Omelia – Santa Messa per l’inizio dell’anno pastorale

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Omelia – Santa Messa per l’inizio dell’anno pastorale

Carissimi fratelli e sorelle, carissimi amici nel Signore, Chiesa tanto amata che vivi in Tortona.

Stiamo celebrando l’Eucaristia all’inizio di un nuovo anno pastorale. Stiamo, dunque, pregando, all’inizio di un nuovo anno pastorale. E ciò che in tal modo ci è dato di vivere, in questo momento, costituisce il dato essenziale, fondamentale, necessario e più importante, sia per la nostra vita personale sia per la nostra esistenza comunitaria.

Perché dico questo? Per quale motivo lo riaffermo ancora una volta con forza e convinzione? Perché risuonano in me le parole chiare e limpide del Signore: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 1, 5). Gesù non ha lasciato margini a possibili interpretazioni. Non ha detto, infatti, che senza di Lui possiamo fare qualcosa, poco o tanto che sia. Ha detto “nulla”, proprio “nulla”!

Ecco perché l’Eucaristia è la fonte e il culmine della vita cristiana e della vita della Chiesa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II (cf Lumen gentium, 11). Ecco perché la preghiera, che è la forma della celebrazione eucaristica, è il cuore e il centro della nostra vita personale ed ecclesiale. Ecco perché non possiamo fare a meno di ascoltare con assiduità la parola del Signore. Solo così, infatti, manteniamo viva e approfondiamo la nostra relazione vitale con Gesù. E solo così ridestiamo continuamente in noi la memoria che il Signore è il nostro Salvatore, che senza di Lui non possiamo vivere, che invano fatichiamo se il Signore non è il vero protagonista in ogni nostra fatica, che la nostra dipendenza d’amore da Lui è il vero segreto di ogni autentica riuscita per il Regno dei Cieli.

La questione è prioritaria e seria, molto seria. Perché riguarda la fede, l’intensità della nostra fede. Ed è proprio la fede ciò che il Signore ci chiede al di sopra e prima di ogni altra cosa. Egli, infatti, non ha bisogno dei nostri progetti brillanti, dei nostri sogni intelligenti, delle nostre strutture efficienti, delle nostre capacità presunte o acclamate. Egli ha, in un certo senso, bisogno della nostra fede. E, per questo, ci chiede la fede nel Suo amore, nella Sua grandezza, nella Sua provvidenza, nella Sua volontà di compiere in noi le meraviglie della Sua onnipotenza ricca di misericordia. Come ripetutamente ci viene ricordato nelle pagine dei Vangeli, è proprio la misura della nostra fede che, in certo qual modo, definisce la misura del dispiegarsi dell’opera di Dio nella nostra storia. Con la nostra fede permettiamo al Signore di stendere il Suo braccio potente, che mai si è accorciato. Se a volte sembra accorciato, ciò è a causa della nostra poca fede, delle nostre ginocchia che non si piegano adoranti e fiduciose alla Sua presenza, delle nostre mani che non si uniscono con insistenza, supplici e mendicanti, alzandosi al Cielo. Stiamo di più, allora, alla presenza del Signore. Stiamo di più, davanti a Lui, in ascolto e in adorazione. Stiamo di più in preghiera. Con fede, con tanta fede. Singolarmente e comunitariamente. Si allarghino come a macchia d’olio, si moltiplichino, nella nostra Diocesi, gli spazi e i luoghi in cui poter stare alla presenza del Signore, soprattutto nell’Eucaristia.

Potessimo esclamare, come Giobbe: “Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile” (Gb 42, 1)! Potessimo anche noi dirlo davvero! Potesse, questa comprensione della grandezza di Dio nella fede, accompagnare ogni passo del nostro anno pastorale!

In comunione con la Chiesa universale e con la Chiesa che è in Italia, proseguiremo il cammino sinodale. Porterà frutto? Sì, nella misura in cui davvero crederemo che “nessun progetto per Dio è impossibile”. Proseguiremo nell’impegno di dare forma sempre più compiuta, sul nostro territorio diocesano, alle comunità pastorali. Porterà frutto? Sì, nella misura in cui davvero crederemo che “nessun progetto per Dio è impossibile”. Proseguiremo nel supplicare con fiducia il Signore perché doni ancora alla nostra Chiesa vocazioni belle e sante, al sacerdozio e alla vita consacrata, maschili e femminili. Porterà frutto? Sì, nella misura in cui davvero crederemo che “nessun progetto per Dio è impossibile”.

Come ci ricorda il testo biblico, al grande atto di fede da parte di Giobbe, seguì il gesto consolante di Dio: “Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato” (Gb 42, 12). Possa essere così anche per noi!

Carissimi tutti nel Signore, all’inizio di un nuovo anno pastorale, chiediamo la grazia di una fede più grande, di una preghiera più fedele e continua, di una memoria sempre più viva circa la centralità di Gesù Cristo nella nostra vita.

La centralità di Gesù Cristo! “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete” (Lc 10, 23). È il Signore stesso a ricordarci che il motivo di ogni nostra beatitudine e godimento è Lui, Figlio di Dio fatto uomo per noi, Rivelatore del Padre, nostro unico e vero Salvatore. Non dimentichiamolo mai! Non ci accada di procedere nel cammino come se Lui non ci fosse o fosse ai margini del nostro interesse e della nostra attenzione, o divenisse solo il pretesto per parlare di altro, anche nel nostro ritrovarci insieme.

Insieme a san Luigi Orione, ancora una volta, per voi e con voi, riaffermo che siamo chiamati a “vivere Cristo”, a fare di Lui, e della Sua vita in noi, il significato primo del nostro essere cristiani e della nostra appartenenza ecclesiale. Ancora una volta, per voi e con voi, rinnovo l’esclamazione entusiasta di sant’Ignazio di Antiochia: “Nulla è meglio di Gesù Cristo” (Lettera ai cristiani di Magnesia VII, 1).

Riascoltare, ora, le parole di sant’Ambrogio sia come il sigillo su quella centralità di Gesù Cristo che desideriamo sia sempre di più il tratto distintivo della nostra esperienza di fede: “Tutto è per noi Cristo. Se desideri medicare le tue ferite, egli è medico. Se bruci di febbre, egli è la sorgente ristoratrice. Se sei oppresso dalla colpa, egli è la giustizia. Se hai bisogno di aiuto, egli è la forza. Se temi la morte, se desideri il cielo, egli è la via. Se fuggi le tenebre, egli è la luce. Se cerchi il cibo, egli è il nutrimento. Gustate, dunque, e vedete quanto è buono il Signore; felice l’uomo che spera in lui” (De Virginitate 16, 99 ss.).

Affermare la centralità decisiva di Gesù e riconoscere, di conseguenza, la nostra dipendenza d’amore da Lui, dalla Sua presenza e dalla Sua opera, ci colloca in quella “piccolezza” tutta evangelica, per la quale il Signore esultò di gioia nello Spirito Santo: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 17, 21).

Nel giorno in cui celebriamo la memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, dottore della Chiesa e nota a tutti per l’insegnamento relativo all’infanzia spirituale, è quanto mai suggestivo tornare a considerare queste parole di Gesù.

Siamo, forse, piccoli, secondo la logica del mondo? Grazie a Dio, se è così! Siamo, forse, poveri, secondo la logica del mondo? Grazie a Dio, se è così! Siamo, forse, stolti e ignoranti secondo i criteri mondani che misurano sapienza e intelligenza? Grazie a Dio, se è così!

Sì, grazie a Dio se è così. Preghiamo Dio perché sia così e lo sia sempre di più! E sia il motivo della nostra gioia. Perché solo a questa condizione sarà a noi rivelato il mistero del regno dei Cieli. Solo così sarà a noi dato di sperimentare lo splendore della luce del volto del Signore. Solo così avremo l’esultanza nello Spirito Santo per poter toccare con mano quanto è buono il Signore e fare di tutta la nostra vita una lode a Lui, abbandonati nel Suo abbraccio di amore.

Come dicevo nell’omelia del mio ingresso in Diocesi: “Non è mai la piccolezza che impedisce l’agire dello Spirito Santo, dono del Risorto. Non è la povertà che vanifica la Sua opera. Non è l’assenza di risorse umane e mondane che pone un freno al Suo amore. Anzi, proprio nella misura in cui siamo piccoli, poveri, deboli secondo il mondo, è allora che siamo grandi per la grandezza dello Spirito in noi, ricchi per la ricchezza dello Spirito in noi, forti per la forza dello Spirito in noi”.

Non temiamo, dunque, la nostra piccolezza agli occhi del mondo. Temiamo, piuttosto, la tentazione di voler essere grandi. Non temiamo la nostra povertà agli occhi del mondo. Temiamo, piuttosto, la tentazione di voler essere ricchi. Non temiamo la nostra mancanza di sapienza e intelligenza agli occhi del mondo. Temiamo, piuttosto, la tentazione di voler essere sapienti e intelligenti e, come tali, riconosciuti nei salotti del mondo.

Non temiamo di rimanere incompresi agli occhi del mondo per la nostra fedeltà d’amore a Gesù Cristo e al Suo Vangelo. Temiamo, piuttosto, la tentazione di voler essere cortigiani del tempo e della storia, di voler essere a tutti i costi al passo con le mode passeggere, ritrovandoci così distanti dal cuore del Signore e mai veramente attuali per il bene autentico della nostra gente.

Certo, nella gioia di poter ovunque riconoscere all’opera lo Spirito del Signore risorto che ci parla, siamo in ascolto attento di tutto e di tutti. Ma per aderire sempre di più alla volontà di Dio su di noi e giungere alla pienezza della verità in Cristo, e non per adeguarci acriticamente e supinamente a quel mondo che, come afferma san Giovanni: “Giace sotto il potere del maligno” (1 Gv 5, 19)

Il bene autentico della nostra gente. Oggi, con il ritornello del salmo responsoriale, abbiamo più volte ripetuto insieme nel canto: “Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo, Signore”. La Chiesa vive per essere il riflesso dello splendore della luce di Cristo, della luce che è Cristo, davanti alle genti. La Chiesa esiste per annunciare a tutti, nessuno escluso, la salvezza in Gesù risorto, vincitore sul peccato e sulla morte, principio della vita veramente nuova perché vita di Dio in noi. Questo è il bene autentico della nostra gente.

Anche la Chiesa che è in Tortona non può dimenticare questa chiamata che ne definisce la più profonda identità. La nostra storia è iniziata con san Marziano, primo Vescovo e martire in questa nostra terra, testimone fedele del Signore nel tempo della persecuzione romana. Da allora, per la successione apostolica, mai è venuta meno, in quanti ci hanno preceduto, la consapevolezza della chiamata ricevuta: essere espressione, attraente e ricca di fascino, della luce di Cristo in ogni tempo.

Una tale consapevolezza, grata e gioiosa, ci accompagna ancora oggi con rinnovato slancio. Qual è, infatti, il senso ultimo del nostro cammino sinodale? Quale il senso ultimo dell’impegno a dare forma compiuta alle comunità pastorali? Quale il senso ultimo della supplica al Signore per il dono delle vocazioni di speciale consacrazione? Qual è, alla fine, il senso ultimo di tutto ciò che viviamo e che vivremo insieme? Eccolo il senso ultimo: l’evangelizzazione, l’annuncio di Gesù Cristo, Luce del mondo, per il tramite della nostra parola infuocata di Lui in forza dello Spirito Santo, per il tramite della nostra vita splendente di Lui in virtù dello Spirito Santo, per il tramite del nostro amore abitato da Lui e dal Suo Santo Spirito, per il tramite della nostra comunione fondata su di Lui nel vincolo dello Spirito Santo. La nostra comunione nel vincolo dello Spirito Santo! Nulla ci divida, nulla ci renda distanti gli uni dagli altri, nulla si insinui nel cuore come motivo di sterile e triste contrapposizione. Nulla! Nulla, né del presente, né del passato. Nulla! Ciò che divide e non edifica nella comunione non è dallo Spirito Santo, mai! Viene dal nostro nemico, dallo spirito del male. Stiamo uniti. Camminiamo insieme. Viviamo la gioia della comunione nello Spirito di Amore e di Verità.

E ricordate: non siamo semplicemente araldi di un messaggio. No, sarebbe troppo, troppo poco. Siamo testimoni di un Vivente, il Crocifisso risorto, che è la ragione di tutte le cose, la vera nostalgia di ogni cuore umano, l’atteso in ogni tempo della storia, l’anelito mai domato che attraversa popoli e continenti.

Altro, al mondo, non abbiamo da dire o da dare, perché il mondo, più di ogni altra cosa, ha bisogno di Lui che è la Via, la Verità e la Vita. “Manda il Tuo Spirito, Signore, e rinnova in Gesù Cristo la faccia della terra, la faccia di questa nostra amata terra tortonese!”. L’invocazione allo Spirito Santo sia in noi continua, fedele, perseverante, fiduciosa; sia come il palpito del nostro cuore e divenga come il nostro respiro, il respiro che tutti ci accomuna, lungo il cammino che ci attende.

Iniziando il nuovo anno pastorale risuonano nel nostro cuore le parole di Gesù: “Rallegratevi…perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 20). Come ci rallegrano davvero queste parole! Ci rammentano, infatti, che abbiamo una patria definitiva nei Cieli, che una casa eternamente stabile e felice è preparata per noi dall’amore infinito di Dio che ci è Padre. È proprio vero, allora: “Nulla potrà danneggiarvi” (Lc 10, 19), come ci assicura il Signore. Se è verità indiscutibile che nulla possiamo senza di Lui, è verità altrettanto indiscutibile che, con Lui e in Lui, nulla potrà esserci di danno. Lui, Gesù Cristo! Questa è la nostra speranza! Questo è il motivo di ogni nostra gioia! Questa è la ragione della nostra imperturbabile fiducia! Questa è la ragione per la quale, con rinnovato slancio e autentica passione d’amore, iniziamo, nella forza dolce dello Spirito Santo, un nuovo anno pastorale.

Ci accompagnino la preghiera e la presenza materna della Madonna, la nostra Santa Madonna. Ci accompagni l’intercessione preziosa dei nostri Santi: Marziano, Luigi Orione, Luigi Versiglia, e di tutti i Santi.