoli in cui ritroviamo la cosiddetta sezione dei pani e abbiamo anche sottolineato come nel giro di questi tre capitoli ritorna per due volte il miracolo della moltiplicazione, è tornata una prima volta prima del nostro testo riguardante il sordomuto, quella moltiplicazione ha trovato il punto culminante nella guarigione del sordomuto. Al capitolo 8 ritorna la seconda moltiplicazione dei pani e il culmine di questo racconto la guarigione di un cieco. Tutto questo in un contesto preciso, è il contesto di una grande incomprensione di ciò che Gesù dice e di ciò che Gesù fa. Potremmo dire che questa grande incomprensione che riguarda tutti coloro che sono con il Signore e, quindi, poi anche discepoli e apostoli è condensata in questa parola del Signore: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?”. E’importante che questo lo ricordiamo perché ci aiuta a comprendere il complesso di questi due racconti e, in realtà, poi, tutto il complesso dei capitoli 6, 7 e 8, dove ha termine, lo vedremo, la prima parte del Vangelo di Marco e ha inizio la seconda parte del Vangelo di Marco. Ma per adesso, ci basti sottolineare il contesto di questi due racconti, di questi tre capitoli che è una grande incomprensione rispetto alle parole e ai gesti di Gesù.
Il racconto della guarigione del cieco è simile al precedente: a Gesù conducono un cieco che, come il sordomuto, ha bisogno di essere guarito. Lo conducono perché il cieco? Non vede e, quindi, non può andare da solo là dove è Gesù. Ritorniamo qui, come abbiamo anticipato, sugli accompagnatori per dire una parola riguardo loro, l’abbiamo già detta, ma qui ne aggiungiamo un’altra. Colui che è guarito aiuta colui che ancora non lo è: questo è il compito di quei discepoli che portano a Gesù il cieco, loro hanno incontrato Gesù, quindi, in realtà, sono guariti e, proprio perché guariti, possono aiutare chi non lo è ancora, a far la stessa esperienza. In realtà, però, non si è mai guariti una volta per tutte, si rimane sempre un po’ malati. Questi accompagnatori, discepoli guariti, non sono del tutto guariti, perché loro, sono proprio loro che ancora non vedono, sono proprio loro che ancora non ascoltano! Accompagnare gli altri fa progredire nel processo della guarigione. Questi discepoli che ancora non sono del tutto guariti dalla loro sordità e mutismo, accompagnando colui che è cieco e sordo, colui che è muto crescono nella loro guarigione. C’è una frase sempre molto bella che il Magistero papale ha usato diverse volte, particolarmente Giovanni Paolo II, che è la seguente: “La fede cresce donandola”. Sembra un paradosso, però è così: nella misura in cui colui che ha fede dona la propria fede, cresce lui stesso nella fede che ha ricevuto. Questo non dovrebbe essere difficile da capire, anche perché riguarda altri ambiti della vita: prendiamo per esempio un insegnante, colui che insegna, insegnando cresce nella comprensione di quello che ha appreso un giorno, per lui insegnare significa crescere nella competenza della materia che insegna e così vale per colui che ha avuto il dono della fede, donandola, permette a questa fede di crescere! E così avviene per i discepoli del Vangelo: in parte guariti, accompagnando gli altri a Gesù, crescono nella loro personale guarigione.

Anche qui Gesù esce dal villaggio, ma esce con un gesto bellissimo, prendendo per mano il cieco. Il Signore è delicatissimo verso questo uomo malato, lui non sa dove andare e, quindi, Gesù lo prende per mano e lo porta fuori dal villaggio. Oltre al gesto in sé, c’è un simbolo altrettanto bello: Gesù fa compiere un cammino all’uomo, gli fa compiere un esodo, lo porta fuori standogli vicino, prendendolo per mano. Splendida questa immagine che dovremmo conservare nel cuore, perché quel cieco sono io, siamo noi ed è Gesù che mi avvicina, ci avvicina, prende per mano e conduce fuori dal villaggio, fa compiere l’esodo, il cammino della salvezza, oltre che al cammino di guarigione è un cammino di salvezza e Lui è con noi, sempre con noi, non lo percorriamo da soli, ma lo percorriamo con Lui che ci prende per mano, che ci porta con sé con delicatezza straordinaria, divina, appunto! Il miracolo si realizza in modo strano. Non torniamo sulla stranezza apparente dei gesti, l’abbiamo già vista nel primo miracolo, toccare gli occhi, che poi riguarda più da vicino questo miracolo, la saliva che viene posta sulla bocca, sulla lingua, la saliva del muto. Qui ci soffermiamo su un altro tipo di stranezza, perché Gesù compie il gesto della saliva sugli occhi, impone le mani, quindi si ripropongono i gesti del miracolo precedente, ma questa volta non dà un comando, non avviene quello che è accaduto prima quando Gesù si era rivolto al malato dicendo: “Effatà, apriti!”, no, qui no! Il miracolo sembra non riuscire, infatti la guarigione avviene in due tempi. Ma perché questo? Quei gesti hanno come bisogno di essere ripetuti, infatti all’inizio colui che è cieco vede qualcosa, ma in modo annebbiato, ancora senza chiarezza, soltanto dopo che i gesti si sono replicati, lì allora la vista diventa chiara. Perché la guarigione avviene in due tempi? Perché la guarigione non è immediata? Forse perché Gesù non abbia in sé la potenza risanatrice? No, ce l’ha! Perché la guarigione del cieco avviene progressivamente, è il cieco che progredisce, che ha bisogno di tempo, che deve fare un cammino e Gesù questo cammino lo fa insieme a lui. Siamo anche qui ben rappresentati nella nostra fatica, nella nostra fatica ad accogliere la salvezza del Signore. La vita ha tutto questo cammino di salvezza nella compagnia di Gesù che non ci abbandona mai. E’ necessario anche che mettiamo in relazione questo testo con quello che verrà immediatamente dopo. Dicevamo che, qui in questo capitolo 8° si chiude la prima parte del Vangelo di Marco e poi inizia la seconda, in effetti al versetto 26 del capitolo 8 noi troviamo il dialogo tra Gesù e gli apostoli in merito alla sua identità, è con questo dialogo che la prima parte del Vangelo di Marco finisce e ha inizio esattamente la seconda parte al versetto 31.

Come inizia questa seconda parte? L’abbiamo già ricordato in una precedente lectio: “E incominciò a insegnare loro”. E come? Gesù fino adesso ha insegnato loro e ora è come se cominciasse di nuovo a insegnare loro. Certo! Perché? Perché i discepoli hanno compiuto finora un primo tratto di strada, adesso devono cominciare a compiere il secondo tratto di strada, proprio come il cieco che ha cominciato a vedere qualcosa, ma ancora ha bisogno di fare strada per poter vedere con chiarezza. Torniamo un attimo a quel dialogo tra Gesù e gli apostoli in merito alla sua identità. Che cosa dice Pietro, a nome di tutti? Che Gesù è il Cristo, il Messia. Ma ha capito esattamente quello che ha detto? No! Infatti Pietro avrà bisogno ancora di tanta strada per poter capire fino in fondo quello che ha detto, che cosa significa affermare che Gesù è il Messia. Sì, ha capito qualcosa, che Gesù è il Messia, ma ha bisogno ancora di tempo per poter capirlo in profondità, con chiarezza e, quindi, dare compimento a quella parola che ha pronunciato. Ecco qui che inizia la seconda parte del Vangelo di Marco, quella parte che condurrà progressivamente i discepoli, gli apostoli a incontrarsi con la realtà di Gesù, Figlio di Dio, ma in un modo completamente nuovo.

Attualizziamo per la vita ciò che abbiamo considerato a partire dai due brani del Vangelo di Marco. La considerazione è duplice. La prima: anzitutto consideriamo con gioia che anche noi, in virtù del Battesimo, siamo già stati salvati e siamo già stati liberati! Che significato ha l’alleluia pasquale che ci accompagna fino a Pentecoste e che risuona con una gioia debordante la notte della veglia di Pasqua: che noi siamo stati salvati da Gesù, Gesù si è fatto vicino a noi, ci ha incontrato, ci ha presi per mano, ci ha fatto compiere il cammino dell’esodo, siamo capaci di ascoltare, siamo capaci di parlare, siamo capaci di vedere perché Lui ci ha tolto dalla prigionia nella quale eravamo a motivo della colpa, ci ha ridato la vita a noi morti a ragione del peccato. Riportiamo, allora, alla memoria il rito dell’effatà del nostro Battesimo e riviviamolo, rinnoviamolo con gioia, pensando che questo ormai è qualcosa che è nostro, perché ci è stato donato! Gesù davvero è il Salvatore, Lui risorto mi ha fatto compiere il cammino dell’esodo: sono già nella terra promessa, Lui mi ci ha fatto entrare, accompagnandomi per mano. Ecco l’alleluia della Pasqua, perché l’alleluia della Pasqua deve essere ben presente nel nostro cuore, riecheggiare sulle nostre labbra e dare forma a tutti i nostri gesti, alla nostra vita, perché siamo salvati e siamo nella gioia! Un secondo elemento dell’attualizzazione: siamo salvati, ma il dono che ci è stato fatto deve ancora trovare compimento e allora siamo chiamati ogni giorno a rientrare in noi stessi per mettere a fuoco quali sono ancora le prigionie che ci bloccano, quali sono quegli elementi di mancanza di libertà che ancora ci affliggono, perché ci sono, non perché Gesù non ci abbia salvato, ma perché dentro questa salvezza dobbiamo ancora entrare progressivamente. Lo facciamo nella speranza, nella fiducia perché è Gesù che ci conduce per mano, il Salvatore, quindi è sicura la salvezza, ma dobbiamo viverla fino in fondo. Non siamo di fronte a qualcosa che è impossibile, come quel sordomuto che da solo non poteva, o come quel cieco che da solo non poteva. No! Perché Gesù è con me e mi porta, mi ha già salvato, mi devo lasciare condurre nella pienezza, quindi sono nella fiducia, nella speranza. Scoprire le nostre prigionie, scoprire le nostre mancanze di libertà supplicando senza stancarci: “Signore, fa’ che io ascolti, Signore, fa’ che io parli, Signore, fa’ che io veda!”. Supplichiamo, supplichiamo, bussiamo alla porta del cuore del Signore, Lui non si stanca nel prenderci per mano e nel condurci fuori, ogni giorno, ogni volta, ogni istante: e questa è l’esperienza della salvezza che continuamente si rinnova nella nostra vita, non Perché noi abbiamo realizzato qualcosa, ma perché il Signore ogni volta lo realizza in noi. E infine, il terzo elemento di attualizzazione: noi che siamo salvati, almeno in parte guariti, non possiamo non avvertire il desiderio di condurre a Gesù chi ancora è prigioniero, chi ancora non può ascoltare, chi ancora non può parlare, chi ancora non può vedere. Siamo chiamati a coltivare un vero amore per l’uomo, per il mondo pagano, per il mondo che non conosce Gesù, per il mondo che ha abbandonato Gesù, per il mondo che è indifferente a Gesù! Questo amore vero si chiama annuncio, testimonianza, parola attraente e affascinante, vita parlante del Signore perché tutti lo possano incontrare, tutti lo possano ascoltare, tutti lo possano vedere e possano fare quell’esperienza di essere presi per mano e condotti nell’esodo della vita, in quell’uscire che è salvezza, liberazione dalla prigione.

Trasformiamo in preghiera la nostra lectio divina attraverso il salmo, il salmo 81: “Esultate in Dio, nostra forza, acclamate il Dio di Giacobbe, intonate il canto e suonate il tamburello, la cetra melodiosa con l’arpa, suonate il corno nel novilunio, nel plenilunio nostro giorno di festa. Questo è un decreto per Israele, un giudizio del Dio di Giacobbe, una testimonianza data a Giuseppe quando usciva dal paese d’Egitto. Un linguaggio mai inteso io sento, ho liberato dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta, hai gridato a me nell’angoscia e io ti ho liberato, nascosto nei tuoni ti ho dato risposta, ti ho messo alla prova alle acque di Meriba. Ascolta, popolo mio, contro di te voglio testimoniare. Israele, se tu mi ascoltassi! Non ci sia in mezzo a te un dio straniero e non prostrarti a un dio straniero, sono io il Signore tuo Dio che ti ha fatto salire dal paese d’Egitto. Apri la tua bocca, la voglio riempire! Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito, l’ho abbandonato alla durezza del suo cuore. Seguano pure i loro progetti. Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie, subito piegherei i suoi nemici e contro i suoi avversari volgerei la mia mano. Quelli che odiano il Signore gli sarebbero sottomessi e la loro sorte sarebbe segnata per sempre, lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele dalla roccia”. Che questa preghiera del salmo trovi sintesi nella grande preghiera di Gesù: “Padre nostro, che sei nei cieli … “. E vi benedica Dio Onnipotente: Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen. E ora nella gioia, affidiamo la nostra vita alla Vergine Maria. Canto: Regina Coeli in Gregoriano.

Ascoltiamo La Lectio Divina del Monsignore sul vangelo di Marco 7,24-37 8,22-36