Conferenza – Le ragioni della carità (traccia)

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Conferenza – Le ragioni della carità (traccia)

Incontro in occasione del 10° Anniversario dell’apertura della mensa per i poveri

Genova, Parrocchia di San Pio X

 

Premessa
La bella occasione che sta alla base del nostro incontro: il 10° anniversario dell’apertura della mensa dei poveri.
Il desiderio di riflettere su ciò che si fa per meglio mettere a fuoco le ragioni: le ragioni della carità.
Alla luce di queste ragioni rilanciare il nostro impegno nella carità.
Considerare il tempo di Avvento in rapporto alla carità.

Di conseguenza il nostro percorso prevede quattro tappe:

  • una sfida da raccogliere
  • ritrovare la carità e le sue ragioni
  • rimuovere gli ostacoli alla carità
  • per vivere l’Avvento nella luce della carità.

1) Una sfida da raccogliere
La sfida circa la nostra identità.
Un sfida che parte dal nostro cuore cristiano: “fammi vedere che sei di Cristo”.
Una sfida che parte dal mondo: “facci vedere che sei di Cristo”.
D’altronde è la stessa parola del Signore a dire: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 34, 35).
In altre parole la sfida della traduzione in opere della fede.

Curzio Malaparte: “Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia…Non ci importa nulla di chi soffre; non facciamo nulla per impedire la sofferenza, la miseria, il male, il delitto, la violenza, la strage; stiamo cheti e zitti e festeggiamo il Santo Natale…Vorrei che il giorno di Natale il panettone diventasse carne dolente sotto il nostro coltello e il vino diventasse sangue e avessimo tutti per un istante l’orrore del mondo in bocca. Vorrei che il giorno di Natale i nostri bambini ci apparissero all’improvviso come saranno domani, fra alcuni anni, se non oseremo ribellarci contro il male che ci minaccia…Vorrei che la notte di Natale in tutte le chiese del mondo un povero prete si levasse gridando: via da questa culla, ipocriti, bugiardi, andate a casa vostra a piangere sulle culle dei vostri figli. Se il mondo soffre è anche per colpa vostra, che non osate difendere la giustizia e la bontà e avete paura di essere cristiani fino in fondo. Via da questa culla, ipocriti. Questo bambino, che è nato per salvare il mondo, ha orrore di voi”.

Raoul Follereau e Albert Schweitzer si incontrarono un giorno. L’apostolo dei lebbrosi chiese al Nobel per la pace: “Dimmi! Quando ti incontrerai con Cristo, che cosa gli dirai?”. E Schweitzer: “Abbasserò la testa per la vergogna. Abbiamo fatto tanto poco…di quello che ci hai detto!”.
Noi operiamo! E questo basta? Basta quanto a estensione, basta quanto a impegno, basta quanto alle motivazioni?
Avvertiamo che la realtà della carità è qualcosa di grande, che ci interpella e sulla quale giochiamo la nostra autenticità cristiana.
L’esempio dei santi. “I piccoli, i poveri, i ciechi, i vecchi, gli afflitti, gli orfanelli, i malati sono il mio sogno, il canto di Dio che da anni mi passa sull’anima, nella mente, e mi gira tutto d’intorno, e mi ferisce il cuore e mi fa vivere e morire di un fuoco ardentissimo e mi fa esclamare: ‘O amore di Gesù; o amore dolce ai piccoli e ai poveri di Gesù: o amore, morire d’amore!’ “ (San Luigi Orione).

Rimane ancora attualissimo quanto afferma San Giacomo: “Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (2, 26).
La vita cristiana è anzitutto esperienza della grazia di Dio che ci rinnova; ma questo rinnovamento lo si vede nel cambiamento della vita. Non ci si salva per le opere buone, ma non ci si salva senza le opere.

 

2) Ritrovare la carità e le sue ragioni
Un amore sincero
– Nel cap. 13 della lettera ai Romani, Paolo unifica in una parola iniziale tutto quanto egli pensa in ordine alla carità: “La carità non abbia finzioni!”. E’ il segreto della carità.
San Pietro in 1 Pt 1, 22 spiega il termine dicendo: “amatevi intensamente di vero cuore”.
L’amore deve essere autentico e non finto.
Dietro l’universo della carità fatto di parole e opere c’è un universo tutto interiore al cuore umano.

-La carità dell’inno di Paolo è quella interiore, delle disposizioni e dei sentimenti. Nulla che riguardi il “fare” del bene, ma tutto è ricondotto alla radice del “volere” bene. La benevolenza viene prima della beneficenza.
Il più grande atto esteriore (es. distribuire ai poveri tutte le proprie sostanze) non gioverebbe a nulla senza la carità interiore. E’ la carità ipocrita che fa il bene senza volere il bene e mostra all’esterno qualcosa che non ha il corrispettivo all’interno: può essere egoismo, ricerca di sé, strumentalizzazione dell’altro, rimorso di coscienza…

– Non si tratta di contrapporre la carità interiore e quella esteriore, ma di ricordare che siamo chiamati ad addentrarci in quell’interiorità dove non è possibile mentire. Si deve arrivare a quell’uomo interiore in cui l’altro diventa davvero prossimo, lo porto con me nel cuore e diventa intimo.
Questo amore diventa riflesso dell’amore di Dio che ci porta nel cuore (la palma della mano, nell’immagine profetica): Dio ci fa del bene perché ci vuole bene.

Un amore divino
– Ciò che abbiamo compiuto è solo il primo passo.
Il viaggio nell’interiorità non ci conduce solo alla dimensione psicologica della vita, ma anche alla dimensione di grazia che ci invade il cuore.
Se non si arriva a questa dimensione non si capisce nulla della carità e rimaniamo ancora legati all’uomo vecchio in cui l’amore non differisce da altri tipi di amore.
Il cristiano, dice san Pietro, è colui che “ama di vero cuore”. Ma con quale cuore? E’ il cuore nuovo: “L’amore è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5, 5)

– “Ma quando Gesù dà ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il comandamento proprio suo…non parla di amare il prossimo come se stessi, bensì di amarlo come lui, Gesù, l’ha amato, come l’amerà fino alla consumazione dei secoli. Signore so che voi non comandate alcunché di impossibile, conoscete meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione, voi sapete bene che mai potrei amare le mie sorelle come le amate voi, se voi steso, o mio Gesù, non le amaste ancora in me” (Santa Teresa di Lisieux).
L’amore cristiano si distingue da qualunque altro tipo di amore perché per il fatto che è amore di Cristo: non sono più io che amo, ma Cristo ama in me e attraverso di me.
Io divento il centro di irradiazione dell’amore di Dio.
Evangelizzazione e testimonianza della carità: la carità come testimonianza di Cristo.

La vita intera, di conseguenza, è carità, amore e dono. L’opera singola è solo un’espressione di una realtà onnicomprensiva la vita del cristiano.
Per lui è carità l’opera buona, il servizio ai poveri, ma anche tutto il resto e la sua stessa vita. Proprio come il Signore stesso.

Solo nella comunione ardente di vita con il Signore posso vivere la carità autentica. Nell’Eucaristia comunico alla passione di Cristo per l’uomo. Chi vive bene l’Eucaristia impara la carità, impara l’amore di Dio. Chi prega e ascolta la parola impara la carità e l’amore di Dio. Non ci può essere separazione tra carità e spiritualità.

 

3) Rimuovere gli ostacoli alla carità
Rimuovere gli ostacoli significa operare quella conversione del cuore che permette alla carità di Cristo di farsi spazio in noi e di portare la ricchezza di frutti di cui è capace.
In proposito bisogna fare tre falò. Indicazione concreta per celebrare bene l’anniversario e per vivere la conversione del tempo di Avvento.

– Togliere il veleno dei giudizi
E’ il veleno che dobbiamo estirpare da noi.
Gareggiare nello stimarsi a vicenda.

– Pensieri di disistima e di disprezzo
Minimizzare deve diventare il nostro verbo preferito; ma al contrario di come facciamo in genere.
Tenere il proprio io sul banco degli imputati e non del giudice.

Nessuna parola cattiva
La lingua è piena di veleno mortale: quanti morti con la lingua!
Il digiuno dalle parole cattive: provare a intuirne la traiettoria.


4) Per vivere l’Avvento nella luce della carità
Il tempo dell’attesa e della venuta.
Il tempo di andare al di là vegliando, il tempo di scorgere le venute del Signore nella nostra vita.
Il tempo in cui dire “Vieni, Signore Gesù!” e in cui dire “Maestro!”.