Omelia – Santa Messa nella giornata per la vita

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Omelia – Santa Messa nella giornata per la vita

Omelia – Santa Messa nella V Domenica del Tempo Ordinario, anno C

Giornata per la vita

Se all’uscita dalla Cattedrale, al termine di questa celebrazione, incontrassimo qualcuno che ci fermasse e ci chiedesse: «Per te che cosa vuol dire essere cristiano?», possiamo immaginare quali potrebbero essere alcune delle nostre risposte.

Qualcuno potrebbe dire: «Amare i poveri». Qualcun altro: «Impegnarsi per la pace». Altri: «Darsi da fare per la giustizia». Oppure: «Essere attenti a promuovere, a difendere, a custodire la vita». E probabilmente l’elenco potrebbe essere lungo, se molti fossero fermati e a molti fosse chiesto il significato del loro essere cristiano. Queste risposte sarebbero tutte errate.

E sarebbero l’indice che ancora non abbiamo còlto fino in fondo la bellezza della nostra identità cristiana, che non consiste anzitutto in un “fare”, pur bello, nobile, importante, ma anzitutto consiste in un “essere”, o meglio ancora, in un incontro che ha trasformato e cambiato la nostra vita.

Che cosa dice oggi di sé l’apostolo Paolo?

Dice così, parafrasando il testo della sua lettera: «Io vi annuncio ciò che mi è stato trasmesso, e che ha cambiato per sempre la mia vita, che Cristo è morto, è risorto, è apparso a molti. E alla Sua Grazia io devo tutto quello che sono».

Quale sarebbe allora la risposta giusta da dare all’ipotetico interrogativo? Sarebbe questa: «Sono cristiano perché il Signore Gesù mi ha incontrato. Io l’ho incontrato. Lui è morto e risorto per me, e la mia vita è cambiata per sempre a motivo di quell’incontro. Nella misura in cui noi custodiamo Gesù nella nostra vita e fondiamo su di Lui la nostra identità, allora diveniamo autentici custodi di tutto il resto: custodi della pace, della vita, della giustizia, dei poveri; custodi di coloro che hanno bisogno, di coloro che sono smarriti. Perché è il cuore di Cristo che abita il nostro cuore, facendolo dilatare secondo l’ampiezza del mondo.

Cristo, infatti, abbraccia tutto e tutti, e nella misura in cui custodiamo il nostro rapporto con il Signore che è venuto a noi, diveniamo capaci anche noi di custodire il mondo intero, perché là dove c’è l’uomo, là il cuore di Cristo batte per lui, e allora anche il nostro batte per ogni uomo.

Non dimentichiamolo. Se qualcuno dovesse fermarci e interrogarci, rispondiamo con le parole dell’Apostolo: «Essere cristiano significa che io appartengo a Cristo, perché Lui è morto e risorto per me, mi ha salvato e ha cambiato la mia vita. Ed è per questo che il mio cuore si dilata alle grandezze del mondo intero e di tutto l’umano».

Che cosa rispondiamo dopo la Consacrazione, al cuore della grande Preghiera Eucaristica, quando il celebrante annuncia: “Mistero della fede”? Lo ripeteremo anche oggi: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta».

Abbiamo mai riflettuto sul fatto che qui c’è il cuore della nostra identità? «Mistero della fede» dice il celebrante, e noi con la nostra risposta affermiamo che cosa è la nostra fede, qual è la nostra identità, qual è il fondamento di ciò che siamo. Cristo morto per noi, Cristo risorto per noi.

Per questo ancora una volta vogliamo affermare che è nella celebrazione eucaristica che troviamo la nostra identità, è nella celebrazione eucaristica che scopriamo ogni volta di più e meglio che cosa significa essere cristiani. È nella celebrazione eucaristica che si scolpisce nel nostro cuore e nel nostro volto, ogni giorno di più, la bellezza della nostra fede. Per questo la partecipazione alla Messa non può e non deve essere una fatica, ma non può che essere una gioia, un’esigenza, un tempo di cui non possiamo fare a meno.

Senza la Messa si sgretola la nostra fede, perdiamo di vista la bellezza della nostra identità e ci scordiamo che siamo cristiani a motivo del fatto che Gesù è morto e risorto per noi, e ci ha dato la sua vita.

Perché non fare in modo che la Messa divenga un appuntamento di ogni giorno? È così difficile pensare che la nostra giornata sarebbe diversa se ogni giorno avessimo la grazia di incontrarci con questo Signore che è il fondamento, il cuore, il senso della nostra vita?

È così difficile immaginare che cambieremmo volto, se ogni giorno tornassimo a incontrarci con quel Signore a motivo del quale siamo salvi? Perché ci ha fatto Suoi, e ogni giorno ci fa più Suoi. Oggi, mentre riascoltiamo le parole di Paolo – «Io vi annuncio ciò che ho ricevuto, e che è il senso della mia esistenza: il Signore è morto, è risorto, è apparso, e mi ha trasformato la vita con la Sua Grazia» – riportiamo alla mente e al cuore la bellezza di ciò che siamo, e facciamo in modo, nutrendoci ogni giorno di questa verità, di non perdere mai la nostra identità, la straordinaria bellezza della nostra identità.

Isaia per un verso e Pietro per un altro, oggi, ci aiutano a riconsiderare che cosa significa vivere quotidianamente l’incontro col Signore.

Entrambi hanno un’esperienza simile: dapprima diventano consapevoli della loro povertà e del loro peccato. Dio parla a Isaia ed egli risponde: «Ma come faccio, io sono un poveretto, dove vuoi che vada?». Pietro davanti a Gesù, dopo la pesca miracolosa, dice: «Io sono un povero peccatore, abbi pietà di me».

Poi che cosa accade a entrambi? Isaia si sente confortato, perché capisce dalle parole che Dio gli rivolge, che la sua povertà è accolta, che la sua debolezza è sostenuta.

E Pietro comprende dalle parole di Gesù che la misericordia del Signore è molto più grande della sua miseria.

Infine Isaia ascolta le parole del “mandato”: egli è chiamato ad andare a parlare a tutti di Dio.

E Pietro ugualmente da Gesù riceve il mandato e diventa pescatore, ma di uomini.

Tutti due sono pentiti della loro colpa, perdonati dalla misericordia di Dio, inviati dal Signore ad andare in mezzo al mondo a parlare di Lui.

Ogni incontro con il Signore, anche il nostro, anche quello che viviamo adesso, comporta sempre questi tre momenti: sentirci peccatori, perché dinanzi a Dio siamo tutti dei poveretti; toccare con mano, con stupore e con meraviglia, che Egli è misericordia e che perdona la nostra colpa; e poi ascoltare quella voce che, con fiducia, ci manda in mezzo ai fratelli ad annunciare la bellezza della Sua salvezza.

Pentiti, perdonati, inviati.

Non dimentichiamolo. È così che si incontra il Signore, o meglio, è così che Lui ci incontra, ogni volta. Davanti a Lui avvertiamo la colpa. Davanti a Lui con sorpresa sperimentiamo il perdono. Davanti a Lui con ancor più meraviglia, ascoltiamo il mandato che ci raggiunge.

Pentiti, perdonati, inviati.

Quello che hanno vissuto Isaia e Pietro pensate, forse, che non lo viviamo anche noi?

Oggi, quando ci accosteremo alla Comunione, noi rivivremo quello che ha vissuto Isaia e quello che ha vissuto Pietro, perché, mentre ci avvicineremo, sarà impossibile non avvertire la nostra povertà, il nostro peccato, davanti a Lui. D’altra parte, mentre ancora ci avvicineremo, sarà impossibile non accorgerci, con meraviglia, che la Sua misericordia sconfigge ogni nostra miseria. E quando Lui sarà entrato in noi, sarà una gioia ascoltare quella voce che ci manda ad annunciarlo e a testimoniarlo nel mondo.

Lui sarà quel fuoco che Isaia ha sentito sulle sue labbra, sarà quell’entusiasmo che Pietro ha avvertito nel proprio cuore. Accostandoci alla Comunione, pensiamo a Isaia e a Pietro, e riviviamo nella gioia quello che hanno vissuto loro.

Camminando verso Gesù, riconosciamo la nostra colpa.

Camminando verso Gesù, sperimentiamo la dolcezza della Sua Misericordia.

Camminando verso Gesù e ricevendoLo, ascoltiamo con gioia la Sua chiamata a essere suoi testimoni.