Meditazione – Il tempo di credere all’amore

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Meditazione – Il tempo di credere all’amore

Ritiro di Quaresima

 

Ci sono dei versetti del Vangelo che dovremmo imparare a memoria. In realtà, stando alla felice consuetudine dei padri antichi e di tanti uomini e donne di fede che ci hanno preceduto, sarebbe bene custodire nella memoria buona parte della Scrittura. Pensate: la Regola di Pacomio, ad esempio, prescriveva l’intero Nuovo Testamento e il Salterio (150 salmi) come quantità minima necessaria da memorizzare. D’altra parte, nella vita del grande padre Macario, si racconta che egli ordinò come penitenza di confessione, a un monaco negligente, di imparare a memoria un intero libro dell’Antico Testamento.

Questi, comunque, sono forse esempi che siamo chiamati solo ad ammirare. È anche vero, però, che questi stessi esempi possono e devono perlomeno ancora ispirarci, nel vivere la nostra relazione quotidiana con la parola di Dio. Ecco perché dicevo che ci sono alcuni versetti del Vangelo che dovremmo imparare a memoria. Almeno alcuni! Tra questi, certamente, quelli con i quali l’evangelista Marco introduce il ministero pubblico di Gesù, ricordando le prime parole da Lui pronunciate: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (1, 15).

Li abbiamo ancora una volta ascoltati, questi versetti evangelici, all’inizio del nostro itinerario quaresimale. Allora, sono stati come l’avvio di un percorso; ma ora, e fino al termine della Quaresima, essi devono riaffiorare nel nostro cuore come ispiratori del cammino spirituale che stiamo compiendo. Ripeterli, e ripeterli spesso, durante le nostre giornate, nel momento della preghiera come anche in mezzo alle più varie occupazioni, ci aiuterà a realizzare una vera trasformazione della vita. Lo sappiamo, e ne siamo certi, che: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo / e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme a chi semina / e il pane a chi mangia, / così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55, 10-11).

In questa certezza di fede, pertanto, ritorniamo al vangelo di san Marco: riascolteremo la parola del Signore contenuta nel versetto 15 del I capitolo, la mediteremo approfondendone il significato, lasceremo che scenda nel profondo del nostro cuore e daremo la nostra collaborazione perché possa compiere in noi ciò per cui è stata mandata.

 

“Il tempo è compiuto”
Sono queste le primissime parole pronunciate da Gesù, dopo che “Giovanni fu arrestato” (Mc 1, 15) ed Egli iniziò ad andare in Galilea “proclamando il vangelo di Dio” (1, 14).

Vi si afferma che il tempo è compiuto. Ma di quale tempo si tratta? Sappiamo che vi sono due possibilità di intendere il tempo: o dal punto di vista del suo scorrere, o dal punto di vista del momento opportuno. Se lo consideriamo nel suo scorrere, il tempo è da intendere in quanto misurabile, così come lo si misura con l’orologio. Se, invece, lo consideriamo nel suo essere momento opportuno, il tempo è da intendere come occasione favorevole e momento di grazia, assolutamente da non perdere.

È esattamente questo il significato che il tempo ha nelle parole di Gesù. In tal modo, quando ascoltiamo il Signore che annuncia “il tempo compiuto”, siamo chiamati a intendere un tempo particolarmente propizio che ci è donato. Pensiamo alla condizione del contadino: la sua valutazione dei tempi non è lasciata al gusto o alla voglia. Quando è il tempo di vendemmiare, non può dire: “Lo farò la settimana prossima o la anticipo perché la settimana prossima non posso”. Deve vendemmiare quando è il tempo, il momento giusto. Nella realtà della natura sappiamo che bisogna cogliere il momento giusto di fare le cose, altrimenti non si ottengono i risultati sperati.

In questa stessa direzione è da intendere anche il termine “compiuto”. Vi si indica un riempimento, qualcosa che è capitato. Se dovessimo, di conseguenza, rendere più immediata l’idea di ciò che il Signore intende annunciare con quelle due parole inziali, si potrebbe dire: “Ci siamo, l’occasione buona è arrivata, questo è il momento giusto!”.

La Quaresima, in effetti, è proprio il momento giusto, l’occasione buona, il tempo favorevole che ancora una volta mi viene donato dal Signore. Ho detto: “ancora una volta”. Ogni anno, infatti, a motivo del ciclo liturgico ci viene proposto l’itinerario quaresimale e ci viene annunciato “il tempo compiuto”. In questa ripetizione annuale potremmo anche essere tentati di avvertire una sorta di noia o di abitudine ormai stanca. “Abbiamo vissuto tante Quaresime!”. Come è bello e sorprendente, invece, questo ritorno incessante di un momento favorevole, di un’occasione di grazia. È il segno eloquente che Dio non si è stancato di noi, che la Sua misericordia non è venuta meno, che nonostante le nostre infedeltà e i nostri ritardi Egli è rimasto fedele alla Sua promessa di amore.

Anche per questo motivo, se è un tempo favorevole, la Quaresima è anche tempo di gioia e di gratitudine. Il cammino della santità ci è ancora possibile! La porta del Cuore del Signore è ancora aperta per noi! Lo splendore della vita di grazia ci è ancora donato! La parola con la quale il Signore ci chiama a Sé non ha ancora smesso di risuonare!

Quando, allora, ascoltiamo Gesù annunciare che “il tempo è compiuto”, è come se ci ritrovassimo sulla spiaggia del mare a contemplare il sole all’aurora. Nonostante quel sole sia tramontato, ora di nuovo sorge per noi. Ed è, per noi, ragione di gioia, di speranza, di fiducia in una vita che si rinnova. Il Signore è il Sole della Vita, che mai si stanca di noi e che mai smette di amarci.

 

“Il regno di Dio è vicino”
In questa successiva parola di Gesù è indicato il motivo per cui si può parlare di un tempo compiuto, di una nuova occasione favorevole. Perché “il regno di Dio è vicino”.

Non è questo il luogo per addentrarci nel significato di “regno di Dio”. Ci basti solo osservare che, con questa espressione, il Signore intende sottolineare che Dio si è fatto presente nella storia degli uomini, che Dio è entrato nelle vicende del mondo. In altre parole, che Dio, in Gesù, è qui, proprio adesso. Il momento opportuno, pertanto, si rinnova per noi ancora una volta, dal momento che il Signore interpella la nostra vita con la Sua presenza di amore e di salvezza.

Lo abbiamo appreso a Natale quando, in virtù del mistero dell’Incarnazione, Dio si è fatto conoscere come l’Emmanuele, Dio con noi. E adesso, questa stessa splendida verità su Dio, questo stesso lineamento del Suo luminoso Volto ci vengono nuovamente annunciati. Anche per questo motivo la Quaresima è tempo di gioia e di gratitudine. Quale notizia, infatti, può essere più bella di questa? Quale annuncio può riempire davvero il nostro cuore di meraviglia, se non quello di Dio che, in Gesù nostro Signore, viene ad abitare in mezzo a noi?

Una riflessione, tuttavia, si impone. Non sempre, infatti, il Signore lo accogliamo nella nostra esistenza. Egli c’è, è qui, vuole accompagnare il nostro cammino quotidiano, ma noi non diamo il nostro consenso. Risponde al vero, purtroppo, che spesso ci rifiutiamo di fare spazio al Signore laddove viviamo: in famiglia, sul lavoro, nello studio, nel tempo libero, in ciò che costituisce la trama della nostra quotidianità. Affermiamo a parole che il Signore è vicino, ma poi lo teniamo a distanza, una distanza di sicurezza, quasi avessimo paura della Sua presenza.

A volte siamo distratti, e viviamo come se Dio non esistesse. Ed è triste! Perché vivere come se Dio non esistesse equivale a non vivere, a perdere il vero bello della vita, a smarrire il senso autentico di tutto quanto passa per le nostre mani. Tutto, allora, diventa opaco, incapace di rispondere alle attese grandi del cuore, motivo di stanchezze, turbamenti e angosce.

Altre volte, invece, Dio resta ai margini della vita, non per distrazione ma per una sorta di paura che abita il nostro povero cuore. Paura che Dio possa toglierci qualche cosa che ci è caro, paura che la Sua volontà venga a privarci di ciò che consideriamo bene per noi, paura che la Sua presenza e la Sua parola possano significare una perdita di pienezza e di gioia. Eppure così proprio non è. Nessuno, infatti, quanto il Signore è l’autentico alleato di ciò che noi cerchiamo e che è verità, amore, bellezza, pienezza di senso e di gioia. Dal momento che Lui è la Verità, Lui è l’Amore, Lui è la Bellezza, Lui è il Senso di tutto e, ancora Lui, è la Gioia senza fine.

Non dobbiamo, pertanto, né essere distratti né avere paura. La Quaresima è il tempo nel quale ritrovare la gioia di avere il Signore con noi, con noi sempre e ovunque, e di vivere nella Sua volontà che è Vita, l’unica che valga la pena di essere vissuta.

Torniamo, per un istante, sulla riva del mare. Contemplare il sole al tramonto è esperienza bellissima, che riempie il cuore e commuove. Eppure, per la sete di infinito che ci portiamo dentro, lascia anche un senso di amaro per qualcosa che avvertiamo sfuggirci. Toglie, forse, qualcosa, contemplare quel sole arrossato alla presenza di Dio? Tutt’altro! Dal momento che, in Dio, quel sole che si immerge nel mare trova il suo senso più vero, ricordandoci che l’Eterno infinito è il nostro destino e che, in Gesù, già ci è possibile viverlo.

 

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Prima di proseguire il nostro approfondimento orante delle parole pronunciate da Gesù, e riportate da san Marco all’inizio del suo Vangelo, consentiamoci un breve intermezzo. In realtà, non è un vero e proprio intermezzo quanto piuttosto una semplice riflessione che ci permette di legare in armonia le due prime parole pronunciate da Gesù con le altre due che seguiranno.

Che cosa intendo dire. Fino ad ora il Signore ha annunciato un fatto, che poi è grazia: il momento favorevole è giunto perché Dio è qui presente. Solo nel momento successivo il Signore, con la Sua parola, indicherà la via da percorrere. In altre parole: la grazia precede l’impegno, il dono di Dio viene sempre prima della responsabilità dell’uomo. Solo l’amore di Dio, accolto con fede, è in grado di salvare e di dare inizio a un cammino di santità.

Sembra un’annotazione da poco, eppure è tanto importante. Tutti noi, infatti, siamo spesso tentati di immaginare la vita cristiana come uno sforzo al quale sottoporsi per raggiungere la meta, un impegno faticoso al fine di perseguire lo scopo della perfezione secondo il Vangelo. Così, però, non è e non può essere. La vita cristiana è prima e soprattutto il dono che Dio fa di Sé a noi. Dono della Sua vita, dono del Suo amore, dono del Suo cuore. Ed è a partire da questo straordinario dono che ha inizio l’avventura esaltante della santità e di un’esistenza incamminata verso le vette della volontà del Signore.

In ragione di questo il Vangelo è la “Buona notizia”! Potrebbe essere buona notizia un semplice comando a essere perfetti? Potrebbe essere annuncio liberante quello che dovesse presentare alti e nobilissimi progetti di moralità e di spiritualità, abbandonandoci a noi stessi e alle nostre povere forze? Non si ricorderà mai abbastanza che il Signore non è venuto a dire: “Tu devi!”. Non sarebbe cambiato nulla nella storia del mondo. No, è venuto, invece, a dire: “Tu puoi!”. E puoi, d’ora in avanti, vivere una vita nuova, quella del figlio di Dio, libera dal peccato, esaltata dalla grazia, animata da un amore che non è tuo ma mio, perché io ti ho salvato e ti ho aperto le porte della Vita vera.

Allora non ci sentiamo più abbandonati a noi stessi ma, al contrario, rinnovati e accompagnati per le vie del Cielo da Colui che è tutto Amore, che è Tutto per noi.

Ed è in questa luce e in questa gioia che possiamo ritornare ad ascoltare la parola di Gesù.

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“Convertitevi”
È bene subito intendersi sul significato di questa parola, tanto bella e importante, quanto soggetta a possibili malintesi. Conversione, infatti, nel Vangelo, non indica una semplice trasformazione della vita di carattere impersonale. Se così fosse, si potrebbe pensare a un cammino di adesione progressiva a un ideale nobile di vita, o a un perfezionamento morale e spirituale senza un “tu” vivo a cui riferirsi.

No. Conversione, nel testo evangelico, significa cambiamento che orienta con decisione a Qualcuno, trasformazione della propria esistenza in relazione a Dio, inversione di rotta per puntare direttamente e senza ritardi al Cuore del Signore. Siamo chiamati, insomma, a convertirci a Gesù, al fine di vivere un rapporto di amore più intenso con Lui.

Una domanda sorge spontanea: non è, forse, Gesù il senso della nostra vita, in quanto cristiani? È vero. E, tuttavia, un pericolo incombe spesso su di noi: quello di perdere di vista il centro e di perderci in ciò che è secondario, di smarrire quanto è essenziale e di lasciarsi assorbire da quello che essenziale non è.

Per chi, come noi, ha la fede, è chiaro che vi sono tante dimensioni della vita e tante realtà importanti nelle quali siamo chiamati a spenderci. Pensiamo alla difesa e promozione della vita, all’impegno per la pace, alla sfida educativa, alle risposte da dare alle molteplici povertà, alla questione ecologica, al dialogo con le altre religioni… L’elenco potrebbe allungarsi di molto, nell’ambito più propriamente morale come anche in quello sociale, e con diverse sottolineature, in ragione del tempo storico in cui si è chiamati a vivere, ognuno con  specifiche priorità e inevitabili condizionamenti culturali.

Ciascuna di queste realtà, tuttavia, non può distogliere dal centro, ovvero da Gesù Cristo che, anzi, consente di stare in queste realtà con il Suo sguardo, che è l’unico sguardo di Verità e di Amore, capace di illuminare e di redimere ogni realtà. Lasciamoci, in questo senso, almeno un po’ interrogare da un pensatore-poeta rumeno che, in un suo Piccolo dizionario a uso privato, ha così sferzato i cristiani, proprio su questo loro strano atteggiamento. Alla voce “Cristo” ha dato la seguente definizione: “Argomento secondario ad appoggio eventuale di un discorso sui diritti umani, pace, ecologia, sesso, democrazia parlamentare” (E. Cioran).

Perché questo non avvenga urge una vera conversione a Cristo, anche per noi che professiamo di credere in Lui, perché al nostro nome “cristiano” corrisponda davvero il nostro vivere in Cristo, il nostro pensare con Cristo, il nostro operare per Cristo.

Prima di ogni altro interesse e passione, è Gesù Cristo per noi. Tutto il resto sarà sempre una conseguenza dettata dal Suo amore, che ci ha salvato, conquistato e inviato nel mondo per portarvi Lui, la sola Speranza veramente degna dell’uomo e per la quale vale la pena vivere e morire.

La Quaresima sia, allora, un tempo di versa conversione. Ma di conversione decisa e piena di fervore al Signore Gesù. Potrà aiutarci, forse, quanto in una sua bellissima lettera ha lasciato scritto una grande santa e mistica, Gemma Galgani: “Io vorrei che il mio cuore non palpitasse, non vivesse, non sospirasse che per Gesù. Vorrei che la mia lingua non sapesse proferire che il nome di Gesù, che i miei occhi non guardassero altro che Gesù, che la mia penna non sapesse scrivere che Gesù e i miei pensieri non volassero che a Gesù. Più volte mi sono posta a riflettere se vi fosse in terra un oggetto verso il quale potessi indirizzare gli affetti miei; ma non trovo nessun oggetto, né in terra né in cielo, se non altro che il mio… Gesù” (Lettere, p. 432)

 

“Credete nel Vangelo”
Siamo così giunti all’ultima parola, tra le primissime parole pronunciate da Gesù e trasmesse a noi dall’evangelista Marco.
Come la precedente, anche questa parola indica una strada privilegiata da percorrere nel tempo della Quaresima, un impegno da inserire a chiare lettere nell’ordine del giorno del nostro programma, per i quaranta giorni che precedono la Settimana Santa.

“Credete nel Vangelo”. Gesù si rivolgeva a quanti il Vangelo non lo avevano ancora ascoltato. Ma noi lo abbiamo ascoltato; anzi, molti tra noi lo ascoltano ogni giorno e in quantità rilevante. Perché, dunque, si rinnova anche per noi l’invito a credere nel Vangelo?

Forse, e pure senza forse, perché quel Vangelo che ascoltiamo non è anche il Vangelo in cui crediamo davvero. Se, infatti, credessimo davvero alla Parola di Dio che il Vangelo contiene, non sarebbe diversa la nostra vita? Se a quella Parola affidassimo tutto di noi, la nostra appartenenza al Signore non sarebbe più significativa, integrale, appassionata? In realtà, a quel Vangelo non crediamo veramente o, almeno, vi crediamo in parte, fino a un certo punto, con una sorta di prudenza, che è solo umana e che viene dalla carne, direbbe san Paolo.

Di questo siamo desolati e amareggiati. Speriamo, perlomeno, che sia così: che avvertiamo la tristezza per questa nostra mancanza di fede e ne chiediamo perdono dal profondo del cuore.

Ora, però, proviamo a domandarci il perché di questa mancanza di affidamento vero al Vangelo del Signore. La risposta, mi pare, non può che essere una: noi non crediamo all’amore di Dio. È tanto duro ammetterlo, riconoscerlo, soprattutto per noi che professiamo di avere la fede. Ma è proprio così. La parola di Dio non diventa vita della nostra vita perché di quella Parola non ci fidiamo del tutto, perché non crediamo intimamente che quella Parola sia tutta Amore e solo Amore per noi, non siamo del tutto convinti che in quella Parola sia tutta la ragione e il senso dell’esistenza.

Se così fosse, infatti, non avremmo remore a fondare tutto sul Vangelo, a decidere tutto a partire dal Vangelo, ad accogliere tutto del Vangelo. Come siamo poveri di fede! Come crediamo poco all’amore di Dio! Come difettiamo nell’abbandono all’Amore! Proviamo a rileggere, in questa luce, quanto afferma l’apostolo Paolo, con la forza che gli è abituale: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35. 37-38). Ecco le parole di un uomo che ha creduto nel Vangelo! Ecco le parole di un uomo che ha creduto all’Amore e Gli si è consegnato senza condizioni! Ecco le parole di un uomo che ha accolto in sé la parola di Dio, nella fede che quella Parola lo avrebbe sempre salvato!

D’altra parte, e sempre con grande emozione dovremmo riascoltarlo, che cosa scrive san Giovanni di sé e degli altri apostoli, di sé e di tutti coloro che si mettono alla sequela del Signore? Ecco: “E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi” (I Gv 4, 16). Potessimo dirlo anche noi! E, soprattutto, viverlo! Potessimo credere nel Vangelo così da affidargli tutta la nostra vita! Potessimo credere all’Amore e lasciarci condurre da quello stesso Amore senza timori e senza difese.

Questo, pertanto, è quanto dobbiamo cercare di vivere in Quaresima alla luce dell’invito di Gesù: “Credete nel Vangelo”. Vivere il “sì” vero e definitivo a Dio. Consegnare a Dio la nostra vita, perché tutto si compia in noi secondo la Sua volontà e la Sua parola. Proviamo, con l’aiuto della grazia di Dio invocato nella preghiera, a chiudere gli occhi e a gettarci nell’abisso dell’amore di Dio, una volta per tutte e per sempre. E lasciamo che sia questo Amore a plasmare e a scrivere i giorni della nostra vita.

Giunti a questo punto, lo abbiamo capito. Convertirsi e credere nel Vangelo sono, alla fine, due parole che contengono la stessa e identica chiamata. Nell’indicarci la via del percorso quaresimale, il Signore ci consegna due parole fondamentali. Ma, in queste due parole, una sola è la chiamata che vi ascoltiamo per noi. È la chiamata ad aprire e a spalancare le porte della nostra vita a Gesù, Amore del Padre, e a fidarci senza più timori di sorta, con lo slancio di chi l’Amore l’ha finalmente conosciuto. Oggi, non domani. Perché “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”.