Omelia – Giovedì XXII – Anno II

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Omelia – Giovedì XXII – Anno II

Omelia
Letture: 1 Lettera ai Corinzi 3, 18-23; Vangelo di San Luca 5, 1-11

L’Apostolo Paolo conclude il brano della sua lettera con un’affermazione molto bella: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. Il centro di questa parola di Paolo è proprio quando afferma: “Voi siete di Cristo”.
San Ambrogio facendo eco a queste parole e rivolgendosi alla sua gente, molte volte diceva così: “Cristo è tutto per noi”. Anche noi oggi affermiamo ciò che dice sant’Ambrogio: “Gesù è tutto per noi. Gesù è tutta la nostra vita”. È bello dirlo. Ci aiuta a fare in modo che la nostra vita quotidiana sia veramente un amore appassionato per Gesù. Ma è chiaro che dirlo non è sufficiente. Deve tradursi in esperienza concreta, in scelte quotidiane.
E oggi la pagina del Vangelo ci aiuta a declinare il significato di questa affermazione che sempre più facciamo nostra: “Gesù è tutto per me, noi siamo di Cristo.”

Perché ci aiuta a declinare questa affermazione così bella, che sta nel cuore della nostra vita?
Anzitutto perché questa pagina evangelica ci parla di uno sguardo: “Gesù vide le barche”. Ha visto le barche ma nelle barche Gesù ha visto qualcosa di più profondo, perché lo sguardo del Signore, quando si posa sulla realtà, non si limita a vederne l’aspetto immediato, superficiale, visibile a tutti, ma entra “dentro” quella realtà.
Appartenere a Gesù, essere di Gesù, significa lasciarsi raggiungere da questo sguardo che penetra in profondità nella nostra vita, ed è sempre uno sguardo che ama. Anche quando entra dentro e ci mette a nudo, quando ci impone un cambiamento ed esige trasformazione, è sempre uno sguardo d’amore e proprio per questo esige cambiamento, trasformazione. È uno sguardo di fuoco, ma di fuoco dolce, che trasforma perché ama. Noi siamo di Cristo quando lasciamo che questo sguardo di Gesù ci raggiunga, ci entri dentro, ci tocchi il cuore, e dunque ci trasformi.
Qualche volta ci difendiamo, perché – per tornare a quanto affermavamo prima –questo sguardo ci fa paura, perché dice la verità sulla nostra vita. Non ci lascia nelle nebbie nelle quali a volte noi, con un certo piacere, restiamo. Dice ciò che è da Dio e ciò che non è da Dio. Mette in luce, mette a nudo. Eppure è questo sguardo l’unico sguardo di amore vero, che ci salva.
Essere di Gesù significa anzitutto lasciarsi sempre raggiungere e penetrare da questo sguardo. Vivere ogni nostra giornata sotto l’azione, bella, potente, ma dolcissima di questo sguardo che ci ama.

Scorrendo la pagina evangelica troviamo un altro particolare: Gesù non soltanto vide quelle barche, ma ci entrò dentro. Entra sulla barca, non rimane a distanza. Per noi appartenere a Gesù, essere suoi, significa aprirgli realmente le porte della vita, e lasciare che sulla barca – che è la nostra vita – Lui possa entrare.
Qualcuno ha detto che noi siamo come dei continenti, fatti di tante regioni. Ma alcune di queste nostre regioni interiori, ancora non sono state conquistate dal Signore, perché ancora sono chiuse alla sua presenza. Non vogliamo mettergliele davvero in mano, vogliamo che rimangano nostra proprietà.
Lasciare entrare Gesù nella barca della nostra vita, significa consegnargli le chiavi di tutte le regioni di questo continente che siamo noi, e consentirgli di entrare anche negli ambienti più nascosti e oscuri della nostra vita.
È vero: c’è un’evangelizzazione che riguarda noi, ma c’è anche un’evangelizzazione che riguarda quel mondo che siamo noi, che è il nostro cuore, che è la nostra vita, che è il segreto che ci portiamo dentro.
Siamo di Cristo nella misura in cui quella barca, quel mondo che siamo noi, lasciamo che venga abitato, visitato dalla presenza di Gesù, tutto, senza nascondergli nulla, senza sottrargli nulla, senza trattenere ostinatamente qualcosa per noi.
Gesù sale sulla barca e poi invita Simone ad andare al largo a pescare, nonostante che per tutta la notte avessero provato senza prendere nulla.

Torniamo a quanto dicevamo prima: la parola del Signore a volte è strana per noi, non la capiamo. Sembra folle perché ci indica delle direzioni di vita che umanamente non sono comprensibili. “Ma perché – Simone si domanda – mi chiedi di andare di nuovo al largo, a me, pescatore, che conosco la realtà della pesca. Tutta la notte sono stato a pescare, e so che è di notte che si prendono i pesci! Devo dare retta a Te che mi dici di andare al largo adesso, durante la giornata, a prendere pesci che so non prenderò mai?”
Ecco la follia della Parola di Dio che viene a scardinare i nostri schemi. Questa è la fede: credere davvero che quella Parola è vera, che quella Parola è il segreto della vita, che quella Parola è amore nonostante l’apparenza contraria.
Simone si fida, vive la realtà della fede. Perché la fede è questa: non seguire Gesù quando è chiaro dove ci sta portando. La fede è seguire Gesù quando non è chiaro dove ci sta portando. Anzi, quando ci sembra che ci stia portando là dove andiamo a morire, a perdere. E allora appartenere al Signore significa avere questo sguardo di fede che va sempre dove la Parola mi indica – perché me lo dice Lui. Questa è la fede. Questo significa essere di Gesù.

E ancora: tra di loro quei primi discepoli si aiutano. Quando la pesca si fa così impegnativa, i pesci sono tanto numerosi, allora anche gli altri accorrono. Non sono gli uni contro gli altri, ma sono gli uni con gli altri, gli uni per gli altri. Questo è il segno della presenza del Signore nella nostra vita: perché quando siamo suoi, coloro che sono al nostro fianco, coloro che sono con noi, coloro con cui condividiamo il cammino dell’esistenza, sono alleati, siamo alleati, ci aiutiamo, non ci contrastiamo.
Non siamo gli uni contro gli altri ma siamo gli uni a favore degli altri, perché camminiamo insieme, Gesù è il centro di ciò che stiamo vivendo, e ci sta a cuore soltanto una cosa: essere sempre più suoi, aiutandoci reciprocamente in questo bellissimo cammino di vita. Questo è anche il segno che apparteniamo a Gesù: quando siamo di edificazione vicendevole nel costruire il nostro edificio di santità, ciascuno per gli altri.

E poi un ultimo elemento che la pagina evangelica di oggi ci indica: Pietro si inginocchia davanti a Gesù e gli dice: “Ma io sono un peccatore, che cosa hai Tu a che fare con me, io sono un peccatore, guardami!”
Quando si appartiene a Gesù vita, si ha la consapevolezza della propria miseria, del proprio peccato, e non se ne ha paura, glielo si presenta. Chi è di Gesù sta davanti a Gesù con la propria povertà e gliela dona, sapendo che la realtà della nostra vita è quella di essere salvati; non di essere noi i nostri salvatori, ma di essere salvati.
Pietro capisce, in quel momento, che la realtà più profonda e più bella della sua vita non è data dalla sua capacità, ma da quella misericordia infinita che lo salva dal suo peccato, e non può far altro che riconoscerlo e presentarlo a Gesù.
Quando noi siamo di Gesù viviamo quest’esperienza, riconosciamo la nostra miseria, non abbiamo paura di dirgliela e di dargliela, perché comprendiamo che la nostra salvezza sta proprio in questo: nel dargli il peccato che abbiamo e nell’ascoltare e sperimentare la misericordia del suo Cuore che non si ferma davanti a nulla, che è tanto più grande della nostra misera vita.
Ecco, la pagina del Vangelo ci ha declinato alcuni elementi che ci aiutano a capire ancora una volta che cosa significa essere di Gesù e, dato che noi vogliamo con tutto il cuore, con tutta la passione del cuore, essere di Gesù, desideriamo anche che questi aspetti che la parola evangelica ci ha ricordato possano essere sempre di più nostri e diventino esperienza quotidiana di vita.

(Nostra trascrizione dal parlato non rivista dall’autore)