Conferenza – La virtù teologale della fede nella vita del Beato Tommaso Reggio

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Conferenza – La virtù teologale della fede nella vita del Beato Tommaso Reggio

Conferenza – La virtù teologale della fede nella vita del Beato Tommaso Reggio

Inaugurazione del ritratto del Beato esposto alla venerazione dei fedeli in Cattedrale

Genova

 

Cenni biografici
Il punto di partenza della nostra meditazione è la riproposizione sintetica di alcuni elementi biografici del Beato Tommaso Reggio. Pare, infatti, quanto mai opportuno ricordare il percorso di vita di questo grande figlio della terra genovese, nel giorno in cui desideriamo metterne in luce la virtù teologale della fede.

D’altra parte, dopo averne rivisitato la biografia ed esaltato la prima tra le virtù teologali, sarà più significativo e più bello contemplarne il volto nel ritratto che tra poco andremo a scoprire qui, nella nostra splendida Cattedrale di San Lorenzo. Potrà essere anche questa un’esperienza di fede. Scoprendo il ritratto ricorderemo le ispirate parole di San Giovanni Damasceno: “La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. E’ una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna sprona il mio cuore a rendere gloria a Dio” (De sacris imaginibus oraziones, 1, 27).

Vediamo, pertanto, di considerare subito le tappe salienti della vita del Reggio, insieme ai dati fondamentali della sua personalità e della sua vicenda spirituale.

Tommaso Reggio nasce a Genova il 9 gennaio 1818, in un palazzo di piazza Giustiniani, nel Centro Storico della nostra città, dal marchese Giacomo Reggio e dalla marchesa Angela Maria Pareto. Entrambi i genitori, profondamente religiosi, erano discendenti da due famiglie molto note del patriziato genovese. La famiglia Reggio era legata, per discendenza, alla grande santa e mistica Caterina Fieschi Adorno; la mamma, invece, contava tra i suoi ascendenti quel Benedetto Pareto, al quale era apparsa la Vergine sul monte Figogna.

Nobiltà delle origini e limpida religiosità segneranno profondamente il carattere e l’animo del Reggio e lo accompagneranno lungo tutta la sua vita. Qualche dettaglio ci permette di conoscere e capire meglio la sua personalità. Dal padre egli apprende un grande senso di riservatezza e uno stile austero, che rimangono, però, pervasi di affabilità e dolcezza. Dalla madre attinge il tratto signorile e distinto, unito a profonda modestia e alla prontezza a provvedere a se stesso e a contentarsi di poco.

Il percorso degli studi lo porta a frequentare il Collegio Reale di Genova, tenuto allora dai Padri Somaschi, dove completa gli studi superiori. Si iscrive, quindi, all’Università per lo studio della filosofia, delle scienze naturali e del diritto. Nel 1838, a vent’anni, riceve il titolo di Baccelliere in giurisprudenza.

Il 1838 è un anno particolarmente importante nella vita del Reggio. Avviene qualcosa che decide dell’orientamento del suo avvenire. Dopo aver conseguito il Baccellierato, lascia alle spalle una brillante e sicura carriera umana per orientarsi a una piena dedizione al Signore e alla Chiesa, abbracciando il sacerdozio. Comincia, così, a frequentare il seminario arcivescovile di Genova, passando dalla facoltà giuridica a quella teologica. Dopo qualche anno, il 18 settembre del 1841, riceve l’ordinazione sacerdotale dalle mani dell’allora Arcivescovo di Genova, Placido Maria Tadini. Celebra la sua prima Messa solenne nella chiesa parrocchiale di Gavi, dove la famiglia era riunita per le vacanze.

I primi dieci anni di sacerdozio – dal 1841 al 1851 –  di don Tommaso Reggio sono semplici e intensi: semplici dal punto di vista del ministero che gli viene affidato, intensi dal punto di vista della spiritualità. Quanto al ministero lo troviamo impegnato come vicerettore del seminario di Genova (1843 – 1845) e come rettore del seminario di Chiavari, cui si aggiunge il compito di professore di teologia morale (1845 – 1851).

E quanto all’intensità della vita spirituale? Tutto, in questi primi anni di ministero sacerdotale, dice fervore, zelo, impegno quotidiano per crescere interiormente nel dono ricevuto il giorno della consacrazione. Tutto, nel giovane don Reggio, dice aspirazione alla santità per le vie della risposta fedele alla chiamata di Dio.

Tuttavia questa bella aspirazione la si coglie per lo più di riflesso, a partire dalle scelte, dai comportamenti, dalle amicizie frequentate, dai giudizi su di lui formulati in quegli anni. Direttamente, infatti, ci è dato, in genere, di cogliere poco: perché poco di sé il Reggio è solito dire e confidare. C’è, però, una provvidenziale eccezione. Quella di alcuni documenti che rivelano qualcosa della sua vita intima. Sono piccoli fogli nei quali egli scrisse di propria mano brevi riassunti di meditazioni, con relativi proponimenti e risoluzioni pratiche. Risalgono ai primi anni di sacerdozio, e il Reggio li dovette conservare come richiamo costante al fervore iniziale della sua vita sacerdotale. E’ probabile che li rileggesse ogni anno, nei giorni di ritiro spirituale che si concedeva.

Sfogliamone qualcuno.

“La più grande cosa di tutte è quella di compiere in tutto e sempre la volontà di Dio, e questo si compie attendendo con impegno e fervore quello cui egli stesso ci pose adesso tra le mani”.

“Purtroppo la malizia del peccato in se stesso è poco considerata. Iddio me ne ha fatto comprendere qualche cosa questa mattina. Pensai che anche il veniale è pure peccato, e però abominevolissimo. Dio me ne guardi sempre in avvenire”.

A questo punto è significativo ricordare che il Reggio concludeva le sue meditazioni quotidiane così: “Mi voglio proprio fare santo”. E sotto apponeva la sua firma.

Nel 1851 don Tommaso Reggio viene eletto abate mitrato della basilica di Santa Maria Assunta in Carignano, dove rimane fino al 1877. Nei ventisei anni di presenza a Carignano è pastore zelante e premuroso. Non gli manca l’attività nel campo della cultura e si spende generosamente anche in molteplici iniziative popolari. Diventa, infatti, “direttore della dottrina di notte” e deve essere presente di buon mattino (alle ore 3), per offrire ai lavoratori un momento di preghiera e di istruzione religiosa, presso la chiesa della Madre di Dio, situata nel quartiere più povero della Genova di allora.

Risale a questo periodo della vita di don Reggio l’inizio del suo impegno diretto nel giornalismo cattolico: prima come redattore nel “Cattolico” e poi come direttore nello “Stendardo Cattolico”. Egli esercita la vera e propria professione di giornalista, spinto dal desiderio di difendere la verità, di illuminare le menti di tanti cristiani, di combattere l’ignoranza dominante in ambito non cristiano.

Nel 1877 Pio IX lo nomina Vescovo di Ventimiglia. Comincia così la seconda parte della sua vita, che durerà quasi venticinque anni e che lo vedrà immolarsi per il bene dei fedeli, in completa dedizione al servizio della Chiesa. In una delle sue prime omelie indica in modo limpido ed efficace la finalità e il senso del suo episcopato: “Sono mandato non ad altro fine se non per additarvi il cielo per il quale siamo creati, per guidarvi al cielo. Una cosa sola cerco e spero da voi: le anime vostre che mi sono affidate da Dio con debito per me gravissimo di guidarle al cielo”.

A Ventimiglia, come è sua abitudine, mons. Reggio non si risparmia: compie tre Visite pastorali alla diocesi e convoca tre Sinodi; si dedica con passione alla cura della dottrina cristiana e del catechismo; ha una speciale premura per la vita dei suoi sacerdoti, per la pastorale vocazionale, per la formazione dei seminaristi. E, proprio al fine di assicurare un servizio adeguato e spiritualmente elevato all’interno del seminario, dà vita a una nuova congregazione religiosa: le Suore di Santa Marta, il cui scopo è essere come Marta, nell’accoglienza e nel sostegno di Gesù vivo e presente oggi nel mondo.

Il 23 febbraio 1887 la Liguria, e in particolare il circondario di Sanremo, viene sconvolta da un forte terremoto. Il Reggio, anche in questa occasione, è Pastore buono e infaticabile, nel quale la sua gente vede con grande consolazione il ritratto della carità di Cristo.

L’età avanza e mons. Reggio, in una lettera a Leone XIII, esprime il desiderio di essere sollevato dalla sua responsabilità pastorale, per il timore “che diventando lento per l’età tutta la Diocesi si addormenti”. La richiesta del Vescovo di Ventimiglia non viene accolta. Anzi, a sorpresa, sette anni più tardi, il 6 maggio 1892, lo stesso Leone XIII nomina il Reggio Arcivescovo di Genova. Vi rimarrà fino al 1901, data della sua morte.

Il capoluogo ligure lo aveva conosciuto da sacerdote. Ora lo accoglie come suo Arcivescovo, ritrovandovi le stesse qualità di un tempo, adesso ulteriormente accresciute per grazia e sapienza. E’ saggio operatore di pace in una città socialmente divisa; a tutti ha il coraggio di additare un impegnativo programma di vita cristiana; sacerdoti e seminaristi rimangono una delle priorità della sua cura premurosa; governa la Diocesi con straordinario zelo, riformando le circoscrizioni parrocchiali, indicendo la Visita pastorale, riunendo un Sinodo diocesano; le sue numerose lettere pastorali sono magistero luminoso per il cammino di quanti gli sono stati affidati; non si tira indietro di fronte alla necessità di affrontare problematiche politiche, e il suo impegno è grande nell’allora vivissima questione sociale.

Un capitolo a sé merita l’attenzione riservata dall’Arcivescovo alla Cattedrale, questa Cattedrale. I lavori a cui egli dà inizio nel 1895 sono molteplici e impegnativi. In quegli anni la bella San Lorenzo si trova in uno stato di deperimento. E’ urgente fare le riparazioni necessarie alla stabilità dell’edificio, riportarla alle forme originali sotto il profilo archeologico, curarne il restauro decorativo. Mons. Reggio segue personalmente i lavori con singolare passione. Avrà modo di sottolineare, in proposito, padre Semeria: “Anche del bello fu proprio innamorato con amore che nasceva dal suo amore di Dio” (Rassegna Nazionale, vol. 122, pp. 379-380).

Mons. Tommaso Reggio muore nel 1901, all’alba di un nuovo secolo. Una morte, la sua, che corona una vita tutta intessuta di una vibrante nostalgia di Dio, di una limpidissima fede. Ed è a questa fede che ora desideriamo rivolgere l’attenzione.

 

La virtù teologale della fede
Prima, però, vale la pena ricordare che cosa si intende per virtù teologale della fede. Sarà così più semplice e chiaro considerarne la presenza luminosa nella figura di Tommaso Reggio.

In estrema sintesi, si può affermare che la fede è il mondo di Dio in Cristo che viene accolto nel mondo e nella vita dell’uomo. Quando Dio, nel suo donarsi con la sua presenza, la sua parola e la sua opera, trova spazio nella mente e nel cuore dell’uomo, ecco che si realizza l’atto della fede. Per questo l’oscurarsi della fede nel tempo della storia comporta anche l’oscurarsi di Dio e, inevitabilmente, l’allargarsi degli spazi di deserto nel mondo: perché, dove viene meno la fede e Dio rimane estromesso, è la vita stessa che smarrisce la propria bontà e non trova più ragioni di degna sopravvivenza.

La fede, così identificata, è l’accoglienza fiduciosa di Dio e della Sua Parola che impegna l’intelligenza e la volontà. L’intelligenza, in quanto diviene assenso alla verità di Dio; la volontà, in quanto diviene principio di un nuovo modo di intendere la propria vita e la storia, sorgente di un cuore rinnovato nella carità che rinnova il mondo.

La fede, inoltre, è un atto personale e insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. E l’atto personale di accoglienza a Dio che si rivela è sempre inserito nel più ampio atto di adesione della Chiesa. “Io credo”, “Noi crediamo”: non si dà l’uno senza l’altro.

Ritornare su questi dati fondamentali della virtù teologale della fede, esposti con la consueta chiarezza e profondità da Benedetto XVI nella Lettera Apostolica Porta fidei, ci consente di vivere questo momento di riflessione sulla figura del beato Tommaso Reggio in intima sintonia con il cammino che stiamo percorrendo, all’inizio dell’Anno della Fede. In lui, il Reggio, la virtù della fede è stata vissuta in modo esemplare. In lui, pertanto, possiamo oggi anche noi trovare ispirazione per quella crescita nella fede a cui siamo chiamati. E, insieme, la via per il superamento di una triplice tentazione che, ai nostri giorni, “aggredisce” la fede: la cosiddetta “sindrome del supermercato”, che snatura la fede in un “fai da te” individualista; il pensiero debole, che riduce la fede a vago sentimentalismo; il rifugio nel privato, che impedisce alla fede di essere presenza significativa e umanizzante nelle realtà temporali.

La fede: un atto personale e comunitario

– Nella vita di Tommaso Reggio la virtù della fede fu esperienza personalissima e in continuo crescendo. In lui l’ “Io credo” divenne di giorno in giorno più intenso e totalizzante. Quale fu, in effetti, il segreto del suo fascino spirituale e pastorale? Il segreto della signorilità del suo tratto, di tanta operosità a servizio del popolo a lui affidato, della fecondità del suo apostolato, della pace che egli portò ovunque si mosse? Fu la sua fede, vissuta come relazione personale di amore con il Signore, in ascolto della Sua Parola e coinvolgente per intero la vita.

Fu questa fede ricca di amore che lo spinse, ancora giovane, a scolpirsi sul lato sinistro del petto, con un ferro infuocato, il nome di Gesù. Lo constatarono i familiari che lo curarono nell’ultima malattia.

Fu la sua fede ricca di amore che gli consentì di vivere con tanta confidenza in Dio. In una sua lettera, datata 14 gennaio 1898 e indirizzata a una religiosa, scriveva: “Conforto e consolazione nostra è unicamente secondare i disegni di Dio, adempierne i santi voleri. E volere di Dio è pure tutto ciò che avviene in questo mondo. Indubitamente è positivo volere di Dio ciò che è disposto dall’ubbidienza. Felice voi che da questa siete guidata! Abbandonatevi dunque ciecamente nelle braccia di Dio che è buon Padre. Vi darà egli la forza, vi conforterà, vi consolerà. Amatelo, amatelo tanto e tutto andrà bene”.

Fu ancora la sua fede da cui gli derivò una grande rettitudine di sentire e di operare. Giudicava le cose non con il criterio della soddisfazione personale e dell’interesse ma alla luce di Dio. Anche quando questo lo esponeva a rischi, contrarietà e dicerie.

Fu sempre la sua fede a donargli una fervida vita di pietà. La si poteva notare soprattutto nell’amore alla SS. Eucaristia, nella devozione alla Madonna, nella fedeltà alla Chiesa e al Papa. Il suo amore per Gesù eucaristico appariva dalla celebrazione della Messa, dalla predicazione fervorosa, dalla visita frequente al SS. Sacramento, dall’attenzione premurosa alla bellezza e al decoro per tutto ciò che riguardava il culto. Quando parlava dell’Eucaristia si infiammava di amore. E così accadeva anche ogni volta che parlava della Madonna, sempre con accenti di intensa tenerezza.

La fede ricca di amore di Tommaso Reggio ebbe un’espressione privilegiata nella preghiera, alla quale dedicava lunghe ore della giornata. E quando il peso del ministero episcopale crebbe, il Beato cominciò a usare la notte per pregare. Ne diedero commossa testimonianza i suoi segretari che, nel cuore delle ore notturne, sentivano sovente provenire dalla sua stanza sospiri e parole oranti. Quelle ore, per l’Arcivescovo, erano anche il tempo delle grandi penitenze, che in lui erano preghiera supplice ed espiatoria. L’uso di cilizi e catenelle gli era abituale, e non mancava di rendersi più faticoso il sonno con l’uso di ruvidi tappeti al posto del normale lenzuolo. Anche tutto questo derivava nel Reggio da una fede ricca di amore.

– Nella vita del Reggio, tuttavia, la dimensione personale della fede fu sempre vissuta nel più ampio “Noi crediamo” della Chiesa. Come è stato ricordato nei cenni biografici, Tommaso apprese in famiglia la bellezza di appartenere a una comunità credente, nella quale accogliere, apprezzare e vivere il dono della fede.

Non mancherà, nelle sue lettere pastorali, di tornare spesso su questo tema. Ma anche nei suoi scritti personali vi si sofferma con una certa insistenza. Ascoltiamolo: “L’insegnamento della Chiesa ha un duplice carattere, quello di proporci la verità ignorata illuminando la mente a conoscere ciò che più è importante per l’uomo, e quello di preservarci dalla corruzione dei maligni e pestilenziali influssi delle ardenti passioni. Il Crisostomo usa una bella immagine: come nell’esodo fu data una colonna di fuoco che illuminava il cammino di notte e di giorno proteggeva dai raggi cocenti del sole, così fa la Chiesa per noi: fra le tenebre degli errori è luce di dottrina, negli ardori delle passioni ci fa ombra benefica con la sua parola. La Chiesa, la sola Chiesa ci è guida a Dio e maestra nell’ordine soprannaturale che Gesù venne a instaurare tra gli uomini. Ma la benefica sua azione deve essere cercata e applicata a se stessi. Tocca a noi venerarne l’autorità, ascoltarne gli insegnamenti, amarla come si ama la propria patria” (Esercizi spirituali, meditazione).

Un episodio tra gli altri rivela quanto fosse radicata in Tommaso Reggio una tale convinzione di fede. Si è visto come il giovane sacerdote fosse impegnato nel giornalismo cattolico. Attraverso lo “Stendardo Cattolico”, in un’epoca difficile per la Chiesa nelle sue relazioni con lo Stato Italiano, il Reggio era convinto sostenitore dell’impegno dei cattolici nell’agone politico. Vennero, però, la “breccia di Porta Pia” e la “presa di Roma”. L’umore generale dei cattolici cambiò. Si ritenne opportuno difendere il Papa allontanandosi dalla politica. Lo stesso Pontefice, Pio IX, invitò i cattolici a non prendere parte alla lotta politica. In quel frangente, lo “Stendardo Cattolico”, che si era battuto fino ad allora per la formula “eletti ed elettori”, chiuse i battenti e accettò la proposta papale. Probabilmente non senza una qualche sofferenza da parte del Reggio che, tuttavia, conservò quel sentire profondamente ecclesiale che queste parole esprimono: “Al Papa noi dobbiamo obbedienza esatta, pronta e sollecita. Non l’ubbidienza del bruto che morde il freno al quale è legato, ma quella del figlio che stima e ama il padre e fa suo vanto secondarne anche non veduto i voleri”.

La fede: un impegno dell’intelligenza e della volontà

– Tommaso Reggio visse la fede, fin da giovane, come adesione dell’intelligenza a un contenuto di verità, accoglienza ragionevole riservata alla Ragione di tutte le cose, scoperta e progressiva conoscenza di Dio Verità . Fu certamente uomo di pensiero, di dottrina, di cultura nel senso più ampio del termine. La sua stessa vocazione, probabilmente, sbocciò in un contesto di approfondimento delle verità della fede.

All’inizio del suo ministero sacerdotale lo abbiamo visto impegnato, tra l’altro, nella “dottrina di notte” a favore dei lavoratori. In quegli anni fu anche promotore solerte di convegni, nei quali venivano spiegati il Vangelo e il catechismo al fine di formare persone che fossero in grado di avere e diffondere una fede sicura, offrendo anche indicazioni per la vita sociale della città.

Diventato Vescovo, prima a Ventimiglia e poi a Genova, con insistenza ricorderà al suo popolo la necessità di conoscere e approfondire i contenuti della fede. “Noi trionfiamo perfettamente sull’umiliazione dell’intelletto perché possediamo la fede: dobbiamo riconoscere che essa sola conduce alla conoscenza di Dio e delle cose celesti, ma anche alla conoscenza di noi. Rinnoviamo dunque la fede, perché ci sia dato di raggiungere lo scopo, e mettere alla base del nostro rinnovamento spirituale la vera cognizione di noi stessi. Confermiamo la fede che ci dà la prima notizia di Dio, rivelandoci che è il creatore e conservatore dell’universo nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo… La fede è una virtù e un dono. Come dono si deve chiedere, come virtù chiede di esercitarci con un po’ di sforzo. Consiste nel credere le cose rivelate da Dio alla Chiesa e da essa a noi insegnate. La fede si perde negando o mettendo in dubbio queste verità. La si esercita interiormente con l’atto di fede ed esternamente quando è necessario. Ma è necessario istruirsi, altrimenti la fede si perde…” (Esercizi spirituali ai laici, 1875)

– Se il Reggio visse la fede come adesione dell’intelligenza alle verità su Dio, nondimeno la visse come impegno della volontà, teso a rinnovare in profondità la vita. Tutta l’esistenza cristiana e sacerdotale del nostro Beato si mosse in questa direzione.

In lui la fede si coniugò naturalmente con un modo radicalmente nuovo di guardare a sé, agli altri, al mondo e alla società. Non vi fu ambito umano che rimase estraneo all’avventura della sua fede tutta orientata alla carità. Ne è bella testimonianza una Lettera pastorale risalente al 1878, durante l’episcopato a Ventimiglia: “La fede del cristiano si appoggia sulle cose che sono oggetto della sua più dolce attesa e lo solleva a Dio che diventa l’oggetto del suo più puro amore. La vera e pura fede è inseparabile dalle due virtù sorelle che insieme costituiscono la vita cristiana, la speranza e la carità. Infuse con la fede stessa nell’animo dell’uomo rigenerato dalla grazia, lo perfezionano e lo fecondano nelle opere buone. Lo disse Atenagora: «Non troverai mai nessun cristiano che sia vile o malvagio, se non finge la propria fede». La fede non finta, la fede viva e veramente propria del cristiano – come diceva san Paolo – è quella che opera per la carità. E sant’Agostino nota che non ci è imposto semplicemente di credere a Dio, ma di credere in Dio: ciò significa che siamo portati sulle ali dell’amore verso l’oggetto della nostra fede, così che l’atto della mente muove la volontà a operare rettamente per Dio. Infatti, che cosa è credere in Dio se non credendo amare e amando operare il bene?”

La fede: fare spazio a Dio nel mondo

Quando si considera con attenzione il percorso di vita di Tommaso Reggio ci si rende con facilità conto che il suo mondo è stato il mondo di Dio. Con la sua fede egli ha accolto il Signore nella sua mente, nel suo cuore, vi si è abbandonato con tutto se stesso. In lui, nella sua fede, Dio si è reso presente nelle vicende umane a lui contemporanee.

Un’eco di quanto il Reggio ha vissuto sembra essere una accorata Lettera pastorale scritta a Genova, in occasione della Quaresima del 1896. Si intitolava “Torniamo a Dio”. Con parola incisiva, tra l’altro, l’Arcivescovo lanciava l’appello: “Si torni a Dio: ecco il grido di salvezza per l’individuo e per la società… Torniamo a Dio nella scienza che è fondamento e principio di ogni retto operare… Torniamo a Dio nell’arte, cercando il bello verace quale si rivela nello studio della natura… Più di tutto torniamo a Dio nella coscienza pubblica e privata… Si torni a Dio. Edotti ormai dalla dolorosa esperienza, imparino i rettori dei popoli e tutti coloro che padroneggiano il mondo: senza Dio non prospera e non vive popolo, nazione o società. La storia del mondo lo insegna, facciamocene nostro vantaggio: a Dio ritorni la società”.

Parole attualissime, se pensiamo a quanto di recente, nel 2009, Benedetto XVI ha scritto in una lettera indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo”.

La grande preoccupazione e priorità pastorale nella visione sapienziale dell’attuale Pontefice è la stessa dell’allora Arcivescovo di Genova. Ed è proprio guardando alla vita del Reggio che possiamo trovare un cenno di risposta all’inquietante interrogativo sul presente e il domani della fede nel mondo. Tommaso Reggio ha tenuto viva la presenza di Dio, del Dio di Gesù Cristo, nel mondo in virtù della sua fede. Dove c’è fede viva c’è Dio. Quando al termine del suo pellegrinaggio terreno, il nostro Beato affermava, a chi gli chiedeva se avesse bisogno di qualche cosa, “Dio, Dio, Dio mi basta”, dava un’ultima splendida testimonianza della sua fede, che aveva saputo rendere presente Dio tra gli uomini del suo tempo.

Leggendo un recente libro-intervista del Cardinale Camillo Ruini, proprio riguardo a Dio, si può rimanere stupiti di una risposta che, in verità, ci riconduce a quanto si va riflettendo a partire dalla fede in Reggio.  L’intervistatore desidera sapere quali realtà e correnti, nel nostro tempo, sembrano sfidare l’onda montante della secolarizzazione, l’emarginazione di Dio dalla storia. Il Cardinale preferisce parlare di segni, più che di realtà o correnti. E continua: “La forma principale in cui questi segni si manifestano rimane quella della testimonianza. Nella mia vita, di persone che testimoniano Dio con la propria esistenza ne ho incontrate tante: persone per le quali la preghiera è qualcosa di irrinunciabile, persone contente di spendersi per il prossimo, persone per le quali Dio è in cima ai pensieri e che non possono rinunciare a parlare di lui” (Intervista su Dio, p. 24).

Tra queste persone, che con la loro fede hanno reso e rendono presente Dio nel mondo, non è difficile annoverare Tommaso Reggio. Che in tal modo, tra l’altro, ci ricorda un’ultima nota distintiva della virtù teologale della fede: la testimonianza e l’annuncio. Perché la fede, quando è viva, esige di essere comunicata, diviene contagiosa, tende a coinvolgere tutti e dovunque. Come ha ricordato il nostro Arcivescovo, in una recente Lettera indirizzata all’Arcidiocesi: “…se noi cristiani vogliamo far crescere la fede ricevuta, lo facciamo non solo per noi – in una specie di ripiegamento individuale – ma per tutti, perché la luce di Cristo risplenda attraverso le nostre piccole lampade” (Lettera in occasione della “Peregrinatio” della Madonna della Guardia a Genova all’inizio dell’Anno della Fede, n. 3).

L’Anno della Fede ci trovi attenti e impegnati a ripercorrere il cammino compiuto dal nostro Beato. Il cammino di una fede viva e rinnovata, una fede che si riveste dei tratti della santità: spazio di Dio nel mondo, in un mondo che di Dio ha tanto e urgente bisogno.