Meditazione – L’Immacolata e la bellezza in Dio

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Meditazione – L’Immacolata e la bellezza in Dio

Meditazione – L’Immacolata e la bellezza in Dio

Suore Oblate Ospedaliere Francescane di Monna Tessa
Meditazione in preparazione alla solennità dell’Immacolata

 

L’Immacolata “Tota pulchra”
Contemplando la Santa Madre di Dio e considerando il mistero della sua Immacolata Concezione, la Chiesa ha dato espressione alla propria fede orante facendo ricorso alla categoria della bellezza. La Madonna, infatti, è da subito apparsa agli occhi dell’intero popolo di Dio “la tutta bella”, alla quale rivolgere il proprio sguardo colmo di stupore, di ammirazione filiale e di gioia.

“Tutta bella sei, o Maria: la colpa originale non ti ha sfiorato”, canta la liturgia, con non poca emozione spirituale, nella celebre antifona dei Vespri, il giorno della solennità dell’Immacolata Concezione. Un’antifona che, anche in virtù della sua trasposizione musicale nel canto gregoriano e nella polifonia classica, è capace di toccare in modo singolare le corde del cuore e di suscitare devozione autentica e sincera.
Una domanda sorge spontanea: qual è la bellezza di Maria? O, altrimenti: qual è l’origine della bellezza unica che ritroviamo in Maria? La stessa antifona citata offre la risposta: “La colpa originale non ti ha sfiorato”. Ma la prima risposta a questa domanda la ascoltiamo dalla parola dell’angelo Gabriele che “Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te»” (Lc 1, 28). Maria è “la tutta bella” dal momento che il Signore è con lei, a motivo del fatto sorprendente che la sua vita è interamente abitata da Dio e non vi è nulla, ma proprio nulla, in lei, che sia in contraddizione con la volontà di Dio.

Maria, possiamo affermare, è la casa di Dio, la dimora di Dio con gli uomini, la terra nella quale Dio ha potuto piantare la propria tenda, il tabernacolo che custodisce la presenza di Dio, lo spazio umano sul quale si è posata la nube della gloria di Dio. Ecco il motivo della bellezza di Maria, di una bellezza che non è di questo mondo, in quanto bellezza tutta e sola in Dio.
In questi giorni, nei quali ci prepariamo a vivere la grande solennità liturgica dell’Immacolata Concezione, desideriamo anche noi, in comunione con tutta la Chiesa e con le generazioni cristiane che ci hanno preceduto, orientare il nostro sguardo a Colei che, sempre la liturgia, definisce “gloria di Gerusalemme, letizia di Israele, onore del nostro popolo”.
Così orientati, non ci accontentiamo di contemplare con la meraviglia nel cuore, ma desideriamo anche andare alla ricerca di che cosa significa, per la nostra vita quotidiana di fede, l’incontro con la Madonna Immacolata. La nostra contemplazione, pertanto, diviene accoglienza di una rivelazione che ci interpella in profondità e ci chiede scelte precise in ordine al nostro cammino di santità.

La gratuità della salvezza
Quando ci mettiamo in ascolto della pagina evangelica, nella quale san Luca racconta l’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, ci accorgiamo di come la Madre del Signore avverta la totale gratuità del dono che Le viene fatto e della salvezza offerta, in Lei, da Dio all’intera umanità. Alla parola angelica, infatti, che Le preannuncia la maternità di Gesù, la Madonna risponde: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”.
In questa domanda, lo capiamo bene, risuona la sorpresa della ragazza di Nazareth e, insieme, la sua chiara consapevolezza che quanto sta per avvenire non comporta un concorso umano, se non nella disponibilità ad accogliere il disegno di Dio.
Nell’esperienza spirituale di Maria troviamo una verità fondamentale della nostra fede, verità nella quale si rivela il volto del Signore e noi apprendiamo a camminare alla Sua presenza. Il Suo amore è sempre del tutto gratuito e, sempre, ci previene. La nostra vita, pertanto, è chiamata soprattutto a farsi pronta e incondizionata accoglienza dell’Amore che salva.

In realtà, in tutti noi è spesso presente una pericolosa tentazione. Quella per la quale immaginiamo che, almeno in parte, la salvezza possa dipendere dalle nostre opere, dall’osservanza della legge, dalla presunta bontà delle nostre scelte. In tal modo, rischiamo di vivere nella presunzione di essere noi i salvatori di noi stessi, vanificando così l’opera del Signore e la gratuità del Suo amore.
Non è, forse, vero che spesso consideriamo la santità come il risultato del nostro sforzo generoso, un esercizio deciso della volontà che tende a una perfezione ideale? Così facendo, però, ci accorgiamo, con profonda delusione, di quanto le nostre forze non ci consentano di raggiungere il traguardo sperato e di come ogni nostro tentativo, pur generoso, si perda nell’esperienza rinnovata di un triste fallimento.
Contemplare l’Immacolata significa ritrovare, nella gioia e nella gratitudine, la splendida notizia dell’amore di Dio che viene a noi a donarci la salvezza, della misericordia di Dio che viene a trasformare il nostro cuore, da cuore di pietra a cuore di carne, della bontà di Dio che in Gesù si fa redenzione dal male, dal peccato e dalla morte.

Ciò non toglie, ovviamente, spazio al nostro impegno quotidiano nell’adesione alla volontà di Dio sulla nostra esistenza. Ma questo stesso impegno rimane fondato ed edificato sulla grazia del Signore, unico e vero nostro Salvatore, che ci dona la vera Vita per il tramite della Sua parola e dei sacramenti. Come l’Immacolata, dunque, è sempre dal Signore che dobbiamo partire per compiere l’itinerario di una vita secondo il Vangelo. In altre parole, è sempre dal primato della preghiera, che ci custodisce nel Cuore del Signore, che dobbiamo attingere la forza per divenire santi.

La gioia della grazia
Rimanendo ancora a considerare con attenzione il testo evangelico dell’annuncio della nascita di Gesù, ci accorgiamo della presenza in esso di una relazione molto stretta: quella tra la grazia e la gioia.
In effetti, scorrendo il racconto di san Luca, la gioia appare un tratto essenziale di quanto accade nella città di Nazareth. L’angelo, fin dall’inizio del dialogo, invita Maria a rallegrarsi: “Entrando da lei, disse: «Rallegrati…»” (Lc 1, 28).
Chiediamoci: qual è il motivo di un tale invito, “Rallegrati, piena di grazia…”? (Lc 1, 28). La grazia è, per Maria, la sorgente della gioia. In tal modo capiamo che l’opera di Dio nella vita della giovane ragazza di Galilea è la ragione della sua gioia, che la presenza del Signore in Lei è fonte di gioia, che l’amore di Dio che si rivela è la sorgente della gioia.

Ciò che vive la Madonna a Nazaret è ciò che, allo stesso modo, caratterizza la comune esperienza degli uomini e delle donne che entrano in relazione con il mistero del Figlio di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza. E’ proprio la gioia il dato che, più di ogni altro, risalta nell’avvenimento del Natale. Lo stesso annuncio della nascita di Gesù è un annuncio di gioia. “Ecco, vi annuncio una grande gioia” (Lc 2, 10), dice l’angelo ai pastori, protagonisti della notte santa di Betlemme. L’ingresso di Dio nella storia, dunque, è l’ingresso della gioia nella storia, perché dove Dio si fa presente lì è presente anche la gioia, quella vera.
In Maria l’esperienza della gioia assume tratti del tutto singolari e unici. Dal momento che è la piena di grazia è anche la piena di gioia. Dal momento che è la donna integralmente aperta al dono di Dio è anche la donna integralmente aperta alla Sua gioia. Dal momento che è Immacolata, senza peccato, è colma della vita di Dio e, quindi, della Sua gioia. Nel celebre romanzo I Miserabili di Victor Hugo, leggiamo la seguente considerazione: “Le nostre gioie sono ombre. Il supremo sorriso appartiene a Dio”. Stando a questa bella immagine, possiamo certamente affermare che il sorriso supremo ha abitato anche il cuore della Madonna.

Clive Staples Lewis, il famoso scrittore britannico convertitosi dall’ateismo al cristianesimo, ha così intitolato il testo con il quale ha inteso raccontare il proprio incontro con la fede: “Sorpreso dalla gioia”. Anche per lui, come per tutti coloro che hanno avuto la grazia di accogliere il Signore nella propria vita, la gioia è stata il segno di Dio. Non per nulla, un altro grande scrittore inglese, Gilbert Keith Chesterton, ha lasciato scritto che la gioia è “il gigantesco segreto del cristiano”.
Quale conseguenza possiamo trarre noi, per la nostra vita, da quanto detto? Eccola. L’Immacolata è il segno più eloquente di quanto il Signore possa essere la gioia grande della nostra vita. Nulla, pertanto, è più falso di una presentazione della fede come mortificante l’anelito alla felicità presente nel cuore umano; nulla è più menzognero di quella caricatura nella quale Dio si rivela quale nemico dell’aspirazione umana alla gioia più appagante.
Con Blaise Pascal affermiamo con decisione che “la nostra felicità consiste nell’essere in Dio e il nostro unico male nell’essere separati da Dio” (Pensieri). Non temiamo, dunque, di aprire sempre di più le porte della nostra vita alla presenza e all’opera del Signore. Il radicarsi e il crescere della gioia nel nostro cuore sarà il segno certo della Sua grazia e della Sua vita in noi.

La benedizione del Signore
Nella solennità liturgica dell’Immacolata Concezione, la Chiesa ci fa ascoltare un brano dalla lettera di san Paolo agli Efesini. Il testo paolino si presenta come una contemplazione ammirata del disegno provvidenziale di Dio sulla storia umana: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ef 1, 3).
Qual è il centro e il cuore di questo disegno provvidenziale di Dio? E’ Gesù Cristo, nel quale tutto è stato pensato e nel quale anche noi siamo stati scelti e amati. L’amore di Dio in Cristo, di conseguenza, è la ragione vera della creazione e il segreto più intimo dell’intero universo. “Il disegno di amore della sua volontà”, secondo le parole di Paolo, è la verità del mondo.
Tutto, pertanto, siamo chiamati a leggere e a interpretare in questa luce. Al di fuori di una tale luce continuiamo a brancolare nel buio della mancanza di senso e nelle tenebre di una vita che percorre le vie di un labirinto senza sbocco. Ma alla luce della verità che è Cristo, l’Amore di Dio fattosi carne, ogni realtà della nostra esistenza acquista consistenza e il cammino per le strade del tempo conosce un orientamento sicuro. In Cristo, e nella verità del Suo amore per noi, ci è possibile dire che tutto è grazia, tutto è provvidenza, tutto concorre al bene più grande della nostra autentica realizzazione nell’eternità beata.

In quale relazione si trovano l’Immacolata Concezione di Maria e il testo della lettera agli Efesini? Nel disegno provvidenziale di Dio, quale Paolo lo contempla, un momento decisivo è proprio quello dell’Immacolata Concezione di Maria, quando Dio decide di preparare una giovane donna a diventare la Madre del Signore, Colei che darà al mondo il Salvatore del mondo, il Verbo fatto carne.
Contemplare l’Immacolata, allora, significa contemplare in Lei la bellezza straordinaria dell’opera provvidente di Dio che ha saldamente in mano le sorti della storia e che tutto muove nella logica di un amore che salva. Così ci è anche dato di ritrovare quella fiducia nella fede a motivo della quale non c’è più spazio per la paura. In ragione dell’amore di Dio, infatti, tutto è provvidenziale in vista della salvezza e mai la benedizione di Dio ci abbandona nel cammino della vita. La Madonna, nella Sua Immacolata Concezione, viene a ridestare in noi una tale consapevolezza di fede.

I santi ci aiutano in questo atto di contemplazione nella fede. Dice, ad esempio, santa Caterina da Siena: “Tutto viene dall’amore, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo. Dio non fa niente se non a questo fine” (Dialoghi 4, 138). E San Tommaso Moro, poco prima del martirio, così consolava la figlia: “Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio” (Lettera da Alice Alington di Margaret Roper sul colloquio avuto con il padre, cf Liturgia delle Ore, III Ufficio delle letture del 22 giugno). Infine, Giuliana di Norwich scrive: “Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito bene… «Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene»” (Rivelazioni dell’amore divino, 32).
Guardando all’Immacolata, pertanto, riprendiamo il nostro itinerario alla sequela del Signore certi che, dal momento che Egli è per noi e con noi, nulla potrà mai essere contro di noi.

La vittoria sul peccato
Il libro della Genesi, al capitolo 3, illustra con linguaggio simbolico le conseguenze del peccato originale: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gn 3, 10). Non sono queste conseguenze, però, che nel presente contesto ci interessano. Il nostro interesse si rivolge, piuttosto, alla figura femminile che compare subito dopo nel racconto, in relazione alla lotta tra il bene e il male, tra la stirpe che vive in comunione con Dio e la stirpe che invece vi si oppone e vive sotto il regno del serpente tentatore: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe” (Gn 3, 15).

Il ritratto della donna, così come descritto nel testo, è in parte misterioso. Eppure, è anche possibile individuare con una certa chiarezza, alla luce della rivelazione successiva, i lineamenti di Colei che Dio sceglierà perché divenga partecipe, in quanto Madre di Cristo, della redenzione dell’umanità. Il fatto stesso di leggere questo brano il giorno della solennità dell’Immacolata porta a considerare la donna della Genesi, non solo figura e anticipazione della Chiesa, ma anche figura e anticipazione di Maria.
Qui la Madonna è, dunque, presentata come antitetica al serpente tentatore: “Questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3, 15). E’ Lei la donna che nascerà alla vita senza macchia di peccato, prima dei rendenti che precede tutti sulla via della salvezza, in quanto salvata in anticipo per i meriti di Cristo Signore. E’ ancora Lei la donna che, lungo la storia, saprà opporsi senza esitazione al male, custodendo e accompagnando maternamente il cammino dell’umanità verso la salvezza.
In Maria, quindi, si rende presente la vittoria del Figlio di Dio fatto uomo sul peccato e sulla morte, su Satana in quanto origine di ogni male. E, sempre in Maria, si rende presente anche la nostra vittoria, quella che a tutti noi è data nella misura della nostra comunione con vita del Risorto.

Che cosa significa, per il nostro cammino spirituale, la contemplazione di questo dato della fede?
La visione dell’Immacolata, anzitutto, risveglia in noi la nostalgia di tutto ciò che è buono, puro, trasparente. E’ la nostalgia della santità, di una vita che, finalmente, sia affrancata dal male in ogni sua forma. E’ il desiderio di un’esperienza veramente umana e, quindi, abitata da Dio infinito Amore e tutta donata nella carità. Possa, la solennità dell’Immacolata Concezione, divenire il nuovo punto di partenza per un cammino di sequela, una volta per tutte deciso, appassionato, perseverante.
In secondo luogo, la visione dell’Immacolata è un richiamo eloquente al dramma del peccato e alla sua capacità di abbruttimento della nostra vita. Il peccato, a differenza di quanto a volte si possa pensare, non è mai un bene e non porta alla felicità. Ogni peccato, piccolo o grande che sia, si risolve sempre in un’esperienza di amarezza e di delusione che non è inesatto definire abissale. E’ il peccato il vero male che sfigura il volto dell’umanità. Possa, allora, la solennità dell’Immacolata Concezione, aiutarci a essere più fermi nella lotta quotidiana al peccato, nella risoluzione di fuggire da ogni subdola e menzognera tentazione. Con l’Immacolata al nostro fianco, anche in questa lotta, non abbiamo nulla da temere.

Sia in noi l’anima di Maria
Commentando il racconto della Visitazione, così come riportato nel vangelo di san Luca, sant’Ambrogio scrive, a proposito del Magnificat, rivolgendosi al lettore: “Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore” (Esposizione del vangelo di san Luca, II, 26).
Prendiamo a prestito la parola del grande vescovo di Milano, a conclusione della nostra meditazione. Il prestito è dettato dal desiderio di entrare in intima comunione con l’anima di Maria nel momento in cui, rispondendo all’invito angelico, disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).

Perché ci anima un tale desiderio? Il punto di partenza della nostra riflessione è stato il richiamo alla bellezza dell’Immacolata, la tutta bella per eccellenza. Abbiamo illustrato il motivo di tale bellezza. E abbiamo scoperto nella bellezza della Madonna una rivelazione che ci ha interpellato in profondità, chiedendoci anche scelte precise in ordine al nostro cammino di santità.
E’ proprio in ordine a queste scelte da fare che desideriamo entrare in comunione con l’anima di Maria, così che il suo “Ecco” sia anche il nostro “Ecco” e il suo affermare “avvenga per me secondo la tua parola” sia anche il nostro dire “avvenga per me secondo la tua parola”.
In altri termini: ora che, per noi, si apre il tempo della messa in atto di quanto la visione dell’Immacolata ci ha trasmesso, è quanto mai necessario e decisivo che sia in ciascuno di noi l’anima di Maria. Solo così potremo vivere da salvati e nella certezza che solo in Dio e nel Suo amore per noi è la nostra salvezza. Solo così potremo entrare fino in fondo nella relazione feconda tra la grazia e la gioia, e vivere in Dio nella consapevolezza di fede che solo in Lui è la vera gioia. Solo così il percorso della vita, in ogni suo aspetto, ci apparirà come benedizione di Dio e segnato sempre da una provvidenza che tutto orienta al bene più grande. Solo così potremo essere combattenti intrepidi nella lotta quotidiana contro il peccato e lo spirito del male, riuscendone vincitori.

In realtà, dunque, solo così, ovvero solo custodendo in noi l’anima di Maria, ci sarà possibile essere partecipi della Sua bellezza. Una bellezza che supera ogni bellezza mondana perché è tale in Dio, il Bello che solo può rendere davvero bello il mondo e la nostra vita.
Cantare il “Tota pulchra”, allora, non sarà solo un inno di meraviglia indirizzato alla Madonna Immacolata, ma anche un atto di gratitudine stupita per una realtà, la bellezza in Dio, divenuta, almeno un poco, anche nostra.