Conferenza – Cantate al Signore. Giubileo delle corali

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Conferenza – Cantate al Signore. Giubileo delle corali

Le “scholae cantorum” al servizio della liturgia

Giubileo delle Corali
Aula Paolo VI

 

Questo mio intervento non è l’intervento di uno specialista nell’arte della musica e del canto. Non lo può essere e non lo vuole essere. Considerando anche il contesto del vostro raduno, che avviene qui a Roma in occasione del pellegrinaggio giubilare, ciò che desidero comunicarvi sgorga da un cuore sacerdotale, che trova nella liturgia la fonte e il culmine della vita quotidiana a servizio del Signore e della Chiesa. E proprio per questo avverte l’importanza fondamentale della musica e del canto, quali vie privilegiate per partecipare in pienezza e con frutto al mistero celebrato.

Parlerò, pertanto, anzitutto di liturgia: ovvero, di alcuni aspetti importanti relativi alla sua identità. A partire da essi, offrirò alla vostra considerazione alcune indicazioni perché le “scholae cantorum” o corali, cantando al Signore, svolgano la loro preziosa opera al servizio della liturgia. Procederò, di conseguenza, per quadri successivi, ai quali darò il titolo di orientamenti

 

1° ORIENTAMENTO

La liturgia e l’opera di Cristo
Afferma la Sacrosanctum Concilium: “Per realizzare un’opera così grande [l’opera della salvezza], Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche” (7). Con queste semplici parole, la costituzione conciliare sulla sacra liturgia sottolinea con chiarezza che il primo e principale protagonista di ogni celebrazione liturgica è il Signore.

Ciò che si è realizzato nella storia, ovvero il mistero pasquale, il mistero della nostra salvezza, si rende oggi presente nella celebrazione liturgica della Chiesa. In tal modo il Salvatore non è un ricordo del tempo passato, ma è il Vivente che continua la sua azione salvifica nella Chiesa, comunicando la sua vita, che è grazia e anticipo di eternità.

Nella stessa celebrazione eucaristica, l’assemblea radunata risponde al “Mistero della fede”, successivo alla consacrazione, con le parole tanto significative: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In questa formulazione della liturgia romana ritroviamo descritti i tre momenti propri di ogni celebrazione sacramentale: ovvero, la memoria del passato evento salvifico, la presente azione di grazia nella celebrazione, l’anticipazione della gloria futura.

In tal modo, la Chiesa, convocata per la celebrazione liturgica, rinnova ogni volta l’esperienza della verità dell’affermazione paolina: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 9).

La liturgia della Chiesa ha una modalità discreta e al contempo chiara di ricordare al popolo di Dio, radunato per la celebrazione dei divini misteri, la presenza fondamentale del grande Protagonista. Mi riferisco al saluto liturgico “Il Signore sia con voi”, che più volte ricorre, ad esempio nella Messa. Questo saluto è scambiato tra celebrante e fedeli all’inizio della celebrazione, più avanti ritorna al momento della proclamazione del vangelo, ancora lo troviamo all’inizio della preghiera eucaristica e, infine, prima della benedizione finale e del congedo. Ogni volta viene così augurata e manifestata la presenza del Signore. All’inizio una tale presenza è invocata e affermata nella comunità radunata e, in un modo peculiare, nella persona del sacerdote a motivo del sacramento dell’ordine; al vangelo si ricorda la presenza del Signore nella sua parola proclamata e si chiede che diventi anche presenza radicata nel cuore dei fedeli; più tardi, introducendo la preghiera eucaristica, si annuncia la reale presenza di Cristo nel suo Corpo dato e nel suo Sangue sparso, presenza implorata per la vita di tutti; infine, prima della benedizione e del congedo, si invoca la presenza del Signore nella vita quotidiana dei suoi discepoli.

“Cantare amantis est”
“Cantare è proprio di chi ama” (Discorso 316, 1, 1). Come tutti ricordiamo, lo afferma con felice ispirazione il grande sant’Agostino che, in tal modo, indica un legame del tutto singolare e privilegiato tra l’amore e il canto.

Non vi è dubbio che questo legame fa parte dell’esperienza comune, già a un livello semplicemente umano. Chi, a motivo dell’amore, non ha sentito sgorgare dal cuore la necessità gioiosa del canto e della musica? Il canto prende forma in un cuore amato e amante.

Sant’Agostino con la sua riflessione induce a compiere un passo ulteriore, perché ci introduce nell’ambito propriamente liturgico. Anche in liturgia, infatti, e forse soprattutto in liturgia, “cantare amantis est”. Ma con un’accezione peculiare. Nel contesto celebrativo, infatti, l’amore cui ci si riferisce è l’amore di Dio; e il canto di cui si parla è il canto che sgorga da un cuore che è stato raggiunto e salvato dall’amore divino in Cristo e che non può fare a meno di rispondere nella logica dell’amore.

In tal modo perveniamo alla dimensione trinitaria del canto liturgico che, proprio per questo, è sempre un canto nel Signore e al Signore. Lo Spirito Santo è amore e crea il canto. E’ lo Spirito di Cristo, e ci attira nell’amore per Cristo conducendoci così al Padre. In altre parole: il canto liturgico è il canto che scaturisce da un cuore abitato da Dio e dal suo mistero di amore.

Il cantare liturgico, pertanto, è un cantare nella fede. Non vi è dubbio che la dimensione tecnica del canto debba essere curata, e curata molto. Ma vi è un cuore che, soprattutto, deve essere curato. Un cuore che, raggiunto dall’amore del Signore, diviene capace di dare espressione alla sua risposta di amore. I componenti di una “schola cantorum” devono essere uomini e donne che vivono con intensità la propria relazione di fede con il Signore, che trovano in Lui il senso della loro vita, che desiderano crescere nell’adesione al Vangelo. Non si dà canto liturgico vero senza un’intensa vita secondo lo Spirito, senza una vita fervorosa di grazia. E’ fuori luogo rammentare che si è autentici cantori in liturgia quando ci si confessa e ci si comunica abitualmente? Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il canto liturgico chiede ed esige un amore ardente per il Signore, chiede ed esige un cammino di preghiera e di santità! Siate appassionati di Cristo!

 

2° ORIENTAMENTO

La liturgia e l’azione della Chiesa
“Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza” (Sacrosanctum Concilium, n. 7). E’ sempre il Concilio Vaticano II, con queste parole, a ricordarci che la liturgia è azione del Cristo totale e, dunque, anche della Chiesa.

Dall’affermazione che la liturgia è azione della Chiesa derivano alcune considerazioni di non poca importanza. In effetti, quando si dice che la Chiesa è soggetto agente si fa riferimento alla Chiesa tutta, in quanto soggetto vivente che attraversa il tempo, che si realizza nella comunione gerarchica, che è insieme realtà ancora pellegrinante sulla terra e realtà già approdata sulle rive della Gerusalemme celeste.

Celebrare la liturgia significa entrare nel “noi” della Chiesa che prega. Questo “noi” ci parla di una realtà, la Chiesa appunto, che va al di là dei singoli ministri ordinati e dei singoli fedeli, delle singole comunità e dei singoli gruppi. Perché lì la Chiesa si manifesta e si rende presente nella misura in cui si vive la comunione con la Chiesa intera, quella Chiesa che è cattolica, universale, di una universalità che raggiunge tutti i tempi, tutti i luoghi, lasciandosi raggiungere dall’eternità.

Ne consegue che fa parte dell’essenza della liturgia il fatto che questa abbia anzitutto il tratto della cattolicità, dove unità e varietà si compongono in armonia così da formare una realtà sostanzialmente unitaria, pur nella legittima diversità delle forme. E poi il tratto della non arbitrarietà, che evita di consegnare alla soggettività del singolo o del gruppo ciò che invece appartiene a tutti come tesoro ricevuto, da custodire e trasmettere. E ancora il tratto della continuità storica, in virtù della quale l’auspicabile sviluppo appare quello di un organismo vivo che non rinnega il proprio passato, attraversando il presente e orientandosi al futuro. E, infine, il tratto della partecipazione alla liturgia del cielo, per il quale è quanto mai appropriato parlare della liturgia della Chiesa come dello spazio umano e spirituale nel quale il cielo si affaccia sulla terra. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, al passaggio della Preghiera eucaristica I, nella quale chiediamo: “…fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo…”.

“Sentire cum Ecclesia”
Non è pensabile una “schola” che non viva con singolare intensità il “sentire con la Chiesa” (sant’Ignazio di Lojola), ovvero il desiderio di condividere la vita della Chiesa e quel rito liturgico mediante il quale si rinnova in lei e per lei il mistero della salvezza. Una “schola”, pertanto, è chiamata a vivere il suo servizio alla liturgia, per le vie di un canto che abbia i tratti della cattolicità (unità e varietà delle forme), dell’oggettività (non arbitrarietà del singolo), della continuità (equilibrio tra tradizione e innovazione), della bellezza (svelamento del volto dell’amore di Dio).

La “schola” vive della vita della Chiesa, si pone al servizio della sua celebrazione, non pretende di essere protagonista e di porsi al centro del rito, ma assolve con gioia il compito di tradurre nel canto e nella musica il mistero celebrato.

La liturgia non è l’occasione data alla “schola” per esprimersi davanti a un’assemblea radunata. Per soffermarci su un semplice ma importante dettaglio: la “schola” non dovrebbe mai essere in posizione frontale rispetto all’assemblea. La liturgia è la grande preghiera della Chiesa alla quale la “schola” partecipa insieme a tutta l’assemblea assolvendo il proprio specifico compito.

Ci si potrebbe domandare, al riguardo, il motivo per cui la Chiesa, dal Concilio di Trento fino a oggi passando per il Concilio Vaticano II, abbia insistito nell’indicare il canto gregoriano e la polifonia sacra classica come particolarmente pertinenti alla celebrazione liturgica.

La risposta non è difficile: gregoriano e polifonia classica sono le forme storiche del canto sacro che hanno saputo tradurre in note, in melodia e in canto l’autentico spirito liturgico, ponendosi al servizio umile, e per questo grande, della liturgia della Chiesa. Un tale patrimonio, pertanto, va conservato ed eseguito; non perché sia l’unico, ma perché ha ancora oggi la capacità di servire la liturgia e orientare le nuove forme musicali secondo lo spirito della liturgia.

A titolo esemplificativo, e per entrare in un dettaglio celebrativo, trovo sempre molto educativo quanto il Santo Padre Francesco raccomanda per la liturgia papale. Fin dall’inizio ha espresso il desiderio che il canto non andasse mai oltre il rito, ovvero che le parti cantate non costringessero la celebrazione ad attendere la loro conclusione. E’ giusto e deve essere sempre così. Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il canto si inserisce nel rito e lo serve armonizzandosi con esso, adeguandosi ai suoi tempi e ai suoi ritmi. Non è il rito liturgico che deve adeguarsi al canto. Servire il rito, non asservirlo: ecco la vostra vocazione. Siate appassionati della Chiesa e del servizio alla sua liturgia!

3° ORIENTAMENTO

La liturgia e la preghiera della Sposa in adorazione del suo Sposo
Nella liturgia l’opera di Cristo e l’azione della Chiesa si intrecciano vitalmente. Ed è qui che si inserisce il tema della partecipazione, di quella partecipazione piena, consapevole e attiva raccomandata dal Concilio Vaticano II (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 14).

Ci domandiamo: Che cosa è l’opera di Cristo? E’ quell’atto pregato mediante il quale il Signore offre la vita al Padre per la salvezza del mondo.

Ma che cosa avviene in quell’atto pregato del Signore, in quel suo atto che è preghiera? In quell’agire gli elementi della terra vengono accolti e trasformati nel suo corpo e nel suo sangue, così che il nuovo cielo e la nuova terra vengono anticipati. In quell’agire si compie il gesto di adorazione supremo che riconduce alla verità del proprio essere l’umanità tutta e la creazione intera: ogni realtà ritrova la sua ragione d’essere in Dio e nella dipendenza da lui.

Così la liturgia è adorazione in quanto rende presente in modo sacramentale il sacrificio della croce nel quale Gesù ha reso gloria al Padre con il suo sì, segno di un amore condotto “fino alla fine”, adorazione radicale di Dio e della sua volontà. La liturgia è preghiera in quanto preghiera di Cristo rivolta al Padre nello Spirito, perché accolga il suo sacrificio.

Ecco perché la liturgia cristiana è atto che conduce all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di vita con Cristo.

Tutto questo è quanto la Chiesa, Sposa di Cristo, vive nella celebrazione della liturgia. In effetti, ciò che ancora risulta essenziale per la liturgia è che coloro che vi partecipano preghino per condividere lo stesso sacrificio del Signore, il suo atto di adorazione, diventando una solo cosa con lui, vero corpo di Cristo. In altre parole, ciò che è essenziale è che alla fine venga superata la differenza tra l’agire di Cristo e il nostro agire, che vi sia una progressiva armonizzazione tra la sua vita e la nostra vita, tra il suo sacrificio adorante e il nostro, così che vi sia una sola azione, ad un tempo sua e nostra. Quanto affermato da san Paolo non può che essere l’indicazione di ciò che è essenziale conseguire in virtù della celebrazione liturgica: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 19-20).

“Actuosa participatio”
Favorire la “partecipazione attiva” di tutto il popolo di Dio è certamente uno dei compiti della “schola”, per quanto attiene al canto liturgico. E questo certamente significa sostenere e accompagnare il canto di tutta l’assemblea, perché davvero tutti possano unirsi coralmente al cantare nella celebrazione. D’altra parte rimane vero che anche momenti di solo ascolto potranno favorire una piena partecipazione, quando l’ascolto non sarà fine a se stesso, ma orientato a “innalzare le menti a Dio attraverso la partecipazione interiore” (Musicam Sacram, 2, 15).

Ritengo importante ritrovare sempre più il senso pieno della partecipazione attiva, alla quale si perviene sia prendendo parte effettiva alle parti cantate, sia anche ascoltando un canto che per la sua nobiltà è capace di favorire l’ingresso nel mistero celebrato per via di commozione interiore, emozione spirituale; nel senso più alto del termine, per via di cuore.

Non poche persone, in effetti, riescono a cantare meglio con il cuore che con la bocca, e a esse il canto di coloro cui è dato di cantare con la bocca può realmente far cantare il cuore, in modo che queste cantano, in qualche modo, anche in quelle persone e sia l’ascolto riconoscente sia l’esecuzione dei cantori diventano insieme un’unica lode.

Con grande equilibrio e saggezza siamo chiamati a percorrere le vie di una partecipazione attiva e davvero piena, grazie alla quale ogni componente della persona che prega – intelligenza, volontà, affetti, sentimenti –  possa essere aiutata a entrare nel grande atto di adorazione di Cristo al Padre. Alla luce di questo si dovrà e si potrà fare uso di quella bella e arricchente varietà di forme di canto e di musica, che ritroveranno sempre la loro unità nel condurre mente e cuore di tutti a una partecipazione piena.

Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il vostro canto sia sempre un atto di adorazione al Signore e sia un atto capace di condurre voi a un’adesione sempre più piena a Dio; il vostro canto sia sempre un atto capace di condurre tutta l’assemblea all’adorazione e all’adesione a Dio. Siate appassionati della partecipazione adorante!

 

4° ORIENTAMENTO

La liturgia e l’orientamento del cosmo
La liturgia della Chiesa, che ha senza dubbio il carattere della storicità in quanto radicata negli eventi della storia della salvezza, rimane pur sempre anche in relazione alla liturgia cosmica, riferibile alla creazione e alla natura. Vi è infatti, nella liturgia della Chesa, tutta la novità unica della realtà cristiana; e tuttavia essa non ripudia la ricerca della storia delle religioni, ma accoglie in sé tutti gli elementi portanti delle religioni naturali, mantenendo in tal modo un significativo legame con loro.

E’ riscontrabile, pertanto, un legame inscindibile tra creazione e alleanza, ordine cosmico e ordine storico di rivelazione.

La liturgia cristiana, che porta in sé tutta la novità della salvezza in Cristo, conserva e raccoglie ogni espressione di quella liturgia cosmica che ha caratterizzato la vita dei popoli alla ricerca di Dio per il tramite della creazione. Nell’Eucaristia trovano approdo di salvezza tutte le espressioni cultuali antiche. E’ quanto mai significativa e istruttiva, anche da questo punto di vista, la Preghiera eucaristica I o Canone romano, là dove ci si riferisce ai “doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote”.

Come non ritrovare in questo passaggio della grande preghiera della Chiesa un riferimento ai sacrifici antichi, al culto cosmico e legato alla creazione che ora, nella liturgia cristiana, non solo non è rinnegato, ma anzi è assunto nel nuovo ed eterno sacrificio di Cristo Salvatore?

D’altra parte, in questa stessa prospettiva, non si può che guardare ai molteplici segni e simboli cosmici dei quali la liturgia della Chiesa, insieme ai segni e ai simboli tipici dell’alleanza, fa uso al fine di dare forma al nuovo culto cristiano. Si pensi alla luce e alla notte, al vento e al fuoco, all’acqua e alla terra, all’albero e ai frutti. Si tratta di quell’universo materiale nel quale l’uomo è chiamato a rilevare le tracce di Dio. E si pensi ugualmente ai segni e ai simboli della vita sociale: lavare e ungere, spezzare il pane e condividere il calice.

L’intero cosmo, nella liturgia, è assunto nella grande preghiera del Signore e ritrova il suo vero orientamento: le altezza dei Cieli, Dio.

“Sursum corda”

Si diceva che il canto liturgico è un canto espressivo del mistero dell’amore: dell’amore di Dio che in Cristo si rivela in tutta la sua bellezza; dell’amore del cuore umano, toccato dalla fede, che desidera dare risposta all’Amore. Il canto liturgico non può che attingere a questa sorgente viva, facendosi interprete dell’Amore che riempie di sé l’intera creazione, che si fa Parola nella Scrittura, che è rivelato nei misteri della nostra salvezza. E, d’altra parte, questo stesso canto non può che dare forma alla verità più profonda del cuore umano, segnato dal dramma del peccato e dalla gioia straripante e meravigliata della divina misericordia; dal dolore e dalla paura del peccato, del male e della morte, ma anche dalla felice speranza della vittoria che in Cristo Salvatore è già in quale modo esperienza e realtà.

E’ stato scritto: “La vera liturgia si riconosce dal fatto che è cosmica, non su misura di un gruppo. Essa canta con gli angeli. Essa tace con la profondità dell’universo in attesa. E così essa redime la terra” (J. Ratzinger, Cantate al Signore un canto nuovo, p. 153-154)

Non dimentichiamo queste parole. Le “scholae cantorum”, in virtù della loro specifica vocazione, hanno la grazia di partecipare a questa redenzione della terra, propria della liturgia. Il canto liturgico, infatti, fa proprio l’invito della Chiesa che sta al cuore del rito, all’inizio della Preghiera eucaristica: “sursum corda” – “in alto i cuori”. Pensate: al canto liturgico è affidato lo straordinario compito di introdurre gli uomini riuniti in preghiera, qui e ora, in questo luogo e in questo tempo, nella comunione con Cristo; al canto liturgico è affidato l’esaltante servizio di portare un’assemblea orante e l’intera creazione verso l’Alto, verso l’altezza di Dio, verso l’altezza che è Dio e che in Cristo tocca la terra, l’attira e la eleva a sé.

Ecco il motivo per cui il canto liturgico ha una sua santità. Ed è a motivo di questa santità che non gli si addice il canto e la musica che si ascoltano nel quotidiano. In liturgia si esce dal quotidiano per ritornarvi nuovi, rinnovati dal Signore. Qualcuno ha detto che il canto in liturgia è “una soglia sull’altrove”, ha una dimensione estatica: ci conduce fuori di noi stessi per approdare in Dio, ovvero nel cuore di noi stessi. Il canto liturgico è un ponte sull’eternità sul quale è necessario transitare per essere raggiunti dal mistero della salvezza.

Uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: il vostro canto deve trascinare verso l’alto, elevare le menti e i cuori, favorire il passaggio da questo mondo al Padre, dalla terra al Cielo, dal tempo all’eternità. Il vostro canto non può essere mondano e poco nobile; deve essere il canto degli angeli. Siate appassionati delle altezze di Dio!

 

5° ORIENTAMENTO

La liturgia e la missione
Quella tra canto liturgico e missione è una relazione ricca e necessaria. Proprio come quella che intercorre Eucaristia e missione, liturgia e missione. Laddove la dimensione “missionaria” è da intendere soprattutto con riferimento a un orientamento ricorrente nel recente magistero pontificio, sia di Papa Benedetto che di Papa Francesco, secondo il quale la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione (cfr. Evangelii Gaudium, 14).

La Chiesa che celebra la liturgia, infatti, rimane gioiosamente “attratta”, conquistata dalla bellezza dell’amore di Dio, che in Gesù si rivela come volto di misericordia infinita; e nell’incontro con il Signore diviene, a sua volta, “attraente”, realmente missionaria perché capace di comunicare al mondo la Misericordia che salva e dona vita. E il canto liturgico, riguardo a una tale divina bellezza, ha tanto da dire.

Un’antica leggenda delle origini del cristianesimo in Russia racconta che al principe Vladimiro di Kiev, che si era messo alla ricerca della giusta religione per il suo popolo, si presentarono in successione i rappresentati dell’Islam, del Giudaismo e della Chiesa di Roma. Ciascuno dei rappresentanti propose la propria fede come quella giusta, ma il principe non rimase soddisfatto delle proposte presentate. La decisone venne presa, invece, quando gli inviati del principe ritornarono da una solenne liturgia, alla quale avevano partecipato nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Essi tornarono entusiasti e riferirono al principe: “E giungemmo presso i Greci e siamo stati condotti laddove essi servono il loro Dio. Non sappiamo se siamo stati in cielo o sulla terra. Abbiamo sperimentato che là Dio abita con gli uomini”. Quegli uomini erano stati “attratti” nel mondo di Dio, conquistati dallo splendore del suo volto, reso presente nella celebrazione dei santi misteri. La liturgia alla quale essi avevano partecipato era stata davvero “missionaria”, dal momento che aveva reso possibile la contemplazione gioiosa della bellezza del Signore. Anche se il racconto non è storico porta in sé un nucleo di verità, in quanto la forza interiore della liturgia ha avuto un ruolo importante nella diffusione del cristianesimo.

“Via pulchritudinis”

“La via della bellezza”. Come sottolinea l’attuale Pontefice: “L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di rinnovato impulso a donarsi” (Evangellii Gaudium, n. 24).

Sarebbe riduttivo immaginare la bellezza e la gioia come il semplice prodotto di un impegno umano. La bellezza e la gioia di cui si parla sono anzitutto un dono che viene dall’Alto e che comunica una vita di Cielo alla terra abitata dagli uomini.

Ciò che vale per la liturgia in genere, vale allo stesso modo per il canto liturgico. Si pensi all’esperienza che ebbe sant’Agostino a Milano, dopo aver ricevuto il Battesimo, da lui raccontata nelle Confessioni: “Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene (Confessioni, 9, 6, 15).

Come ebbe a scrivere G.K. Chesterton: “Il mondo non perirà certo per mancanza di meraviglie, piuttosto per mancanza di meraviglia”. E’ proprio questa “meraviglia” che è necessario custodire e conservare con straordinaria cura. La Chiesa è custode di una meraviglia che le è stata consegnata. Le meraviglie, prodotto della fantasia umana, hanno vita corta e presto perdono la loro capacità attrattiva. La meraviglia, invece, che si è rivelata nel volto di Cristo ed è meraviglia di amore e di misericordia, è sempre nuova e non perde mai la sua freschezza. Quella meraviglia non smette di attrarre il mondo degli uomini, perché è la meraviglia di Dio, l’unica in grado di placare la sete di una terra altrimenti destinata a una mortale aridità. La Chiesa, nella celebrazione eucaristica, si immerge nella meraviglia di Dio, nella meraviglia che è Dio. E ne esce capace di meravigliare il mondo, introducendolo nell’amicizia del Signore. Il canto liturgico, in tutto questo, è parte integrante: ha una capacità unica di custodire e trasmettere la meraviglia. E voi, uomini e donne delle “scholae cantorum”, ricordate: in tutto questo siete chiamati a essere umili ma veri protagonisti. Siate appassionati della missione!