Conferenza – La Bibbia, scuola vicariale di base (traccia)

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Conferenza – La Bibbia, scuola vicariale di base (traccia)

Scuola di  formazione di base vicariale

Vicariato di Sestri Ponente
Prima lezione

Sestri Ponente

 

INTRODUZIONE
Facciamo nostra l’esortazione di Giovanni Paolo II, rivolta ai fedeli in udienza generale il 31 maggio 2001:
“La Parola del Signore deve essere prima di tutto vissuta. Essa deve penetrare tutti gli spazi in cui l’uomo vive e  lavora. Affinché ciò possa avvenire, la Chiesa è chiamata a predicarla con forza e chiarezza, adoperando sia i mezzi tradizionali che quelli offerti dalle nuove tecnologie. Invito i pastori e i fedeli a fare della Bibbia il loro quotidiano nutrimento spirituale. Li esorto a meditare e pregare con le parole della Sacra Scrittura che, accanto all’Eucaristia, deve costituire il centro della vita ecclesiale e familiare. Soltanto così essi avranno sempre l’ispirazione e la forza divina, necessarie per rimanere fedeli a Cristo nella testimonianza al mondo”.
Potremmo dire che la Bibbia è il libro più noto e diffuso nel mondo, tradotto in tutte le lingue. E aggiungere che è il Codice che sta alla base della civiltà, soprattutto occidentale.
Ma al di là di questo la Bibbia desideriamo conoscerla come il grande codice del nostro rapporto con Dio, del senso della nostra vita e del nostro destino.
La nostra, dunque, è una conoscenza per la vita: come d’altronde è sempre la catechesi.

APRIAMO LA BIBBIA
Bibbia, storia di un nome
Il termine “Bibbia” deriva dall’espressione greca “ta biblìa”, che significa “i libri”.
Furono gli antichi autori cristiani che iniziarono a chiamare “Biblìa” le Sacre Scritture: il più antico documento al riguardo è una lettera scritta introno al 150 d.C. da Clemente Alessandrino, uno dei primi Padri della Chiesa.
La Bibbia, dunque, non è un libro, ma una raccolta di scritti – chiamati libri – dal XIII sec. a.C. (l’epoca di Mosè) fino alla morte degli apostoli, alla fine del I sec. d.C.
La Bibbia è l’opera lenta e progressiva di un millennio. Israele antico e la Chiesa vi hanno riflesso la fede delle successive stagioni della loro esistenza storica. Capita a un individuo come a un popolo: vivere prima e poi scrivere, ricordando e ripensando ciò che si è vissuto. I Libri biblici sono la memoria dell’Israele antico e della Chiesa del primo secolo.

La Bibbia ebraica e quella cristiana
– La Bibbia ebraica comprende 39 libri, scritti tutti prima di Cristo. Tradizionalmente è divisa in tre grandi sezioni.

  • La Torà o Legge: comprendente i primi 5 libri
    Il termine significa anche “istruzione” e contiene tutto quello che l’ebreo è chiamato a essere
    Genesi
    Esodo
    Levitico
    Numeri
    Deuteronomio
  • I Profeti anteriori e posteriori
    Giosuè
    Giudici
    1 e 2 Samuele
    1 e 2 Re;
    Isaia
    Geremia
    Ezechiele
    I dodici profeti minori da Osea a Malachia
  • Gli Scritti
    Salmi
    Proverbi
    Giobbe
    Cantico dei Cantici
    Rut
    Lamentazioni
    Qoelet
    Ester
    Daniele
    Esdra
    Neemia
    1 e 2 Cronache- La Bibbia cristiana riprende la Bibbia ebraica, estendendo la storia della salvezza al N.T. Tuttavia i libri dell’A.T. sono 46 invece di 39, comprendendo anche i seguenti 7 libri:
    Tobia
    Giuditta
    1 e 2 Maccabei
    Sapienza
    Siracide
    Baruc
    La tradizione ebraica, risalente al I sec., non ritiene di poterli annoverare nella Tanàk (Torà, Neviìm, Ketuvìm). L’elenco della Chiesa cattolica, invece, si rifà a una tradizione che li includeva, attestata nella versione greca dei settanta, che fu approntata in ambiente ebraico ellenistico, ad Alessandria di Egitto, a partire dal III sec. Da questo testo greco provengono anche alcune parti di Daniele e Ester non presenti nella Tanàk.Le Bibbie protestanti riportano solo i 39 libri della Bibbia ebraica.
    – Per quanto riguarda il N.T. entrambe – cattoliche e protestanti – riportano 27 scritti. Nelle Bibbie cattoliche troviamo così 73 libri così disposti.
    Antico Testamento (46 libri)
    Il Pentateuco (corrispondente alla Torà) che significa 5 rotoliI libri storici, corrispondenti ai profeti anteriori ma con l’aggiunta di
    Rut
    1 e 2 Cronache
    Esdra
    Neemia
    Tobia
    Giuditta
    Ester
    1 e 2 Maccabei

    I libri sapienziali corrispondenti a
    Giobbe
    Salmi
    Proverbi
    Qoelet
    Cantico dei Cantici
    Sapienza
    Siracide

    I libri profetici corrispondenti ai profeti posteriori con l’aggiunta di
    Baruc
    Daniele (in qualche parte)
    Nuovo Testamento (27 libri)
    I Vangeli e gli Atti
    Le 13 lettere attribuite a Paolo e Ebrei
    Le 7 lettere cattoliche (indirizzate non a un singolo ma a una comunità)
    L’Apocalisse

– Il termine “testamento” non va preso nel senso comune di volontà ultime di una persona. La parola ebraica originaria è “berìt” che significa promessa di qualche dono da parte di Dio e impegno a osservare la sua legge da parte dell’uomo. Dio e l’uomo si impegnano reciprocamente e affermano di appartenersi uno all’altro; diventano amici intimi, fanno alleanza.

Antica Alleanza: rapporti tra Dio e Israele
Nuova Alleanza: rapporti esteso a tutti in Gesù di cui la Chiesa è segno.
Unità dei due testamenti: la prima è promessa della seconda. C’è una priorità temporale, insieme alla permanente validità di entrambe, se pure in modo relativo circa la seconda per i cristiani (cfr. DV, 14-16)

Capitoli  e versetti
Nei manoscritti antichi La Bibbia si presenta in scrittura continua, senza spaziature, speso con caratteri solo maiuscoli. Per facilitare la divisione dei brani da leggere nelle chiese, nel XIII sec. fu introdotta la divisione dei capitoli, mentre nel 1528 si cominciò a numerare le righe o le frasi (versetti).
I numeri dei capitoli vengono scritti in grande e quelli dei versetti in piccolo, in esponente al testo.
La grafia convenzionale delle citazioni:
abbreviazioni
uso del trattino, della virgola e del punto
uso di s e ss

UN DIO ALLA RICERCA DELL’UOMO (Papa Luciani)
Adamo dove sei?
La storia narrata dalla Bibbia si apre con questa sofferta domanda di Dio Padre (Gn 3, 9) e si chiude con la trepidante preghiera della Chiesa, che rivolgendosi a Cristo suo Sposo invoca: “Vieni!” (Ap 22, 7).
Tra i due estremi si snoda il lungo cammino di un’umanità che prende progressivamente coscienza dell’amore di Dio. In questo itinerario possiamo identificare tre tappe principali.

  1. La prima è dominata dalla domanda di Dio. Essa abbraccia tutto l’A.T., sottolineando l’instancabile ricerca dell’uomo da parte di Dio. Egli chiama singole persone (Abramo…); adotta un intero popolo; invia i profeti perché denuncino le incoerenze del popolo e lo aiutino a ritrovare Dio.
  2. Nella seconda tappa il “dove sei” di Dio trova la sua espressione più radicale in Gesù di Nazaret. In lui Dio steso si china sull’uomo nella vicenda di incarnazione, vita, passione, morte e risurrezione.
  3. La terza tappa è attraversata dalla trepidazione dell’umanità rinnovata. Essa, da un lato, vive l’amore di Dio, dall’altro lo comunica al mondo.

Un album di famiglia
In questo gioco di contrasti la Bibbia potrebbe essere paragonata a un album di famiglia: con i ricordi gioiosi, le scandalose cadute, pagine d’ispirata poesia.
Sfogliando l’album si trovano soprattutto istantanee che fissano i diversi tratti del volto di Dio.

  1. Dio artigiano.Inizialmente l’uomo biblico pensa Dio secondo categorie antropomorfiche (attinte all’esperienza umana). Ecco così le immagini di Dio artigiano che modella l’uomo, guerriero che combatte per il suo popolo, geloso pronto a reprimere ogni infedeltà, terribile che detta legge da un turbine di fuoco.
  2. Il Padre che forma i figli.E’ l’annuncio dei profeti a gettare nuove luci sulla comprensione del volto di Dio: egli è l’amante appassionato, lo sposo ferito, la madre che nutre, il padre che educa, il pastore che conduce, il vasaio che plasma, il vignaiolo paziente. Tutte le immagini rivelano un Dio che cammina con il suo popolo.
  3. Il Pane che si spezza. E’ la notizia di Gesù Cristo che porta a compimento una rivelazione già nascosta in tutte le precedenti immagini. Dio che è amore fino al dono della vita.

 

CANONE E ISPIRAZIONE
Perché questi libri e non altri?

Il canone delle Scritture
I libri che compongono la Bibbia non sono stati raccolti casualmente. Un lungo processo di maturazione e di verifica portò le comunità ebraiche e quelle cristiane a ritenere alcuni libri, e solo questi, “testi sacri e ispirati da Dio”. Così nasce quello che gli esperti chiamano il “canone” della Bibbia, vale a dire l’elenco ufficiale dei testi biblici. Il termine è mutuato dal greco, dove il sostantivo “Kanòn” significa “regola, norma, limite”. Il canone è l’elenco completo dei libri che la Chiesa ritiene ispirati e che propone come norma di fede e di vita per i credenti. “La stessa Tradizione fa conoscere alla Chiesa il canone integrale dei libri sacri” (DV 8).
Distinguiamo tra Antico e Nuovo testamento.

Il canone dell’A.T.
I 39 libri della Bibbia ebraica fanno già parte di un canone ebraico attorno al II sec. a. C. La formazione di questa raccolta è progressiva.
Tra il III e il I sec. si diffonde la versione greca della Bibbia nota come “Settanta”, che aggiunge alla lista ufficiale dei 39 libri, altri 7 testi (Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc). Tale versione sarà adottata già dalle prime comunità cristiane e i sette libri saranno chiamati in seguito “deuterocanonici” (del secondo canone).
Nelle Bibbie ecumeniche questi vengono raggruppati come in appendice, alla fine dell’A.T.

Il canone del N.T.
I 27 libri del N.T. hanno una storia più travagliata. Vengono riconosciuti nel loro insieme solo nel 367 d. C., in una lettera di Atanasio, padre e dottore della Chiesa, mentre l’elenco ufficiale dei libri biblici viene confermato in modo definitivo e solenne nei Concili di Firenze (1431) e di Trento (1546).

L’ispirazione
– Da quanto detto si coglie che i libri biblici non sono nati tutti nello steso luogo e nello stesso tempo. Alle loro spalle c’è un complesso lavoro editoriale che abbraccia secoli e che fissa nei testi scritti i ricordi e le vicende ‘Israele, la predicazione dei profeti, la preghiera del popolo, la riflessione dei sapienti, le parole di Gesù, la sua vicenda, il primo annuncio cristiano.
– Dietro i testi, però, non c’è solo la riflessione umana; ogni libro porta l’impronta dello Spirito e il suo contenuto viene considerato “ispirato”. Questo non significa che Dio (come dicono i Testimoni di Geova) abbia dettato i testi agli autori sacri come un capo ufficio con la sua segretaria. Ogni autore mantiene la propria modalità di espressione e la propria personalità. La sapienza dell’uomo e il soffio dello Spirito i intrecciano.
– E’ da precisare che il concetto di “ispirazione” per la Chiesa riguarda la Scrittura in generale e non i singoli libri. Per gli Ebrei l’ispirazione del Pentateuco è più impegnativa di quella di altri libri.
Il Concilio Vaticano II riassume e chiarisce il tema: “Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte” (DV 11).

Quale il modo di questa collaborazione?
Due estremi sono da evitare: – Dio ha dettato all’uomo.
La concezione cristiana dell’ispirazione parla di collaborazione: Dio non si sostituisce, ma rispetta la personalità dell’uomo ispirato, che è vero autore. L’autore ha pensato, valutato, giudicato e scelto.

L’uomo ha pensato e scritto, Dio ha approvato.
L’uomo sarebbe un vero autore, ma non lo sarebbe più Dio. Si deve invece paragonare la Scrittura al mistero della persona di Cristo: vero Dio e vero uomo. Anche le Scritture sono pienamente di Dio e pienamente dell’uomo.
Una volta messa per iscritto, la Parola ispirata non diventa fredda e inerte, ma rimane piena dello Spirito Santo ed è perciò incessantemente viva e vivificante.
Attraverso di essa, lo Spirito muove i credenti alla fede, dirige la Chiesa intera nella comprensione sempre più profonda della rivelazione, presiede all’interpretazione della Scrittura, la quale va interpretata “con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (DV 12).

Le deformazioni dell’ispirazione biblica

  1. La collaborazione tra Dio e l’uomo non ha assunto la forma di un dettato, in cui Dio detta all’uomo.
  2. Non si deve immaginare l’ispirazione come un incontro mistico tra Dio e qualche uomo il quale poi scrive le sue riflessioni. Rapporto autore e popolo in cui l’autore è inserito.
  3. L’ispirazione non va neppure concepita nel senso che Dio abbia fatto scrivere solo una parte della Bibbia lasciando il resto all’autore umano. Tutto è di Dio e tutto è dell’uomo.

I libri apocrifi
Il termine “apocrifo” deriva dal verbo greco “kryptein” che significa “nascondere”, “tenere segreto”. Il termine è usato da Origene.
Nel vocabolario biblico, sotto la categoria di “libri apocrifi” vengono raccolti tre gruppi distinti di scritti:
– gli scritti della gnosi
una corrente filosofica e religiosa del I sec. d.C. considerata eretica dalla Chiesa delle origini
– gli scritti che hanno un linguaggio e uno stile simile a quello biblico, attribuiti spesso a un personaggio significativo della storia sacra
– i 7 scritti che la versione greca dei Settanta ha aggiunto ai 39 libri del canone ebraico e che noi chiamiamo “deuterocanonici”

Gli apocrifi costituiscono una preziosa testimonianza di pietà popolare e di tendenze teologiche diverse. Non ci forniscono nuove notizie credibili su Gesù, ma ci informano sull’ambiente spirituale della comunità in cui vennero scritti. La loro conoscenza ci aiuta a capire anche l’arte e la pietà tradizionale di cui ancora oggi vi sono abbondanti tracce.

I criteri della classificazione cristiana
Come è possibile distinguere un testo canonico da un testo apocrifo? Quali criteri hanno presieduto la selezione? 

Per l’Antico Testamento
La Chiesa ha accolto i testi presenti nella versione greca dei Settanta, escludendo quelli che in modo evidente si opponevano ai principi del Giudaismo, risentendo troppo della mitologia greca o persiana.

Per il Nuovo Testamento
La scelta è stata più complessa. Tre sono stati i criteri che hanno presieduto alla definizione del canone:

  1. Apostolicità

Nell’accogliere il vangelo la comunità cristiana delle origini ha voluto assicurare il legame stretto tra quella testimonianza e gli apostoli. I vangeli di Matteo e Giovanni furono accolti perché ritenuti l’annuncio dei due apostoli omonimi; il vangelo di Marco e di Luca perché patrocinati dai due apostoli di cui Marco e Luca erano discepoli: Pietro e Paolo.

  1. Fedeltà agli insegnamenti di Gesù

Le prime generazioni cristiane erano molto gelose nel conservare e trasmettere gli insegnamenti del Signore. Questo atteggiamento derivava soprattutto dal problema del sorgere delle eresie e del diffondersi di interpretazioni deviate dell’annuncio di Gesù.

  1. La liturgia

Furono i testi più citati, commentati, usati nella comunità cristiana dei primi secoli a essere accolti come testi sacri.
“La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli, per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia, tramandato in scritti, come fondamento della fede, cioè l’Evangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni” (DV 18).

DOCUMENTI IN DIVERSE LINGUE

Le lingue della Bibbia
I testi della Bibbia rispecchiano tre orizzonti culturali molto diversi tra di loro: quello ebraico, quello aramaico e quello greco.

Ebraico
La lingua ebraica, documentata dal sec. X a.C., fu soppiantata dall’aramaico intorno al sec. VI a.C. pur rimanendo in uso come lingua sacra e colta. In ebraico fu redatto l’Antico Testamento. L’alfabeto è composto di 22 consonanti. Solo tra il VII e il X sec., per fissare la giusta pronuncia delle parole, alcuni saggi, chiamati “masoreti”, completarono la scrittura aggiungendo le vocali sotto forma di puntini, sopra e sotto le consonanti. Per questo motivo, ancora oggi, il testo ebraico della Bibbia è chiamato anche “testo masoretico”.

Aramaico
Già in uso nel VIII sec. a.C. come lingua internazionale dell’impero assiro, l’aramaico andò progressivamente soppiantando l’ebraico come lingua parlata. Gesù usava l’aramaico e gli stessi vangeli menzionano alcune espressioni in questa lingua (es. Mc 5, 41 “taltà kum”; Mc 7, 34 “effatà”).

Greco
La lingua greca è la grande protagonista del Nuoto Testamento. Il greco neotestamentario si differenzia dal greco classico, perché è più vicino alla lingua parlata, la koiné (= comune). Oltre ai libri del Nuovo Testamento ci sono pervenuti in greco anche i libri deuterocanonici. Alcuni, però, sembrano la traduzione greca  di un originale ebraico (è il caso, ad esempio, del Siracide).

I ritrovamenti di Qumran
I documenti più antichi dell’Antico Testamento provengono dai ritrovamenti avvenuti a Qumran, a nord del Mar Morto, a partire dal 1947.
Le scoperte di Qumran permisero di risalire nel tempo di oltre un millennio. al II sec. a.C., mettendo a nostra disposizione testimonianze di tutti i libri dell’Antico Testamento (eccetto il libro di Ester). Fino ad allora i manoscritti ebraici più antichi in nostro possesso erano il codice di Aleppo (980 circa) e il codice di Leningrado (1008-1009).

Per scrivere gli antichi usavano il papiro, la pergamena el a carta.

  1. Il papiro
    Si ricava dagli steli di un arbusto che può raggiungere i 6 metri di altezza. Ne derivano fogli o lunghi rotoli per la scrittura a colonne parallele. Il documento più antico del Nuovo Testamento a nostra disposizione è un papiro del 125 circa con due frammenti del quarto vangelo.
  1. La pergamena
    Proviene dalla pelle degli animali. E’ più resistente de papiro, ma anche più cara. La pergamena viene usata su due lati, piegando e cucendo i fogli a quaderno (da qui il nome di codice). I due codici più antichi della Bibbia sono il codice Sinaitico e Vaticano, entrambi del IV sec.
  1. La carta
    Comincia a diffondersi nel XII sec. A questo periodo risale il più antico manoscritto cartaceo del Nuovo testamento.

ERRORI
Ma la Bibbia può sbagliarsi? Pagine che destano perplessità
La Bibbia non è un manuale di storia né un libro ci scienza. Essa non è stata porta nelle mani dell’uomo per risolvere tutti gli interrogativi che possono sorgere nel suo cuore: dati scientifici superati, inesattezze storiche, versioni diverse dello stesso episodio, pagine abitate da episodi di violenza…
Il Concilio Vaticano II ha affrontato con cura tali questioni, spiegando che l’inerranza della Scrittura è legata alla verità salvifica da essa comunicata e non agli atri dati. Oggi si sottolinea più il dato della verità della Scrittura che la sua in erranza (approccio solo negativo): si tratta della verità inerente al progetto di Dio per la nostra salvezza.
Il tema della verità della Scrittura è conseguente a quello dell’ispirazione.

Tre principi orientativi
Da quanto detto possiamo desumere alcuni orientamenti di fondo.

  1. La verità della Scrittura deve essere intesa in senso dinamico: essa non concerne tanto le singole affermazioni (questa visione è tipica del fondamentalismo), ma la rivelazione di Dio nella sua globalità, la visione della storia non come sequenza di fatti, ma come storia salvifica, abitata da Dio e da lui condotta.
  2. Non si possono valutare i testi antichi partendo semplicemente dalla nostra mentalità. E’ sempre necessario uno sforzo interpretativo che tenga presente il contesto in cui le pagine della Scrittura sono nate, i generi letterari impiegati, i condizionamenti che hanno inciso sugli autori.
  3. Il lettore deve avere la sapienza di distinguere ciò che è importante da ciò che è marginale, il filo rosso della rivelazione dall’involucro che la custodisce.

Ecco che cosa dice la Dei Verbum: “Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenere asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere per conseguenza che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle consegnata nelle Sacre Scritture. Pertanto ‘ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona’ (2 Tm 3, 16-17)”.

Il caso Galileo
Il caso Galileo costituisce uno dei classici esempi circa le conseguenza a cui può portare una non corretta comprensione dell’inerranza della Scrittura. Al tempo di Galileo si difendeva la teoria che poneva la terra al centro dell’universo e a tale scopo si citavano le parola della Bibbia: “Giosuè parlò così: Fermati o sole su Gabaon!…E il sole si fermò” (Gs 10, 12-13). Lo scienziato pisano si opponeva a tale posizione sostenendo la tesi contraria e si giustificava con una massima divenuta proverbiale: “L’intenzione dello Spirito Santo (nella Bibbia) è di insegnarci come si vada in cielo e non come vada il cielo”. Affermava inoltre: “La Bibbia conosce solo tre astri, il sole, la luna e venere: se ne deduce che l’astronomia non si impara nella Bibbia”. 

FORME E GENERI LETTERARI
Quando scrivere diventa un’arte

I generi letterari
Dio si è rivelato nella storia: il principi di incarnazione. Non solo assume la lingua del tempo e del luogo, ma anche i modi di esprimersi, di raccontare, di manifestare sentimenti.
Il messaggio della salvezza viene proposto ed espresso nei testi sotto svariate forme. Queste diverse forme o tecniche espressive vengono chiamate dagli esperti “generi letterari”. Si tratta di antiche forme linguistiche legate alle differenti funzioni del linguaggio: i racconti storici, ad esempio, hanno la funzione di informare.
Facendo una classificazione sommaria possiamo distinguere due grandi generi letterari, all’interno dei quali vengono raccolti altri generi minori: i testi in poesia e i testi in prosa.

  1. I testi in forma poetica
    Tra i testi poetici vanno distinti i poemi d’amore (come il Cantico dei Cantici), le benedizioni, i canti di ringraziamento, le suppliche, le lamentazioni…Ogni genere adotta uno specifico linguaggio: quello del Cantico è diverso da quello di una lamentazione profetica.
    A questo genere appartiene anche la letteratura sapienziale, il cui obiettivo è di trasmettere  alle generazioni future la riflessione e l’esperienza dei saggi.
  2. I testi in prosa
    La loro classificazione è più complessa e varia: si trovano documenti di carattere storico (es. le cronache), narrazioni didattiche (le parabole), lettere, discorsi profetici, racconti di miracoli…

L’importanza dei generi letterari
La preziosità del genere letterario si cela dietro la sua funzione, che è quella di comunicare un preciso messaggio attraverso l’arte del linguaggio.
– Esso influisce prima di tutto sull’oggetto in questione. Anche quando il tema è il medesimo, di esso può parlarne il filosofo, il poeta, lo storico, lo scienziato. Ognuna di queste figure si esprime con uno specifico linguaggio, che influisce sul tema (es. la possibilità di scegliere il bene o il male: Gn 3, Dt 30, 15-20, Sal 1).
– La scelta del genere letterario produce effetti anche  sul soggetto. Una cosa è esprimere un giudizio in forma categorica, un’altra attraverso un semplice suggerimento, un’altra ancora avanzando un’opinione personale. Gesù può affrontare il tema dell’incredulità con un rimprovero diretto, con una parabola, con un insegnamento.
– Infine, la scelta del genere letterario è legata anche agli elementi del contenuto che si desidera sottolineare: in una favola, ad esempio, è la conclusione morale che viene proposta, mentre il resto è un veicolo; nel racconto storico è importante il fatto.

Ecco che cosa dice la Dei Verbum n. 12:

“Per comprendere in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia gli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani”.

Altri aspetti del multiforme linguaggio biblico
Il multiforme linguaggio della Bibbia non riguarda solo i generi letterari, ma anche il vocabolario, lo stile. E’ normale che si trovi una grande varietà di linguaggi considerando la varietà dei tempi, delle culture…

La Bibbia come libro della vita
La Bibbia non è un libro di devozione; non è neppure un catechismo, né un libro di teologia. Nella Bibbia, cioè, non troviamo quel linguaggio cui siamo abituati quando parliamo di cose religiose.
La Bibbia è un libro di vita, perché è la narrazione che riflette e fissa in forma scritta il manifestarsi di Dio all’uomo, l’inserirsi di Dio nella vita dell’uomo. La trasmissione orale e poi lo scritto rispecchiano il modo di concepire le cose e di esprimersi del popolo d’Israele.
Tale linguaggio non è mai astratto o concettuale; neppure cerca di dare definizioni precise delle realtà di cui parla. Nella Bibbia invece leggiamo il racconto di ciò che hanno vissuto gli Israeliti e poi Gesù e le comunità cristiane. Il linguaggio di fondo della Bibbia è quindi narrativo e non nozionistico: fa emergere dalla vita ciò che importa capire e sapere. Ed è importante raccontare: “Ciò che ci hanno raccontato i nostri padri lo narreremo alla generazione futura, le lodi del Signore e la sua potenza” (Sal 78, 3-4).

Immagini e simboli
Un secondo aspetto del linguaggio biblico è l’uso frequente di simboli e immagini (Dio è una roccia…) o mediante la contrapposizione di immagini (la coppia carne e spirito).
Immagini e simboli vengono presi dalla concretezza della vita e dall’ambiente e dalla cultura predominante, prevalentemente agricola e pastorizia. Di qui, per esempio, la frequente immagine di Dio come pastore.
Un altro campo di immagini è quello derivante dalla guerra, dalla battaglia.

Antropomorfismo
Si tratta del parlare di Dio attribuendogli modi di pensare e sentire umani (amor e odio, progetto e pentimento), oppure aspetto e membra umane (il dito, il braccio). Questo linguaggio tende a coinvolgere tutto l’uomo, non solo la sua intelligenza ma anche la sua emotività.

GRANDI IMPERI
La storia dell’Antico Testamento

Sappiamo che l’Antico Testamento cristiano è diviso in quattro grandi sezioni:
Pentateuco: raccoglie i primi cinque libri
Libri storici: narrano le vicende comprese tra l’ingresso nella terra promessa e l’epoca della purificazione del tempio sotto i Maccabei
Libri profetici: fissano le parole e le vicende dei profeti che hanno accompagnato la storia di Israele pria e dopo l’esilio
Libri sapienziali: la cui complessa redazione affonda le radici agli inizi della storia d’Israele e termina alle soglie del Nuovo Testamento.

“Mio padre era un arameo errante” 

I primi cinque libri della Bibbia cercano di risalire l’identità di Israele. Si tratta di una grande riflessione teologica e sapienziale nella quale si intrecciano memorie di singoli e di tribù. Questa rilettura trova due poli di unità:

l’evento dell’esodo
descritto come un vero e proprio parto che dà alla luce
Israele con una precisa identità e missione

la promessa
rivolta ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe;
promessa di una benedizione destinata a scorrere di generazione in generazione accanto al dono della terra e di una discendenza numerosa.
In questa prima fase non è facile distinguere tra ricostruzione teologica e fatti storici.

Dai giudici ai re
Attorno al XIII sec. a.C. le 12 tribù nate dai figli di Giacobbe si trovano installate in Palestina. Inizialmente mantengono la loro autonomia, ma poi di fronte alla minaccia dell’espansione filistea iniziano a coalizzarsi, sentendo il bisogno di avere un unico punto di riferimento: il re.
Gli autori sacri non manifestano molto entusiasmo di fronte a tale scelta che sembra mettere in ombra l’esigente abbandono nel Dio dei padri. Dopo il regno di Saul, la monarchia incontra un periodo di forte consolidamento sotto la guida di Davide (XI-X sec. a.C.), che sa approfittare della crisi interna dell’Egitto per stringere in unità le dodici tribù d’Israele. Il punto di riferimento è una città neutrale, non appartenete a nessuna delle dodici tribù, Gerusalemme. In poco tempo essa diviene il fulcro religioso e politico del popolo.
Ma l’avvedutezza del padre non trova riscontro nel figlio, Salomone. Re pacifico e saggio non è un buon amministratore. Così il regno si divide appena dopo la sua morte.
Ci ritroviamo di nuovo di fronte a due regni, divisi e dunque indeboliti.

Esilio in terra assiria
Il regno del nord (o Israele) reggerà alla pressione dei grandi imperi fino al 722 a.C.; il regno del sud (o di Giuda) mantiene più a lungo la sua autonomia, fino al 587 a.C.. Il giudizio degli autori sacri sui loro re è senza appello: la forza e la debolezza dei regnanti, come pure i successi e le sconfitte, sono frutto di una condotta morale e religiosa lontana da Dio e incapace di liberarsi dal calcolo umano.  Ciononostante Dio non si stanca di chiamare il popolo alla conversione attraverso la voce dei profeti, portavoci di un appello che rimane inascoltato.
Sotto la pressione dei grandi imperi i due regno non reggono. Il regno del nord crolla sotto la potenza assira, il regno del sud sotto quella babilonese.
La desolazione ventilata dai profeti, per risvegliare l’assopimento del popolo, si compie. Israele si trova nel mezzo di una pagina oscura ma preziosa.
Nel silenzio dell’esilio un “piccolo resto” risale la china della storia, raccoglie le memorie dell’azione di Dio, riscrive la storia nella sua luminosa prospettiva, fissa nel cuore degli esuli i fondamenti dell’identità e dell’elezione, ispirando i passi futuri dei figli di Isarele. Sono questi gli anni in cui prnde forma la Toràh. I profeti, prima presenti per scuotere, ora sono accanto per consolare e incoraggiare.

Il ritorno e la ricostruzione
Con l’avvento dell’impero persiano si pare la possibilità del ritorno. Nel 538 a.C. Ciro, re di Persia, emana un editto che autorizza il ritorno a Gerusalemme e la ricostruzione del tempio. La speranza e l’entusiasmo sono grandi, ma l’impatto con la realtà obbliga gli esuli a rimanere con i piedi per terra: Gerusalemme non è pronta ad accogliere 50.000 profughi. I fratelli che durante l’esilio si sono presi cura delle terre non sono disposti a restituirle. La ricostruzione del tempio procede a rilento.
Sarà ancora la voce dei profeti a scuotere gli animi (Aggeo, Zaccaria, Malachia). Il loro accorato appello prepara il terreno per la grande riforma di Esdra e Neemia. Essi ripongono al centro l’osservanza della legge, infondendo nel popolo la forza per resistere a dure prove.

Alessandro Magno e l’impero greco
Nel 333 a.C. Alessandro Magno, con una serie di campagne fulminee, annette al suo impero la Siria e la Palestina. E’ l’incontro sconto con una nuova cultura e con i suoi affascinanti usi e costumi.
Nel 167 a.C. Antioco IV Epifanie tenta l’ellenizzazione forzata della Giudea imponendo il culto di Giove Olimpo. Molti si rifiutano, altri si lasciano convincere, altri si compromettono per paura. La tensione sfocia in una rivolta armata in nome della fedeltà al Dio dei padri. E’ guidata da un sacerdote, Mattatia e dai suo figli i Maccabei. Nel 164 Giuda Macabro riconquista Gerusalemme e ne purifica il tempio.
Ma gli anni successivi sono confusi e travagliati. Nascono su questo sfondo alcuni movimenti che si prefiggono la purificazione di Israele. Tra questi:
i farisei: propongono una rinnovata osservanza della legge
gli esseni: rifiutano il tempio ormai caduto in discredito conducendo una vita austera in spazi deserti
i sadducei: invischiati negli interessi politici
Nel frattempo, sulla scena, avanza l’ombra di un altro grande impero, quello romano. Nel 63 a.C. Pompeo invade la regione e conquista Gerusalemme.

HAGGADA’ E HALAKA’
Il Pentateuco tra racconti  e precetti

  1. Dall’insegnamento al racconto
    Haggadà (narrazione) e Halakà (comportamento) sono due termini che possono illustrare i primi 5 libri della Bibbia, chiamati in ebraico Toràh. In effetti memoria e codici di comportamento plasmano l’identità di Israele. Il loro intreccio si cristallizza in forma definitiva solo dopo essere stato trasmesso dalle tradizioni orali e raccolto da quelle scritte.
    In passato gli studiosi ipotizzavano l’esistenza di quattro fonti che avrebbero dato origine al Pentateuco. Anche se tale ipotesi è stata superata, almeno in parte, rimane notevole il contributo che essa ha dato.
    – Fonte Jahwista (sec. IX)
    vivace e pittoresca; rappresenta Dio con tratti antropomorfici; l’umanità è segnata dal peccato e dalla fragilità ma è anche sostenuta dalla promessa
    – Fonte Elohista (sec. VIII)
    evita gli antropomorfismi ed è attenta all’aspetto morale; sottolinea la fede spinta all’estremo, il timore di Dio, i temi dell’elezione e dell’alleanza
    – Fonte Deuteronomista (sec. VII) insiste sul timore di Dio nei termini dell’obbedienza ai comandamenti di Dio e di minaccia di castigo; i suoi racconti sono assimilabili a omelie
    – Fonte sacerdotale (sec. VI)
    Rigorosa e astratta, sottolinea i tratti distintivi del Giudaismo: il sabato, la circoncisione, la legge; accentua la presenza gloriosa di Dio; contiene codici liturgici, processuali e le genealogie.
  2. La legge, cuore dell’antica alleanza
    I dieci comandamenti (Es 20, 1-21; Dt 5, 1-22) costituiscono la carta costituzionale con la quale Dio elegge Israele tra le nazioni della terra. Posti e custoditi nell’arca dell’alleanza essi diventano il segno della presenza di Dio e della sua parola.
    Il primo gradino dell’alleanza, la creazione (Gn 1-2) aveva unito l’intero universo al suo creatore.
    Rinnovata in Noè (Gn 9, 1-17) essa raggiunge un terzo stadio in Abramo sotto il segno della circoncisione e della triplice promessa: la terra, la discendenza e la benedizione (Gn 12, 1-7; 15, 1-19; 17, 1-27; 2, 1-18).
    Il Sinai costituisce la quarta tappa: siamo nel cuore di una piramide che si innalza legando l’uomo al suo creatore e salvatore. Mosè e Israele diventano gli eletti della rivelazione della volontà di Dio sulla terra (Es 19-24; Dt 5-7).
    Un quinto livello sarà realizzato con la tribù di Levi, consacrata al servizio di Dio presente nel suo santuario (Es 32, 25-29); Dt 10, 1-9).
    La monarchia del re Davide, unita al sommo sacerdozio, rappresenterà un ulteriore passo in avanti.
    Ogni gradino ha le sue prescrizioni e il suo segno: il dono della vita, l’arcobaleno, la circoncisione, le tavole della legge.
    Resta un settimo gradino da scalare in questa piramide dell’alleanza che diventa il segno della nuova creazione: è il gradino che immerge lo sguardo nel futuro, indicando il Messia, re e sacerdote (Ger 31, 31-34). In lui si compirà la pienezza del disegno di Dio e la salvezza dell’umanità (Ef 1, 3-14).
  3. Il contenuto dei libri del Pentateuco
    Genesi
    Parla dell’origine (in greco “ghènesis”) dell’universo e dell’umanità e poi dell’origine della stirpe ebraica  con il legame di alleanza tra Dio e Abramo. La conclusione presenta la vicenda di Giuseppe
    Esodo
    E’ raccontata l’uscita (in greco “èxodos”) degli ebrei dall’Egitto, dove erano caduti in schiavitù. E poi tutta la vicenda di Mosè.
    Levitico
    Contiene soprattutto prescrizioni per una retta celebrazione del culto, esercitato dai sacerdoti appartenenti alla tribù di Levi.
    Numeri
    Così denominato perché si apre con l’elenco delle famiglie appartenenti alle dodici tribù. Si interessa anche del culto. Riassume le tappe nel deserto e accenna alle prime esplorazioni nella terra di Canaan.
    Deuteronomio
    Mosè presenta tre discorsi a Israele prima di entrare nella terra promessa. La condizione è l’obbedienza alla legge di Dio. Si ripropone il decalogo. Deuteronomio significa proprio “seconda legge”: rilettura e ripresentazione della legge già conosciuta.
    Al termine vi è il racconto della morte di Mosè.

INVESTITURE
Dai giudici ai re: i libri storici

 Una storia tessuta tra peccato e perdono

– Dopo l’ingresso nella terra promessa sotto la guida di Giosuè la storia di Israele si muove tra peccato e perdono.
Si parla di libri storici perché contengono la storia che va dalla conquista della terra promessa fino alle soglie del N.T.. In pratica coprono un arco di circa dodici secoli.
Lo slancio che accompagna la grande sottoscrizione dell’alleanza (Gs 24) deve fare i conti con l’inquietudine del cuore umano.
– Questo tratto emerge in modo particolare nel libro dei Giudici. è interessante rilevare come le vicende  dei singoli giudici si snodino regolarmente secondo un preciso schema narrativo così articolato:
– Il popolo è infedele a Dio
– Il Signore ritira la sua protezione e lo consegna al nemico
– Oppresso, Israele riprende coscienza del peccato e chiede perdono
– Dio risponde inviando un giudice e liberando dall’oppressore.
Si ha così l’impressione di una visione ciclica della storia dove il vero peccato è uno solo: l’oblio, l’assenza di memoria, grande tesoriere che custodisce il disegno di Dio e il suo paziente amore per l’uomo.

Due storici raccontano
I testi riguardanti il periodo dei Re, da Davide fino all’esilio, sono raccolti da due scuole, che redigono il loro racconto secondo prospettive teologiche diverse: la scuola deuteronomista (Dtr) e la scuola cronista (Cr).
La storiografo Dtr, partendo dagli antichi episodi, li rielabora alla luce della situazione storica in cui vive: si tratta con molta probabilità dell’esilio babilonese (587-538 a.C.).
La storia viene giudicata in base alla maggiore o minore fedeltà dei monarchi e del popolo alla riforma di Giosia, re di Giuda. Le diverse epoche storiche sono descritte come una serie di riforme e antiriforme e le parole dei profeti invitano a conversione nel senso proposto da Giosia.
Lo storiografo Cr stende invece la sua opera in 1 e 2 Cr, Esdra e Neemia. Il tempio, il culto e il sacerdozio sono per lui il centro di tutta la storia. Davide appare come il padre spirituale del tempio e il grande riorganizzatore del culto. Suoi continuatori sono Salomone, Giosafat, Giosia.
Tutto ciò si comprende a partire dal periodo storico in cui Cr scrive: siamo nel IV secolo a.C. quando il popolo, privato della sua indipendenza politica, gode di una certa autonomia vivendo sottola guida dei sacerdoti. E’ l’epoca in cui il tempio e il culto sono il centro della vita nazionale.

Midrashìm
Il libro di Rut si presenta come una storia edificante e ha come protagoniste due donne, la betlemita Noemi e la sua nuora Rut, una stranera di Moab.
Racconti edificanti sono anche Tobia, Ester e Giuditta che trattano con grande libertà i dati della storia e insegnano la fiducia  nella presenza provvidenziale e liberante di Dio.

LINGUE DI FUOCO
La letteratura profetica

La comparsa della profezia
Il profetiamo non compare all’improvviso in Israele. Esso scaturisce, come nelle altre religioni, dal bisogno dell’uomo di essere sorretto dalla voce di colui che può tutto, che ha creato l’universo e lo sostiene.
Ci sono tuttavia alcuni tratti essenziali che sono tipici dei profeti biblici:
– la loro vocazione intesa come un mandato ricevuto o imposto da Dio per il bene del popolo
– il loro monoteismo con il quale da un lato sottolineano la trascendenza divina e dall’altro la presenza costane e gratuita di Dio nella storia umana
– una forte sollecitudine per l’uomo che li pone come intercessori e mediatori tra Dio e il popolo, fino al punto di addossarsi il peccato della propria gente e di condividerne il castigo
– il richiamo costante all’Alleanza perché l’uomo nel suo rapporto con Dio non ricada nell’idolatria o nell’ipocrisia perdendo quel legame autentico che lo fa vivere
-un forte senso di giustizia sociale, senza alcun timore di denunciare apertamente anche le più alte cariche politiche e religiose del loro tempo.

Il primo grande profeta è Mosè.
Nei secoli XI e X a.C.: Samuele, Achia, Semeia e Natan.
Nel IX sec.: Anan, Elia, Eliseo, Michea ben Imla.
Nel sec. VIII: Amos, Osea, Isaia e Michea
Nel VII e VI sec.: Geremia e Sofonia.
Durante l’esilio: Ezechiele e il deuteroIsaia.
Nel post esilio: Aggeo, Zaccaria, Gioele, Malachia
Nel II sec.: Daniele
Così il Signore ha accompagnato la storia del suo popolo.

Il dramma di essere profeta
Nel cuore di ogni profeta c’è una battaglia, dura e violenta. Da una parte la passione per Dio, dall’altra l’amore pr l’uomo. Geremia ha lasciato un diario di questo dramma interiore: si tratta delle confessioni disperse tra il cap. 10 e il cap. 20 del suo libro.

MAESTRI DI SAPIENZA
La letteratura sapienziale
Da sempre, in Israele come altrove, gli uomini hanno sviluppato una propria tradizione sapienziale per tentare di penetrare il mistero dell’universo e dell’uomo.
Così nascono i maestri di sapienza. Il loro obiettivo è quello di individuare la ragione profonda e la trama nascosta dietro gli eventi della vita.
In Israele essa inizia con le prime tradizioni patriarcali. Trasmessa oralmente si insinua negli scritti dell’Antico Testamento, dove assume una dimensione religiosa e monoteista. Nei libri storici essa appare sotto forma di sentenze, proverbi, epigrammi satirici. Poi lentamente va specificandosi e assumendo quei tratti che troviamo nei singoli libri.

I 7 libri della sapienza

Il libro di Giobbe
Affronta il tema della sofferenza intesa come prova per l’uomo. L’autore rifiuta il concetto di retribuzione divina, superando la concezione semplicista che vede nella sofferenza una conseguenza del peccato. La datazione del libro è incerta: probabilmente risale al V secolo a.C.

Il libro dei Salmi
Composti in tempi diversi, sono 150 e hanno animato la preghiera di intere generazioni prima e dopo Gesù.
Gli studiosi classificano le varie composizioni a seconda dei diversi generi letterari che vanno dalla supplica ali inni di gratitudine, dalle lamentazioni alla preghiere di fiducia.
La tradizione ebraica suddivide il Salterio in cinque libri che sembrano fare eco ai cinque libri della Toràh.

Il libro dei Proverbi
Si caratterizza per il suo aspetto antologico e composito dovuto da un lato alla ripresa di diversi secoli di riflessione sapienziale e dall’altro alla composizione della raccolta in tempi differenti

Il libro di Qoelet
Ha uno stile ancora diverso e interpreta gli avvenimenti della vita in chiave negativa, con un pessimismo senza appello. Un discepolo, forse a disagio di fronte alle posizioni del suo maestro, ne ammorbidisce il tono con un lieto fine in Qo 12, 9-14.

Il Cantico dei Cantici
E’ un grande poema di amore. Si compone di 1250 parole con un titolo superlativo: Il cantico per eccellenza. Protagonisti sono due innamorati che intessono un dialogo guidato, curiosamente, dalla donna. Si tratta di versetti che nel tempo hanno celebrato l’amore tra Dio e Israele, tra Cristo e la Chiesa, tra Dio e l’anima, tra l’uomo e la donna.

Il libro della Sapienza
Risente degli influssi della cultura ellenistica. L’autore preoccupato di questioni che tormentano il cuore umano presenta la sapienza come ancora di salvezza per l’uomo.

Il libro del Siracide
E’ databile verso il 190-180 a.C. e sviluppa un genere di sapienza opposto a quello di Qoelet. Ben Sira traccia la ricetta per una vita serena con un tono decisamente ottimista.

NUOVO TESTAMENTO
Quale novità? Quale storia?

La novità che viene da Cristo
L’aggettivo “nuovo”, che qualifica la raccolta delle Scritture cristiane complementari all’A.T., non vuole evocare una frattura con ciò che è antico, ma piuttosto esprimere la novità di Gesù Cristo.

Il Nuovo Testamento si può dividere in 5 sezioni:
i quattro vangeli e gli atti degli apostoli
presentano il lieto annuncio di Gesù Cristo e la sua prima diffusione
l’epistolario paolino
raccoglie 13 lettere indirizzate alle prime comunità cristiane o ai collaboratori di fiducia di Paolo
le lettera gli ebrei
documento teologico che rilegge tutto il culto antico alla luce di Cristo, unico ed eterno sacerdote della nuova alleanza
– le 7 lettere cattoliche
sotto il patrocinio di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda si rivolgono a tutti i credenti in Cristo
– l’Apocalisse
solenne rivelazione che schiude il senso della storia leggendolo alla luce di una solenne liturgia

L’impero romano in Siria-Palestina (63 a.C.-135 d.C.)
* La storia del N.T. si intreccia con la storia dell’impero romano. I romani invadono la Giudea nel 63 a.C. sotto la guida di Pompeo.
Pochi anni dopo, nel 40, Erode ottiene dal Senato il titolo di “re dei Giudei”, estendendo presto il suo potere a tutta la Palestina. Passerà alla storia come un abile politico, un grande costruttore, un re crudele. Alla sua morte (4 a.C.) il regno è diviso tra i suoi tre figli: Archelao, Erode Antipa ed Erode Filippo.
Il primo eredita dal padre la crudeltà ma non l’abilità politica e verrà deposto dallo steso imperatore nel 6 d.C. e sostituito con un prefetto o procuratore. Sulla lista dei procuratori figura Pilato (26-36 d.C.). E’ durante il suo mandato in Giudea (e quello di Erode Antipa in Galilea) che si consuma la vicenda di Gesù.

* Nel frattempo nella dinastia erodiana si fa avanti un altro abile politico: Erode Agrippa, nipote di Erode il grande. Questi riesce a riconquistare il titolo di re su buona parte del territorio avuto dal nonno. Passa alla storia per aver messo a morte l’apostolo Giacomo il maggiore. Tuttavia la Giudea, nel 44 d.C., torna nuovamente sotto la guida dei procuratori: si tratta di uomini in gran parte violenti che al posto di mantenere la pace fomentano l’astio nel popolo provocandone la rivolta armata. Due di questi avranno a che fare con l’apostolo Paolo: Antonio Felice e Porcio Festo.

* L’impero nel frattempo dà i primi segni di debolezza. Nel 66 il popolo reagisce ai soprusi del potere occupante con un’azione violenta. E’ l’inizio della prima rivolta giudaica. Il segnale viene lanciato dal capitano del tempio, Eleazaro, che sospende il sacrificio quotidiano per l’imperatore. La rivolta si protrae fino al 70 quando Tito conquista Gerusalemme e ne occupa il tempio. Nella furia, nonostante gli avvertimenti contrari l’edificio viene dato alle fiamme e completamente distrutto. Israele vive una delle pagine più dolorose della sua storia.

*Nel 132 scoppi la seconda rivolta giudaica che si allarga a macchia d’olio e viene soffocata nel sangue solo tre anni dopo, nel 135. L’impero adotta misure drastiche: a tutti i circoncisi viene proibito l’ingresso a Gerusalemme, mentre la città santa è dedicata a Giove Olimpo, con il nome di Aelia Capitolina.

ORIZZONTI NUOVI
Dall’altura al Golgota

I Vangeli: dal Golgota a Betlemme
Con il termine “vangelo” non si intende tanto uno scritto quanto una persona: Gesù Cristo. In lui i primi cristiani individuano il cuore di un annuncio che infonde senso a ogni cosa. E’ significativo che fino al II secolo nessuno abbia utilizzato la parola plurale “vangeli”; la buona notizia è una sola, quella di Gesù.

Come nasce il Vangelo?
All’origine della buona notizia cristiana non sta un libro, ma l’esperienza degli apostoli e dei primi discepoli che annunciando il mistero della passione, morte e risurrezione del Signore, rileggono alla sua luce le pagine dell’A.T.. Progressivamente, a questo annuncio si aggiungono i fatti significativi della vita del Maestro e alcuni elementi portanti del suo insegnamento.
Il bisogno di mettere per iscritto questo materiale nasce molto presto. Inizialmente si tratta di un semplice lavoro di raccolta dei “detti di Gesù” che viene lentamente ampliato e integrato. Una cose è certa: le origini dell’annuncio cristiano non vanno ricercate nella pagine che narrano la nascita di Gesù a Betlemme, ma in quelle che immergono nel dramma del Golgota e nel luminoso mistero della tomba vuota.
Redatti nella seconda metà del I sec. d.C. i vangeli riconducono il credente all’unica fonte della vita cristiana: il Golgota. Lì troviamo la culla del cristianesimo, nel suo duplice volto: doloroso della croce, e glorioso della risurrezione.

Gli storici di Gesù
La vicenda di Gesù non è passata totalmente inosservata tra gli storici del I secolo. Può essere utile conoscerne i testi.

Flavio Giuseppe, storico ebreo (37-102 d.C.)
Nella sua opera Antichità giudaiche presenta Gesù in questi termini: “Era un uomo sapiente, operò cose mirabili, attirò a sé molti giudei e molti greci. Dietro denuncia dei nostri primi cittadini, Pilato lo condannò a morire crocifisso. Coloro che lo avevano amato non desistettero e la comunità di coloro che portano il nome di cristiani non è ancora scomparsa”.

Plinio il giovane
In una lettera indirizzata all’imperatore Traiano nel 11/122 parlando dei cristiani scrive: “I cristiani si riuniscono prima del tramonto in un giorno prefissato della settimana e cantano un inno a Cristo come a un Dio. Tale superstizione si è diffusa dappertutto, non solo nella città e nei paesi ma anche nelle campagne”.

Publio Cornelio Tacito
Descrivendo l’incendio di Roma verso il 116 annota: “Nerone fece condannare suppliziare coloro che la gente chiamava cristiani…Questo nome proviene loro da Cristo, che sotto il regno di Tiberio, il procuratore Ponzio Pilato consegnò al supplizio”.

Caio Svetonio Tranquillo
Nella sua Vita di Claudio, pubblicata verso il 120 riporta: “Claudio espulse i giudei da Roma, visto che sotto l’istigazione di un certo Chrestos (Cristo) non cessavano di agitarsi”. Tale espulsione è menzionata anche nel capitolo 18 degli Atti degli apostoli.

Talmud di Babilonia (II-V sec.)
E’ un testo autorevole della tradizione ebraica. Vi si legge: “Alla vigilia della Pasqua fu crocifisso Gesù di Nazareth…egli aveva esercitato la magia e sedotto Israele, trascinandolo nella rivolta…Non si trovò nessuno che lo difendesse”.

** Si tratta di testimonianze preziose che ci ricordano quanto l’annuncio della salvezza abbia a che fare con la storia concreta.

Quattro volti di un unico annuncio
La testimonianza scritta della buona notizia propone un’esperienza viva di Cristo, ponendola a disposizione di una precisa comunità. Per forza di cose, dunque, essa è condizionata dai tratti di chi scrive, dagli interrogativi dei destinatari, dal contesto… Il fatto che il Nuovo testamento presenti quattro vangeli è il segno evidente di come il messaggio della salvezza vada sempre incontro a una realtà concreta. Ogni vangelo ci permette di cogliere la buona notizia di Gesù secondo una sfumatura diversa e in questo modo ci aiutano a trovare fino in fondo la ricchezza del disegno di Dio.

Marco
Struttura
Una breve introduzione (1, 1-3)
La prima parte: raccoglie i fatti, miracoli e parole di Gesù nel primo periodo della sua vita, in Galilea.
La seconda parte: si potrebbe intitolare “viaggi di Gesù” fuori della Gliela. In questa parte Gesù si intrattiene di più con i suoi.
La terza parte: narra gli ultimi fatti della vita di Gesù.

Caratteristiche
La brevità. Mc ha meno materiale di altri vangeli, ma ne fa un resoconto più dettagliato (es. Mc 5, 21-43 e Mt 9, 18-26: la risurrezione della figlia di Giairo).
La mancanza di lunghi discorsi di Gesù. Le parole di Gesù sono brevi frasi incisive: colpiscono e restano infisse nella memoria. (2, 9-11; 2, 17).
– E’ interessato a narrare i particolari, anche non necessari, al fine di rendere più vivo il racconto (2, 3: i 4 portatori del paralitico).
– Ha una spiccata predilezione per i fatti, più che per i discorsi. Questa doveva essere infatti la tendenza della predicazione di Pietro, l’uomo pescatore pratico. Pietro si rivolge a pagani cui non interessano le questioni relative alla legge o ad latro dell’A.T., ma la testimonianza vivace di chi ha conosciuto Gesù.
– L’attenzione centrale al mistero di Gesù: si legga l’inizio in rapporto alle fine. Attraverso l’umanità si rivela il volto nuovo di Dio.
– La figura di Pietro è l’unica che in Mc abbia una personalità un po’ definita. Gli altri sono sempre in gruppo e nessuno emerge. Pietro viene presentato in tutta la sua debolezza.

Matteo
Struttura
E’ molto più lungo di Mc.
Il vangelo dell’infanzia di Gesù (1, 2)
L’annuncio del Regno e la sua legge fondamentale (3, 7)  sezione narrativa e didattica (3-4; 5-7)
I membri e gli annunciatori del Regno (8, 10) sezione narrativa e didattica (8-9; 10)
I misteri del Regno (11, 2 – 13, 53) sezione narrativa e didattica 11, 2-12, 50; 13, 1-53)
L’organizzazione del Regno (13, 54 – 19, 1) sezione narrativa e didattica (13, 54-17, 27; 18, 1-35)
La prospettiva escatologica del Regno (19-25) sezione narrativa e didattica (19-23; 24-25)
Gli eventi pasquali (26-28)

Caratteristiche
– La presenza di estesi discorsi. Gesù è la parola definitiva del Padre e i discorsi sono il primo catechismo della Chiesa antica.
– Frequente ricorso all’A.T. Matteo si rivolge a Giudeo-cristiani.
– Alla scoperta del vero senso dell’A.T. (22, 35-40)
– E’ il vangelo della Chiesa: il Messia forma attorno a sé il primo nucleo del popolo di Dio. Solo in Mt ricorre la parola Chiesa (16, 18; 18, 17).

Luca
Struttura
E’ il vangelo più lungo, grazie alle ricerche di Luca: dei 1150m versetti, 500 non si ritrovano negli altri vangeli. Il fatto che egli sia di origine pagana dà ragione della curiosità della sua indagine.
Il vangelo dell’infanzia (1, 2)
Con il terzo capitolo abbiamo il trittico iniziale comune ai sinottici: la predicazione del Battista, il battesimo di Gesù, le tentazioni nel deserto..
Prima parte della vita pubblica (4, 14-9, 50) in tre sezioni:
primo ministero in Galilea inizia con la scelta dei dodici e ha il suo centronel discorso della Montagna parabola del seminatore, confessione di Pt e la trasfigurazione
Seconda parte della vita pubblica (9, 51 – 19, 28) qui si inserisce molto materiale nuovo rispetto a Mc e tutti si svolge nel viaggio verso Gerusalemme
Ultima parte della vita pubblica ( 19, 29 – 21, 38) a Gerusalemme
Passione, morte e risurrezione

Caratteristiche
– I primi due capitolo danno l’atmosfera del vangelo: gioia, serenità, speranza.
– Il fondamento della gioia è la bontà divina verso tutti gli uomini. Si pensi al buon samaritano, alla peccatrice, a Zaccheo. L’universalismo della predicazione di Paolo. L’evangelista della misericordia.
– L’attenzione alle donne: la Madonna (il pittore della Vergine) Marta e Maria, al calvario, le donne che seguono Gesù, la vedova di Nain…
– L’attenzione alla preghiera: nella vita di Gesù e nel su insegnamento

Giovanni
Quando Giovanni scrive il vangelo la Chiesa è già estesa e l’esistenza della nuova religione è un fatto che nessuno può ignorare. Roma è già entrata in contrasto con il cristianesimo. Non occorre ripetere quello che si è detto: Occorre trasmettere qualche cosa che Giovanni ha compreso di più della vita e della persona del Maestro

Struttura
Il prologo (1, 1-18)
La prima parte: Gesù si rivela al popolo giudaico (1, 19 – 12, 50).
Progressiva rivelazione e reazione che suscita
La seconda parte: Gesù si rivela ai suoi fedeli (13 – 21)
In questi capitoli prevalgono i discorsi di Gesù ai suoi dopo l’ultima cena che viene appena ricordata; segue il racconto della passione, morte e risurrezione

Caratteristiche
– Giovanni completa i primi tre vangeli per una presentazione più ampia e profonda del mistero di Gesù.
– Non insiste tanto sull’amore verso il prossimo in generale quanto sull’unità e sulla carità fraterna dei suoi seguaci.
– La presenza del Figlio di Dio provoca uno sconvolgimento delle coscienza: invita a riflettere e a prendere posizione.
– Sembra quello più personalistico, ma la Chiesa è chiaramente sullo sfondo: catechesi sul battesimo nel cieco nato (cap. 9)

L’aquila, il bue, il leone e l’uomo
Nel III sec., quasi a sigillare la ricchezza della diversità, i Padri della Chiesa applicano a ogni evangelista l’immagine simbolica di uno dei quattro esseri viventi citati in Ez 1, 10: per Matteo viene scelto l’uomo, forse per evocare la genealogia che apre il suo vangelo; per Marco il leone, associandolo allo stile aggressivo dell’evangelista che apre il suo racconto con il “ruggito” del Battista; Luca viene associato al bue, simbolo della mansuetudine di Cristo che sale a Gerusalemme per esservi sacrificato; l’aquila a Giovanni, evangelista che fissa lo sguardo dei credenti nelle profondità del mistero di Dio.

La questione sinottica
Sinossi è un termine che in lingua greca significa “guardare insieme”. Viene generalmente applicato ai primi tre vangeli le cui narrazioni rivelano molti tratti comuni. Da qui la possibilità di leggerli facendoli scorrere su tre colonne parallele.
Da qui gli interrogativi degli studiosi: quali fonti avevano a disposizione gli evangelisti quando hanno dato forma alle loro narrazioni? Quale narrazione è più antica ed è stata punto di riferimento per le altre?
Negli ultimi cento anni molte ipotesi sono state avanzate. Oggi la teoria più accreditata è quella delle “quattro fonti”. Matteo e Luca quando cominciarono a scrivere avevano a disposizione due fonti, la prima redazione del vangelo di Marco e la cosiddetta fonte Q (dal tedesco “Quelle”, fonte) che raccoglieva i detti di Gesù. Matteo e Luca avrebbero attinto ad entrambe aggiungendo materiale proprio (rispettivamente M e L). Una cosa va sicuramente ribadita: i vangeli non nascono di getto ma sono il frutto di un lungo lavoro redazionale ed editoriale.

PAOLO
L’inafferrabile apostolo

Mezzogiorno di fuoco
Difendere la causa di Dio, custodire la purezza della rivelazione…questi i propositi che animano il viaggio di Paolo verso Damasco. La situazione era esplosa anni prima a Gerusalemme (la lapidazione di Stefano): allora le autorità erano intervenute in modo drastico, ma ora gli stesi problemi si verificano fuori di Gerusalemme che ha autorità morale sulle sinagoghe sparse per l’impero e invia i suoi emissari per contenere la situazione. Paolo è uno di questi.
Sulla via di Damasco la conversione.

Non esiste altro vangelo
Il vangelo per Paolo è Gesù di Nazaret incontrato da vivo lungo la via. A Paolo si deve l’aver evitato che i discepoli del Signore cedessero alla tentazione di identificarsi come una nuova corrente del giudaismo del I secolo.

Un’eredità in tredici scritti
Quante lettere ha scritto Paolo? Necessarie alcune premesse.

  1. Quante? Ne conosciamo 13. Una quattordicesima, la lettera agli Ebrei, viene attribuita a Paolo a partire dal II secolo ma si distacca dall’epistolario. Tuttavia è possibile che Paolo abbia scritto molte altre lettere, andate poi perdute. Si pensi a quella ai Laodicesi menzionata in Col 4, 16.
  2. Lettere? Si tratta di lettere che però vanno classificate. Tra di esse vi sono alcuni scritti occasionali che maturano come risposte a problemi nati delle comunità (1-2 Tess); ci sono vere e proprie riflessioni teologiche (Rm); non mancano semplici biglietti (Fil); alcune nascono in contesto di prigionia (Fil, Col, Ef); altre sono destinate a una precisa persona e toccano questioni pastorali (1-2 Tm e Tito).
  3. Le ha scritte Paolo? Pur portando il suo nome solo 7 sono attribuite con certezza a lui: 1 Ts, Rm, 1-2 Cor, Gal, Fil, Fm. Sulle altre permane il dubbio. Vengo no in genere considerate come scritti deutero-paolini, attribuiti a Paolo e ai suoi discepoli.
  4. Cinque consigli per la lettura
    La sua vita. Le lettere non possono essere comprese senza una conoscenza generale della sua vita.
    Il contesto.Sia Paolo che le comunità a cui si rivolge sono inserite in un preciso contesto storico, sociale, culturale diverso dal nostro.
    La trama narrativa. Gli scritti di Paolo non vengono redatti di getto, ma sono il frutto di un’attenta riflessione.
    Lo sviluppo del pensiero. Diversamente dai vangeli le lettere di Paolo risentono della maturazione del suo pensiero, lasciando trasparire la dinamicità del suo cammino di fede: posiamo così seguire il formarsi della sua teologia. In 1-2 Ts fornisce tre diverse risposte agli interrogativi sugli ultimi tempi: non si tratta di contraddizione, ma di maturazione del pensiero.
    Gli eredi di Paolo
    Eredità scomoda che molti fraintendono o rifiutano.

QUO VADIS, DOMINE ?
I primi passi della comunità cristiana

Gli Atti degli Apostoli
Sono un tutt’uno con il vangelo di Luca. In At 1, 4-8 Luca stende un indice dell’opera:
-L’attesa At 1, 12-26
-Il dono dello Spirito At 2, 1-47
-La testimonianza At 2-28
E’ la terza parte a raccogliere la rama del libro. A sua volta è divisa in tre sezioni citate in At 1, 8: “Mi sarete testimoni a Gerusalemme (la missione nella città santa: At 3-7), in tutta la Giudea e la Samaria (la missione a Cesarea tra i samaritani: At 8-12) e fino agli estremi confini della terra (la missione tra i pagani: At 13-28).
I due grandi protagonisti degli Atti, in costante ascolto dello Spirito Santo, sono Pietro (At 1-12) e Paolo (At 13-28), le due colonne della Chiesa tra di loro complementari.

Le incertezze degli inizi
La trama degli Atti lascia trasparire le incertezze legate ai primi passi della comunità cristiana.

*Paolo ai margini
Luca scrive in un momento in cui la figura di Paolo è a rischio. Una corrente interna alla Chiesa, quella dei giudeo-cristiani, è riuscita a mettere in ombra l’apertura ai pagani convertiti. Luca sente il dovere di restituire Paolo alle prime comunità cristiane, mostrandone la profonda sintonia con la tradizione apostolica

*La comunità cristiana divisa
Si rileva la presenza di tre correnti: si intravedono dietro At 1, 13-14. Si tratta degli Undici, delle donne e dei parenti di Gesù. Ciascuna di questa dopo la morte di Gesù pretende di incarnare la vera eredità del Signore.
La fatica dell’unità e i sommari storici (At 2, 42-47; At 4, 32-35), ideali a cui puntare.

*L’incertezza sociale  e politica
La distruzione del tempio nel 70, l’ansia per le persecuzioni, il desiderio di unire le forze per ribellarsi ai romani, l’ostilità per tutto ciò che richiama il paganesimo…Tutto questo spinge verso chiusure e alimenta le tensioni.

*L’affacciarsi della seconda generazione
I testimoni oculari della vita del Signore escono di scena. E’ urgente custodir e fissare l’insegnamento da loro lasciato, individuando i veri punti di ancoraggio della fede cristiana. Questo anche per fare fronte alle prime eresie.

SENSUS FIDEI
Interpretazione della Bibbia nella Chiesa

La risposta degli Atti 2, 42:
-L’insegnamento apostolico: tradizione biblica dove un testo rischiara l’altro e tradizione ecclesiale.
-La vita comune, come ambiente che favorisce il disgelarsi del testo.
-La frazione del pane: il mistero eucaristico sta al centro di tutta Scrittura e della sua comprensione.
-La preghiera: lo stesso Spirito che ha ispirato è quello che oggi introduce nella comprensione del testo.

SALMO 62

  1. Salmo di Davide quando dimorava nel deserto.
    Non sappiamo se sia davvero di Davide, però il titolo dà un’indicazione preziosa: Davide vive un periodo di tribolazione, si è dato alla macchia per sfuggire a Saul (1 Sam cap. 22-24): il levita in esilio vive la nostalgia del tempio e della sua città.
    E’ il salmo dell’amore mistico, che celebra l’adesione totale dell’uomo a Dio partendo da un anelito quasi fisico. La preghiera si fa desiderio, fame e sete che coinvolge anima e corpo.
    Santa Teresa d’Avila dice: “La sete esprime il desiderio di una cosa, ma un desiderio talmente intenso che noi moriamo se ne restiamo privi”.
    * “O Dio, tu sei il mio Dio…”: professione di fede e di amore. Si sente l’eco dell’alleanza: Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”.
    * L’indirizzarsi dell’orante verso il tempio, verso Gerusalemme, verso oriente per incontrare il volto di Dio, dalla terra d’esilio.
  2. Il primo canto è quello della sete.
    E’ l’alba, sta per sorgere il sole e l’orante comincia la giornata recandosi al tempio per cercare la luce di Dio. Egli ha bisogno di quell’incontro con il Signore. Il simbolo della terra arida e della pioggia e la neve.
    Il profeta Geremia: il Signore è “sorgente d’acqua viva” e il popolo viene rimproverato per aver costruito “cisterne screpolate, che non tengono acqua” (2, 13).
    Gesù esclama ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me” (Gv 7, 37-38).
    L’episodio della Samaritana: l’acqua che zampilla per la vita eterna.
  3. In questo senso il salmo 62 si intreccia con un altro salmo, il 41: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente”. Nella lingua ebraica l’anima è espressa con il termine “nefesh” che in alcuni testi designa la gola e in altri tutta la persona. Così comprendiamo quanto sia essenziale il bisogno di Dio: “vale più della vita”.
  4. Segue il canto della fame.
    Probabilmente con le immagini del “lauto convito” e della sazietà l’orante rimanda a uno dei sacrifici che si celebravano nel tempio, quello di comunione: era un banchetto in cui i fedeli mangiavano le carni delle vittime immolate. Un’altra necessità fondamentale viene usata per esprimere la comunione con Dio: la fame è saziata quando si ascolta la parola di Dio. “L’uomo non vive soltanto di pane, ma l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8, 3; Mt 4, 4). “La mia carne è vero cibo il mio sangue vera bevanda” (Gv 6, 55-56). Il banchetto definitivo che è l’Eucaristia.
  5. Attraverso il cibo mistico “l’anima si stringe” a Dio. Ancora una volta la parola anima indica tutta la persona: si parla di un abbraccio, di uno stringersi quasi fisico.
    Anche quando si è nella notte oscura ci si sente protetti dalle lai di Dio (come l’arca dell’alleanza coperta dalle ali dei cherubini).
    E allora fiorisce l’espressione estatica della gioia: “Esulto di gioia all’ombra delle tue ali. La nostra mano si intreccia con la forza della sua destra.