La Madonna della Cattedrale
Presentazione del libro pubblicato nel X anniversario dell’Ordinazione Episcopale di Sua Eccellenza Mons. Antonio Filipazzi
Cattedrale di Genova, giovedì 13 maggio
Carissimi Canonici,
un grazie particolare per avermi rivolto l’invito, in virtù del quale mi è dato di ritornare nella mia amata Città e Diocesi dalla quale, anche motivo dell’attuale pandemia, sono assente ormai da diversi mesi. Grazie di cuore, dunque, nel ricordo sempre vivo e davvero onorato di aver fatto parte del Capitolo Metropolitano negli ultimi anni del mio ministero a Genova, in qualità di canonico effettivo.
A tutti voi qui, presenti, infine, il mio saluto affettuosissimo, nella gioia di poter rivedere tanti volti noti e cari nel Signore.
Il libro
Ora veniamo al testo, riguardo al quale rileggo quanto scritto da me nella Prefazione: “La raccolta che Mons. Filipazzi ha pensato di preparare per il suo anniversario, si presenta come un’Antologia di testi, che raccoglie la predicazione del Card. Siri in occasione della solennità della Madonna della Pietà e del Soccorso, nella Cattedrale Metropolitana di Genova. Scorrendo le pagine, si riesce ad avere un’idea di quanto la predicazione dell’Arcivescovo di Genova fosse incisiva, brillante, sintetica, mai banale e sempre singolarmente solida nei contenuti. E anche, a tratti, mossa dall’affetto delicato del cuore per il mistero di Dio e, in specie, per la bellezza spirituale della Madonna e per la sua divina maternità, protesa alla pietà e al soccorso per tutti noi.
Quella ricca predicazione, insieme a Mons. Filipazzi, l’abbiamo tante volte ascoltata e assaporata dal vivo, nella Cattedrale di san Lorenzo. Ne siamo rimasti affascinati e abbiamo cercato di farne tesoro per la nostra vita di ministri del Signore”.
Non so se nella breve descrizione della predicazione del Card. Siri sono riuscito a trasmettere l’idea di quale esperienza sia possibile fare leggendo il testo di Mons. Filipazzi. Lo spero. Certo è che rileggendo e riascoltando la predicazione del Card. Siri si resta affascinati. Quella predicazione è incisiva e scende nell’animo; è brillante e la si segue con vera soddisfazione della mente e del cuore; è sintetica e non stanca; trasmette i grandi contenuti della fede e non banalizza mai; muove gli affetti ma non è superficiale; trasmette amore filiale e delicatissimo per la Madonna e attrae così alla Sua dolce e decisiva maternità spirituale.
Leggendo il testo ciascuno potrà apprezzare e gustare ciò che, in tante occasioni, molti di noi hanno potuto apprezzare e gustare dal vivo, proprio qui, nella Cattedrale di san Lorenzo quando, con straordinaria fedeltà, il Card. Siri celebrava la Messa per la festa della Madonna della Pietà e del Soccorso, rivolgendo la Sua parola di verità e di amore a quanti erano presenti.
Un particolare, però, lo vorrei aggiungere. Si tratta di una considerazione personale, che consegue alla rilettura di quelle omelie. L’effige della Madonna, qui venerata, porta il titolo “della Pietà e del Soccorso”. La prima e immediata reazione potrebbe essere quella di guardare a Maria come a Colei che guarda con pietà e compassione alle nostre tante problematiche umane e viene a noi in soccorso per sollevarci da esse. Certamente è anche così, dal momento che la Madonna, in quanto amabilissima Madre, ha davvero pietà di noi in tutte le traversie della vita e ci soccorre amorevolmente quando la invochiamo con fiducia per darci sollievo, conforto e aiuto.
E, tuttavia, un’altra Pietà e un altro Soccorso hanno la precedenza nel Suo Cuore di Madre, chiamata dalla Provvidenza di Dio a collaborare in modo del tutto singolare alla nostra salvezza. Maria ha pietà soprattutto per il nostro peccato, guarda con compassione la nostra vita resa impura dalla colpa, si china su di noi afflitti a motivo del male che non riusciamo a vincere in noi. E soccorre donandoci Gesù, il Salvatore. Sì, ci soccorre perché la grazia possa trionfare in noi, perché la salvezza possa essere la nostra esperienza spirituale, perché la pace che viene da Dio possa abitare nel nostro cuore. Questo è il primo e più importante soccorso che Ella ci dà: il Suo divin Figlio Redentore dell’uomo. Tutti i suoi altri interventi sono il segno di questo soccorso senza del quale saremmo perduti, ora e nell’eternità.
La nostra preghiera, pertanto, deve certamente presentare a Maria, con sicura confidenza, i problemi, le fatiche i drammi della vita, nostra e degli altri; ma deve, anche e soprattutto, presentare a Maria il vero dramma nel quale tutti ci dibattiamo ogni giorno e che è il caso serio, veramente serio dell’esistenza umana: il peccato e la morte.
Tutto questo il Card. Siri lo ricorda e lo insegna, con il suo inconfondibile stile. E noi siamo chiamati a farne tesoro. Non dimentichiamolo mai. La Madonna della Pietà e del Soccorso guarda con tenerissima pietà l’assenza di Gesù nella nostra vita. La Madonna della Pietà e del Soccorso si china su di noi donandoci Gesù e portandoci a Lui. Il resto ne è segno e conseguenza.
Posso aggiungere – e mi sembra in piena sintonia con quanto appena detto – che, in tante occasioni, io stesso ebbi modo di ascoltare il Cardinale Siri esprimere una Sua personale preferenza in ordine alle immagini della Madonna. Egli diceva di preferire quelle in cui Maria porta in braccio il Bambino Gesù. Perché? Perché in modo più evidente appare la principale chiamata di Maria, il Suo più importante e decisivo compito a nostro riguardo: portarci a Gesù, il Salvatore.
Il mese di maggio
In tal modo, il testo che oggi presentiamo, ci ha introdotto nella devozione a Maria, in questo mese di maggio a Lei tradizionalmente dedicato. Che cosa aggiungere, in proposito, a quanto già detto? Propongo tre elementi di riflessione, a partire da tre litanie, tra quelle lauretane, che siamo soliti rivolgere con devozione alla Madonna. Ancora una volta potremo capire che Maria è il cuore della Chiesa e, proprio per questo, ha la capacità di ricondurci al cuore, ovvero al centro della vita della Chiesa, della nostra, di noi spesso tentati di perderci in dettagli, anche importanti, ma comunque secondari.
Maria, specchio della santità divina
Come è suggestiva questa qualifica che siamo soliti attribuire alla Madonna! Facciamo attenzione, però. Non ammiriamo una santità personale di Maria; in Lei ammiriamo la santità stessa di Dio, in Lei contempliamo come in uno specchio la bellezza immensa della vita di Dio. Di quale santità, in effetti, potrebbe gloriarsi Maria? Forse di una Sua propria santità, oggetto di Sua conquista? No, Maria può gloriarsi della santità di cui Dio Le ha fatto dono; Maria può meravigliarsi della stupenda opera che il Signore ha realizzato nella Sua vita.
Certo, la Madonna, ha dato il Suo assenso incondizionato, ha collaborato con prontezza e generosità, ha detto un sì purissimo alla chiamata del Signore. In tal modo, nella misura della Sua fede, Dio L’ha ricolmata della Sua stessa vita. La santità divina ha potuto prendere casa in Lei in modo unico, in ragione della Sua fede unica. La misura della Sua fede è divenuta la misura del dono che Dio Le ha fatto di Sé.
Maria, specchio della santità divina. Ha a che fare anche con noi, quanto affermiamo della Madonna? Oppure riguarda solo Lei e la Sua personale vicenda, che la colloca in posizione unica nella storia della salvezza?
La domanda, lo capiamo, ha un accento retorico, dal momento che – lo sappiamo bene – tutto quello che si riferisce alla Madonna ha una relazione con noi, con il nostro cammino di fede, con la nostra possibilità di vivere in modo compiuto la sequela del Signore.
Di conseguenza, dire che Maria è specchio della santità divina, che la straordinaria bellezza spirituale della Sua vita è un dono di Dio, che Dio L’ha resa piena della Sua grazia in ragione della grandezza della Sua fede, significa ricordare a noi, oggi, che nella vita cristiana il primato è sempre di Dio. La santità alla quale tutti siamo chiamati non è e non potrà mai essere il risultato del nostro impegno, il frutto della nostra volontà ferma e decisa, di una nostra impeccabile ascesi. La santità, infatti, altro non è che la vita stessa del Signore data a noi, da noi accolta e abbracciata, da noi vissuta.
Quanto san Paolo poteva affermare, in chiave autobiografica, scrivendo: “Per me vivere è Cristo”, ciascuno deve affermarlo di sé. La nostra vita è Cristo. La nostra santità è Cristo. La nostra bellezza è Cristo. La vera novità che ci è donata è Cristo.
Questa, tra l’altro, è la lieta notizia che cambia la vita umana e il corso della storia. Questo è l’annuncio, colmo di gioia, che risuona dalla notte della nascita di Gesù fino a oggi, senza interruzione. Questo è il motivo dello stupore che fa brillare il volto della Chiesa nel suo pellegrinaggio attraverso le vicende del mondo.
Capite? La santità e la salvezza non sono più una meta sospirata e mai raggiunta dall’umanità con le sue povere forze; non sono più un traguardo irraggiungibile e immerso nella nebbia della nostra miseria. La santità e la salvezza sono, invece, una grazia, un dono che Dio fa alla nostra vita.
Di tutto questo ci parla la bella litania con la quale ci rivolgiamo a Maria chiamandola “specchio della santità divina”. Pronunciandola, pertanto, facciamo memoria di ciò che costituisce il cuore del Vangelo: Dio mi ama perdutamente, Dio mi dona Sé stesso nel Suo Figlio Gesù, Dio mi salva e mi rende santo con la Sua morte e risurrezione, con il dono della Sua stessa Vita.
A noi, guardando l’esempio della Madonna e invocando la Sua Pietà e il Suo Soccorso, il compito di aprirci nella fede all’opera di Dio, di vivere quotidianamente il primato di Dio, di lasciarci plasmare dalla grazia di Dio: nella preghiera, nell’ascolto della Parola del Signore, nella pratica sacramentale, nella centralità data all’Eucaristia in quanto celebrata e adorata, nella ricerca in tutto della Sua presenza di provvidenza e di amore, nell’adesione pronta alla Sua volontà e alle Sue ispirazioni, che sempre conducono al dono incondizionato di noi stessi.
Maria, tabernacolo dell’eterna gloria
Per meglio capire il senso di quanto in questa litania viene attribuito alla Madonna è bene tornare per un momento al brano evangelico di san Luca, laddove l’evangelista descrive il viaggio che Maria compie per fare visita alla cugina Elisabetta, dopo aver ricevuto l’annuncio della Sua divina maternità.
Quando leggiamo con attenzione ciò che è scritto in quella pagina di vangelo, ci accorgiamo di molte assonanze con un’altra pagina della Scrittura: quella nella quale, nel primo libro delle Cronache, viene descritto il trasporto dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme per volontà di Davide (cf 1 Cr 14 -15). Lungo il percorso, lo stesso Davide decide che l’arca, prima di raggiungere la meta, rimanga per tre mesi nella casa di Obed – Edom. Il richiamo è chiaro. Anche Maria, infatti, dimora per tre mesi in casa di Elisabetta. In tal modo l’evangelista vuol fare intendere che Maria è divenuta l’arca della nuova alleanza, Colei che, appunto, è ora il tabernacolo vivente dell’eterna gloria.
In qualità di tabernacolo dell’eterna gloria, Ella ha compiuto il tragitto da Nazaret alla casa di Elisabetta. In qualità di tabernacolo dell’eterna gloria, Ella ha fatto sussultare di gioia il bambino nel grembo della cugina. In qualità di tabernacolo dell’eterna gloria, Ella ha dimorato per tre mesi in quella casa portandovi lo splendore pacificante della presenza di Dio.
Ora, nella Chiesa e per tutto il cammino della storia, Maria rimane il tabernacolo dell’eterna gloria, la terra abitata dal Signore, la casa della Sua presenza; e, proprio per questo, riflesso di quella bellezza del Cielo che sola può salvare il mondo. La Madonna, infatti, in un certo senso salva tutto ciò che tocca, perché in Lei è il Cielo di Dio che tocca la terra e il cuore dell’uomo.
Ciascuno di noi qui presenti potrebbe raccontare l’attrattiva del tutto singolare che la Madonna esercita sulla sua vita. Ciascuno di noi potrebbe farsi testimone dell’esperienza di serenità, di gioia, di pace che scaturiscono dall’incontro con Lei. Ciascuno di noi potrebbe confidare quale impulso a una vita migliore secondo Dio è capace di trasmettere la Madonna quando La si guarda, La si prega, Le si chiede aiuto.
D’altra parte, quante storie di conversione sono da attribuire alla Madonna! Quante anime, altrimenti smarrite e perdute, hanno ritrovato la pace in Dio in virtù dell’incontro con Lei!
Questo fatto inequivocabile ha da suggerirci qualcosa di molto importante. C’è una prima e fondamentale vocazione che tutti, indistintamente, ci riguarda. Una vocazione che non fa differenze di capacità umane, incarichi ricoperti, servizi svolti. È la vocazione a rendere presente Dio nel mondo. Ed è la vocazione più grande, più bella, più importante, più urgente di tutte.
Perché sia la più grande e la più bella non è difficile da capire. Che cosa di più bello può esservi, infatti, della chiamata a divenire tabernacolo vivente di Dio nel mondo? Che cosa di più grande della chiamata a custodire la presenza del Signore in noi?
Perché sia la più importante e la più urgente lo afferma, come in un grido disperato, il mondo di oggi ferito a morte dalla mancanza di Dio. È vero, il mondo ha bisogno di molte cose, tante sono le urgenze, innumerevoli i drammi. Eppure prima di ogni altra mancanza è la mancanza di Dio, perché senza Dio tutto è perduto, mentre con Dio tutto è possibile.
La nostra chiamata, che è risuonata per la prima volta al momento del Battesimo, è proprio questa: essere spazio di Dio in mezzo al mondo, essere un piccolo ma significativo spazio di Cielo su questa terra, essere riflesso della bellezza dell’Amore che salva ciò che è perduto o rischia di perdersi. Chiediamo questa grazia alla Madonna. Chiediamo, anche in questo caso, la Sua Pietà e il Suo Soccorso.
Porta del cielo
In un clima culturale quasi interamente proteso alle cose di quaggiù, il richiamo alle cose di lassù potrebbe apparire “fuori tempo”. Eppure, spesso, ciò che è considerato poco alla moda è, in verità, molto attuale e singolarmente necessario.
Così, ritengo che sia del tutto attuale e necessaria la verità della fede a cui ci richiama la bella litania mariana “Porta del cielo”, invocazione che risuona sulle nostre labbra, quale motivo di grande speranza e dolcissima consolazione. Può, in effetti, non essere attuale il Cielo? Può forse rimanere in secondo piano la realtà della vita eterna? Quale fede sarebbe la nostra, se non procedessimo nel tempo che ci è dato di passare su questa terra, portando negli occhi e nel cuore il Cielo e la porta per cui vi si accede?
Come sempre, ciò che affermiamo di Maria ci aiuta a non perdere di vista le verità centrali della fede. Quella del Cielo è una di queste. Ce lo ricorda san Paolo: “Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini (1 Cor 15, 16-19).
Da commiserare, invece, non siamo. Perché Cristo è risorto, noi risorgeremo con Lui e nostro felice destino è l’eternità in Dio. Viviamo per questo. Che cosa sarebbe mai la nostra esistenza terrena se non vivessimo per questo, in questa speranza? Eppure a volte sembriamo non ricordarlo. Allora la Madonna ci viene in Soccorso, Lei che è la porta del Cielo.
Lo ricorda a noi, perché la nostra vita di fede non rimanga privata di un suo elemento qualificante e decisivo. Ma, attraverso di noi, lo ricorda al mondo. E il mondo ne ha tanto bisogno. Di morte, sembra che non voglia sentirne parlare. Di eternità, sembra non farsene molto. Alla felicità eterna in Dio, sembra non aspirare. In realtà attende, anche senza saperlo, che qualcuno gli si presenti in qualità di testimone di un “oltre” al quale proprio questo mondo aspira con tutto sé stesso. Non c’è cuore umano, infatti, che non custodisca in sé l’anelito dell’eterno; che non attenda l’annuncio di un “di là” che possa assicurare un “per sempre” all’amore, al vero, al bello, al bene; che non chieda una parola certa di speranza in un domani che non si esaurisca in ore fugaci, trovi un senso al dolore, superi la barriera drammatica della morte, vinca l’angoscia del nulla.
La Madonna è testimone dell’oltre, del di là, dell’eterno in Dio che è l’approdo felice a cui l’umanità è chiamata. A questo approdo Maria è passaggio, perché è Porta del Cielo. Non a caso nella preghiera che ci è più familiare e che abbiamo imparato fin dalla più tenera età, alla Madre di Dio chiediamo di pregare per noi peccatori, “ora e nell’ora della nostra morte”. Anche in quell’ora la Madre sarà lì, pronta a prenderci per mano, felice di condurci nella Patria definitiva del Cielo. Lei, che invochiamo Madonna della Pietà e del Soccorso, ancora una volta avrà pietà di noi e ci verrà in soccorso nell’ora estrema della vita.
Non è fuori luogo, in questo contesto, un breve richiamo alla Divina Commedia di Dante, nell’anno in cui celebriamo il settimo centenario della sua morte. All’inizio del Paradiso, al termine del primo canto, il grande poeta fotografa Beatrice, nell’atto di iniziare con lui l’ultimo tratto del suo straordinario viaggio: “Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso” (Paradiso, canto I, v. 142). È quello che sempre fa con noi la Madonna, aiutandoci a non perdere mai di vista la meta sospirata del “cammin di nostra vita” (Inferno, canto I, v. 1)